Paolo Spriano

Dalla passione di giustizia nasce il rivoluzionario


La tenerezza che Antonio Gramsci rivela nelle lettere che manda alla madre dal carcere - durante i lunghi anni della sua detenzione - è qualcosa di più del naturale affetto filiale. Vi si sente un rapporto di stima intellettuale, di fiducia morale; egli parla non soltanto di sé (nascondendole le proprie condizioni di salute), dei figli lontani, della famiglia: le pone quesiti sociali («Come spieghi che la malaria infierisca tanto nel centro del paese?»), le suggerisce criteri pedagogici per i numerosi nipoti, discorre con lei dell'immortalità dell'anima, le fa coraggio con la stessa virile serenità di espressioni che si impiegano verso un amico.
I rapporti con la madre ci danno la chiave di un'infanzia e di una educazione che non furono affatto quelle, tradizionalmente note, del tipico ambiente contadino, meridionale e insulare. Soldi in casa ce ne sono pochi, i sacrifici per tutti sono grandi, l'arretratezza della società sarda pesa certamente. Senonché Antonio, «Nino», quartogenito di Francesco Gramsci e di Giuseppina Marcias, nasce e cresce in una famiglia « di civile condizione » - come si diceva una volta relativamente colta; in casa si parla italiano (o meglio, anche italiano), circolano libri, c'è amore allo studio, la condizione sociale è quella di piccoli borghesi a reddito fisso. E se il padre, figlio di un colonnello della gendarmeria borbonica, di origine albanese (c'è un paesino al confine greco che si chiama Gramxi), ha fatto Il liceo ed è procuratore distrettuale del registro di Ghilarza, è la madre che corregge i primi compiti di scuola del figlio, gli declama poesie, lo avvia alle letture più fantastiche e impegnative, da Robinson Crusoe a La capanna dello zio Tom.
Antonio era un bellissimo bambino prima della disgraziata caduta che compromise irrimediabilmente lo sviluppo armonico del corpo: grandi occhi celesti, capelli ricciuti, un'espressione vivace e allegra. Fu all'età di quattro anni (era nato il 22 gennaio del 1891) che cadde da una scala alta cinque metri. La schiena andò lentamente incurvandosi; una gibbosità che invano le cure sanitarie cercarono di arrestare... Ma Antonio non crebbe, per questo, gracile e malaticcio, né si fece troppo scontroso. L'amore della natura, lo spirito di osservazione, il gusto della favola, la gioia del gioco con i coetanei, la passione di allevare animali, la simpatia con cui egli avvicinava il prossimo, i figli dei contadini e dei pastori, restarono a segnare uno dei tratti più salienti della sua personalità.
II carattere che Gramsci rivelerà da giovane e da uomo maturo è fatto anche di questa aspra robustezza. Nulla di «leopardiano» vi sarà in lui. Resistente al lavoro intellettuale, facile all'approccio e alla conversazione, pieno di voglia di vivere, senza inibizioni (Gramsci studente e giornalista avrà avventure, conoscerà donne, ne sarà amato), il ragazzo compie brillantemente i primi studi, e la sua passione per i libri diviene proverbiale in famiglia.
Le scuole elementari Antonio le compie a Ghilarza, il paese natale della madre, dove la famiglia, divenuta più numerosa (sono sette i figli, quattro maschi e tre femmine) si trasferisce: un grosso paese su un altopiano tra il Gennargentu, i monti del Marghine e la catena del Montiferru. Il padre è coinvolto in una triste vicenda giudiziaria, è sospeso dall'impiego, le difficoltà finanziarie si fanno assillanti. Conseguita la licenza, il ragazzo lavora per due anni nell'ufficio del catasto: non è ancora dodicenne e deve stare in ufficio dieci ore, compresa la mattina della domenica. «Me la passavo a spostare registri che pesavano più di me, e molte notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il corpo», scriverà.

Una giovinezza intensa e difficile

II particolare ci introduce in un altro momento essenziale della formazione di Gramsci: la scoperta, che incide nella sua adolescenza assai disagiata e dura, di un mondo che vive nel bisogno, la partecipazione solidale a una società di diseredati che non sarà secondaria nel determinare le idee, le inclinazioni sociali, la passione di giustizia di cui il giovane darà frequenti prove nelle sue prime prose civili. Certo, il rivoluzionario nasce dal ribelle anche in questo caso:

Che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato? L'istinto della ribellione che da bambino era contro i ricchi, perché non potevo andare a studiare, io che avevo preso 10 in tutte le materie nelle scuole elementari, mentre andavano il figlio del macellaio, del farmacista, del negoziante in tessuti. Essa si allargò a tutti i ricchi che opprimevano i contadini della Sardegna. E io pensavo allora che bisognava lottare per l'indipendenza nazionale della Regione. «Al mare i continentali». Quante volte ho ripetuto queste parole...

Antonio potrà, grazie all'aiuto della madre e delle sorelle - Emma, Graziella e Teresina, la prediletta riprendere gli studi: il ginnasio a Santu Lussurgiu, vicino a Ghilarza e il liceo a Cagliari. Sono gli anni tra il 1903 e il 1911; a Santu Lussurgiu vive in casa di una contadina; a Cagliari col fratello più grande, Gennaro, il primogenito, che è impiegato in una fabbrica di ghiaccio e cassiere della Camera del Lavoro. Il ricordo che Gramsci terrà di questo suo primo « garzonato » studentesco già ci rivela un altro aspetto del carattere dell'uomo: il suo temprarsi, nella solitudine, mentre « era portato molto alla socievolezza e alla tenerezza », l'ironia con cui sa guardare alle vicissitudini, la coscienza delle proprie capacità iintellettuali:

Quando ero al ginnasio, un piccolo ginnasio comunale a Santu Lussurgiu, in cui tre sedicenti professori sbrigavano con molta faccia tosta tutto l'insegnamento delle cinque classi, abitavo in casa di una contadina. Pagavo cinque lire mensili per l'alloggio, la biancheria del letto e la cucinatura della molto frugale mensa.

Antonio ha una propensione per le scienze esatte, ma divora romanzi, libri, opuscoli, giornali. Anche se dirà un giorno che tutto lo sforzo della sua formazione culturale sarà stato quello di liberarsi di un modo di vedere le cose da provinciale, « da triplice e quadruplice provinciale », Cagliari è già una metropoli per lo studente del liceo Dettori venuto da Ghilarza, slarga il suo orizzonte, indirizza appunto in un senso « regionalistico », autonomistico, la sua prima ribellione sociale.
C'è anche un accostarsi alla predicazione socialista nel Gramsci sardo? Probabilmente sì, e per l'ambiente che frequenta il fratello Gennaro e per i giornali che circolano in casa (dall'« Avanti! » al « Viandante » del Meniceli!), ma il colloquio spirituale che l'adolescente intraprende già prima dell'Università è piuttosto con i grandi nomi della cultura militante, con riviste che si chiamano « La Critica » di Croce, « La Voce » di Prezzolini, « l'Unità » di Salvemini, dal 1911. E quello che diventerà il più originale scrittore del socialismo italiano fa le primissime prove in un quotidiano indipendente di Cagliari, « L'unione sarda », di cui diventa collaboratore, nel 1910, con una corrispondenza da Aidomaggiore.

L'incontro con  Torino è all'inizio  uno  scontro

Ma sarà il continente, il Nord, la città più industriale e più operaia d'Italia, Torino, a fare del giovane studente sardo ciò che egli diventerà: un grande combattente rivoluzionario e un grande intellettuale. In Sardegna tornerà di rado: avrebbe voluto tornarci a morire, non ci sarebbe più vissuto. Anche il distacco dalla famiglia si fa permanente. Ciò non significa che egli non abbia tratto un'impronta fortissima dall'ambiente originario, un'impronta che lungi dal creare una componente populista o provinciale, darà il suo risalto più fecondo in due direzioni che poi s'iintersecano nell'uomo e nell'opera. Il mondo dei pastori, dei contadini, dei piccoli borghesi sardi, la conoscenza e la frequentazione di una società tipicamente meridionale, di un'« altra Italia », oppressa e sacrificata, sarà anch'esso alla radice della sua elaborazione politica originale negli anni della maturità. Costante, nel dopoguerra, sarà la sua attenzione ai temi dell'autonomia sarda, al movimento sardista di Lussu, al problema stesso dei rapporti tra una società agropastorale e il mondo operaio.
D'altra parte, tutti gli aspetti più favolosi del passato dell'isola, dei suoi costumi, delle sue tradizioni, del suo linguaggio, il carattere duro della sua gente viva, saranno una continua sollecitazione intellettuale, di ricerca scientifica e di penetrazione umana. Quando, infatti, sarà ristretto in carcere, fissandosi un programma di studio, assai articolato, Gramsci dirà che ciò che più lo interessa è « lo spirito popolare creativo, nelle sue diverse fasi e gradi di sviluppo ».
L'incontro di Gramsci con Torino è all'inizio uno scontro. L'ultimo anno di liceo a Cagliari è stato molto duro. Il ragazzo è a carico del fratello maggiore e assieme stentano a combinare il pranzo con la cena. « Per 8 mesi circa mangiai così una sola volta al giorno e giunsi alla fine del 3° anno di liceo, in condizioni di denutrizione molto gravi ». Quando apprende che gli si da l'opportunità di poter concorrere a una borsa di studio per gli studenti delle vecchie province del Regno di Sardegna, offerta dal collegio Carlo Alberto di Torino, Aintonio non si lascia scappare l'occasione. Ma ciò significa un esame supplementare oltre alla licenza liceale. Ed egli vi si prepara nell'estate del 1911, presso uno zio di Oristano, dando nel frattempo lezioni al figlio di questi. Almeno lì mangia a sufficienza. Parte per Torino, riesce a dare l'esame (con lui sono candidati alla stessa borsa di studio, di 70 lire mensili, Palmiro Togliatti, Augusto Rostagni e Lionello Vincenti), ottiene la borsa, vuole iscriversi alla facoltà di Lettere.

Nella  città  dell'automobile una nuova atmosfera

A Torino, quando Gramsci arriva, c'è l'Esposizione per il Cinquantenario dell'Unità d'Italia. Grandi feste, trionfo dell'industria che si sviluppa, discorsi ufficiali sul progresso, la tecnica, un futuro pacifico e ricco per tutti. Però, nei padiglioni deserti del Valentino, durante l'inverno, proprio quell'inverno che il giovane studente immigrato rammenta come un incubo, si ritrovano a comizio migliaia di operai « dell'auto »: uno sciopero di tre mesi, durissimo e sfortunato, che si conclude con una disfatta. È l'esercito proletario della città dell'automobile, dei metallurgici della Fiat, dell'Itala, della Diatto, della Spa, della Lancia, che fa le sue prime prove per rivendicare un salario meno esiguo e un orario meno massacrante. Siamo alla fine del periodo giolittiano, del decennio contrassegnato dall'idillio tra la borghesia liberale e il socialismo riformista di Turati, Prampolini, Morgari; l'equilibrio sta per rompersi e Torino ne diviene un sensibile registratore. I socialisti italiani si avvedono che l'alleanza stipulata con lo statista di Dronero non ha apportato loro molti vantaggi e ha estenuato una carica ideale. E, mentre la borghesia italiana intraprende l'avventura di « Tripoli bel suoi d'amore », il Psi sterza a sinistra, tra il 1911 e il 1914. Grandi lotte scuotono città e campagne; la gioventù rinnega il sogno positivistico di un'evoluzione graduale di conquiste sociali. Se si va addensando su tutta la cultura italiana un grande temporale irrazionalista e i nuovi miti della violenza, del sangue, dell'aggressione, coallzzano a destra molte energie iintellettuali, nel campo socialista l'iintransigenza bellicosa, il linguaggio acceso - che sarà poi una caratteristica del « massimalismo » - le pose rivoluzionarie, hanno il loro araldo nel nuovo giovane direttore dell'« Avanti! », il romagnolo « professor » Benito Mussolini.
Antonio Gramsci risentirà, come tutti, di questa nuova atmosfera, a Torino caratterizzata più che altrove da una lotta di classe aspra, senza intermediari moderatori, tra un imprenditorato tutt'altro che giolittiano, deciso ad imporre le proprie ragioni e i propri interessi, e una classe operaia giovane, qualificata, sensibile alla predicazione socialista, in via di rapida organizzazione sindacale. Il giovane sardo non s'immerge però rapidamente in questo nuovo mondo. I primi due anni d'Università sono anni dominati dal mondo degli studi, dalla passione per una ricerca filologica, storica, letteraria, che lascia campo soltanto per fugaci perlustrazioni e cointatti con una realtà così diversa. Antonio è particolarmente avvinto dagli studi di glottologia ai quali è avviato da Matteo Bartoli; entra in dimestichezza con alcuni dei migliori docenti delle facoltà di lettere e di giurisprudenza, da Umberto Cosmo, dantista illustre, al filosofo Annibale Pastore, dal professor Pacchioni (è frequentando il suo corso che stringe amicizia con Palmiro Togliatti, di due anni più giovane di lui) al professor Toesca, da Luigi Einaudi a Francesco Ruffini.

L'adesione al socialismo militante

Per Gramsci, le condizioni di salute vacillanti (è soprattutto il sistema nervoso che si rivela debole), l'intensa applicazione scolastica, una tendenza, che ora si accentua, a richiudersi in se stesso, « da orso nella caverna », ritardano i primi contatti con la sezione socialista locale, o col « fascio » giovanile socialista. Sarà il 1913, sarà il 1914 l'anno dell'iniziazione politica vera e propria? Di socialismo si discorre nelle aule dell'ateneo, tra compagni di corso, nelle lunghe passeggiate notturne sotto i portici del centro cittadino (un'abitudine che resterà cara anche al Gramsci giornalista e dirigente degli anni successivi). Ma come vivono, come ragionano, come lottano gli operai?
Gramsci si lega d'amicizia con uno studente socialista, figlio di un operaio artigiano, Angelo Tasca, che è già uno dei giovani più in vista nell'ambiente cittadino e partecipa ai congressi nazionali della Federazione giovanile, frequenta quella Casa del Popolo, sede dell'Associazione generale degli Operai, che, in pieno centro cittadino, tra via Cernaia e corso Siccardi, raccoglie nel suo vecchio palazzo le varie istituzioni proletarie dalla Cdl alla sezione socialista. Togliatti si diceva sicuro che già nel 1913 Gramsci era iscritto al Psi.
In ogni caso, sia il 1913 o il 1914 - lo sviluppo del movimento operaio torinese èproprio allora impetuoso - l'orientamento  del  giovane  sardo verso& il socialismo è fermo, nell'autunno del 1914, quando tutto il movimento è scosso dal grande problema dell'atteggiamento verso la guerra mondiale ormai scoppiata, anche se l'Italia ne è ancora fuori, troviamo la firma di Antonio Gramsci in calce a un articolo sul settimanale socialista locale « II grido del popolo » proprio sul tema della neutralità.
Verso la fine del 1915 Gramsci senza aver ottenuto una laurea lascia l'università per il giornalismo e l'attività politica. Sono tempi duri e il giovane ha ormai scelto la parte in cui militare e lavorare. È assunto alla redazione torinese dell'« Avanti! » e presto, col 1916-17, i corsivi del giovane redattore, le sue note di costume (Sotto la Mole), le sue cronache teatrali, lo segnalano come una personalità nuova in un ambito che va al di là dei lettori abituali. Colpisce nel suo discorso tutto il significato umano che sa trarre da un piccolo episodio di cronaca, la conoscenza che rivela dell'animo popolare. Un giorno dirà ai compagni della redazione che un giornalista della classe operaia deve possedere in primo luogo simpatia per il popolo; un altro aggiungerà che questa simpatia non si manifesta sulla pagina se non si è anche dotati di immaginazione.

Alla luce della Rivoluzione  d'Ottobre

Nel 1917, «l'anno più lungo», l'anno cruciale della prima guerra mondiale, le circostanze chiamano il giovane giornalista a farsi dirigente ed organizzatore. In Russia con la rivoluzione di febbraio, è caduta l'autocrazia zarista, ovunque i segni dell'insofferenza dei combattenti e delle masse si fanno più numerosi. Quel proletariato torinese, che era stato nel maggio del 1915 l'unico nucleo operaio a impegnare una battaglia di strada contro l'intervento italiano in guerra, è protagonista, nell'agosto del 1917, di una vera e propria sommossa armata: quattro giorni di barricate, più di ciinquanta morti sul selciato delle vecchie strade, centinaia di feriti, migliaia di arrestati, spediti nelle compagnie di disciplina al fronte. È stata la mancanza di pane a fare sprigionare la scintilla dell'incendio. Ma il grido di pace si è mischiato a quello del pane, il « materiale combustibile » l'hanno portato le notizie dalla Russia (il nome leggendario di Lenin risuona ora per la prima volta) e la campagna contro la guerra della propaganda socialista.
Gramsci non pare abbia partecipato direttamente ai moti repressi duramente dalla truppa. Ma incancellabile resterà quest'esperienza drammatica di forza e di rivolta. Nel vuoto apertosi nelle file del partito - quasi tutti i dirigenti locali sono in carcere - il giovane ventiseienne sardo diviene segretario provvisorio della sezione, redige praticamente da solo « II grido del popolo » il settimanale socialista della sezione torinese, rav-­vivandolo della sua fresca carica di rinnovamento nello scorcio finale della guerra.
Che il mondo sia a una svolta decisiva il giovane rivoluzionario l'ha intuito e proclamato in un numero unico, La città futura, redatto per la gioventù socialista piemontese, in cui ha rivelato l'intimo motore delle sue convinzioni. Odia quegli intellettuali crisaioli, pronti subito a dubitare, « animucce che si buttano sulla prima idea che si presenti con l'apparenza di poter diventare un ideale e se ne nutrono fino a quando dura lo sforzo per impossesarsene, e poi la abbandonano quando quella non riesce a compensare il loro fallimento spirituale ».
« Il grido del popolo » di Gramsci è qualcosa di più che una testimonianza di maturazione personale. È fatto di attenzioni e dì intuizioni che già contengono in germe alcuni caratteri essenziali del nuovo teorico e del nuovo politico, e due sopra gli altri: il rapporto tra « le cose di Russia » e la rivoluzione mondiale, e il rapporto tra la conquista del potere e l'autoeducazione culturale della classe, tra violenza « levatrice » ed egemonia. In Russia i bolscevichi si pongono alla testa della rivoluzione, la dirigono, la difendono. Si sa poco in Italia di quello che succede lassù, si sa appena dell'Ottobre e in termini vaghi. Gramsci cerca di procurarsi gli scritti di Lenin e degli altri, li fa tradurre da un amico polacco, li studia...
Per lui la rivoluzione russa non è opera di utopisti ma di dirigenti consapevoli, di masse che si muovono lungo una via giusta: è unità di economia e di politica: è un atto di libertà, di creazione; « dalla massa disorganizzata e sofferente si passa agli operai e ai contadini organizzati, ai Soviet, al partito bolscevico e all'urto Lenin ». È' una rivoluzione infine che non ha un carattere chiuso, regionale. ma al contrario universale. Più che un esempio è un modello da studiare e da inverare, sia pure tenuto conto delle diverse situazioni nazionali, per gli altri popoli.
In Italia la situazione è caotica, gravissima. Dopo Caporetto, Gramsci, inviato dalla sezione socialista torinese, permeata della corrente di estrema sinistra del partito, « rigida », « rivoluziontaria intransigente », va a Firenze a un convegno nazionale segreto di quella frazione; lì conosce Amadeo Bordiga, il giovane dirigente socialista napoletano che da anni è il più coerente assertore dell'assoluta opposizione alla guerra, il più spieato critico dei tentennamenti della direzione del Psi e della vocazione « collaborazionista » del suo gruppo parlamentare e della Cgl. Bordiga è per affrettare le cose, per porsi su un terreno di aperta rivolta nel paese. L'appuntamento rivoluzionario sarà rinviato alla fine della guerra; frattanto, in tutto il 1918, « II grido del popolo » sviluppa quell'altro elemento cui abbiamo accennato: la promozione del concetto e dell'orgariizzazione di una « rivoluzione culturale », considerata come parte costitutiva, determinante, del movimento di emancipazione dei lavoratori, non meno della lotta politica e dell'associazione siindacale, economica, cooperativa. Conferenze, scuole, ma anche uno sviluppo della ricerca artistica, della « creazione proletaria », che prepari i nuovi nuclei di una classe dirigente socialista.
I primi passi su questa strada sono lenti e difficili, ma l'indirizzo è profondamente rinnovatore.