Dalla lunga marcia alla rivoluzione


Sun Yat-sen (1866-1925), di modeste origini, medico, abbandonò la professione per dedicarsi interamente a un ambizioso progetto politico: dar vita ad un movimento repubblicano che sapesse conciliare la tradizione con le esigenze di rinnovamento di una società profondamente arretrata.
Il lungo e complesso tentativo di unificare le differenti forze che si battevano contro la dinastia imperiale ebbe come base l'affermazione dei tre principi del popolo: indipendenza nazionale, potere del popolo e benessere del popolo, fondato sulla riforma agraria. E da lì prese vita un forte movimento progressista, l'Alleanza Rivoluzionaria Cinese, da cui nascerà il principale partito politico cinese, il Kuomintang.
La situazione era comunque caratterizzata da forti fermenti politici e agitazioni sociali, che ebbero lo sviluppo più significativo, nel 1911, con una rivoluzione repubblicana che costrinse all'abdicazione l'ultimo imperatore, Pu Yi.
Sun Yat-sen venne eletto presidente provvisorio della nuova Repubblica, ma il panorama politico era estremamente confuso e variegato, e di fatto il potere era nelle mani di forze moderate, tra cui i potenti Signori della guerra.
Dopo la morte di Sun Yat-sen, nel 1925, il nuovo capo del Kuomintang, il generale Chiang Kai-shek, liquidò l'idea del suo predecessore di un'alleanza coi comunisti ed accentuò, al contrario, il carattere conservatore e nazionalista del movimento ed entrò in forte contrasto con un nuovo protagonista del panorama politico cinese, il Partito Comunista fondato nel 1921.
Durante la seconda guerra mondiale, e ancor prima in seguito all'invasione della Cina (1937) da parte dei giapponesi, le due formazioni politiche avrebbero avuto importanti momenti di riconciliazione, al fine di sconfiggere l'invasore, ma di fatto si trovarono sempre in contrasto, in una guerra civile che terminò solo nel 1949, con la vittoria dei comunisti.

Naturalmente la rivoluzione d'ottobre aveva modificato in profondità il panorama generale in cui si muovevano le forze rivoluzionarie, in Europa e in Aisa, e non mancarono contraddizioni e debolezze dovute da una parte all'esigenza dei comunisti russi di difendere e consolidare la rivoluzione e dall'altra di far svolgere al Comintern il ruolo di motore, e guida, della rivoluzione mondiale.
Il PCC tentò quindi a lungo di mettere al primo posto della propria strategia la questione contadina, l'unificazione delle forze progressiste e l'indipendenza nazionale, seguendo quindi una strada assai diversa da quella percorsa in Russia (basata sull'affermazione del potere dei soviet), tuttavia il nazionalismo conservatore di Chiang Kai-shek portò a una rottura insanabile, culminata, nel 1927, con la durissima repressione dei movimenti insurrezionali, in particolare quello sviluppatosi a Shangai.



L'obiettivo del Kuomintang era chiarissimo: distruggere i comunisti e restare la forza politica dominante. La feroce repressione provocò, dal 1927 al 1937, oltre 3 milioni di vittime: due terzi erano contadini delle basi rosse, un sesto comunisti, un decimo giovani studenti e intellettuali.
In questo periodo emerge quella che sarà la figura centrale della rivoluzione comunista, Mao Zedong: mentre la Comune di Shanghai veniva annientata dai nazionalisti, Mao, figura importante del partito (ma di cui diverrà segretario generale solo anni dopo), capì che era indispensabile riunire e riorganizzare le formazioni comuniste, disperse e stremate dalla repressione, e concentrò le forze nel sud-est, nella "base rossa" della Comune di Jiangxi.
Non si trattò solo di un enorme sforzo organizzativo, ma di una vera e propria strategia di lungo periodo, che si fondava sull'intenso lavoro teorico svolto da Mao in quegli anni, spesso in dissenso con la linea ufficiale del partito.
Chiang Kai-shek si rende conto della pericolosità di questa forte base rossa e si propone risolutamente di eliminarla: a metà del 1934 i nazionalisti, che già avevano isolato la regione bloccando qualsiasi scambio economico, indispensabile per la sopravvivenza stessa dei rivoluzionari e della popolazione che li appoggiava, stringono la Comune in una morsa micidiale: ma l'accerchiamento militare viene rotto e una forza di circa 80.000 uomini, male armati ed equipaggiati sommariamente, fugge verso nord, in quella lunga marcia che li porterà, un anno dopo, nella provincia dello Shaanxi, dopo 25.000 li (oltre 9.000 chilometri, più o meno la distanza tra Bruxelles e Città del Capo!), e ormai ridotti a un decimo della forza iniziale.

Questa impresa leggendaria, che probabilmente non ha eguali nella storia, ebbe un valore simbolico straordinario ma anche un risvolto pratico decisivo: le forze comuniste, disperse in varie colonne, dovettero far fronte a un'infinità di insidie: la costante minaccia delle truppe nazionaliste, appoggiate anche da una consistente forza aerea, gli attacchi dei Signori della guerra, l'estrema difficoltà a reperire cibo e armamenti, un paesaggio naturale spesso ostile; ma il piccolo esercito rosso seppe davvero essere l'esercito del popolo, coinvolgendo nella lotta le popolazioni e, di fatto, liberandole da una pesante condizione di sottomissione.
Una vicenda epica che si svolse con estrema drammaticità, con alcune battaglie decisive.









Una rivoluzione continua, che coinvolgeva tutte le zone percorse e che avrebbe portato alla vittoria finale, con Mao che fece prevalere la propria visione strategica e che divenne il più autorevole nel gruppo dirigente comunista di cui facevano parte Zhou Enlai, Lin Biao, Zu Dhe, Zhang Guotao.
Un partito apparentemente in declino, sconfitto, che riesce a sopravvivere e addirittura ad estendere a dismisura il proprio consenso fra le masse, e che unificando le rivendicazioni contadine e operaie con quelle della piccola borghesia crea la base sociale, oltre che politica, della vittoria.
Gli importanti momenti di tregua fra nazionalisti e comunisti, alleati contro i giapponesi, alla fine del conflitto mondiale lasciarono il posto a una violenta ripresa della guerra civile, il cui esito non era affatto scontato, dato che Chiang Kai-shek disponeva di oltre quattro milioni di uomini in armi, a fronte del milione scarso di comunisti.
Ma le caratteristiche già evidenziate della strategia di Mao (portare ovunque la distribuzione delle terre e la riforma agraria, alfabetizzazione di massa, diritti delle donne, lotta alla corruzione) evidenziavano un radicamento popolare dei comunisti a cui Chiang Kai-shek poteva opporre solo la ferrea disciplina (da parte dei soldati e del popolo) e un vuoto richiamo alla tradizione: e unitamente alle migliori qualità dei comandanti militari comunisti e alle importanti motivazioni dei soldati, tutto ciò consentì di ridurre progressivamente l'influenza nazionalista, fino a che Chiang Kai-shek si ritrovò a dover trasferire le proprie esigue forze sull'isola di Taiwan.

Il 1° ottobre 1949 Mao proclamò la nascita della Repubblica Popolare Cinese.

Come governare il paese più popoloso ed arretrato del mondo?
Mentre nell'Unione Sovietica la tirannia stalinista aveva soffocato nel sangue qualsiasi prospettiva di effettiva liberazione, Mao seguì una strada assai diversa: il partito rimaneva l'unico vero soggetto politico ma esercitava questo ruolo egemone, totalitario, più sotto forma di pedagogia repressiva che di controllo poliziesco: campagne di massa che intrecciavano intimidazione e persusasione, minaccia e consenso, pressione all'adesione volontaria e punizione per chi non si adegua, educazione a senso unico, rituali collettivi (l'autocritica esasperata, il furore ideologico delle guardie rosse col libretto di Mao), ma anche lotta intensa contro la burocratizzazione, lo spreco di risorse, la corruzione.
Non furono poche le vittime in certe fasi particolarmente drammatiche: le difficoltà di attuazione della riforma agraria e il tentativo di mutare radicalmente la fisionomia economica del paese, passando da una base fondata sull'agricoltura a una moderna forma di industrializzazione (il grande balzo in avanti dell'economia), ebbero risultati assai controversi, e intorno al 1960 vi fu una gravissima carestia, che provocò dai trenta ai quaranta milioni di morti.
La stessa rivoluzione culturale, voluta da Mao a metà degli anni '60 per imprimere un nuovo slancio a una società impoverita e rimediare in qualche modo ai risultati negativi del grande balzo, provocò ulteriori danni, ad esempio emarginando molte figure della nuova classe dirigente (insegnanti, funzionari di partito, amministratori locali, ecc.), che avevano certamente costituito anche gruppi di potere burocratico ma che tuttavia garantivano una direzione unitaria dello Stato.


La morte di Mao e di Zhou Enlai (1976), che qualche anno prima avevano sconfitto politicamente il gruppo che faceva capo a Lin Biao (la cosiddetta banda dei quattro), aprì di fatto un nuovo corso, con il nuovo capo del partito, Deng Xiaoping, che si fece promotore di una radicale riforma economica: sotto l'insegna del "socialismo con caratteristiche cinesi", si mirava alla transizione da un'economia rigidamente pianificata a una struttura aperta al mercato, anche se comunque supervisionata dallo stato e dal partito.
Linea che in qualche modo ha dato i suoi frutti, portando progressivamente la Cina da una situazione di isolamento nel panorama mondiale ad una presenza sempre più massiccia sui mercati, anche finanziari, fino ad essere, agli inizi del terzo millennio, il competitore più agguerrito delle multinazionali occidentali.

1989: l'annus horribilis del socialismo reale (cioè del simulacro autoritario di società socialiste), del crollo del blocco sovietico, coinvolse marginalmente la Cina: tutto l'occidente s'indignò (spesso strumentalmente) per la repressione che colpì gli studenti ed i lavoratori che in piazza Tian'anmen, al canto dell'Internazionale, giustamente chiedevano riforme e libertà, ma questa protesta poteva portare ad un indebolimento letale della struttura stessa dello stato, con esiti difficilmente prevedibili.


* La vecchia e più nota grafia (Mao Tse-tung, Chou En-lai, ecc.) corrispondeva al sistema anglosassone di traslitterazione (il cosiddetto Wade - Giles), sostituito nel 1979 dal Pinyin, che letteralmente in cinese significa "unire suoni" e generalmente si riferisce al Hànyǔ Pīnyīn (letteralmente: "traslitterazione della lingua degli Hàn"), che è un sistema di romanizzazione (notazione fonetica e traslitterazione in scrittura latina) dei caratteri del cinese standard, mandarino variante di Pechino.