Tra il 1948 ed il 1954, durante le aspre lotte nelle campagne, braccianti e contadini furono colpiti da una brutale repressione:

40 uccisi

1.614 feriti

60.319 arrestati

21.093 condannati

 

 

Celano 30 aprile 1950

 


A Celano, uno dei maggiori comuni del Fucino, è stato consumato un nuovo orrendo eccidio di lavoratori. Hanno sparato sui braccianti fucinesi gli squadristi del principe Torlonia e i carabinieri del ministro Sceiba. Due braccianti sono morti: Antonio Berardicurti, di 35 anni, colpito alla gola, Antonio Paris, di 45 anni, colpito al costato.
Altri dodici contadini cadevano falciati dalle scariche: Giovanni Ballva, Antonio Baruffa, Costanzo Ramunno, Settimio Cavasìnni, Franco Tirabassi, Antonio Jacutone, Orazio Rossi, Tobia Paris, Gasparre Fegatini, Esterina Palumbo, Maria Stefanucci, Loreto Pestilli.
Sulla piazza, erano raccolti in gruppi i contadini: nella casa comunale si svolgevano i lavori della Commissione per il collocamento, i braccianti attendevano i risultati. Si stavano definendo i nomi di coloro che avrebbero dovuto lavorare, per turni in seguito alla conquista di 250 mila giornate lavorative a carico di Torlonia. Non era in corso alcuna agitazione, la calma più assoluta regnava nel paese. Tuttavia, quattro carabinieri, un maresciallo si recavano in Comune, e ne uscivano poco dopo, allontanando coi calci del moschetto i contadini che si trovavano presso.

La dinamica del massacro

I carabinieri si portavano poi su un lato della piazza, e si aveva l’impressione che tornassero in caserma. Invece senza che i contadini si fossero mossi in nessun modo, i carabinieri aprivano il fuoco, i contadini si gettavano in terra. Ed ecco che dal lato opposto della piazza altri colpì di arma da fuoco venivano esplosi da alcuni fascisti. La sparatoria si prolungava per qualche minuto. Antonio Paris, cadeva in una pozza di sangue; cosi Berardicurti, cosi i dodici feriti. Non c’era scampo, quella domenica sera. I segni dei proiettili sono ovunque, nella piazza, e dimostrano, con chiarezza estrema, come vi sia stato un vero e proprio fuoco incrociato, con intenzione di uccidere.
Seguendo la direzione dei cinque fori che si trovano accanto al sangue di Agostino Paris, abbiamo chiesto: Che cosa è quella casa? E’ il circolo dei signori, ci hanno detto. II circolo dei signori è chiuso, adesso, e le sue finestre sono sbarrate. I signori non si fanno vedere nella piazza e non si fanno vedere neanche i carabinieri, ma dentro la loro Stazione, quando vi siamo entrati, li abbiamo visti stesi per terra su un mucchio di paglia.

I rinforzi dei carabinieri

Erano parecchi, dormivano col fucile tra le braccia, dentro la caserma quasi bloccata dai cavalli di frisia. Sono venuti fin da Chieti, perché quelli di Celano sembravano pochi ma sembravano pochi anche quelli di Avezzano.
Qui a Celano i carabinieri sentono di avere una buona percentuale di responsabilità, anche se fanno burrascose riunioni con un colonnello di Chieti, ma rigettano tutta la colpa, siti fascisti. I fascisti hanno sparato, non c’è dubbio, e quasi certamente sono essi i diretti assassini. Ma avrebbero sparato se i carabinieri fossero stati calmi?

La testimonianza di Amiconi

L’on. Amiconi, uno dei parlamentari che conducono una inchiesta sui luoghi, ci ha chiarito la situazione: “So che un comunicato governativo ha detto che io avrei scagionato i carabinieri da ogni responsabilità. Ciò è falso. Io ho consegnato all’Autorità, assieme all’on. Spallone, un elenco dettagliato di testimonianze che indicano un gruppo di fascisti come coloro che spararono sulla folla, ma ciò non toglie che i carabinieri spararono per primi. Dovunque, dai capannelli, si odono le voci cadenzate di quelli che leggono l’edizione straordinaria dell’Unità ma agli altri operai analfabeti che stanno a sentire con gli occhi spalancati.
Il segretario della Sezione del PCI, Canselmi, un giovane abruzzese dall’aspetto energico, sta in mezzo al crocchio più grande e legge con calma il racconto dei fatti. Legge come lui stesso sia stato fatto segno al ripetuto tiro di una pistola, che non l’ha colpito. Egli continua a compiere il suo dovere. La lotta continua .
Questi uomini, gli uomini di Celano e del Fucino, e le terre su cui essi vivono e lottano, sono oggi all’ordine del giorno. Domani, in questo paesetto si daranno convegno i rappresentanti del popolo di tutta Italia, i parlamentari dell’opposizione, che già affluiscono ad Avezzano per partecipare ai funerali dei due Caduti del Primo Maggio 1950. A Celano le donne in lutto, i disoccupati che non riescono a vivere nelle baracche, attendono gli uomini dell’opposizione per stringere loro silenziosamente la mano, per chiedere loro un nuovo impegno di lotta.

La responsabilità di Torlonia

Ma la giornata di domani è decisiva anche per un altro verso. Celano è il nuovo episodio luttuoso della grande lotta per ottenere che Torlonia rispetti l’accordo delle 250 mila giornate lavorative. La situazione è tesa. Domani dovrebbe iniziare il primo turno di quelle giornate, e fino a questa sera gli uomini di Torlonia, quelli dei «sindacati liberi» hanno fatto di tutto per sabotare l’opera delle commissioni incaricate di stabilire l’elenco dei nomi dei braccianti. A Trasacco, a Luco, negli altri 14 comuni della provincia, le commissioni lavorano tra questi ostacoli.
Già oggi il principe ha sentito con molta chiarezza che cosa significhi la forza dei braccianti e quali siano le loro alleanze. Tutto l’Abruzzo è sceso in sciopero generale. Quando siamo giunti ad Avezzano lo sciopero era compattissimo: “Chiuso per lutto”, era scritto sui negozi. Il Fucino non vuole Torlonia e lo grida a piena voce da tutti i muri, dalle mille scritte dei manifesti listati a lutto; e lo chiederanno domani, convenuti a Celano da tutti i paesi assieme ai parlamentari dell’Opposizione, i braccianti del Fucino.

Fonte: l’Unità, 3 maggio 1950