Paolo Citran

A scuola in montagna


Col baby-boom postbellico assistiamo in Italia, per un periodo che parte dagli anni Cinquanta/Sessanta e giunge sino a coinvolgere almeno in parte gli anni Ottanta, registriamo un periodo di espansione in campo scolastico e di diffusione degli edifici scolastici a pioggia: si può dire che passa l’idea che pressappoco ogni paesello (inclusi quelli montani più isolati) deve avere la sua scuoletta elementare, che i capoluoghi comunali debbono tendenzialmente avere la loro scuola media (e date le difficoltà di collegamento tra i diversi centri, si tende ad avere una scuola media, magari monosezione, anche nei comuni montani più piccoli).
Noto in particolare che gli anni Sessanta vedono due fondamentali riforme che spingono in questa direzione: la nascita della Scuola Media unica (1962) e l’istituzione della Scuola Materna Statale (1968), la cui espansione è supportata dalla crescita demografica.

Sul piano della qualità della scuola questo poteva comportare aspetti negativi, in particolar modo le pluriclassi nella scuola elementare, che didatticamente non rappresentano certamente l’ottimale. In alcune località, anche in Carnia, si sopperisce in alcuni casi alle carenze didattiche legate ad una diffusione di piccoli plessi pluriclasse con l’istituzione di Tempi Pieni a livello di Comune (vedi per esempio Prato Carnico). Nel frattempo anche la secondaria superiore comincia a decentrarsi ed proliferare in una pluralità di indirizzi situati in centri di media dimensione (a Tolmezzo questo fenomeno si verifica con congruo anticipo rispetto ad altri centri della regione).
Col delinearsi del calo demografico, si comincia a delineare la cosiddetta razionalizzazione della rete scolastica e successivamente, con l’avvento dell’autonomia, il dimensionamento degli istituti scolastici, che vedono nella montagna friulana lo sviluppo di Istituto Comprensivi di scuola materna, elementare e media, e, a Tolmezzo ed altrove, l’istituzioni di istituti scolastici “compattati” e “dimensionati” che realizzano al loro interno una pluralità di indirizzi di scuola secondaria superiore sotto la gestione di un unico Dirigente Scolastico.Ma questa non è ancora la fotografia della situazione attuale, perché non è ancora stata evidenziata la tendenza demografica corrente, che permette di leggere vari fenomeni legati non soltanto alla minore prolificità attuale, ma alla tendenza all’abbandono, non necessariamente coatto, dei paesi di origine da parte delle famiglie, e quindi degli studenti, con una tendenza specifica a scendere nella frequenza scolastica a fondovalle, anche quando non si verifica l’abbandono del paese di origine.

Questo movimento verso il basso riguarda in maniera rilevante anche docenti e dirigenti scolastici, pur se originari della montagna, che spesso preferiscono dimorare e lavorare nell’hinterland udinese, e che nemmeno modesti incentivi economici riuscirebbero a legare permanentemente a questo territorio.

C’è un’almeno apparentemente inevitabile tendenza economica, ma forse anche soprattutto quello che definirei uno sradicamentento esistenziale, non so quanto reversibili, che impediscono non solo il calo demografico, ma anche la permanenza del personale della scuola nelle sedi lontane dalla pianura o dalla città.Soltanto un’inversione di tendenza, di cui stento peraltro ad individuare possibili motivazioni pregnanti, potrebbe garantire nella montagna friulana la permanenza di personale laureato locale, auspicabilmente (ed anche questo non è poco problematico) aperto a nuove esperienze scolastiche, innovative e funzionali alla crescita culturale, economica, sociale di queste terre.