Augusto Palombini

L'Università e i giovani in fila dietro i baroni

Qualche anno fa l'allora ministro dell'università Luigi Berlinguer propose di imporre per i concorsi universitari la necessità di vincitori esterni all'ateneo che bandiva il posto, ma la proposta fu fortemente avversata da professori universitari di tutti gli schieramenti politici e non se ne fece nulla.

Oggi per un valido ricercatore che cerchi di accumulare titoli e pubblicazioni di prim'ordine in modo indipendente, senza curare la fedeltà a questo o quel gruppo, le possibilità di ottenere un posto di lavoro consisteranno quasi esclusivamente nell'andare a concorrere per un posto concepito per qualcun'altro, e magari vincerlo, come accade più spesso di quanto si creda, ma certo non nella maggioranza dei casi, a costo di sforzi e tentativi consistenti.
In una situazione in cui la disponibilità di manodopera intellettuale a basso costo è enorme, è facile comprendere come un momento di crisi economica possa manifestarsi, accentuando la precarizzazione e diminuendo ulteriormente gli spazi per la creazione di posti di ruolo, del cui apporto l'istituzione non ha realmente bisogno in quanto esso e già garantito da un'intera generazione di validissimi studiosi fantasma, assenti dalle statistiche.
Questa situazione, frutto di una complessa serie di tradizioni e intrecci di abitudini, potrebbe in realtà essere sanata con interventi legislativi abbastanza semplici. Qualche anno fa l'allora ministro dell'università Luigi Berlinguer propose di imporre per i concorsi universitari la necessità di vincitori esterni all'ateneo che bandisce il posto, ma la proposta fu fortemente avversata da professori universitari di tutti gli schieramenti politici e non se ne fece nulla. Sarebbe stato e potrebbe essere indubbiamente un buon passo in una direzione auspicabile, per risolvere il problema culturale di fondo sulla gestione dei posti messi a concorso, che devono cessare di essere considerati come "premi", in una visione del lavoro che ci porta indietro di almeno un secolo, e che riconduce il concetto di ricerca - con l'avallo di molte voci illustri - alla dimensione del passatempo di un gentiluomo settecentesco.
Indubbiamente però questo tipo di problemi è anche assai legato alla disponibilità di risorse. I finanziamenti all'università, negli ultimi anni, sono andati sempre calando, fino a portare il nostro Paese agli ultimi posti in Europa in questo settore, ed è intuibile che una gestione migliorativa del sistema sia assai più complessa in una situazione in cui le risorse scarseggiano. A ciò si aggiunge un ulteriore elemento di allarme: i finanziamenti all'università oltre ad essere esigui, hanno in passato avuto la caratteristica di venire erogati in momenti ben precisi e circoscritti, anche grazie alla genialità elettorale di una classe politica più preoccupata delle proprie immediate prospettive che di un corretto funzionamento del sistema. La più vasta campagna di assunzioni che le università ricordino risale infatti a una ventina d'anni fa, quando entrò in ruolo, più o meno contemporaneamente, circa la metà dell'attuale corpo docente, rendendo peraltro saturo il sistema per il decennio successivo e bruciando di fatto un'intera generazione di studiosi. Una delle conseguenze di quel fenomeno sarà il pensionamento altrettanto contemporaneo degli assunti di allora, fenomeno che avrà il suo momento più intenso fra alcuni anni, svuotando letteralmente le università. Al grido d'allarme levatosi da diverse direzioni in questo senso si rischia di veder rispondere con un provvedimento analogo a quelli degli anni Ottanta, che spalancherebbe le porte di fronte a molti giovani meritevoli di oggi al prezzo di ricreare i loro medesimi ostacoli per una nuova "generazione assente" di domani. Per questo sarebbe indispensabile una serie di provvedimenti mirata ad attutire il turn-over con una campagna di concorsi quantitativamente distribuiti in un programma pluriennale, prevedendo un apporto da parte dello Stato e un obbligo da parte delle università, da far partire al più presto, parallelamente a una definizione contrattuale unica e generalizzata delle forme di impiego a tempo determinato nelle università, tale da limitare quanto più possibile la prestazione gratuita di manodopera intellettuale, vero peccato originale del nostro sistema universitario.