piccolo dizionario marxista

utopia


Il termine (che ha avuto fortuna a partire dal XVI secolo, in seguito alla diffusione della celebre opera di Tommaso Moro sull'immaginaria isola di Utopia) ritorna in Marx ed Engels, nell'uso più costante, soprattutto per designare la natura di dottrine e movimenti socialisti, che hanno nei francesi Saint-Simon e Fourier e nell'inglese Owen i loro veri e propri capiscuola. L'utopia, per loro tramite, diventa la forma di socialismo teoricamente più avanzato, prima dell'elaborazione del socialismo «scientifico». Questi utopisti hanno il doppio merito, proprio in riguardo alla teoria, di aver individuato ed affrontato i problemi reali della società, scoprendo diverse forme di sfruttamento che, più o meno palesemente, in essa operano, e di aver applicato inoltre concezioni materialistiche alle relazioni umane, politiche e sociali. A questo si aggiunge anche il merito pratico di aver affiancato alla teoria l'impegno politico, sorretto da un'azione rivoluzionaria spesso sincera, anche se non sempre fruttuosa.
Essi - nella prospettiva dei giovani Marx ed Engels - hanno contribuito in maniera decisiva ad integrare l'esperienza filosofica hegelo-feuerbachiana, che finiva per esaurirsi nell'impiego della categoria universalistica dell'emancipazione dell'umanità in generale, col riferimento diretto alle condizioni concrete della vita individuale e sociale. L'opera degli utopisti, perciò, pone l'aggancio immediato anche con la realtà sociale del proletariato, ma, ovviamente, solo al livello di un proletariato che il grado di sviluppo ancora insufficiente della produzione non ha reso per il momento autonomo e socialmente maturo.
Marx ed Engels nell'Ideologia tedesca difendono l'opera dei comunisti (utopistici) dall'accusa, rivolta loro dai «veri socialisti» tedeschi, di essere fabbricatori di «sistemi o ordinamenti belli e fatti» e «dogmatico-dittatoriali» e sostengono che gli scritti di quegli autori «servivano allora alla propaganda come romanzi popolari, che corrispondevano perfettamente alla coscienza non ancora sviluppata del proletariato che giusto allora si metteva in movimento» (IT, p. 483). Lo stesso Cabet, fra l'altro, definì la sua Icaria un roman philosophique.
«Quando il partito si sviluppa, questi sistemi perdono ogni importanza e sono conservati tutt'al più come nomi di richiamo... Il vero contenuto di tutti i sistemi che fanno epoca sono i bisogni del tempo in cui sono nati. Alla base di ciascuno di essi è l'intero sviluppo anteriore della nazione, la formazione storica dei rapporti di classe con le sue conseguenze politiche, morali, filosofiche, ecc... Di fronte a questa base e a questo contenuto dei sistemi comunisti l'asserire che tutti i sistemi sono dogmatici e dittatoriali non approda a nulla» (ivi, p. 483). L'elemento concreto dell'utopia è, da quanto detto, più nella realtà dei problemi che fa emergere che non nella forma dell'organizzazione concettuale o nelle soluzioni che propone. L'utopia non è quindi pura fantasia, ma piuttosto il «non-luogo» del reale. Essa ha indicato che l'emancipazione non può avere semplicemente un fondamento filosofico, ma deve avere un fondamento economico e sociale; tuttavia non arriva a rendersi conto che la sua realizzazione è opera della storia e non frutto di scelte etiche e di azioni di individui e su individui.
Questo limite dell'utopia socialista è messo in maggiore evidenza nel programma di azione del proletariato, cioè nel Manifesto del partito comunista del 1848 dove se ne compendiano tutti i caratteri. Innanzitutto I'utopismo, come si è già detto, non è in grado di comprendere la funzione e l'azione autonoma del proletariato nella storia, che si accrescono continuamente col progredire della produzione industriale; di conseguenza è incapace di localizzare le condizioni materiali dell'emancipazione del proletariato e va a ricercarle in una supposta scienza o in leggi sociali escogitate dalla fantasia. Per i critico-utopisti, come sono definiti, «al posto dell'azione sociale deve subentrare la loro inventiva personale; al posto delle condizioni storiche dell'emancipazione, condizioni fantastiche; al posto del graduale organizzarsi del proletariato come classe, una organizzazione della società escogitata di sana pianta. La storia universale dell'avvenire si risolve per essi nella propaganda e nella esecuzione pratica dei loro piani sociali» (M, p. 514 -515).
Nel Manifesto, che è opera di pratica politica diretta, non solo è negata loro ogni capacità rivoluzionaria, ma anche l'intenzione di possederla, come altrove invece è loro riconosciuta. «Essi respingono quindi ogni azione politica, e specialmente ogni azione rivoluzionaria, vogliono raggiungere il loro scopo con mezzi pacifici, e cercano, con piccoli e naturalmente inani esperimenti, di aprire la strada al nuovo vangelo sociale colla potenza dell'esempio» (ivi, 515). «Utopistici» rimangono anche quegli attacchi alla società borghese e quei progetti, che pure costituiscono «elementi di grandissimo valore per illuminare gli operai» (ibidem); così «l'abolizione del contrasto tra città e campagna, della famiglia, del guadagno privato, del lavoro salariato, l'annuncio dell'armonia sociale, la trasformazione dello stato in una semplice amministrazione della produzione» (ibidem), che sono da considerarsi come la prima configurazione della scom parsa dei conflitti di classe. Per le condizioni ancora immature in cui essi sorgono «l'importanza del socialismo e del comunismo critico-utopistici è in ragione inversa allo sviluppo storico» (ivi, p. 515- 516). Il segreto dell'utopia è la filantropia e perciò ricade sempre all'interno di un'ideologia borghese, così come i diversi progetti utopistici, sia sul modello delle «colonie in patria» di Owen, sia su quello dei falansteri di Fourier o addirittura su ispirazione dell'lcaria di Cabet, e ogni altra consimile sperimentazione sociale finiscono per «smussare di nuovo la lotta di classe e conciliare i contrasti» (ivi, p. 516). L'utopia agisce anche al di fuori delle costruzioni ideali e sistematiche e si manifesta altresì come progetto riformistico settoriale.
Un esempio prende consistenza in Engels nella Questione delle abitazioni. Introduzione, a proposito della prospettiva piccolo-borghese mirante a dare in proprietà ad ogni operaio una propria casa.
«Realizzata, questa utopia significa trasformazione di tutti i piccoli proprietari rurali di case in operai dell'industria casalinga, significa eliminazione del vecchio isolamento e quindi della nullità politica dei piccoli contadini, che vengono trascinati nel vortice sociale; significa espandersi della rivoluzione industriale nelle campagne, e quindi trasformazione della classe più stabile e conservatrice in vivaio rivoluzionario» (QA, p. 24).
L'origine dell'utopismo socialista viene ripresa e approfondita dallo stesso Engels nello scritto Evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza. La premessa è nel delinearsi di un proletariato quale classe distinta dalle altre, oppressa, avvilita e ancora priva della capacità di azione indipendente ed organizzata, impreparata cioè ad aiutare se stessa e bisognosa quindi di un appoggio esterno. «Questa situazione storica dominava anche i fondatori del socialismo. AII'immaturità della produzione capitalistica, all'immaturità dei rapporti di classe, corrispondevano teorie immature. La soluzione del problema sociale, che giaceva ancora occulta nei rapporti economici non ancora sviluppati, doveva essere creata dal cervello. La società offriva unicamente delle incongruenze; eliminare queste incongruenze era il compito della ragione ragionante. Si trattava di escogitare un nuovo, più perfetto ordinamento sociale, e di introdurlo nella società dal di fuori, con la propaganda e, ove fosse possibile, con l'aiuto di esperimenti. Questi nuovi sistemi sociali erano sin dall'inizio condannati all'utopia; e quanto più venivano elaborati nei particolari, tanto più cadevano nella pura fantasticheria.» (ESU, p. 83)
È il fallimento del progetto di fondare una società secondo ragione, che segna la continuazione o la ripetizione di un altro fallimento precedente: quel lo del progetto di fondare uno stato secondo ragione, come aveva tentato la Rivoluzione francese.