Adriano Guerra

Gramsci e Trotsky


Gramsci non è certo stato troppo tiepido con Trotsky, considerato in sintesi come «il teorico politico dell'attacco frontale in un periodo in cui esso è solo causa di disfatte». E ancora «un cosmopolita superficialmente nazionale e superficialmente europeo», rispetto a Lenin considerato al contrario «profondamente nazionale e profondamente europeo». Qualche volta, quando nell'impossibilità di controllare una citazione era costretto a far ricorso alla memoria, con i rischi che ciò sempre comporta, le critiche di Gramsci a Trotsky possono apparire troppo dure e anche ingiustificate. Così ad esempio quando Trotsky viene rimproverato per aver accusato Labriola di «dilettantismo» (mentre in realtà altro era stato il discorso del leader sovietico).
Tuttavia Trotsky non è stato mai considerato da Gramsci un nemico da stroncare. Non nel 1926 quando chiese - invano, come si sa - a Togliatti di intervenire per impedire che la maggioranza del gruppo dirigente russo raccolta attorno a Stalin non si limitasse a vincere il confronto con la minoranza ma puntasse a stravincere. E non negli anni del carcere e del confino quando nei Quademi prese, e più volte, posizione contro le tesi di Trotsky, quelle - in primo luogo - della «rivoluzione permanente» o del rapporto fra "americanismo" e "modo di vivere" - ricordando però che alla base delle "azioni pratiche sbagliate", e sbagliate perché destinate a «sfociare in una forma di bonapartismo» - c'erano sempre però «preoccupazioni giuste».
Parlando della liquidazione politica di Trotsky, espulso dall'Urss nel 1929, Gramsci si è chiesto poi nel 1935 se non ci si trovasse di fronte al tentativo di eliminare quel «parlamento nero» che sussiste sempre dopo l'abolizionedel «parlamento legale». Sullo sfondo - par di capire - c'era sempre la questione del prezzo che l'Unione Sovietica, e non solo essa, aveva pagato nel momento in cui con la cacciata della minoranza era stata posta fine nel partito russo alla dialettica destra-sinistra.
Nei Quaderni del carcere, dai quali abbiamo tratto le citazioni sopra riportate, il nome Trotsky non compare mai. Si parla di lui come di Bronstein e più spesso di Leo Davidovich, di Leone Davidoci e ancora di Davidovi. Allo stesso modo, e per la stessa ragione, il nome di Lenin (Vladimir lliç Uljanov) è stato italianizzato in Ilici e anche in Vilici e quello di Stalin (Josip Vissarionoviç Dzugashvili) in un insospettabile Giuseppe Bessarione: il tutto per rendere un poco più difficile il lavoro dei censori fascisti che imbattendosi sul nome di Trotsky avrebbero fatto un balzo sulla sedia, anche se un'opera importante, L'autobiografìa, di Leone Davidoviç, all'evidente scopo di far leva suIl'antistalinismo dell'autore presentato come antisovietismo, era stata pubblicata a Milano da Mondadori.


Quando però Grarnsci, inserendoli in una lista di libri da inoltrare per l'acquisto probabilmente a Piero Sraffa, tentò di entrare in possesso delle opere scritte da Trotsky dopo la cacciata di quest'ultimo dall'Urss (La revolution defìgurée e Vers le capitalisme ou vers le socialisme?, come si può leggere nella copertina del primo Quaderno) la censura fascista, al livello più alto perché sarà lo stesso Mussolini a cancellare i due titoli dall'elenco, compì l'opera avviata da quella di Stalin.
Non si può però dimenticare che quando Gramsci preparò l'elenco dei libri per Sraffa, Trotsky era un autore all'indice anche all'interno del PCI ("Le misure prese contro Trotsky e altri - si legge nella famosa e «famigerata» lettera inviata al prigioniero da Ruggero Grieco nel febbraio del 1928 - sono state, certo, dolorose, ma non era possibile fare diversamente"). La circostanza va segnalata perché fornisce la prova da una parte dell'indipendenza e dell'autonomia di giudizio di Gramsci e dall'altra della curiosità - curiosità politica, desiderio di sapere come stavano le cose rivolgendosi alle fonti dirette - con le quali il recluso guardava al conflitto che continuava fra gli eredi di Lenin, conflitto al quale Stalin avrebbe posto termine ordinando nel 1940 l'assassinio del rivale.
Nell'attenzione con la quale Gramsci guardava a Trotsky e alla sua battaglia c'era anche però un dato che forse è stato sin qui trascurato: il segno di un'antica ammirazione nei confronti non già e non tanto dell'uomo politico ma dell'intellettuale, quale era appunto Trotsky, cultore di storia, aperto ai problemi della vita culturale del suo paese, con interessi e curiosità che andavano al di là della politica in senso stretto e della Russia.
Se si esaminano gli scritti di Trotsky e di Gramsci si può constatare in non pochi punti l'esistenza di una reale affinità fra due comunisti pur tanto diversi per formazione e storia personale.
Si pensi al Trotsky di Letteratura e rivoluzione (tradotto da noi a suo tempo e presentato da Vittorio Strada per Einaudi), alle molte pagine dedicate da Trotsky alla polemica contro la cosiddetta «cultura proletaria», nonché a Belyi, Pilniak, Esenin, Blok.
Si pensi alla polemica di Trotsky contro chi (F.T. Raskolnikov) scriveva che «La Divina commedia è preziosa perché permette di capire la psicologia di una classe determinata di un'epoca determinata». Naturalrnente - era la replica di Trotsky - anche Dante è il prodotto di un determinato ambiente sociale. «Ma Dante è un genio. E se noi consideriamo la Divina commedia come una fonte di percezione poetica ciò avviene non perché Dante è stato un piccolo-borghese fiorentino del XIII secolo, ma in notevole misura nonostante questa circostanza».

Questo era Trotsky. Un modo di guardare a Dante il suo - si dirà - di un altro secolo. Ma è anche perché queIla battaglia sulla questione dell'autonomia dell'arte, insieme a tante altre dei secoli precedenti e degli anni successivi, è stata combattuta, se oggi Sermonti e Benigni possono leggere Dante davanti a migliaia di persone che magari non credono all'esistenza del diavolo e dell'inferno ma guardano alla Commedia come ad una «fonte di percezione poetica».
In quanto a Gramsci, che fra l'altro aveva fondato a Torino nel 1921 un Istituto di cultura proletaria come sezione del Prolet' Kult sovietico, non è poi naturale che trovandosi a Mosca nel 1922 per la 2a Conferenza del Comintern, si incontrasse più di una volta con Trotsky? E non solo per parlare di problemi strettamente politici, come è dimostrato dal fatto che un certo giorno Trotsky gli chiese di scrivere una nota sul futurismo italiano da inserire in Letteratura e rivoluzione.
«Caro compagno - si legge nella lettera di Trotsky del 30 agosto 1922 - non potrebbe comunicarmi qual è il ruolo del Futurismo in Italia? Quale fu la posizione di Marinetti e della sua scuola durante la guerra? Quale è la loro posizione adesso? Si è conservato il gruppo di Marinetti? Qual è il suo (di Gramsci, n.d.r.) atteggiamento verso il futurismo? Quale l'atteggiamento di D'Annunzio...?»
La risposta di Gramsci porta la data dell'8 settembre 1922. Essa venne pubblicata per la prima volta in italiano sul Mondo di Pannunzio nel marzo 1953 e poi sia nel volume già citato, curato da Strada, sia nell'undicesimo volume delle opere di Gramsci (Socialismo e fascismo. L'ordine nuovo 1921-1922, Eiriaudi, 1966).


Vorrei ancora dire a conclusione che soltanto pochi anni or sono rintracciare i testi qui ricordati sarebbe stata impresa non facile. Sarebbe occorsa la pazienza di uno studioso appassionato, e penso ad esempio a Nicola Siciliani de Cumis (si vedano le sue note su Trotsky, Gramsci e il futurismo nel Quaderno n. 1 di Slavia del gennaio 2001).
Oggi tutto è reso più semplice dallo straordinario lavoro compiuto dall'Istituto Gramsci che ha messo a disposizione degli studiosi la Bibliografìa gramsciana, con una banca dati, ora di 16.000 titoli, costantemente aggiornata da John M. Cammet, Francesco Giasi e Maria Luisa Righi.



l'Unità, 12.04.07