piccolo dizionario marxista

lavoro


Il concetto di lavoro è la categoria centrale dell'economia politica di Smith, che Marx riprende e trasforma nei Manoscritti del '44 con gli strumenti della critica antropologica feuerbachiana. L'operazione che fa Marx in questo testo è quella della critica filosofica: consiste cioè nel determinare i fenomeni economici (come il lavoro dell'operaio) che l'economia politica ha descritto nelI'immediato, riconducendoli al loro concetto, vale a dire espressioni del processo antropologico generale dell'alienazione.
Il rapporto tra il lavoro dell'operaio e il suo oggetto viene spostato e spiegato in questo modo nel discorso antropologico: il lavoro è l'attività generica dell'uomo, e l'oggetto prodotto è I'oggettivazione dell'essenza del soggetto. Nel sistema della proprietà privata, il lavoro subisce espropriazione e perdita dell'oggetto. Il fatto economico dell'espropriazione e pauperizzazione dell'operaio si spiega con la struttura antropologica dell'alienazione: nel lavoro alienato, I'attività dell'uomo, scissa nella propria essenza, è diventata il mezzo per mantenere l'esistenza individuale. Il lavoro nei Manoscritti è lavoro investito dalla contraddizione fondamentale che separa il soggetto dalla sua essenza.
Nel testo in cui Marx si appropria dei concetti di valore e di merce di Ricardo, la Miseria della filosofia del 1847, il lavoro viene ripensato entro il rapporto sociale capitalistico. Marx riconosce che l'unità ricardiana che misura il valore delle merci - la quantità di lavoro contenuto - funziona in una struttura produttiva specifica, dove il lavoro trasferito nella merce non è analizzabile come attività umana in generale (come avviene nel progetto di giustizia dei salari di Proudhon), ma come attività sussunta sotto la relazione sociale tra capitale e lavoro. La merce come forma di esistenza socialmente riconosciuta del valore, e la quantità di lavoro contenuto come misura del valore, segnano ora il perimetro teorico del concetto di lavoro.
«Un uomo di un'ora vale un altro uomo di un'ora. Il tempo è tutto, l'uomo non è più niente ...Non vi è più questione di qualità. La quantità sola decide di tutto... ma questo livellamento del lavoro non è l'opera dell'eterna giustizia... è semplicemente la realtà dell'industria moderna» (MF, 127).
In Ricardo, Marx non trova però un'analisi del tipo di lavoro che si oggettiva in quantità misurabili e che è l'elemento comune del rapporto di scambio. Non è prodotta cioè la risposta sull'elemento di omogeneità del lavoro, vale a dire su ciò che lo rende quantitativizzabile.
Nel primo sistematico tentativo di critica dell'economia politica, i Grundrisse, il lavoro è analizzato nel rapporto economico che definisce un modo materiale di produzione. Il concetto di lavoro è costruito nella distinzione tra lavoro oggettivato, o passato, e lavoro vivo, temporalmente presente: cioè in un linguaggio della contraddizione che oppone il lavoro dell'operaio al capitale come il soggetto all'oggetto. «Il lavoro è da un lato la povertà assoluta come oggetto» (O, 245), in quanto «separato da tutti i mezzi e gli oggetti di lavoro, da tutta la sua oggettività» (ivi, 244); ma è anche dall'altro lato in quanto attività che è fonte viva del valore, «la possibilità generale della ricchezza come soggetto e come attività» (ivi, 245).
Questa distinzione tra lavoro vivo-immediato e lavoro morto-accumulato è un'articolazione generica del processo lavorativo, che non definisce il tipo sociale del lavoro in situazione capitalistica. Anche nel testo delle Forme economiche precapitalistiche, dove è sperimentata un'analisi di forme diverse della produzione, la nozione di lavoro funziona come concetto dell'attività umana in generale.
I modi di produzione vengono organizzati contrapponendo quelli dominati da condizioni reali del lavoro in cui si realizza «l'unità naturale del lavoro con i suoi presupposti materiali» (O, 451) (sono queste le forme economiche organizzate sulla piccola proprietà fondiaria libera, o sulla proprietà fondiaria collettiva della comunità orientale, in cui la terra è possesso individuale mediato dall'appartenenza alla comunità: «In entrambe le forme il lavoratore sta in rapporto di proprietà con le condizioni soggettive del suo lavoro») , con la «terra come suo laboratorio naturale» (ivi), al modo capitalistico, luogo della «totale separazione del lavoro dalla proprietà» (ivi, 492), dove il lavoratore si presenta «come lavoratore libero, come capacità lavorativa priva di oggetto, puramente soggettiva, che si trova di fronte alle condizioni oggettive della produzione come alla sua non proprietà, proprietà altrui, valore per se stante, capitale» (ivi, 479).
Nel Capitale, viene prodotto il concetto di questa conflittualità che nei testi precedenti è rappresentata genericamente come modalità opposte di esistenza del lavoro. Il rapporto del lavoro col capitale è in primo luogo determinabile nella nozione di lavoro astratto, opposta alla nozione di lavoro concreto. Il carattere sociale del lavoro i cui prodotti assumono forma di merci è la sua forma astratta e quantitativizzabile. Il carattere concreto delle attività lavorative, la loro utilità o valore d'uso, cioè il «dispendio di forza-lavoro umana in forma specifica e definita dal suo scopo» (C, I, 78), non spiega la forma capitalistica del lavoro. Il lavoro in rapporto al suo effetto è lavoro utile. «L'abito è un valore d'uso che soddisfa a un bisogno particolare. Per produrlo, occorre un determinato genere di attività produttiva, che è determinata dal suo fine, dal suo modo di operare, dal suo oggetto, dai suoi mezzi e dal suo risultato. Chiamiamo senz'altro lavoro utile il lavoro che si presenta in tal modo nel valore d'uso del suo prodotto» (ivi, 73).
In una società di produttori di merci, i lavori concreti qualitativamente differenti sviluppano un sistema di divisione sociale del lavoro.
Ma le forme specifiche del lavoro non definiscono la forma sociale dei beni, cioè il loro carattere per cui sono merci rappresentate in una quantità di valore. Ciò che causa e misura insieme il valore delle merci è il lavoro in quanto dispendio di lavoro umano astratto: «Se si fa astrazione dalla determinatezza dell'attività produttiva e quindi dal carattere utile del lavoro, rimane in questo il fatto che è un dispendio di forza-lavoro umana. Sartoria e tessitura, benché siano attività produttive qualitativamente differenti, sono entrambe lavoro umano. Sono soltanto due forme differenti di spendere forza-lavoro umana. Certamente, la forza-Iavoro umana deve essere più o meno sviluppata per essere spesa in questa o in quella forma. Ma il valore della merce rappresenta lavoro umano in astratto, dispendio di lavoro umano in generale.» (ivi, 76)
La considerazione del rapporto sociale indicato dal lavoro astratto è ciò che manca nelle analisi che, come quella di Ricardo, considerano il problema quantitativo del valore come semplice determinazione delle ragioni di scambio. «[Ricardo] non indaga affatto il valore secondo la forma forma determinata che assume il lavoro in quantI sostanza di valore ma solo le grandezze di valore» (T, II, 176).
Secondo Marx, la domanda sul valore è più complessa della domanda ricardiana di un'unità per misurare valori di scambio. Ci si deve invece interrogare sull'elemento che è insieme causa e regola di omogeneità delle grandezze di valore: cioè sulla nozione assoluta di valore (ciò per cui il valore si presenta in questa forma), e sulla nozione relativa (o regola dei valori relativi). La risposta di Marx, si è visto, è nella nozione di lavoro astratto: una merce è un valore in quanto essa si oggettiva lavoro astratto, e il lavoro astratto è misurabile in unità di tempo.
C'è un'ulteriore determinazione da far emergere. Il tempo in cui misura la quantità di lavoro rappresentata nella grandezza di valore di una merce sprime il legame con l'attività sociale complessiva: è ciò che Marx designa con la nozione di tempo di lavoro socialmente necessario. «La grandezza di valore della merce esprime un rapporto necessario, immanente al suo processo di formazione, con il tempi sociale di lavoro» (C, I, 135). «Potrebbe sembrare che, se il valore di una merce è determinato dalla quantità di lavoro spesa durante la produzione di essa, quanto più pigro o quanto meno abile fosse un uomo, tanto più di valore dovrebbe essere la sua merce, poiche egli avrebbe bisogno di tantI più tempo per finirla. Però il lavoro che forma la sostanza dei valori è lavoro umano eguale, dispendio della medesima forza-lavoro umana. La forza-lavoro complessiva della società che si presenta nei valori del mondo delle merci, vale qui come unica e identica forza-lavoro umana, benché consista di innumerevoli forze-lavoro individuali. Ognuna di queste ... opera come tale forza-lavoro sociale media, e dunque abbisogna, nella produzione di una merce, soltanto del tempo di lavoro necessario medio, ossia socialmente necessario. Tempo di lavoro socialmente necessario è il tempo di lavoro richiesto per rappresentare un qualsiasi valore d'uso nelle esistenti condizioni di produzione socialmente normali, e col grado sociale medio di abilità e intensità di lavoro. P. esempio, dopo l'introduzione del telaio a vapore in Inghilterra, è bastata forse la metà del tempo prima necessario per trasformare in tessuto una data quantità di filato... Quindi soltanto... il tempo di lavoro socialmente necessario per fornire un valore d'uso che determina la sua grandezza di valore» (ivi, 71).

Dunque il lavoro capitalistico produce ricchezza sociale nel tempo astratto della produzione, dove è erogato secondo quantità definite socialmente. Ciò significa non solo che la forza-lavoro deve essere impiegata nelle condizioni d produzione social mente normali, ma anche che la stessa forza-lavoro viene ridotta socialmente al suo carattere normale. Il lavoro più complesso, «estrinsecazione d'una forza-lavoro nella quale confluiscono costi di preparazione superiori» (C, I, 231), nel processo di creazione di valore «si oggettiverà quindi, negli stessi periodi di tempo, in valori proporzionalmente superiori» (ivi), dove il calcolo è condotto riducendo a lavoro sociale medio, o lavoro semplice. «Col variare dei paesi e delle epoche della civiltà anche il lavoro medio semplice varia il proprio carattere, ma in una società data è dato. Un lavoro più complesso vale soltanto come lavoro semplice potenziato o piuttosto moltiplicato, cosicché una quantità minore di lavoro complesso è uguale a una quantità maggiore di lavoro semplice. L'esperienza insegna che questa riduzione avviene costantemente. Una merce può essere il prodotto del lavoro più complesso di tutti, ma il suo valore la equipara al prodotto di lavoro semplice e rappresenta quindi soltanto una determinata quantità di lavoro semplice. Le varie proporzioni nelle quali differenti generi di lavoro sono ridotti a lavoro semplice come loro unità di misura, vengono stabilite mediante un processo sociale estraneo ai produttori» (C, 1,7677).
Il tempo di lavoro richiesto socialmente per la produzione di una merce nell'articolazione della divisione sociale del lavoro cambia con i mutamenti della produttività, la quale «è determinata da molteplici circostanze, e, fra le altre, dal grado medio di abilità dell'operaio, dal grado di sviluppo e di applicabilità tecnologica della scienza, dalla combinazione sociale del processo di produzione, dall'entità e dalla capacità operativa dei mezzi di produzione e da situazioni naturali» (ivi, 72). Il carattere anarchico, non pianificato, della produzione capitalistica impedisce d'altro canto al singolo produttore di valutare in anticipo il livello di tale lavoro necessario su scala sociale. È il mercato che ratifica «a posteriori» (penalizzando o premiando le singole merci) questo adeguamento. «La concorrenza regola costantemente questa ripartizione... Se in una sfera di produzione viene impiegata una quantità eccessiva di lavoro sociale, l'equivalente di questo può essere pagato come se fosse impiegata la quantità di lavoro corrispondente alla necessità» (T, I, 231).
Nelle pagine del Capitale sul «carattere di feticcio della merce e il suo arcano» (Libro I, sez. I), Marx contrappone il carattere sociale del lavoro che produce merci al lavoro di modi di produzione diversi: nel capitalismo, dove la forma di merce è generalizzata, la socialità del lavoro di ognuno non è immediata, ma è rappresentata nel rapporto sociale fra i prodotti in cui si oggettiva il valore; all'opposto, nel modo di produzione feudale, o in una famiglia patriarcale, il lavoro è già sociale nella forma naturale dei rapporti personali. Non è però questa opposizione tra merce come feticcio e forma naturale del prodotto del lavoro che spiega il carattere sociale del lavoro in situazione capitalistica.
Il lavoro capitalistico è lavoro salariato, vale a dire il lavoro nel suo rapporto col capitale. Per il lavoratore che non può accedere autonomamente ai mezzi di produzione, la sua capacità di lavoro, o forza-lavoro, assume la forma di una merce che gli appartiene e che egli cede in cambio di un prezzo (pagato col salario, e calcolato, come il valore delle altre merci, dal tempo di lavoro necessario per riprodurre la merce specifica). Nel rapporto di compravendita della forza-lavoro, si realizza la struttura sociale del rapporto tra capitale e lavoro salariato, ed è l'analisi di questo rapporto che per mette di spiegare il capitalismo come produzione di plusvalore, o valorizzazione del capitale.
Non è invece possibile ricostruire teoricamente il lavoro nel suo rapporto col capitale a partire dalla formula lavoro-salario, dove il salario è visto come reddito che paga il fattore lavoro. Il lavoro come fonte del reddito salario è una rappresentazione nell'immediato della pratica economica, una rappresentazione che impedisce di far emergere col concetto di compravendita della forza-lavoro la forma sociale del lavoro in condizioni capitalistiche.
Nel capitalismo, il processo lavorativo assume la forma sociale determinata di processo di valorizzazione. A un'analisi dei caratteri generici di ogni processo lavorativo come produzione di valori d'uso (attività conforme a scopo, oggetto del lavoro, mezzi di lavoro), si deve aggiungere l'analisi delle forme in cui avviene il processo lavorativo. «Come dal sapore del grano non si sente chi l'ha coltivato, così non si vede da questo processo sotto quali condizioni esso si svolga» (C, I, 218). «Non è quel che vien fatto, ma come vien fatto, con quali mezzi di lavoro, ciò che distingue le epoche economiche. I mezzi di lavoro non servono soltanto a misurare i gradi dello sviluppo della forza lavorativa umana, ma sono anche indici dei rapporti sociali nel cui quadro viene compiuto il lavoro» (ivi, 214).
Nel capitalismo, le trasformazioni nella tecnica e nell'organizzazione sociale del processo lavorativo hanno variato storicamente il rapporto tra mezzi diproduzione e forza-lavoro. Marx analizza le grandi trasformazioni legate allo sviluppo della divisione tecnica e sociale del lavoro nei periodi della mani fattura e della grande industria. Da un punto di vista strutturale, il processo lavorativo capitalistico è definito dalle condizioni in cui si svolge come produzione di plusvalore. Il processo lavorativo è consumo produttivo della forza-lavoro e dei mezzi di produzione, in condizioni tali per cui l'uso della forza-lavoro avviene sotto il controllo del capitalista, che ha anche la proprietà del prodotto. Se queste sono le condizioni, che trasformano il processo lavorativo in valorizzazione, com' possibile distinguere il lavoro che crea valore in più dal lavoro che crea valore d'uso?
Nella formazione del prodotto, i fattori del processo lavorativo entrano in modo diverso. Il lavoro dell'operaio media la conservazione dei mezzi di produzione trasferendone il valore nel prodotto attraverso la forma produttiva specifica del suo lavoro; in particolare, l'operaio trasferisce tutto il valore della materia prima, e parte del valore delle macchine, il cui trasferimento di valore avviene nella forma di logorio nel tempo. Ma mentre conserva valore, il lavoro dell'operaio, cioè l'uso della sua forza-lavoro, aggiunge contemporaneamente valore, e ciò dipende dal rapporto che si è instaurato tra il capitale e questa merce specifica che è la forza-lavoro. Pagato col salario il valore della forza-Iavoro, il capitalista ha acquisito il diritto di impiegare l'energia dell'operaio per un tempo più lungo di quello necessario alla riproduzione della sussistenza. La grandezza assoluta del tempo di lavoro dell'operaio (giornata lavorativa) si compone di tempo di lavoro necessario e di pluslavoro, cioè di un tempo in cui l'operaio riproduce la propria forza-lavoro, e di un tempo in cui produce plusvalore. L'uso della forza-lavoro in un processo lavorativo prolungato (pluslavoro) è la struttura del rapporto designato nel lavoro salariato.