Patrice Lumumba

Per l'unità del popolo congolese

video

Patrice Lumumba (Onalua 1925 - Katanga 1961) fondò il Movimento nazionale per l'indipendenza del Congo dal Belgio. Vinse le elezioni del 1960, proclamò l'indipendenza e formò il governo mediando con il nazionalismo tribale. Tentò di salvare l'unità del Congo e l'indipendenza, ma la secessione del Katanga, che nascondeva un conflitto fra trust belgi e americani per la dominazione del Congo, portò alla sua caduta. Catturato da mercenari al soldo dei belgi, venne assassinato.
Resta uno dei simboli del movimento anticolonialista.
Di seguito riproduciamo il testo di un suo appello, trasmesso per radio poche settimane prima della sua morte.
Qui un breve (ma 3 Mb) videoclip del discorso commemorativo pronunciato da Ernesto Che Guevara.

Cari compatrioti, gli avvenimenti che viviamo in questi giorni e che gettano un fascio di luce sempre più potente su alcune realtà finora nascoste, mi impongono il dovere di tenervi informati giorno per giorno.
Il Congo, la nostra patria, ha vissuto per ottanta anni in uno stato di asservimento politico. Questo regime di schiavitù, ribattezzato dai colonialisti "opera civilizzatrice", ha privato gli abitanti di questo vasto paese del frutto dei suoi diritti naturali.

In nome della civiltà e della religione, i colonialisti si sono abbandonati alla distruzione dei nostri valori morali e artistici.
In nome della civiltà e della religione, la personalità dell'uomo negro è stata per lungo tempo schernita, ridicolizzata, trascinata nel fango.

I colonialisti avevano distrutto con la violenza, il raggiro e la propaganda tutto ciò che rendeva fiero l'uomo africano: la sua poesia, la sua magia, la sua filosofia, le sue tradizioni, il suo folklore. L'obiettivo dei colonialisti era quello di fare degli africani degli esseri senz'anima, senza personalità, senza originalità; dei ciechi imitatori; degli strumenti della loro propaganda, degli eterni servitori, che avevano un solo dovere: lavorare rassegnarsi e tacere.

La nostra libertà era nelle mani dei padroni bianchi: essi regolavano questa libertà come si regolano le lancette di un orologio. Noi non potevamo muoverci, andare da Leopoldville a Coquilhatville, da Luluaburg a Port Franqui se non con la benedizione dei padroni bianchi.

Quando arrivavano le otto o le nove di sera - e quest'orario dipendeva dalle città - i padroni bianchi ci chiudevano come polli nel pollaio.
E chiunque circolava violando il coprifuoco coloniale veniva arrestato e imprigionato dal "capo della circolazione notturna". Ma loro, i padroni bianchi potevano circolare liberamente dalle sei di sera alle sei del mattino.

Gli stranieri, i padroni bianchi, avevano, solo loro, il diritto di fondare nuove chiese in casa nostra: cattoliche, protestanti, salutiste ecc. Ma i congolesi non avevano questo diritto. È così accaduto che i discepoli di Simon Kimbangu, gli adepti di Kitawala o di altre religioni tipicamente africane sono stati perseguitati e torturati.
Essi sono stati perseguitati perché si sono opposti - in nome del principio della libertà di coscienza - al colonialismo spirituale degli occidentali.

Durante questi ottanta anni il negro di questo paese non è stato che un oggetto e non ha avuto che una mansione: lavorare come una bestia per arricchire i colonialisti.
Questa vergognosa impresa ha avuto successo grazie a una dottrina cara agli imperialisti di tutti i tempi: dividere per regnare, asservire per sfruttare. Incitandoci gli uni contro gli altri i colonialisti sono riusciti, grazie a questa politica di divisione, a sfruttarci cinicamente per ottanta anni.

Con il denaro ricavato dalla nostra terra gli imperialisti acquistavano armi, polvere, bombe per reprimerci violentemente ogni qualvolta noi reclamavamo la nostra libertà.
Siamo stati dunque creati per vivere in eterno schiavi dell'uomo bianco?
Io non lo credo.

Dopo avere preso coscienza che la colonizzazione era una mistificazione ed era un'impresa di sfruttamento mercantile, noi abbiamo deciso, rischiando la nostra vita, di iniziare una lotta senza tregua contro il colonialismo che spogliava la nostra terra.
Uomini, donne, ragazzi, voi tutti avete risposto al nostro appello.

Percorrendo il Congo dal nord al sud, dall'est all'ovest, abbiamo gettato il seme di una dottrina rivoluzionaria nella coscienza delle masse popolari: il popolo non aveva che una canzone: Dipanda - indipendenza immediata.

I colonialisti, che vedevano franare giorno per giorno la loro impresa, destinarono allora delle somme rilevanti per costituire partiti al loro servizio ed assoldare uomini a loro devoti. Ma il valoroso popolo congolese, deciso a liberarsi dalle catene secolari del colonialismo, ha impegnato in una dura lotta 1 ' imperialismo e i suoi agenti negri.

Questi ultimi, respinti dal popolo, sono stati sconfitti nelle ultime elezioni.

Irritati dal loro scacco, coscienti che il popolo non vuole più chi lo inganna, i colonialisti e i loro collaboratori hanno scatenato l'ultima offensiva: la guerra di riconquista del Congo.

Utilizzando le stesse armi e le stesse astuzie, gli imperialisti hanno inventato una nuova formula: federazione, confederazione.

Tutte queste parole mirano a ingannare il popolo, perché sono una nuova forma mascherata della vecchia politica "dividere per regnare". Queste parole nascondono i disegni reali degli imperialisti. È con queste parole che la Francia è riuscita a balcanizzare l'Africa equatoriale per accordare poi alle sue vecchie colonie una indipendenza nominale e fittizia.

Il Belgio vuol tentare la stessa operazione col Congo.
Accettereste voi, cari cittadini, una indipendenza politica sotto la dittatura economica del Belgio?
È questo l'obiettivo del federalismo: dividere il grande Congo, creare delle piccole e deboli repubbliche alla moda francese, che non potrebbero sostenersi da sole dal punto di vista economico.

E così che certe vecchie colonie francesi divenute ora "repubbliche" resteranno eternamente dominate dalla Francia.

Volete che questo avvenga nel Congo , il ricco paese dei nostri avi?
Sono convinto che voi non lo volete, perché nessun congolese degno di questo nome - a meno che non si tratti di alcuni traditori della nostra patria - è disposto a vendere il suo paese agli imperialisti.

I belgi hanno una norma: l'unione fa la forza. È con questa norma che valloni e fiamminghi si sono riuniti contro il Congo, che i colonialisti sono riusciti a dominarci per ottanta anni.

È con la nostra unità, e solo con essa - unità politica ed economica - che noi possiamo annientare gli imperialisti. Grazie a questa unità potremo sventare i loro perfidi complotti. Senza questa unità il Congo ritornerà domani a nuova schiavitù. Non basta infatti conquistare l'indipendenza: è necessario difenderla e consolidarla.

Per questo noi dobbiamo restare uniti.
I belgi ci hanno attaccato ed hanno cercato di rovesciare il governo popolare che voi avete liberamente eletto, perché non ha voluto vendersi agli imperialisti. Hanno fatto di tutto per corromperci, perché servissimo i loro interessi, invece di servire i vostri, quelli del popolo.
Noi preferiamo morire difendendo i vostri interessi, piuttosto che cedere alle minacce e al denaro.

Oggi noi abbiamo ottenuto un grande successo: gli imperialisti sono agli estremi, piangono, sono malati, cadono in agonia. Ieri schiavo, il congolese ha preso oggi nelle sue mani i suoi destini: nulla potrà togliergli ora l'indipendenza. Il Belgio vuole dividerci per non andarsene ma se ne andrà se resteremo uniti.

E nell'unione, nell'amore e nella solidarietà reciproca che noi salveremo il nostro paese.
Congolesi, difendete la vostra terra; abbandonate i futili motivi di contrasto; il nemico è all'agguato; non diamogli l'occasione di utilizzare le nostre divisioni per conservare i suoi poteri nel paese dei nostri avi.
Sia e resti questo il nostro obiettivo più caro: il Congo ai congolesi.

Viva la repubblica indipendente e sovrana del Congo!

Daniele Barbieri

Lumumba, l'africano che guardava a Rousseau

«E venne il giorno in cui comparve il bianco
Fu più astuto e cattivo di ogni morte,
barattò il tuo oro
con uno specchietto, una collana, ninnoli,
e corruppe con l'alcool i figli dei fratelli tuoi
e cacciò in prigione i tuoi bimbi.
Allora tuonò il tam-tam per i villaggi
e gli uomini seppero che salpava
una nave straniera per lidi lontani
là dove il cotone è un dio, e il dollaro è imperatore».
(Patrice Lumumba)


Ci sono voluti 42 anni perchè il Belgio riconoscesse che dietro l'assassinio di Patrice Lumumba c'erano «alcuni membri del governo di allora». Il 17 gennaio sono 50 anni esatti dalla sua morte. Sarà ricordato in molte città (una porta oggi il suo nome: Lumumbashi) del Congo come in altre parti dell'Africa. La sua storia ha molto da dirci anche oggi perchè il colonialismo e il saccheggio del Terzo Mondo non sono mai cessati, hanno solo mutato volto e metodi.
Non è un Paese povero il Congo come si è sentito dire anche di recente da un giornalista italiano che chissà se lo confondeva con il piccolo Togo o con il Gabon. Anzi, è uno dei Paesi più ricchi al mondo per risorse naturali. «Uno scandalo geologico» fu definito: diamanti, foreste, oro, uranio (proprio quello usato per le prime atomiche), rame, cobalto, radium, zinco fino al coltan che, pur se i profani non lo hanno mai sentito nominare, muove oggi settori importanti dell'economia globale e causa guerre con milioni di morti.
Un grosso affare per re Leopoldo del Belgio avere il Congo come «possedimento personale». Nel passaggio fra '800 e '900 sono 10 milioni - quasi metà popolazione - i congolesi morti come schiavi nella raccolta del caucciù o nella repressione delle rivolte. Uno dei più famosi scrittori del mondo, Mark Twain, fatica a trovare editori quando scrive Soliloquio di re Leopoldo, un durissimo atto d'accusa. E' il 1905. Tre anni prima esce Cuore di tenebra di Joseph Conrad che si chiude con la famosa frase di Kurz «sterminate quelle bestie» a ben sintetizzare la missione civilizzatrice della "razza" bianca. Il termine genocidio allora non esiste ma è al sistematico massacro di quei "non-umani" che Kurk si riferisce.
Le accuse internazionali contro Leopoldo lo costringono a una retromarcia, meglio a un gioco di bussolotti: rinuncia al "suo" possedimento per cederlo al Belgio. I genocidi continuano. Quando nasce (il 2 luglio 1925) Patrice Lumumba le "bestie" congolesi non hanno alcun diritto. Nel 1950 su 14 milioni di persone solo 1500 vengono considerate "evolute" cioè hanno un libretto che riconosce loro una sorta di (pur dimezzati) diritti. Il giovane Lumumba si forma su Rousseau ma anche su Jacques Maritain e sulle voci dell'orgoglio africano come Senghor. Inizia a guardare verso un «Congo unito in un'Africa unita» e questo sarà poi uno dei suoi slogan.
Inizia il suo impegno politico, subisce un primo arresto e nei primi mesi del 1958 si trasferisce nella capitale Leopoldville (oggi Kinshasa). Dà vita al Mnc (Movimento nazionale congolese) che esige l'indipendenza subito attraverso negoziati pacifici e il rispetto dei diritti dell'uomo. Lumumba è quasi uno sconosciuto quando va alla Conferenza panafricana di Accra ma ne esce da leader. Dato che il Belgio fa orecchie da mercante, in Congo iniziano manifestazioni e rivolte. Si chiede l'indipendenza entro il 1961 e si annuncia la «non collaborazione» a oltranza. Le truppe belghe sparano: centinaia i morti. Lumumba viene arrestato e condannato a 6 mesi di carcere.
Finalmente il 22 maggio 1960 si vota: Lumumba è eletto, il suo movimento conquista quasi un terzo dei voti. Così il 30 giugno re Baldovino dichiara l'indipendenza del Congo e Lumumba diventa capo del governo. Ha già detto in più occasioni che non si riconosce in nessuno dei due blocchi ma nel movimento dei "non allineati".
Ma le compagnie minerarie belghe d'intesa con la CIA (lo si legge oggi nei documenti statunitensi non più segreti) hanno già preparato la secessione del Katanga, una delle regioni più ricche. La indipendenza congolese diventa un elemento centrale nel nuovo scacchiere internazionale. Il 14 luglio 1960 l'Onu chiede l'allontanamento delle truppe belghe e affida al suo segretario, Dag Hammarskjold, il compito di collaborare con il governo congolese. Mentre il kaos cresce e la CIA vuole "sbrigare" la faccenda prima che entri in carica il nuovo presidente (John Kennedy del quale i "servizi" non si fidano) Hammarskjold - dopo qualche incertezza - si schiera con decisione per una vera indipendenza del Congo. Pagherà con la vita, come Lumumba, la sua onestà. Dell'assassinio di Lumumba si saprà con un mese di ritardo: le immagini di quell'uomo legato fanno il giro del mondo. Solo dopo molti anni si saprà che sono i ribelli, con la complicità di militari belgi, a bastonare Lumumba, finirlo a colpi di baionetta e poi sciogliere il suo cadavere nell'acido.
Qualche mese dopo tocca ad Hammarskjold: il 18 settembre l'aereo che lo porta in Congo, a una nuova conferenza di pace, cade; solo nel 1992 una inchiesta dirà che fu sabotato, probabilmente da agenti statunitensi per conto dell'Union Miniere belga.
Non ci resta molto degli scritti di Lumumba: qualche poesia e un paio di discorsi. Probabilmente a costargli la vita fu quello del 30 giugno, giorno dell'indipendenza, pronunciato davanti al re belga: Baldovino si aspettava ringraziamenti e umiltà non certo che gli venissero ricordati 80 anni di «lavoro spossante in cambio di salari che non ci permettevano di sfamarci», 80 anni di «ironie, insulti, colpi perchè eravamo negri», 80 anni di sparatorie, ingiustizie, oppressioni, sfruttamento.
Dopo la morte di Lulumba - e l'ammonimento all'Onu - il Congo precipita nel kaos, poi - dal 1965 - in una lunga dittatura, la "cleptocrazia" di Mobutu che in 32 anni renderà grandi servigi (cioè soldi) a Belgio, Francia e Usa mentre impoverisce sempre più i congolesi.
Solo alla fine degli anni '80 i riflettori dell'informazione mondiale tornano ad accendersi, per qualche attimo, sul Congo acccennando a due guerre che squassano il Paese finendo per coinvolgere mezzo continente con 4 milioni di morti mentre (le cifre sono di Amnesty International) altri 16 milioni sono vittime di violazioni, privi di alimenti sufficienti o di farmaci, costretti alla fuga. Nel "cuore di tenebra" ancora una volta a tirare i fili sono i nuovi Kurz. I rapporti delle Nazioni Unite (resi pubblici solo in parte) indicano nella guerra per il coltan, finanziata dalle compagnie occidentali, le vere ragioni di questa tragedia che i media scelgono di non raccontare.
Nel 2006 torna un po' di pace nel Congo e finalmente si tengono elezioni libere ma sembra solo una tregua: nelle zone minerarie continuano gli scontri e soprattutto lo sfruttamento. Il Congo è sempre più povero perchè le sue ricchezze vengono saccheggiate senza tregua.
A proposito del "mea culpa" prima citato del governo belga è interessante notare che è avvenuto solo su pressione dell'opinione pubblica choccata prima per il film Lumumba (in Italia non ha quasi circolato) del regista haitiano Raoul Peck, poi per un libro di Ludo De Witte che, partendo da documenti segreti de-classificati, ha inchiodato compagnie minerarie e potere politico dell'epoca alle loro responsabilità.
Frantz Fanon, un grande intellettuale caraibico di nascita e algerino di elezione, aveva scritto: «se l'Africa fosse raffigurata come una pistola, il grilletto si troverebbe in Congo». Una profezia che si è avverata per Lumumba e continua a pesare anche dopo 50 anni.

da: Liberazione, 17/01/2011

Alessio Antonini e Chiara Giovetti

Chi ha paura di Lumumba?

1960, l'anno della svolta

L’unico primo ministro congolese eletto fu brutalmente ucciso da un gendarme belga, che ricevette anche l’ordine di far sparire il corpo, nel nome della lotta anticomunista. L’atroce storia della morte di Patrice Emery Lumumba nelle parole dei suoi assassini: il militare belga, Gerard Soete, il colonnello dei servizi segreti, Louis Marlière e l’agente dell’Intelligence, Lawrence Devlin, che eseguirono senza discutere.
gli ordini dell’allora direttore della CIA, Allen Dulles.

Fonte: Missioni Consolata, "Le mani sul Congo", numero monografico ottobre/novembre 2004


Un cablogramma che viene da Washington può uccidere un uomo. Gerard Soete fece quello che avrebbe fatto ogni soldato: quando gli dissero di assassinare il primo ministro congolese Patrice Emery Lumumba e i suoi collaboratori Joseph Okito e Maurice Mpolo, di macellare i loro corpi a colpi di accetta e di scioglierne i pezzi nell’acido, per non lasciare tracce, lo fece senza discutere. L’ordine portava la firma dell’allora capo della CIA, Allen Dulles ed era stato presumibilmente visionato dal presidente statunitense uscente Dwight Eisenhower e dalla monarchia belga.
«Avevamo fucilato Lumumba nel pomeriggio - racconta Soete alla commissione parlamentare belga incaricata delle indagini a 40 anni di distanza dall’omicidio -. Poi tornai nella notte con un altro soldato, perché le mani dei cadaveri spuntavano ancora dal terriccio. Prendemmo l’acido che si usa per le batterie delle automobili, dissotterrammo i corpi, li facemmo a pezzi con l’accetta; poi li sciogliemmo in un barile, facendo tutto di fretta, perché non ci vedesse nessuno».
La notte atroce del 16 gennaio del 1961 fu presto archiviata dall’opinione pubblica e anche dai suoi assassini. Durante tutta l’intervista, ripresa dal regista Michel Noll, Soete ha continuato a passarsi di mano in mano i due denti d’oro che aveva strappato al cadavere di Lumumba. «Li ho conservati per ricordo - conclude l’ex militare ridendo - perché qualcuno dice che tornerà dalla tomba. Comunque, se tornasse, avrebbe due denti in meno!».
Già alla fine del 1960, la decisione da prendere non era più se uccidere Lumumba, ma quando e dove farlo. A sentire la testimonianza dell’allora ufficiale di collegamento della Central Intelligence Agency (CIA) in Congo, Lawrence Devlin, le avevano pensate tutte. «Inizialmente avevamo deciso di utilizzare del dentifricio avvelenato o addirittura di gettarlo in pasto ai coccodrilli - spiega Devlin -, ma poi optammo per qualcosa di più clamoroso per dare un segnale della nostra determinazione. Correvano i tempi della guerra fredda: Lumumba era un pericolo per il Congo e per il resto del mondo, perché avrebbe permesso ai comunisti di installarsi nella regione, cambiando i rapporti di forza tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. E questo non lo voleva nessuno».
La colpa per cui Lumumba è stato condannato a morte dalla diplomazia occidentale, infatti, era quella di essersi rivolto al presidente russo Nikita Kruscev, per sedare la ribellione separatista del Katanga del 1960, e di non aver mai fatto mistero delle proprie simpatie marxiste.
In realtà, Lumumba non sapeva nemmeno cosa fosse il comunismo: per quanto il leader africano autodidatta avesse studiato, dai suoi discorsi traspariva un afflato rivoluzionario legato più ai principi della rivoluzione francese del 1789 che a qualunque ideologia novecentesca. Lumumba infatti era prima di tutto un leader nazionalista, interessato alle sorti del popolo congolese e strenuo sostenitore dell’indipendenza. Non sapremo mai che tipo di politico sarebbe potuto essere, anche se è certo che era un pessimo diplomatico, come risultò subito evidente durante la cerimonia di passaggio dei poteri tra la madrepatria belga e l’ex colonia il 30 giugno del 1960.

LA TRAPPOLA BELGA

Nel giorno della festa dell’indipendenza, Lumumba era nervoso e continuava a prendere appunti durante l’intervento di re Baldovino. I testimoni dell’evento raccontano che strappò i fogli del discorso concordato, nel momento in cui il re belga disse che «l’indipendenza del Congo costituiva la realizzazione dell’opera concepita dal genio di Leopoldo ii. Opera intrapresa con coraggio e tenacia, e continuata con perseveranza dal Belgio».
La reazione del leader africano non si fece attendere. Offeso e indignato per gli elogi all’uomo che aveva fatto massacrare oltre 10 milioni di congolesi durante la fase della colonizzazione prese il microfono e gridò: «Abbiamo conosciuto le ironie, gli insulti e i colpi che dovevamo subire mattino, mezzogiorno e sera, perché eravamo dei negri. Chi dimenticherà che a un negro si dava del “tu” non come a un amico, ma perché il “voi” rispettoso era riservato ai bianchi? Abbiamo visto che la legge non era mai la stessa per un bianco o per un nero. Era accomodante per i primi e inumana per i secondi».
Alla fine del discorso applaudirono solo i neri. Nel giorno dell’indipendenza il gelo diplomatico calò sui rapporti tra la neonata repubblica africana e l’intero Occidente.
La repubblica congolese, che vedeva Joseph Kasavubu presidente e Patrice Lumumba primo ministro, inoltre, stentava a reggersi sulle proprie gambe. La partenza degli amministratori belgi aveva privato il paese dei direttori di dipartimento e della sua spina dorsale. Gli uffici pubblici rimasero completamente paralizzati in assenza di qualcuno che avesse il potere e la competenza per prendere le decisioni.
Il 4 luglio dello stesso anno la Force Publique, la polizia congolese, si ammutinò: i sottoufficiali neri iniziarono a rifiutare gli ordini dei superiori che erano ancora di nazionalità belga. La tensione interna alle forze armate in breve si estese a tutto il paese portandolo sull’orlo del tracollo. Le violenze e gli scontri di piazza coinvolsero anche gli imprenditori occidentali, rimasti nella regione di Léopoldville (ora Kinshasa) e i militari congolesi si resero responsabili di stupri e saccheggi ai danni della popolazione civile. Approfittando di disordini in corso, l’11 luglio 1960 Moise Ciombe, il leader del Conakat, proclamò la secessione della provincia del Katanga, ricchissima di giacimenti minerari.
La nuova amministrazione guidata da Lumumba non era in grado di riportare l’ordine nella capitale e impedire gli ammutinamenti. All’inesperienza di governo si aggiungeva una vera e propria trappola istituzionale creata ad arte dai giuristi belgi, che avevano collaborato a redigere la Costituzione della repubblica indipendente del Congo: la distribuzione dei poteri tra primo ministro e presidente, infatti, in assenza di una struttura amministrativa funzionante, paralizzava completamente il meccanismo decisionale del paese.
I belgi non avevano accettato di buon grado il processo di decolonizzazione e, per costringere l’ex colonia a rimanere legata alla madrepatria, si erano riservati uno spazio di intervento, anche armato, se i presidenti delle province lo avessero richiesto. Questo è uno dei tanti non detti che hanno fatto dell’Africa una regione instabile.
Lumumba questo lo aveva capito: rifiutò decisamente un intervento militare belga per riportare l’ordine, si rivolse al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite perché inviassero i Caschi blu e accusò il governo di Bruxelles di aver fomentato la rivolta secessionista del Katanga.
Secondo il leader della giungla, come lo chiamavano con disprezzo i telegiornali dell’epoca, i belgi avevano appoggiato il governatore separatista katanghese, Moise Ciombe, per destabilizzare il paese e avere una giustificazione per riprenderselo. Secondo i risultati delle indagini della commissione parlamentare belga, i sospetti di Lumumba non erano infondati. Ciombe infatti non disponeva di forze armate. I belgi le costituirono ad hoc servendosi di mercenari e militari belgi, operazione per la quale erano stati stanziati 50 milioni di franchi dell’epoca (circa 7 milioni di euro di oggi), prelevati appositamente dai fondi segreti di Bruxelles.
I disordini raggiunsero una gravità tale che la stessa popolazione bianca iniziò a fuggire in massa con ogni mezzo disponibile. I pochi occidentali che rimasero nel paese furono vittime di brutali aggressioni che comportarono la morte di decine di donne e bambini.
Al Consiglio di Sicurezza, l’ambasciatore belga respinse tutte le accuse rivolgendosi ai rappresentanti congolesi come un precettore redarguirebbe dei bambini. «Signori, se noi avessimo preparato complotti e aggressioni nei vostri confronti - disse con fare scocciato il diplomatico europeo - avremmo tradito le nostre mogli, i nostri figli e le nostre figliolette. Dovremmo essere proprio privi di onore per lasciarli in un inferno del genere».
Anche le Nazioni Unite abbandonarono il giovane governo congolese e Lumumba, ormai alla disperazione, si rivolse all’allora presidente statunitense Dwight Eisenhower, il quale su consiglio del potentissimo direttore della CIA, Allen Dulles, rifiutò perfino di incontrarlo.

NEL MIRINO DELLA CIA

Washington aveva appena inaugurato la cosiddetta politica del new look, la strategia del potenziamento nucleare e del contenimento preventivo del nemico: l’Ungheria era stata invasa dai carri armati sovietici e i dissapori con gli europei sulla questione di Suez avevano messo a rischio l’alleanza anticomunista che stava iniziando ad accomunare l’Occidente. Né Eisenhower né Dulles erano disposti a lasciare nelle mani di un africano, potenzialmente comunista, il paese da cui avevano estratto l’uranio usato per costruire le bombe atomiche che rasero al suolo Hiroshima e Nagasaki e che facevano da deterrente contro i piani dell’Urss.
Al ritorno dal suo viaggio nella capitale statunitense, alla fine di luglio del 1960, Lumumba fece il suo secondo e ultimo errore diplomatico, firmando la sua condanna a morte. Abbandonato da tutti, si rivolse al presidente sovietico Nikita Kruscev perché l’armata rossa intervenisse direttamente nella regione dei Grandi Laghi per riportare l’ordine nel paese.
«Ci mettemmo d’accordo con Devlin - racconta il colonnello dei servizi segreti belgi, Louis Marlière, che diventerà il consigliere strategico del dittatore Mobutu - per piazzare diverse microspie nell’ufficio di Lumumba. Il materiale fu inviato dalla CIA insieme alle istruzioni per eliminare il presidente congolese. Inizialmente Devlin mi aveva parlato di un misterioso agente della CIA, noto come Joe di Parigi, che avrebbe dovuto coordinare le operazioni, ma alla fine intervenimmo personalmente per ucciderlo».
«Ricevetti un cablogramma che preannunciava l’arrivo di un ufficiale superiore con istruzioni particolari - conferma Devlin - e questo mi stupì. Non capivo perché non si limitassero a inviare semplicemente le istruzioni come sempre e si prendessero il disturbo di mandare un uomo. L’ordine arrivava direttamente da Eisenhower».
I messaggi precedenti, infatti, insistevano solo sulla necessità di eliminare Lumumba e non parlavano di ulteriori interventi esterni.
«Abbiamo raggiunto la conclusione - recita il cablogramma inviato a Devlin dal quartier generale della CIA il 26 agosto del 1960 - che se (Lumumba) continuerà a mantenere alti incarichi, il risultato inevitabile sarà il caos o addirittura l’apertura nei confronti del comunismo con conseguenze disastrose per il prestigio delle Nazioni Unite e per gli interessi del mondo libero in generale. Concludiamo, quindi, che la sua rimozione è un obiettivo urgente e primario e che nelle attuali condizioni dovrebbe essere una priorità delle nostre azioni segrete».
Il motivo del ritardo tra la decisione di eliminare Lumumba e la sua effettiva esecuzione è dovuta al fatto che operazioni del genere necessitavano l’approvazione del direttore del dipartimento per le attività illegali della CIA, Richard Bissell, che però nei giorni del caos congolese era in vacanza ed era irraggiungibile.
Dalle testimonianze emerge che Dulles assicurò a Eisenhower che si sarebbe occupato personalmente della questione di concerto con il vice di Bissell, Richard Helms, che individuò nel capo del dipartimento di chimica della CIA, il dottor Sidney Gottlieb (ebreo ungherese nato Joseph Schneider) l’uomo ideale per coordinare le operazioni. Fu Gottlieb (il Joe sopra menzionato) a proporre la pasta dentifricia avvelenata e l’acido delle batterie delle automobili; e fu sempre lui a spiegare a Devlin come contattare i militari belgi perché facessero il lavoro finale.
L’arrivo di alcuni consiglieri militari sovietici nel Katanga sciolse ogni indugio: la CIA infatti era profondamente convinta che si trattasse di un’avanguardia e a Washington avevano iniziato a temere sul serio un’invasione russa della regione dei Grandi Laghi.

RESISTENZA DISPERATA


Nel frattempo, Lumumba cercò senza successo il consenso dell’opinione pubblica internazionale perché facesse pressione sui governi coinvolti, indicendo numerose conferenze stampa con i giornalisti europei. Tuttavia, la stampa belga mise in atto una vera e propria campagna diffamatoria per dipingere il leader africano come un pericolo e per addossargli tutta la colpa dei disordini e delle violenze subite dalla popolazione europea dopo l’indipendenza. «Lumumba è un barbaro mefistofelico, con gli occhi che roteano da dietro gli occhiali - disse un giornalista -. C’è qualcosa di terrificante in quest’uomo: ha la testa di un Lenin africano».
Il 5 settembre 1960, sotto le pressioni di Washington e Bruxelles, il presidente Kasavubu destituì Lumumba dal suo incarico di primo ministro per metterlo agli arresti domiciliari. Tuttavia, Lumumba riuscì a fuggire a Stanleyville (ora Kisangani), città strategicamente importante per il controllo dell’intero paese, perché centro nevralgico delle comunicazioni, e a organizzare diversi incontri di piazza per invitare la popolazione a sollevarsi contro i «politici congolesi venduti all’Occidente».
Il 29 dello stesso mese, il posto di primo ministro fu occupato, con un colpo di stato, dal ministro della Difesa e capo di stato maggiore dell’esercito Joseph Desiré Mobutu, che diede vita a un governo provvisorio, subito riconosciuto dal presidente Kasavubu, felice di mettere il ministro destituito definitivamente fuori gioco.
Il 2 dicembre i soldati di Mobutu rapirono Lumumba che, invece di essere imprigionato a Léopoldville, fu portato a Elisabethville (ora Lubumbashi) e consegnato ai militari belgi che combattevano a fianco di Ciombe, i quali lo torturarono e lo fucilarono. Quello che successe dopo lo sappiamo già.
Lumumba aveva 36 anni e le circostanze della sua morte sono rimaste avvolte nel mistero fino a qualche anno fa: quando ormai i suoi assassini erano morti o troppo anziani per essere processati da un tribunale regolare. «Con la morte di Lumumba - commenta un attivista dei diritti umani - statunitensi e belgi si sono comportati come quelli stessi ufficiali nazisti, contro i quali avevano combattuto qualche anno prima in Europa in nome della libertà».

da. http://www.kimbau.org - 12 aprile 2005

 

Per approfondire:

Alessandro Aruffo, Lumumba, Massari, 2001
Aimé Cesaire, Une saison au Congo, Éditions du Seuil, 1973
Gian Franco Vené, Uccidete Lumumba, Fabbri, 1973
bibliografia africana

Lumumba, regia di Raoul Peck