Michele Pistillo

Gramsci rivoluzionario


Non è cosa semplice trarre un bilancio di quanto è stato scritto e detto sul pensiero e l’opera di Antonio Gramsci in occasione del 70° anniversario della sua morte. L’autore di questa nota ha seguito e studiato non poco di quanto si è scritto, soprattutto in Italia, ma si è occupato in particolare della letteratura di argomento biografico, in specie per ciò che attiene al periodo carcerario, tema al quale si dedica da più di vent’anni. Su questo periodo della vita di Gramsci, studiato e documentato ampiamente, è in corso da più di un ventennio un’accesa polemica, dominata da fattori ideologici e politici e divenuta via via più aspra man mano che si avvicinavano la fine dell’Urss e lo scioglimento del PCI. Questa polemica continua ancora e continuerà per molto tempo, a tutto scapito della verità storica, come vedremo più avanti.
Per cominciare, alcune considerazioni generali si possono avanzare sulla base di un interessante articolo di Guido Liguori apparso su «Liberazione» l’11 maggio scorso. Liguori, che si occupa della discussione in corso nella sinistra sul pensiero di Gramsci, parte dalla considerazione che «quanto più un sistema di pensiero si diffonde, tanto più aumentano i rischi di fraintendimenti». In realtà, il pensiero di Gramsci (ma il riferimento concerne quasi unicamente i Quaderni del carcere) sta subendo un processo di spezzettamento, di parcellizzazione, con una ricerca «specialistica», più apparente che reale. Ciò accade per diverse ragioni.
Per effetto dell’«uso culturista di Gramsci», vi è una separazione sempre più netta tra il Gramsci politico, combattente rivoluzionario comunista, e l’intellettuale, il teorico. La sua opera non è vista, se non di rado, nella sua unitarietà, nella sua complessità, per cui si dimentica o si ignora che molte delle considerazioni, degli appunti, degli interrogativi annotati nei Quaderni hanno un’origine lontana. Basti l’esempio del famoso articolo Neutralità attiva ed operante del 31 ottobre 1914 per capire quanta importanza già il giovanissimo Gramsci desse alla questione nazionale, e come questa fosse a suo giudizio il punto di partenza del movimento rivoluzionario italiano, essendo, quello internazionale, il punto di arrivo. Per questo abbiamo sempre sostenuto che l’opera di Gramsci va studiata nel suo insieme, avendo ben in mente la figura di un combattente politico che fu anche un grande studioso. Separare questi momenti, far scendere una spessa coltre di silenzio sul combattente e sui fini politici dei suoi scritti, non porta lontano nella comprensione del suo pensiero e di quel tanto o poco della sua attualità. Questa operazione di divisione, di contrapposizione tra vari periodi della sua vita serve solo alla destra.
Non è un caso che il neopresidente francese Sarkozy abbia dichiarato di essersi «appropriato dell’analisi di Gramsci: il potere si conquista con le idee». Non sappiamo a quali idee egli si riferisca. Ma questa affermazione non è nuova e girava nella destra italiana alcuni anni fa, quando, nel 1995, Marcello Veneziani accusava i dirigenti di Alleanza nazionale di «mancanza di gramscismo», cioè della scarsa o nulla capacità di operare una «traduzione politica» e un intervento di «organizzazione della cultura a destra». In questo modo il «gramscismo» diventa uno strumento, un apparecchio neutro, valido sia per la destra che per la sinistra. Non è così. Il referente primo del «gramscismo» è dato dalla classe operaia, dai contadini, dalle classi popolari, dagli intellettuali. Gramsci lavora, lotta, scrive, perché pensa a una società profondamente diversa da quella capitalistica a partire dai paesi più sviluppati. Di qui il carattere rivoluzionario della sua opera complessiva.

’unitarietà del pensiero e dell’opera di Gramsci include necessariamente il periodo carcerario, e non solo perché si tratta degli anni in cui nascono i Quaderni - luogo di una profonda revisione e persino del capovolgimento della linea politica seguita dal gruppo comunista che opera a Roma - ma anche per le rilevanti connessioni che legano lo sviluppo della riflessione gramsciana all’intricata matassa del rapporto tra Gramsci e il Partito e la linea praticata dai suoi dirigenti, a cominciare da Togliatti. Per questo il periodo carcerario va affrontato con serietà, facendo ricorso alla documentazione più rigorosa, abbandonando il terreno delle ipotesi, delle illazioni, o delle vere e proprie menzogne.
Veniamo così alla recente pubblicazione del volume Gramsci tra Mussolini e Stalin di Angelo Rossi e Giuseppe Vacca, 1 un libro che ha rinfocolato la vecchia polemica dell’abbandono del prigioniero del fascismo da parte di Togliatti, del Comintern, di Stalin, e ha riproposto la tesi del complotto ai suoi danni. Nel libro non mancano contributi interessanti, ma non mancano neppure contraddizioni vistose. Non potendo fare una recensione dettagliata ci limiteremo a richiamare alcuni punti.
Il primo riguarda l’unico vero tentativo di stabilire un rapporto tra lo Stato sovietico e quello fascista, tramite il Vaticano, verificatosi nel settembre 1927. Vacca ricostruisce puntualmente lo svolgersi dei fatti e soprattutto, per la prima volta, ammette che vi fu un impegno diretto, particolarmente intenso e tempestivo, da parte del Pcus e del governo sovietico. «Il 29 settembre - leggiamo a p. 18 - quindi in tempi rapidissimi, il Politburo del Pcus, nel quale siedono Stalin e i più alti esponenti del Partito, discute il caso Gramsci-Terracini e dà il via libera all’operazione».
Dunque Stalin, Bucharin e gli altri dirigenti sovietici si muovono e si impegnano a favore di Gramsci e di Terracini. Oltre tutto si era diffusa la voce di una loro possibile fucilazione. Purtroppo l’iniziativa intrapresa dai sovietici fu decisamente contrastata da Mussolini: nessuna fucilazione, ma il processo doveva farsi. Annota Giuseppe Fiori: «Il fatto è che il duce vuole che Gramsci e Terracini restino in galera a lungo» 2. Ci chiediamo allora: perché mai Giuseppe Vacca parla di questo episodio soltanto adesso? Se Stalin era d’accordo per la liberazione di Gramsci, come si spiega tutta la tesi del complotto ai danni del prigioniero? Che fine fa a questo punto tutta la storia della presunta condanna di Gramsci da parte di Stalin, decretata per via della lettera dell’ottobre 1926?
Eppure la riunione del Politburo del 29 settembre si svolge alla vigilia del XV Congresso del Pcus in cui l’opposizione guidata da Trockij e Zinov’ev viene battuta ed emarginata. Inoltre alla fine del ’27 non è ancora arrivata la «famigerata» lettera di Grieco (scritta il 28 febbraio e giunta alla fine di marzo del 1928). Annota Vacca: «la questione della lettera di Grieco e quella del fallimento dei tentativi di liberazione si saldarono in un unico intreccio». Per il primo e più importante tentativo questo non è vero. E non lo è neanche per gli altri successivi tentativi.
Altro episodio. Il Ministro degli Esteri sovietico Litvinov giunge a Napoli e, di qui, a Roma il 2 dicembre 1933. Il 3 dicembre viene ricevuto da Mussolini. Tutta la stampa fascista dà grande risalto all’avvenimento. Lo stesso giorno e i successivi, sino al 6, «Il Popolo d’Italia» ne tratta in prima pagina, con titoli vistosi. Racconta in particolare di un incontro nel quale vengono affrontati problemi complessi (Società delle Nazioni e adesione dell’Urss; questioni commerciali; Hitler al potere in Germania). Come in questo contesto Litvinov potesse discutere con Mussolini della questione Gramsci è un mistero. Ogni studioso serio avrebbe fondati dubbi. D’altra parte, interpellato da Renzo De Felice su richiesta di Paolo Spriano, Dino Grandi, Ministro degli Esteri del governo fascista dal 1929, fa notare: «L’Urss […] era molto attenta a evitare qualsiasi ingerenza negli affari interni italiani, e tale sarebbe parsa una richiesta di liberazione di Gramsci, a suo avviso»3.
Con Mussolini di Gramsci parla invece a lungo, un anno dopo (precisamente il 15 dicembre 1934), l’ambasciatore sovietico Potëmkim, in visita di commiato. Vacca non parla di questo incontro. Semplicemente lo ignora. Ragion per cui noi lo riproponiamo, per l’ennesima volta. Galicij Nikolai Zhukovskij, nel suo libro Nel lavoro diplomatico (Mosca 1973), così ne riferisce, riportandone i brani più significativi:

M. Ho sempre fatto il possibile, signor ambasciatore per garantirvi le migliori condizioni di lavoro. Non mi sono mai sottratto a un incontro e vi ho sempre parlato con franchezza, senza rifiutarvi nulla.
P. Qualcosa mi avete rifiutato, per la verità.
M. Non mi ricordo, quando? A che proposito?
P. Di mia iniziativa vi posi il problema della possibilità di scarcerare Gramsci.
M. Ah…, di questo si tratta. Diciamo che questo uccello si era messo in gabbia da molti anni.
P. Potremmo scambiare Gramsci con uno dei vostri agenti segreti arrestati in flagrante.
M. Ma Gramsci non è un agente segreto.
P. Mi sembra – continuò con calma Potëmkim – che per voi Gramsci, come prigioniero politico che attira su di sé l’attenzione dell’opinione pubblica, rappresenti un pericolo molto più grave che se non fosse in libertà.
M. Non è un prigioniero politico ma un delinquente comune, che tramava una congiura. Si, una congiura contro il Regno.


Poco dopo il colloquio ha termine, perché Mussolini «che camminava velocemente avanti e indietro per l’ufficio fece capire che l’incontro era terminato. Il colloquio proseguì brevemente su altri argomenti. Il 20 dicembre, quando l’ambasciatore sovietico Potëmkim si accomiatò dai rappresentanti del corpo diplomatico e dalla colonia sovietica, con lo sguardo, inconsciamente, cercò funzionari del ministero degli Esteri, ma non c’erano. Mussolini si era irritato». Il punto è che l’ambasciatore Potëmkim non parla con Mussolini di Gramsci di sua iniziativa. Tania aveva avuto diversi colloqui con lui. Tutta l’iniziativa fu concordata con il governo sovietico e con il Comintern. Quindi, con Togliatti.
Un ultimo episodio. Tania scrive a Sraffa l’11 febbraio 1933 una lunga lettera sul noto «tentativo grande» per la liberazione di Antonio. Il tentativo non aveva realmente alcun serio fondamento. Ma Gramsci riferisce a Tania e lei scrive a Sraffa: «Nino afferma che si avrebbe voluto evitare il processo stesso e che inoltre nell’incontro di Litvinoff con Grandi a Berlino si doveva trattare la quistione della sua liberazione, allorché arrivò la “lettera famigerata”»4. L’incontro a Berlino non c’è mai stato. Grandi diventa Ministro degli Esteri il 12 settembre 1929; Litvinov nel 1930. Grandi, a Renzo De Felice, ha dichiarato di non aver mai parlato di Gramsci con Litvinov. A Vacca questo incontro «non risulta». Chiediamo: si è sbagliato Gramsci? Ha riferito male Tania a Sraffa? Intanto si tira in ballo la «famigerata» lettera di Grieco.
Nessuno fino a ora è riuscito a portare un solo documento da cui risulti un atteggiamento ostile, e, perciò, un «complotto» di Stalin, Togliatti e del Comintern contro Gramsci. Pur portando a un arricchimento del dibattito, nemmeno quest’ultimo scritto di Vacca (non parliamo delle recensioni che del libro ha pubblicato «l’Unità») reca alcunché di nuovo, se non un contributo alle tesi estreme, come quelle sostenute da Giuseppe Tamburrano, tutto preso da un’autoesaltazione abbastanza triste 5. Egli ha avuto, ha e avrà sempre ragione. Noi rispondiamo con due documenti a lui sconosciuti, o da lui volutamente ignorati.
Il 1 dicembre 1933, pochi giorni dopo l’arrivo di Gramsci a Formia, il capo della polizia annota in una lettera ai suoi subalterni incaricati di sorvegliare il prigioniero:

Al riguardo è bene richiamare l’attenzione sulla particolare posizione politica del detto Gramsci, la figura più spiccata e importante del partito comunista, che per lui ha dimostrato fede, devozione e interessamento speciale, giungendo perfino a promuovere ovunque delle agitazioni e proteste per la di lui sorte, il che non esclude la possibilità delle più azzardate e ardite ipotesi […]. Ne consegue la necessità di una vigilanza ininterrotta, oculata, attentissima, adeguata all’importanza e alla delicatezza del servizio […]. Si impone, parimenti, la necessità di rendersi conto del movimento dei forestieri presso alberghi e affittacamere per la eventualità che esponenti del partito comunista abbiano a recarsi a Formia sia pure sotto apparenze insospettabili […] nulla possa passare inosservato per le possibili provvidenze del caso […] provvedendo altresì a che la corrispondenza diretta al detenuto in esame venga rimessa con maggiore possibile sollecitudine a questo ministero, che disporrà ulteriormente 6.

La fonte, insospettabile, rende il dovuto riconoscimento ai comunisti italiani, in primo luogo a Togliatti e a Grieco, per l’opera svolta in favore di Gramsci. Anche se quest’opera tiene sempre più vigile il regime e Mussolini, in primo luogo, che ha deciso di non mollare la preda.
È del 5 febbraio 1935 una raccomandata urgente del Ministro dell’Interno al prefetto di Littoria, e per conoscenza al Questore di Roma, sempre riguardante «il libero vigilato» Antonio Gramsci. Riportiamone qualche stralcio:

Questo ministero ha avuto altre volte occasione di lumeggiare e di richiamare l’attenzione sulla particolare figura del libero vigilato Gramsci Antonio, una delle più spiccate personalità del mondo comunista, e come tale, quindi, elemento meritevole della più assidua e attenta vigilanza. Nel prendere nota di quanto ora riferito la E.V. col foglio sopra distinto, questo ministero non ha che a confermare le disposizioni già impartite nei confronti del predetto, il quale deve essere sottoposto a stretta vigilanza in modo che sul di lui conto nulla possa sfuggire alla osservazione degli organi di polizia. È da notare che, trattandosi, come si è detto, di un soggetto di particolare interesse del partito comunista, la vigilanza non è mai abbastanza superflua qualora si pensi all’eventualità di ogni sorpresa, senza poi escludere la possibilità di tentativi di fuga del prevenuto, ove si consideri la facilità derivante dal traffico intenso cui è soggetta, per via terra e anche per via mare, la sede di Formia […]. A integrazione di quanto precede si reputa necessario procedere altresì a diligente e accurata revisione della corrispondenza, nonché a un oculato servizio di osservazione anche nei riguardi della suddita sovietica Schucht Tatiana, cognata del Gramsci. 7

Che dire? Semplicemente che per noi Gramsci resta una delle vittime del fascismo al fianco di Matteotti, dei fratelli Rosselli, di don Minzoni. Lasciamo a Tamburrano il compito di gettare fango sul PCI, su Togliatti e sugli altri implicati nel fantasioso «complotto».


1. Fazi, Roma 2007.
2. Gramsci Togliatti Stalin, Laterza, Bari 1991, p. 19.
3. P. Spriano, Gramsci in carcere e il partito, Editori Riuniti, Roma 1977, p. 75.
4. P. Sraffa, Lettere a Tania per Gramsci, Editori Riuniti, Roma 1991, p. 228.
5. Gramsci, il riformista, «l’Unità», 17 maggio 2007.
6. A.C.S., C.P.C., A. Gramsci, Cartella n. 2.
7. A.C.S., C.P.C., A. Gramsci, Cartella n. 2.

da: Essere comunisti, 15 gennaio 2008