Antonio Morandi

Germania: unità a sinistra


“Die Linke ist geboren”. È nata die Linke, la sinistra. Vedere l’annuncio scorrere sui grandi video nella metro di Berlino, alle dieci di sera, tra i titoli delle notizie importanti della giornata, fa un certo effetto. Come una potente lente, ingrandisce la dimensione dell’avvenimento e sembra dare l’idea dello scossone che il mondo politico tedesco riceve con questa notizia.
A metà giugno, in un efficientissimo palazzo dei congressi del centro città, in due giorni avvengono fatti straordinari: vengono sciolti la WASG (Wahl Alternative Soziale Gerechtigheit), la formazione “voto alternativo per la giustizia sociale” nata 3 anni fa come movimento della sinistra socialdemocratica e socialista, l’ala del lavoro, quella con leader Oskar Lafontaine, in rotta con l’allora cancelliere Schroeder.
E viene sciolto il PDS - die Linke (Partei des Democratischen Sozialismus): il PDS presente dal 1989 in Parlamento e la die Linke, l’aggregazione formatasi due anni fa.
Lo stesso giorno, in due sale differenti, ma simultaneamente, l’addio a queste esperienze ormai superate.
Il giorno dopo, in un grande salone, riempito all’inverosimile da parecchie centinaia di giovani, vecchi, donne, lavoratori, la nascita del nuovo partito Die Linke.
Dopo due anni di trattative, di incontri e a coronamento di un percorso di conferenze programmatiche, la svolta. I postcomunisti della PDS dell’est, guidati da Lothar Bisky e dall’istrionico Gregor Gysi e gli ex socialdemocratici di Lafontaine si uniscono in un solo partito.
“Un avvenimento eccezionale in un Paese che ha sempre avuto una grande stabilità, un fenomeno storico” ci dice Harald Werner, portavoce e storico esponente del PDS. “Da oggi lavoriamo uniti sulle priorità che il nostro programma ha precisato: lotta alla precarietà, questione salariale, ovvero salario minimo, pensioni”.
Axel Troost, eletto ora nella direzione del nuovo partito Die Linke, ha una lunga esperienza sindacale e viene dalla WASG. Tanto per essere concreto ci consegna alcuni dati che fotografano la realtà tedesca, proprio partendo dalla precarietà del lavoro e da una disoccupazione di massa. Le ultime rilevazioni parlano di dati che non migliorano e attestano tra i 5 ed i 6 milioni i disoccupati, ossia un tasso del 10%, con caratteristiche di disoccupazione lunga per le donne ultra quarantacinquenni e per gli uomini con più di 50 anni. Ma anche dati che indicano un allargamento delle occupazioni con basso reddito, se è vero che più di tre milioni e mezzo di persone nella repubblica federale lavorano a tempo pieno e sono sottopagati e che negli ultimi anni si è registrato un abbassamento dei salari reali.
Per quanto riguarda gli occupati prosegue il fenomeno della “deregolamentazione del salario”: ovvero della lunga casistica delle Aziende che escono volontariamente dalle loro associazioni di categoria imprenditoriali e quindi non si sentono più vincolate al mantenimento degli accordi sindacali stipulati. Parte da qui la richiesta pressante dell’introduzione del salario minimo legale, uno dei punti focali della battaglia della sinistra tedesca, norme che blocchino gli escamotage delle imprese che già sono favorite dalla politica della Grosse Koalition tendente all’alleggerimento dei loro costi sociali. In altre parole in un panorama dove per mantenere livelli anche minimi di stato sociale, i dipendenti devono pagare di più e affidarsi alle assicurazioni private.
Ulla Lotzer, che siede nel Buntestag, eletta nel Nordrhein-Werstfalen e vive a Colonia, è responsabile del settore sviluppo e globalizzazione della Die Linke. Non ha dubbi: “Quella dei salari è una questione prioritaria e presenta tanti aspetti. Uno è quello della parità uomo donna, dove le scelte del capitale creano concorrenza a scapito del costo del lavoro e dei servizi sociali”. Oppure, aggiunge, “nei settori dell’educazione della formazione, dove le aziende spendono sempre meno, i giovani lavorano come apprendisti senza tutele formative”
Per completare il quadro Axel Troost aggiunge: “Non dimentichiamo che oggi la distanza tra salario e pensione è la più grande d’Europa e che una parte del sistema pensionistico è già stata privatizzata, mentre è già diventata legge la brutta proposta di innalzamento dell’età a 67 anni per la pensione, innalzamento che scatterà dall’anno 2012”.
Giustizia sociale innanzitutto e basta con i taglia al welfare, riconquista della centralità dei temi del lavoro, no deciso al neoliberalismo, via da tutti i teatri di guerra che vedono la presenza tedesca, oggi in Afghanistan con i caschi blu e nell’area balcanica.
E’ la sfida che la nuova formazione della sinistra unita ha lanciato al mondo politico tedesco, alla Grosse Koalition, alla Spd, ma anche un richiamo ai disaffezionati della politica.
Certo una sfida che fa paura a molti. Già oggi Die Linke conta l’8,7 per cento nello scenario politico tedesco ed è forte di 53 deputati al Bundestag, il Parlamento federale tedesco.
“Senza contare che già oggi possiamo contare su oltre 500 consiglieri municipali e 7 parlamentari europei, oltre a buone percentuali dei vari Land e con il recente brillante risultato della città stato di Brema” aggiunge Ulla Lotzer.
Insomma una nascita che può smuovere davvero la scena politica tedesca e proporre inediti scenari.
“Avremmo fallito di fronte alla storia, se non avessimo costruito la nuova sinistra” grida dal palco centrale un Oskar Lafontaine sommerso dalle ovazioni di una platea che libera finalmente la tensione dell’attesa.
“Riporteremo al voto i delusi, daremo al nostro marchio la credibilità di gente onesta che lavora e vuole cambiare la politica, come abbiamo fatto al recente G8, dove siamo stati il solo partito dalla parte dei no global non violenti in piazza. Abbiamo un grande compito, coniugare libertà insieme al socialismo”.
A 16 anni dall’unificazione delle due Germanie, qualcosa di nuovo sta accadendo in questa parte di mondo, perché come ricorda Gysi, il leader che avviò la trasformazione del partito comunista della Germania est “essere a sinistra non vuol dire avere sempre la maggioranza nella società, ma essere riconoscibili, avere un’identità”.