Domenico Parisi

Perché si deve insegnare la storia?

L'insegnamento della storia e la conoscenza della società di oggi sono il terreno interessante sul quale le nuove tecnologie possono essere messe aIIa prova come strumenti di apprendimento e di comprensione. I fenomeni che caratterizzano le società umane e i modi in cui cambiano nel tempo, possono essere studiati e capiti leggendo libri e ascoltando le lezioni di un insegnante ma possono essere anche studiati e capiti vedendo sullo schermo di un computer visualizzazioni ma soprattutto simulazioni di questi fenomeni, dove una simulazione e un modello interpretativo di determinati fenomeni della realtà che ipotizza cause, condizioni, meccanismi e processi che stanno dietro i fenomeni e li spiegano e che, diversamente dai tradizionali modelli interpretativi della scienza formulati con i simboli del linguaggio ordinario o con i simboli della matematica, è formulato come programma per computer. Una volta costruita, una simulazione e anche un laboratorio sperimentale nel quale l'utente osserva i fenomeni in condizioni che lui o lei controlla, modifica queste condizioni (cioè fattori, variabili, ecc.) e osserva gli effetti delle sue manipolazioni.
Le simulazioni che servono per la conoscenza delle società umane e per la storia sono di due specie. Da un lato ci sono le simulazioni "tipologiche", che hanno come loro oggetto tipi di società, tipi di condizioni geografiche, economiche, politiche, ma non fanno riferimento a nessuna società umana storica effettivamente esistita o esistente, e dall'altro le simulazioni "storiche" in senso stretto, che invece prendono come loro oggetto una particolare società umana o un particolare fenomeno storico realmente avvenuto in un dato luogo in un dato tempo. Così, per fare degli esempi di simulazioni "tipologiche", possono essere simulati l'emergere degli scambi economici, il ruolo dell'informazione e della comunicazione in tali scambi, l'emergere della moneta, oppure l'emergere e il modificarsi nel tempo delle strutture centralizzate con funzioni economiche e politiche e i rapporti tra il sistema degli scambi e tali strutture centralizzate, oppure ancora l'evolvere della tecnologia in funzione di condizioni che ne favoriscono o ne ostacolano lo sviluppo. Ma possono anche esserci simulazioni "storiche" che riproducono l'espansione dell'impero assiro nell'Antico Vicino Oriente dal XIV al VII secolo avanti Cristo, oppure il modificarsi degli insediamenti e degli assetti politici dei popoli che abitavano quella che poi sarà l'Etruria meridionale prima degli etruschi, oppure ancora l'espansione mondiale dell'Occidente dal XVI secolo ad oggi.

Le simulazioni possono essere importanti strumenti di apprendimento e di comprensione dei fenomeni sociali e storici non solo nelle mani dello scienziato per le sue ricerche ma anche nelle mani degli studenti a scuola. Intanto le simulazioni, essendo modelli interpretativi e non semplici racconti, obbligano lo storico ma anche lo studente a formulare ipotesi specifiche e dettagliate che poi i risultati delle simulazioni, quando "girano" nel computer, dimostreranno se sono giuste o sbagliate. Poi le simulazioni si avvalgono soprattutto di cose viste e non di testi letti, e così possono sfruttare la capacità di comprensione intuitiva che viene dal vedere le cose. Questo non vuol dire che il linguaggio verbale non abbia un ruolo, perché sarà compito dell'insegnante, mentre lo studente interagisce con la simulazione, di fornire i concetti e i ragionamenti che si riferiscono a quello che lo studente vede sullo schermo del computer, portando così la comprensione dei fenomeni oggetto della simulazione a quel livello di conoscenza riflessa e ragionata che solo il linguaggio può fornire. In terzo luogo le simulazioni richiedono azioni da parte dello studente. Lo studente deve muoversi nel mondo ricreato dalla simulazione, esplorarlo, risolvere in esso problemi, manipolarlo e osservare gli effetti delle sue manipolazioni. E questo, oltre a somigliare a cose che lo studente sa ed è motivato a fare (si pensi ai videogiochi), dovrebbe finalmente offrire la possibilità di realizzare quell'"apprendere facendo" che pedagogisti e psicologi hanno inutilmente predicato per tutto il Novecento ma che prima del computer e delle tecnologie digitali era semplicemente impossibile realizzare a scuola.

Ipotesi non tanto ottimiste

Sulla scuola non si può essere molto ottimisti. Noi tendiamo a pensare che la scuola di oggi, che esiste in una società di massa in cui tutti debbono andare a scuola e imparare, possa e debba raggiungere gli stessi risultati della scuola di élite del passato in cui andavano a scuola solo relativamente pochi ragazzi appartenenti ai gruppi sociali dirigenti. Non è così. E non è così perché la società non vuole realmente che sia così. Nelle moderne società di massa la scuola può anche funzionare abbastanza male, producendo pochi apprendimenti. Si guardi agli Stati Uniti. Negli Stati Uniti la scuola non è granché e nessuno veramente se ne lamenta o fa qualcosa per cambiare le cose. In teoria la scuola ha due funzioni: formare cittadini più consapevoli di come vanno le cose nella realtà e far funzionare il sistema economico. Ma il primo obiettivo non sembra di fatto molto importante per il sistema politico (anzi per il sistema politico non è chiaro se cittadini più consapevoli siano un obiettivo o un fastidio) e il secondo obiettivo può essere perseguito avendo un sistema di formazione superiore molto efficiente, come è l'università negli Stati Uniti, che formi la minoranza di individui che "dirigono" l'economia, mentre per il resto un'economia molto ben funzionante come è quella americana, nonostante il grande parlare di società e economia della conoscenza, può benissimo prosperare con una scuola che funziona male e produce scarsi apprendimenti. In Italia la scuola funzionava meglio di quella americana fino a un po' di tempo fa ma sta rapidamente scendendo al livello di quella americana. Il problema è che l'Italia ha anche un sistema di formazione superiore (universitario) che funziona male, e questo può essere spiegato con il minor ruolo che la componente "alta formazione" ha nell'economia italiana rispetto a quella americana. E per il resto, il piccolo numero di individui che hanno bisogno di una formazione superiore adeguata, possono farsela all'estero.
Se questo è il quadro generale, è chiaro che non si può essere molto ottimisti sulla scuola. Tra l'altro una società di consumi di massa è una società in cui il "dovere di studiare" da cui si dovrebbe essere guidati quando si è ragazzi è molto meno sentito oggi da ragazzi che il mercato vuole che siano consumatori indipendenti come i consumatori adulti e in cui gli adulti sono di fatto meno capaci di inculcare tale "dovere" nei ragazzi perché sono troppo impegnati a essere consumatori loro. Questo non vuol dire che non si possa fare qualcosa. La conoscenza - comprensione dei meccanismi che operano nella complicata società in cui si vive sembra essere qualcosa che, nelle società moderne (anche se non in quelle più antiche), chiunque dovrebbe avere. La scuola non si preoccupa di fornire ai ragazzi questa conoscenza/comprensione o almeno gli strumenti per farsela. Perciò la scuola deve cambiare ponendosi questo obbiettivo che finora non si era mai posto. La storia come è stata insegnata finora e come viene insegnata ancora oggi non è da sola sufficiente per raggiungere questo obbiettivo perché, dato il ritmo di cambiamento raggiunto oggi, si occupa soltanto di società che sono molto diverse da quella in cui si vive. Ma la storia, cioè la conoscenza delle società del passato e di come sono cambiate nel tempo, è essenziale per raggiungere questo obbiettivo dato che le società umane sono entità storiche e, in quanto tali, possono essere capite soltanto conoscendo il loro passato e la dinamica del loro cambiamento nel passato.
Per svolgere il suo nuovo compito di fornire ai ragazzi gli strumenti per capire la società in cui vivono, l'insegnamento della storia (ma anche la storia come disciplina scientifica) deve però cambiare in alcuni aspetti importanti. L'accento deve essere meno sul semplice racconto degli eventi del passato e più sui fattori, meccanismi e processi che determinano gli assetti sociali e il modo in cui cambiano nel tempo, il punto di vista dev'essere più comparativo e globale che locale (e l'accento sui fattori, meccanismi e processi è ciò che permette di evitare il semplice moltiplicarsi di racconti e di eventi, che sarebbe impossibile da gestire a scuola), l'insegnamento deve trovare nuove "chiavi" che lo organizzino in modo nuovo (e noi abbiamo proposto la "chiave" del cercare risposte alla domanda "Perché l'Occidente ha vinto?"), ed è necessario che siano adottati nuovi modi di apprendimento che sfruttino le grandi potenzialità di nuove forme di cognizione, di espressione e di comprensione che sono offerte dalle tecnologie digitali (e noi abbiamo proposto le simulazioni al computer dei fenomeni sociali e storici).
Tuttavia non si può essere molto ottimisti neppure per un obiettivo limitato, anche se importante, come quello che abbiamo indicato. Le discipline chiamate in causa, cioè la storia e le scienze sociali, opporranno resistenza ai cambiamenti didattici perché comportano cambiamenti nei loro assetti disciplinari, sia teorici che metodologici, e in ogni caso non sono in grado di formare gli insegnanti capaci di insegnare in vista del nuovo obiettivo. A questo scopo potrebbero servire le scuole di specializzazione che preparano all'insegnamento ma queste scuole sono oggi in uno stato di grande confusione. La tendenza spontanea nel campo delle applicazioni didattiche delle nuove tecnologie e verso applicazioni che, come gli ipertesti multimediali (e il Web è un grande ipertesto multimediale), cambiano molto meno profondamente delle simulazioni. Il ministero della Pubblica Istruzione dedica tutti i suoi sforzi a creare l'infrastruttura tecnologica nelle scuole ma non sembra ancora avere progetti chiari volti a sperimentare come usare le nuove tecnologie perché producano apprendimenti.