Cesare Damiano - Tiziano Treu

Il welfare da ricostruire

La riforma, sarebbe meglio dire la ricostruzione del welfare, è un punto critico per il programma di un governo di centrosinistra. Lo ha riconosciuto anche il recente documento progettuale approvato dall'Unione. Come per altre questioni economiche e sociali si tratterà di superare, con nuove leggi, le politiche sbagliate del centrodestra: la legge 30/2003 sul mercato del lavoro e la legge sulle pensioni 243/2004, che ha innalzato in modo rigido e sperequato l'età obbligatoria di pensionamento. Si tratterà ancor più di colmare le omissioni dell'attuale governo che ha lasciato degradare le condizioni di vita di lavoratori e cittadini: contrastare questa specie di laisser faire sociale che è deleterio come e più del laisser faire economico.

Per reagire non bastano provvedimenti tampone o riparatori; occorre una nuova visione del welfare. Appunto, una sua ricostruzione.

Per questo, prima di ridefinire i singoli provvedimenti legislativi, il centrosinistra dovrà chiarire al suo interno sia le principali direttrici di cambiamento del sistema, sia alcune conclusioni applicative: entrambe da ripensare rispetto al welfare del secolo scorso.

Una prima trasformazione riguarda l'ambito di intervento del sistema: questo deve essere allargato nell'assetto e nei beneficiari rispetto a quello storico, che era concentrato su alcuni bisogni elementari e prevalentemente sui «maschi adulti».

La parola d'ordine è che il nuovo welfare deve essere diffuso su base universale e soddisfare i bisogni sempre più complessi delle persone e delle famiglie. Gli istituti di welfare devono inoltre accompagnare le persone nelle varie fasi della vita: dall'infanzia alla giovinezza, con i servizi di cura ai bambini e alle famiglie e con una qualificata istruzione di base, al periodo della vita lavorativa con servizi all'occupazione, formazione continua e sostegno alla stabilità del lavoro e del reddito; nonché con servizi sanitari universali, fino alla vecchiaia, con una previdenza pubblica sufficiente a garantire un adeguato tenore di vita. Su questi vari capitoli il centrosinistra, l'Ulivo in particolare, ha avviato l'elaborazione di varie proposte: sul welfare familiare, sui servizi sanitari, sull'assistenza agli anziani e alle persone non autosufficienti, sulla riforma dei diritti di sicurezza sociale (ammortizzatori) e degli strumenti di lotta alla povertà (reddito minimo di inserimento).

Una simile impostazione universalistica ha diverse implicazioni per niente scontate. In primo luogo, significa abbandonare una logica risarcitoria dei vari istituti che è invece radicata, non solo nell'ideologia, ma nella pratica istituzionale dello stato sociale storico.

Il test è di grande portata e difficoltà. Richiede di modificare tutte le regole e gli istituti che riguardano l'erogazione di prestazioni assistenziali ma che non intervengono sulle origini del bisogno e non chiedono ai beneficiari comportamenti attivi.

Nel caso particolare delle integrazioni al reddito si tratta di conciliare risposte adeguate alle situazioni di bisogno economico con l'esigenza di non perpetuare la trappola della dipendenza dal welfare, con i costi finanziari e personali conseguenti. Per capire l'urgenza del compito basta pensare alle tristi esperienze degli LSU a vita e delle casse integrazioni e mobilità pluriennali.

Per realizzare questo cambiamento di rotta è decisiva una riorganizzazione delle strutture amministrative centrali e soprattutto locali, per attrezzarle sia a fornire servizi personalizzati sia a esercitare i necessari controlli e per dotarle di strumenti analitici e conoscitivi adeguati (ad esempio, per l'accertamento del reddito a fini di welfare). Ma queste modifiche vanno sostenute da un cambiamento di logica politica e istituzionale che passi da un orientamento risarcitorio a uno di 'attivazione' e di responsabilità sociale.

Per questo serve un forte coinvolgimento delle parti interessate e delle comunità locali. Riforme profonde e costose come quelle ipotizzate si reggono solo se sostenute su entrambi questi versanti: lo dimostrano i paesi, in particolare quelli scandinavi, che hanno praticato con successo un welfare universalistico ma che hanno coniugato tale universalità con una selettività ragionevole e con strumenti incentivanti.

Il cambiamento di logica richiesto dal nuovo welfare comporta un diverso ordine di priorità degli interventi e quindi di allocazione delle risorse. In sintesi, implica privilegiare gli interventi di promozione delle opportunità rispetto a quelli risarcitori.

Le applicazioni sono molteplici. Si tratta di porre in primo piano interventi tradizionalmente 'separati' come la formazione per tutto l'arco della vita e le politiche familiari. L'investimento in formazione continua è il motore del welfare e dello sviluppo in una società della conoscenza. La cura e l'educazione dell'infanzia sono fondamentali per la crescita personale e per il migliore esito delle ulteriori fasi della formazione. Gli strumenti di conciliazione fra lavoro e vita familiare (servizi per la famiglia, orari di lavoro flessibili e part-time), permettono di aumentare le opportunità di scelta, in particolare, delle donne, così da liberare un potenziale di risorse personali e professionali che si sono dimostrate decisive per lo sviluppo di altri paesi. Analogamente, nel mercato del lavoro si tratta di potenziare gli strumenti di politica attiva (servizi all'impiego, qualificazione e riqualificazione professionale) e di incentivare con interventi selettivi, come il credito di imposta, l'aumento dell'occupazione stabile, soprattutto dei giovani, delle donne e degli ultra quarantenni espulsi dal ciclo della produzione. Le esperienze dei paesi scandinavi mostrano come un efficace mix di servizi e di politiche attive permette di contenere i costi degli interventi 'passivi' quali l'indennità di disoccupazione e simili.

La diffusione di un welfare universale e attivo deve superare le forti incrostazioni corporative presenti storicamente nel nostro sistema, che hanno prodotto trattamenti differenziati sia pensionistici sia sugli ammortizzatori sociali; trattamenti connessi non sempre con i bisogni effettivi dei beneficiari, quanto piuttosto con la capacità di pressione delle rispettive categorie.

Superare queste incrostazioni storiche non sarà facile ma è necessario sia per motivi di equità sia per contenere i costi e ridistribuire le risorse pubbliche secondo i bisogni.

Questo dei costi è evidentemente un altro test critico per il futuro del welfare e del relativo finanziamento. La dilatazione dei nuovi bisogni non si affronta riducendo la spesa sociale. Questa va mantenuta e aumentata specie nei settori nuovi, ora sottotutelati. Ma occorrono scelte e priorità. Nel caso italiano, se si vogliono finanziare i capitoli più carenti della spesa sociale (assistenza all'infanzia e agli anziani, ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro, formazione continua, sostegno alla famiglia, casa per i giovani), la spesa per le pensioni deve rimanere sostanzialmente stabile nel tempo, proseguendo sulla strada delle riforme intraprese dal centrosinistra nel corso degli anni '90. Un welfare rinnovato deve essere in grado di rispondere a bisogni sempre più personalizzati dei singoli: in questo senso deve ristrutturarsi abbandonando la tradizionale impostazione «centralista» per decentrarsi sul territorio, legarsi alle istituzioni e alle comunità locali community welfare) per essere più vicino ai cittadini utenti.

Per far accettare la diffusione universalistica del welfare e quindi una crescente spesa sociale, occorre mostrare ai cittadini che i servizi forniti sia pubblici sia privati, sono efficienti e rispondenti ai bisogni delle persone. Ciò richiede maggiore efficienza delle amministrazioni pubbliche dedicate ai servizi. La destra ha seguito la logica di demolire il pubblico ed esaltare il privato. Noi dobbiamo trovare forme virtuose di collaborazione fra pubblico e privato, assegnando al pubblico un compito di coordinamento e di regia. Queste forme di collaborazione possono essere di tipo diverso e devono essere giudicate non in base a pregiudiziali ideologiche, ma dalla loro capacità di realizzare servizi di migliore qualità a minori costi per i vari tipi di utenti.

Unità 19.08.2005