Palmiro Togliatti

La svolta di Salerno

L'Unità, 2 aprile 1944

Ritornato finalmente nel mio paese, dove è oggi il mio «posto» di lotta, voglio che le mie prime parole siano di saluto ai compagni del partito comunista, del partito al quale ho consacrato tutte le mie capacità, tutta la mia attività, tutta la mia esistenza.

Un saluto cordiale a tutti i compagni, ai vecchi e tenaci militanti delle organizzazioni clandestine sotto la tirannide fascista, ai reduci gloriosi dai carceri e dai campi di concentramento, e alle reclute nuove, ai giovani che oggi si raccolgono sotto la nostra bandiera, sicuri di trovare nel partito comunista la guida di cui ha bisogno la classe operaia, di cui ha bisogno il popolo, di cui ha bisogno, per uscire dalla tragica situazione presente, tutto il nostro paese.
Un saluto particolarmente affettuoso agli operai e ai comunisti di Napoli.
Bravi i comunisti napoletani!

In una situazione difficilissima, soli o quasi soli, voi avete saputo compiere il vostro dovere. Per la prima volta nella storia del movimento operaio napoletano, avete saputo gettare le basi di un movimento comunista di massa, legato al popolo, unito, disciplinato. Tutto il partito, tutta l'Italia proletaria e popolare vi è riconoscente.

Avanti, con entusiasmo, con decisione e con accortezza politica, sulla via per cui vi siete messi! Il popolo della vostra città ha bisogno del vostro aiuto, della vostra guida, per superare le dure prove del momento e unirsi tutto nella lotta per la salvezza del nostro paese.

Molte delle cose che già ho visto qui, appena tornato, mi hanno stretto il cuore. Il nostro paese è stato portato non soltanto alla disfatta, ma allo sfacelo e all'umiliazione dalle canaglie fasciste, da coloro che le hanno messe al potere e ve le hanno mantenute per più di venti anni, fino a che tutto è crollato. Il nostro compito, oggi, è chiaro.

Spetta alle forze popolari ridare al paese tutto quello che esso ha perduto: la sua unità, la sua libertà, la sua indipendenza, il suo benessere, la sua dignità. E la classe operaia e il suo partito verrebbero meno a se stessi se non fossero nelle prime file di questa lotta per la salvezza e la rinascita della nazione.

Dobbiamo cacciare le bande degli assassini tedeschi dal sacro suolo del nostro paese, dobbiamo schiacciare e distruggere per sempre tutti i residui dell'immondo regime fascista, autore della catastrofe della nazione.

Dobbiamo creare una Italia nuova, libera, democratica, nella quale siano aperte al popolo tutte le vie del progresso politico e sociale.

Per raggiungere questi obiettivi, - e per raggiungerli presto, il più presto che sia possibile, - noi vogliamo che si uniscano tutte le forze schiettamente nazionali. Noi combattiamo per l'unità della nazione italiana redenta dall'onta del fascismo, perché sappiamo che questa unità è la migliore garanzia di una rapida fine delle sofferenze del popolo e di una rinascita sollecita di tutto il paese.

So che oggi strati sempre più vasti del popolo, dagli operai ai contadini, dagli intellettuali d'avanguardia alle masse delle nuove generazioni, guardano al nostro partito con fiducia e molto attendono da noi. Io darò tutte le mie forze, compagni, affinché il partito comunista sappia soddisfare questa attesa, sappia essere degno di questa fiducia.

Al lavoro, compagni! Nel fronte della nazione in lotta per la sua libertà e per la sua resurrezione il nostro posto è in prima fila!

Pietro Secchia

La svolta di Salerno

da P. Secchia, Il Partito Comunista Italiano e la guerra di Liberazione, Feltrinelli, 1975

La "svolta" di Salerno pur avendo rappresentato, per la rapidità ed il modo in cui fu effettuata, una specie di colpo di fulmine che inceneriva il passato, in realtà era il punto di arrivo di una lunga serie di tentativi, sino a quel momento falliti, per arrivare ad una conclusione positiva.

Lo stesso Badoglio non era rimasto inattivo, tra lui ed i partiti non vi era il muro del silenzio, ma si può dire un dialogo continuo teso a superare l'ostacolo che impediva all'Italia di avere un governo autorevole, efficiente, in grado di governare e di condurre la guerra contro i tedeschi.
I colloqui tra Badoglio ed i suoi fiduciari da una parte, ed i dirigenti del movimento antifascista, da Croce ad Arangio Ruiz dall'altra, si erano susseguiti, arrestandosi di fronte allo scoglio della monarchia, un cadavere che gli uni volevano tenere in piedi e gli altri seppellire.

Anche i comunisti si erano incontrati con Badoglio che li aveva invitati il 20 gennaio nella villa Taiani a Vietri sul Mare. Qui il maresciallo propose a Velio Spano (allora si faceva chiamare Paolo Tedeschi) e ad Eugenio Reale di entrare a far parte del suo ministero sostenendo che la partecipazione dei comunisti, socialisti e democristiani era indispensabile per dare autorità. Alla risposta che la cosa era realizzabile solo a condizione che il re abdicasse, Badoglio replicò che ciò era impossibile e le trattative furono interrotte.

I dirigenti comunisti, nell'Italia liberata, oltre a tenere conto delle posizioni di tutti gli altri partiti antifascisti, dello stato di debolezza in cui si trovava il Partito comunista nel meridione, del primitivismo alimentato dai gruppi estremisti, partivano da un'analisi della situazione italiana e internazionale sotto alcuni aspetti "ottimistica" e pertanto errata. A tale analisi erano stati indotti, del resto, da taluni apprezzamenti espressi dai rappresentanti delle Nazioni Unite in Italia, secondo i quali le decisioni della Conferenza di Mosca sarebbero state rapidamente applicate.

Un lungo colloquio che Spano e Reale avevano avuto il 9 gennaio 1944 con i componenti il Consiglio consultivo alleato in Italia li aveva rafforzati nel loro giudizio. In particolare Macmillan e Visinskij avevano lasciato credere con le loro parole che una forte pressione delle masse popolari sarebbe stata sufficiente ad eliminare dalla scena politica Vittorio Emanuele III e il luogotenente, per dare vita ad un governo autorevole, atto a rafforzare lo sforzo di guerra dell'Italia, a sviluppare la democrazia e a creare le condizioni favorevoli alla soluzione della questione istituzionale, con la Costituente, dopo la fine della guerra.

I dirigenti comunisti di Napoli commettevano senza dubbio un errore di prospettiva nel valutare la situazione, ma si deve riconoscere che in quel momento la loro partecipazione al governo, senza che la questione fosse stata decisa da un regolare consesso del partito, senza l'autorevole presenza di Palmiro Togliatti, con l'opposizione dichiarata del Partito socialista e del Partito d'azione e con alcune organizzazioni comuniste fortemente orientate in senso estremista, avrebbe potuto provocare una scissione sia all'interno del partito, sia nel fronte unitario dei CLN.
I dirigenti comunisti rifiutavano l'offerta di Badoglio per evitare un oscuro compromesso nel quale il paese avrebbe perduto l'ultima sua ragione di speranza: l'autorità dei partiti antifascisti che si richiamavano alle masse popolari (1) ; ma erano tuttavia ben consapevoli della necessità di dare al paese un governo efficiente. Come arrivarvi? Non c'era che la strada della lotta; ma in realtà non era facile abbattere il re e rovesciare il governo Badoglio con la presenza degli alleati che li sostenevano.

Tutti sono più o meno consci, in Italia e all'estero, che a questa situazione c'è oggi un solo rimedio, non sovrano ma sicuramente efficace: la costituzione di un governo che governi. Bisogna quindi assolutamente, in un modo o nell'altro, sbarazzare il terreno dagli ostacoli che si frappongono alla costituzione di un governo che non sia una burletta.

Bisogna, quindi, appoggiandosi ad un'azione di massa, pacifica ma chiara e larghissima, preparare subito la costituzione rapidissima di un contro-governo antifascista che le masse riconoscerebbero subito come il loro governo e che gli alleati non potrebbero non riconoscere quasi subito come il vero governo italiano. L'organizzazione di un plebiscito nazionale a cura dei Comitati di liberazione, e di una giornata di manifestazioni popolari, potrebbe essere l'espressione unanime della volontà popolare e quindi l'elemento risolutivo della situazione. Se non ci fosse stata la guerra e la necessità di vincerla per schiacciare il nazismo, noi avremmo potuto e saputo risolvere rapidamente la situazione con un'azione rivoluzionaria delle masse. Ma appunto perché c'è la guerra, che è malgrado tutto la nostra guerra, dobbiamo tutti evitare che le masse, giustamente esasperate da una situazione che non è più tollerabile, tentino di risolvere spontaneamente la situazione in forme che potrebbero essere una limitazione dello sforzo di guerra.

Una sola soluzione esiste dunque oggi, che esige l'unità degli antifascisti e la comprensione degli alleati: evitare che il popolo italiano continui ad essere senza governo, fare un governo o un contro-governo che diventi rapidamente il governo del paese. Bisogna farlo! Bisogna dunque prepararlo subito! (2)

Malgrado la pregiudiziale antimonarchica, la forza con cui era sottolineata la necessità della formazione rapidissima di un governo che governasse costituiva una premessa ad un mutamento di linea politica, premessa che maturò soprattutto dopo il Congresso di Bari dei CLN (28-29 gennaio) quando divenne sempre più evidente l'incapacità della giunta esecutiva dei CLN (essa avrebbe dovuto rappresentare l'anti-governo) di uscire e fare uscire le forze antifasciste dal vicolo cieco in cui si trovavano.

Il famoso discorso, detto della "caffettiera" (3) con il quale, il 22 febbraio, Churchill, parlando dell'Italia in termini umilianti, mostrò aperta simpatia per la monarchia e malcelato disprezzo per i CLN, spinse nell'Italia liberata i comunisti ad organizzare insieme agli azionisti ed ai socialisti uno sciopero di protesta. Le autorità alleate, allarmate, si misero in moto per impedire lo sciopero in preparazione: squadre di Military Police e di polizia italiana sequestrarono nelle tipografie il materiale di agitazione, invasero i cortili delle fabbriche e vi stazionarono, procedettero all'arresto di un certo numero di operai più attivi: il generale Mac Farlane minacciò di arrestare i dirigenti dei tre partiti antifascisti. Questi si incontrarono la sera del 3 marzo con i rappresentanti della Commissione alleata di controllo i quali si impegnarono a rilasciare gli operai arrestati ed a sospendere i provvedimenti restrittivi delle libertà di stampa e di organizzazione, purché si arrivasse ad un accordo. Lo sciopero fu cosi sospeso e sostituito da una grandiosa manifestazione di piazza nella quale parlarono Velio Spano (PCI), Oreste Lizzadri (PSI) e Alberto Cianca (Pd'A). Si trattò di una forte risposta.

Anche nel Nord i partiti antifascisti e il CLNAI avevano energicamente reagito con ordini del giorno, proteste e diffusione di manifestini nelle fabbriche all'oltraggiosa arroganza di Churchill.
Il 14 marzo il governo sovietico stabiliva i rapporti diplomatici con il governo Badoglio, all'infuori di quelli contemplati dai protocolli dell'armistizio e della Conferenza di Mosca. L'annuncio veniva dato da un comunicato della presidenza del Consiglio:

In seguito al desiderio a suo tempo ufficialmente espresso da parte italiana, il governo dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche ed il regio governo italiano hanno convenuto di stabilire relazioni dirette fra i due paesi. In conformità a tale decisione sarà proceduto tra i due governi senza indugio allo scambio di rappresentanti muniti dello statuto diplomatico d'uso (4).

Nello stesso giorno, il governo Badoglio faceva seguire al comunicato un commento ufficioso in cui l'esultanza era pienamente manifesta:

Aderendo al desiderio manifestato dal regio governo alle Nazioni Unite, la Russia sovietica ci tende la mano, nonostante gli errori del passato regime. Ed è questo indubbiamente un gesto che non sarà dimenticato facilmente dal popolo italiano, compiuto com'è in una delle ore più tragiche della storia (5).

Tale riconoscimento di fatto del governo Badoglio da parte dell'Unione Sovietica aveva un'enorme importanza sia sul piano internazionale (il disappunto manifestato dagli anglo-americani ne è la più evidente testimonianza) sia sul piano interno. Tutti i partiti antifascisti salutarono l'avvenimento positivamente e l'Unità e l'Avanti in termini entusiastici.

Togliatti sbarcò a Napoli nel pomeriggio del 27 marzo e dopo esser stato accompagnato da un comando alleato si recò immediatamente alla sede della federazione comunista di Napoli dove si incontrò con i compagni Velio Spano, Eugenio Reale, Salvatore Cacciapuoti, Clemente Maglietta, Marcello Marroni e Maurizio Valenzi. S'incontrò poi all'indomani con alcune personalità degli altri partiti antifascisti e si preparò al consiglio nazionale del partito che era già stato, prima ancora del suo arrivo, convocato a Napoli per il 29 marzo.
Il 30 marzo l'Isvestia pubblicava un lungo ed acuto articolo sulla situazione italiana:

La guerra, in seguito alle vittoriose offensive dell'Armata rossa, è entrata per la Germania in una fase critica; i tedeschi tentano disperatamente con tutti i mezzi di cui possono disporre di ritardare la rovina che si sta abbattendo su di loro. Poiché si avvicina il momento in cui si inizieranno le operazioni concordate fra le potenze alleate per dare il colpo decisivo alla Germania hitleriana, secondo quanto venne stabilito alla Conferenza di Teheran, e poiché tali operazioni verranno intraprese non soltanto dall'Est, ma anche dall'Ovest e dal Sud, acquista particolare importanza politica la questione italiana.
La situazione politica esistente attualmente in Italia è la seguente: le regioni dell'Italia meridionale, liberate da parte delle truppe anglo-americane, dalla dominazione fascista, costituiscono una importantissima base di operazioni per gli eserciti dei nostri alleati; tuttavia, circa due terzi del territorio italiano sono ancora sotto il tallone dei nazisti e sotto quello dei loro complici affiliati alla banda di Mussolini.
Le regioni dell'Italia liberata sono amministrate dal governo del maresciallo Badoglio, che viene appoggiato da alcuni settori della popolazione italiana. Tale governo ha più volte dichiarato di essere pronto a partecipare insieme con gli alleati alla lotta comune contro gli invasori hitleriani e contro loro complici fascisti.


D'altra parte, nell'Italia meridionale, dopo che il fascismo venne abbattuto e più ancora dopo l'armistizio, sono risorti e svolgono la loro attività numerosi partiti e gruppi antifascisti democratici, i quali trovano seguito in larghi strati della popolazione italiana e aspirano a partecipare attivamente alla lotta contro la Germania di Hitler. Sino al gennaio di quest'anno questi gruppi antifascisti erano pochi, mal collegati tra loro e limitavano la loro attività ad alcuni centri provinciali e a pochi altri secondari.
L'unione di questi gruppi si è realizzata solamente al Congresso di Bari che ebbe luogo alla fine del gennaio, e al quale parteciparono i rappresentanti dei seguenti partiti: liberale, democratico-cristiano, d'azione, della democrazia del lavoro, socialista e comunista.

Il Congresso ha nominato una giunta esecutiva permanente, la quale ha lo scopo di unire le forze antifasciste e democratiche italiane nella lotta contro il nazismo. In tal modo, tanto il governo Badoglio, quanto la giunta esecutiva permanente, hanno dichiarato di essere pronti a lottare insieme con gli alleati per scacciare i tedeschi e i loro servi fascisti; ciononostante, le forze del governo Badoglio e della giunta esecutiva permanente non soltanto non sono unite, ma al contrario si esauriscono lottando fra di loro e nel frattempo la situazione politica ed economica dell'Italia continua a peggiorare, battendo una via senza uscita. Ciò non può che nuocere alla causa comune degli alleati, cioè alla causa della lotta contro la Germania hitleriana.

Tale è la situazione nelle regioni dell'Italia ed essa non può essere guardata con indifferenza, se si vogliono tenere nella debita considerazione gli interessi superiori della lotta delle Nazioni Unite contro la Germania.

L'esperienza degli ultimi tempi prova che una tale situazione porta inevitabilmente l'Italia all'esaurimento delle sue forze e minaccia di condurla alla catastrofe. Ma hanno gli alleati interesse a lasciare che gli avvenimenti si svolgano in maniera da spingere l'Italia alla rovina? Certamente no.

L'Unione Sovietica, ed in generale gli alleati, non possono avere interesse che l'Italia venga a trovarsi, sull'orlo dell'abisso. Quale via d'uscita esiste da tale stato di cose? La via d'uscita consiste principalmente nel dare all'azione delle potenze alleate circa la politica italiana un orientamento corrispondente al compito degli alleati, che è quello di lottare contro il comune nemico, la Germania hitleriana. Perciò la politica degli alleati nella questione deve basarsi su un atteggiamento comune concordemente assunto. Si deve invece constatar che i problemi connessi con l'attuale posizione politica italiana non sono stati finora oggetto di comune scambio di vedute tra le potenze alleate.

Naturalmente, sia l'Inghilterra che gli Stati Uniti hanno iniziato un'azione politica nei confronti dell'Italia e si sono anche avute al riguardo delle dichiarazioni da parte dei rappresentanti ufficiali della Gran Bretagna e degli Stati Uniti; tuttavia è noto che queste azioni e queste dichiarazioni non sono state il risultato di decisioni comuni delle tre potenze. I rappresentanti ufficiali dei nostri alleati hanno dichiarato che l'attuale governo italiano non può essere sostituito da nessun altro governo e che l'esame di tutta la situazione politica in Italia deve essere rinviato ad epoca successiva alla presa di Roma da parte delle truppe alleate. È facile provare che tale punto di vista non stato oggetto di conversazioni tra gli alleati né alla Conferenza di Mosca, né i seno al comitato consultivo per l'Italia, né in via diplomatica.

Il primo ministro Churchill, parlando ai Comuni il 22 febbraio, ha espresso l'opinione che solamente dopo la liberazione di Roma potrà essere formato un governo italiano su basi più ampie. Anche ciò non è stato il risultato di accordi intervenuti fra i tre alleati. Inoltre gli uomini di stato sia inglesi che americani hanno dichiarato che ora sarebbe intempestivo porre il problema della permanenza della monarchia in Italia o il problema dell'abdicazione di re Vittorio Emanuele. Anche questo problema non è stato esaminato in comune dalle tre potenze, né alla Conferenza di Mosca, né in seno al comitato consultivo per l'Italia, né in via diplomatica. Ma se non si può negare che la soluzione di questo problema che riguarda la vita interna dell'Italia è preferibile sia trovata in un periodo più adatto, quando cioè tutto il popolo italiano potrà scegliersi liberamente la sua forma di governo, si sarebbe dovuto però convenire che una simile impostazione del problema del governo italiano per un certo periodo di tempo non avrebbe dovuto avere come conseguenza un ritardo nell'unificazione delle forze antifasciste italiane e che essa non avrebbe dovuto costituire, in ultima analisi, un ostacolo alla lotta comune contro la Germani hiltleriana.


È facile comprendere che i partiti democratici in Italia, i quali si sono più volte pronunciati per l'abdicazione di re Vittorio Emanuele e per la sostituzione del governo Badoglio, naturalmente non saranno stati soddisfatti di quella politica che ha trovato la sua espressione nelle dichiarazioni su ricordate dei rappresentanti dell'lnghilterra e degli Stati Uniti. Questa circostanza danneggia non solo l'unità italiana, ma soprattutto gli interessi fondamentali della lotta contro il comune nemico, interessi che esigono l'eliminazione di tutte le cause tendenti a prolungare la guerra. Da ciò risulta che per gli alleati è necessario di trovare il modo di unire tutte le forze antifasciste italiane per la lotta contro la Germania. Non si può prescindere dal fatto che, col suo attuale carattere il governo Badoglio non è in grado di unire intorno a sé gli elementi antifascisti e democratici in Italia per la lotta contro Hitler, ma d'altra parte lo stesso governo Badoglio, nella persona dei suoi rappresentanti più in vista ha dichiarato più volte di essere pronto ad includere nel suo seno nuovi elementi capaci di esercitare un'azione più efficace nei riguardi dell'unità di tutti gli Italiani. Non si vede allora perché una tale decisione tendente a modificare il governo Badoglio debba trovare dinanzi a sé ostacoli insormontabili visto che è anche desiderio delle tre potenze alleate di vedere il governo Badoglio allargare le sue basi in senso democratico; tale decisione farà probabilmente cessare i motivi che determinano l'attuale atteggiamento negativo della giunta esecutiva verso il governo Badoglio e permetterà a numerosi elementi antifascisti e democratici italiani di partecipare più attivamente alla lotta comune contro l'invasore tedesco.

In relazione a tutto ciò ha destato viva sorpresa la presa di posizione de ministro Eden nella seduta del 22 marzo ai Comuni, allorché all'interpellanza con la quale il deputato Thomas ha chiesto se il governo di Mosca intendesse o meno rendere più democratico il governo italiano, egli ha risposto semplicemente: "L'interpellante dovrebbe rivolgersi al governo sovietico". Non si capisce perché il signor Eden non abbia saputo trovare una risposta ad un domanda come questa, posta in forza di un diritto riconosciuto e per di più perfettamente legittima. Non è forse desiderio del governo britannico, secondo le decisioni della Conferenza di Mosca, di rendere il governo italiano più democratico? Forse che questo problema non è giunto a maturazione dall'estate dell'anno scorso, quando incominciò la liberazione dell'Italia dalle bande d Hitler e di Mussolini? Forse che questo problema non ha nulla a che fare con la politica dell'Inghilterra? O forse gli uomini politici inglesi sono sfavorevoli alla democratizzazione del governo Badoglio?

Non si può rilevare la circostanza che una certa parte della stampa inglese e americana, invece di chiedere misure atte a normalizzare la situazione politica italiana considerandola dal punto di vista dell'interesse fondamentale che gli alleati portano alla guerra contro Hitler, negli ultimi tempi gonfia artificiosamente un altro problema e precisamente quello del ristabilimento di relazioni dirette tra l'Unione Sovietica e il governo di Badoglio con lo scambio d rappresentanze tra i due paesi. Alcuni organi della stampa d'Inghilterra e d'America manifestano della perplessità, della meraviglia e perfino della preoccupazione in relazione a questo fatto, è invece evidente che non sussiste assolutamente alcun motivo che incuta timore.

Siccome il governo sovietico non aveva finora contatti diretti con il governo italiano, mentre i nostri alleati sono con esso in continuo contatto a mezzo di numerosi organi militari e civili, il nostro governo ha ritenuto opportuna l'istituzione di una forma diretta di contatto con il governo Badoglio. Si ricordi che la sola organizzazione AMGOT che funziona in Italia ha nel seno qualche migliaio di rappresentanti inglesi ed americani al suo comando. Inoltre, in Italia, funzionano autorità militari inglesi ed americane, le quali fanno parte attiva del comando del paese. Delle tre potenze alleate, soltanto l'Unione Sovietica non aveva rapporti diretti col governo italiano ed aveva alle sue dipendenze in Italia soltanto pochi membri di consultazione sovietici per le necessità dell'Italia.

Dunque, l'Unione Sovietica non si è trovata nelle medesime condizioni di fronte alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti. Ora questa disparità sta in qualche modo liquidandosi in quanto l'Unione Sovietica ha la possibilità di essere in contatto diretto col governo italiano, come da tempo potevano fare i nostri alleati. È chiaro che questo contatto diplomatico non è ancora completo fra i due paesi, rappresenta soltanto un inizio. È ancor più chiaro il vero scopo della commissione, la quale ha richiamato intorno a queste necessità parte della stampa alleata. Diversi organi della stampa americana tentano di far passare l'attuale azione dell'Unione Sovietica niente meno come appoggiantesi ad elementi non democratici in Italia, e denuncia in pieno la posizione dell'Unione Sovietica. Bisogna affermare che tale tentativo mette in rilievo che sono essi gli autori di ciò e li scopre e li denuncia.

A tutti è chiaro che in ogni modo non è l'azione dell'Unione Sovietica che ostacola la democratizzazione del governo Badoglio ed ancor più si sa che l'Unione Sovietica è pronta con tutti i mezzi ad agevolare la soluzione di questo problema nel tempo più breve e a fare in modo che non sia rimandato, per esempio, fino alla presa di Roma.

Per questa ragione attira l'attenzione un'altra risposta data dal ministro degli Affari esteri, signor Eden, nella seduta alla Camera dei comuni il 23 marzo alla domanda "se il governo sovietico è unito e d'accordo con l'Inghilterra e gli Stati Uniti sulla situazione presente e sulla necessità di un cambiamento dell'azione futura riguardo al governo d'Italia dopo la presa di Roma"; la risposta del ministro diceva: "Il governo sovietico non dovrebbe essere malcontento per la linea di condotta da noi seguita al riguardo". Si precisa che l'attuale scopo degli sforzi dell'Unione Sovietica è di far sì che tutte le forze antifasciste italiane si riuniscano intorno al governo Badoglio per la lotta contro la Germania hitleriana.

La questione italiana ha acquistato grande importanza ed attende la sua soluzione, né si può rinviarla, ad esempio, fino alla presa di Roma; essa deve essere risolta tenendo presente la necessità di sgombrare da ogni ostacolo la strada che conduce alla vittoria sulla Germania hitleriana.

Il Consiglio nazionale del PCI iniziò i suoi lavori a Napoli il 30 marzo con un rapporto di Velio Spano sulla situazione del paese e del partito, dal quale emergevano l'imbarazzo di chi era ormai convinto dell'impossibilità di risolvere la situazione restando sulle posizioni tattiche del congresso dei CLN di Bari e la logica della vecchia impostazione: "Costituendo un governo democratico, che è il nostro obiettivo, noi faremo fare un passo decisivo in avanti alla situazione italiana e ci metteremo contemporaneamente in condizione di dare un maggiore contributo allo sforzo di guerra".

Togliatti nel suo intervento, sempre sulla base di un'analisi della situazione italiana ed internazionale, impostò invece la questione in questo modo: "Nessuna libertà potrà essere garantita al popolo italiano fino a che i nazisti non saranno stati cacciati dal territorio nazionale. Bisogna quindi intensificare lo sforzo di guerra per liberare il paese. Costituiamo dunque un governo di unità nazionale e in tal modo faremo fare anche un passo notevole alla situazione."
Dimostrò che bisognava uscire da una situazione caratterizzata dall'esistenza, da una parte, di un governo investito del potere ma privo di autorità perché privo dell'adesione dei partiti di massa, dall'altra parte di un movimento di massa autorevole, ma escluso dal potere. "Tale situazione, mentre alimentava confusione e disordine, stancava e deludeva le masse "creando un ambiente favorevole agli intrighi reazionari".
Il Consiglio nazionale approvava l'indicazione e l'iniziativa presa dal compagno Togliatti di costituire un governo di un'unità nazionale, votando la risoluzione che riproduciamo:

"Il Consiglio nazionale del Partito Comunista Italiano riunito (il 30-31 marzo 1944) nel momento in cui lo sviluppo della situazione internazionale ed interna indica più fortemente a tutti gli italiani la necessità e il dovere di rafforzare ed estendere l'unità nazionale nella lotta per la liberazione del paese dall'occupazione hitleriana e dai traditori fascisti; saluta nel compagno Ercoli (Togliatti, n.d.r.), che riprende in Italia, alla testa della delegazione del Comitato centrale, il suo posto di militante e di capo, la guida sicura del partito e del proletariato italiano; riconferma la politica costantemente seguita dal partito, di unità della classe operaia e quindi di fraterna e costante collaborazione con il Partito socialista, di unità delle forze democratiche e liberali antifasciste nel movimento dei Comitati di liberazione nazionale e di unità di tutta la nazione italiana nella lotta per la sua libertà, per la sua indipendenza e resurrezione.

Il Consiglio nazionale del Partito Comunista Italiano, esaminata la situazione politica interna della zona liberata, apprezzando altamente lo sforzo fatto dai Comitati di liberazione e dalla giunta esecutiva per indirizzare e dirigere tutto il popolo all'azione per la liberazione del paese e per la distruzione di tutti i residui del regime fascista; considera però che nel momento in cui si avvicina la crisi finale della guerra e tutti i popoli in lotta per la libertà devono unire le loro forze per lo schiacciamento definitivo della Germania hitleriana, nel tempo più breve, l'esistenza in Italia, da una parte di un governo investito del potere ma privo di autorità perché privo dell'adesione dei partiti di massa, dall'altra parte di un movimento di massa autorevole ma escluso dal potere, nuoce allo sforzo di guerra del paese ed è esiziale all'Italia. Questa situazione infatti mentre alimenta la confusione e il disordine, mentre stanca e delude le masse del popolo e crea un ambiente favorevole agli intrighi reazionari e persino alla rinascita di un movimento fascista, allo stesso tempo indebolisce e discredita il nostro paese.

Il Partito comunista, consapevole della sua responsabilità davanti alla classe operaia ed al popolo intiero, ritiene che questa situazione deve essere rapidamente liquidata e propone di liquidarla:

1) mantenendo intatta e consolidando l'unità del fronte delle forze democratiche e liberali antifasciste;

2) assicurando formalmente il paese che il problema istituzionale verrà risolto liberamente da tutta la nazione, attraverso la convocazione di una assemblea nazionale costituente, eletta a suffragio universale diretto e segreto, subito dopo la fine della guerra;

3) creando un nuovo governo, di carattere transitorio ma forte e autorevole per l'adesione dei grandi partiti di massa: un governo capace di organizzare un vero e grande sforzo di guerra di tutto il paese e in primo luogo di creare un esercito italiano forte che si batta sul serio contro i tedeschi; un governo capace, con l'aiuto delle grandi potenze democratiche alleate, di prendere delle misure urgenti per alleviare le sofferenze delle masse e fare fronte con efficacia ai tentativi di rinascita della reazione;

4) assicurando a tutti gli italiani, qualunque sia la loro convinzione o fede politica, sociale e religiosa, che la nostra lotta è diretta a liberare il paese dagli invasori tedeschi, dai traditori della patria, dai responsabili della catastrofe nazionale, ma che nel fronte della nazione c'è posto per tutti coloro che vogliono battersi per la libertà d'Italia e che domani tutti avranno la possibilità di difendere davanti al popolo le loro posizioni.

Il Consiglio nazionale del Partito Comunista Italiano dà mandato ai rappresentanti del partito di esporre e difendere questa linea politica nella giunta esecutiva e nei Comitati di liberazione; invita i compagni, gli operai, i lavoratori e tutti gli antifascisti conseguenti, sinceri, combattivi e coscienti della loro responsabilità, a unirsi e a lottare finché l'Italia, partecipando attivamente e con tutte le sue forze alla guerra contro la Germania hitleriana, avvicini l'ora della sua definitiva liberazione, l'ora in cui tutto il popolo potrà accingersi alla costruzione di un governo democratico progressivo che sani le piaghe lasciate da vent'anni di tirannide fascista e renda la nazione italiana completamente libera e padrona dei suoi destini (6)."
Al Consiglio nazionale di Napoli avevano partecipato al completo il Comitato provinciale di Napoli e le delegazioni: della Sicilia con alla testa Umberto Fiore, della Calabria diretta da Fausto Gullo, delle Puglie con Luigi Allegato, Antonio Di Donato, Giuseppe La Torre e Raffaele Pastore, della Lucania con Michele Mancino. L'assemblea nominò una nuova direzione del PCI della quale entrarono a fare parte con Palmiro Togliatti, segretario generale, Velio Spano, Eugenio Reale, Umberto Fiore, Fausto Gullo, Antonio Di Donato e Marcello Marroni.

Dal Consiglio nazionale del PCI alla "svolta" di Salerno il cammino fu rapido. L'iniziativa di Togliatti scoppiò come una bomba suscitando negli altri partiti della giunta e del CLN vivaci discussioni, ma i più non poterono disconoscerne il realismo; ne accettarono l'impostazione e comunque ne subirono l'influenza.

L'iniziativa e la linea politica di Togliatti furono naturalmente discusse, e sarebbe strano se così non fosse stato, dai due gruppi di direzione del PCI dell'Italia occupata, quello residente a Roma e quello di Milano.
A questa discussione, conclusasi peraltro unitariamente, si è accennato in recenti pubblicazioni sulla storia del PCI: pertanto, senza sopravvalutarne l'importanza, riteniamo che ai fini di un giudizio obiettivo sia utile dare i riassunti completi di tutti gli interventi quali risultano dai verbali della direzione del PCI.
Ognuno potrà ancora una volta constatare come, specie nei momenti cruciali, non siano mancati negli organismi dirigenti del PCI né i dibattiti, né la dialettica interna. […]

Vineis [Secchia]. La prima questione che voglio porre è quella di vedere che cosa noi dobbiamo fare per realizzare la nostra politica. Dobbiamo innanzitutto cercare di comprendere il valore e l'importanza della via indicata al nostro partito e al popolo italiano dal compagno Ercoli e fare di tutto perché su questa strada si marci.

Noi siamo favorevoli a tutto ciò che rafforza la guerra contro la Germania e contrari a tutto ciò che la indebolisce: è necessario porre attenzione non solo alla prima parte, ma anche alla seconda di questa asserzione. Il che significa che se dobbiamo fare di tutto per realizzare l'unità di tutte le forze sane della nazione per l'annientamento del nazifascismo, dobbiamo continuare la lotta contro le forze antinazionali, contro i collaborazionisti con i tedeschi, contro i capitolardi ed i traditori. Anche in passato quando reclamavamo un governo del CLN e lottavamo per la eliminazione della direzione Badoglio, lo facevamo in vista di rafforzare la guerra contro la Germania. Noi non facevamo una questione "morale", ma ritenevamo che Badoglio non fosse in grado di mobilitare tutte le forze sane del paese e di dirigere la guerra contro i tedeschi. Ricordiamoci che nel settembre scorso Badoglio non godeva alcun prestigio perché, oltre alla complicità col regime fascista, era direttamente responsabile di avere aperto le porte del nostro paese all'invasore tedesco.

Oggi noi dobbiamo realizzare l'unità di tutte le forze nazionali, sarebbe però un errore ritenere che in Italia non vi siano altre forze antinazionali all'infuori di coloro che apertamente si proclamano fascisti repubblicani. Ercoli parla di unire tutte le forze "sane" del paese, tutte le forze veramente nazionali, il che significa che vi sono nel paese delle forze antinazionali che dobbiamo combattere perché esse costituiscono un ostacolo, un indebolimento della lotta contro la Germania. Sono ad esempio antinazionali gli industriali collaborazionisti con i tedeschi, gli alti ufficiali, sedicenti badogliani, che apertamente collaborano con i fascisti nella caccia ai patrioti ed ai partigiani combattenti.
L'unità di tutte le forze nazionali non la si realizza allargando solo verso destra, ci sono ancora notevoli forze di massa che non sono rappresentate nei CLN, di qui la necessità della creazione dei CLN di massa.

La seconda questione è quella di vedere se la politica seguita dal partito è stata giusta o sbagliata, e sino a qual punto è stata giusta o sbagliata. Sono anch'io del parere che oggi sia troppo presto per poter fare un completo ed approfondito esame autocritico, perché molti elementi della situazione ancora ci mancano per poter dare un giudizio definitivo. Tuttavia qualcosa si può già dire.

Ritengo che l'iniziativa presa dal compagno Ercoli non significhi affatto condanna della linea politica seguita dal partito. La linea politica seguita dal partito è stata fondamentalmente giusta. Affermare questo non significa rifiutarsi di fare l'autocritica, perché l'autocritica si può fare anche se una politica è stata fondamentalmente giusta. Errori ed insufficienze nella nostra politica ci sono certamente stati, ma ritengo che noi dovevamo porre il problema della direzione dei CLN. Dovevamo fare di tutto per eliminare dal governo le forze conservatrici-reazionarie che erano un elemento di debolezza per la condotta della guerra contro la Germania. Non potevamo sin dall'inizio rinunciare alla direzione. I rapporti di forza ci sembravano favorevoli. Non solo in Italia tutte le forze democratiche popolari erano antibadogliane, ma anche le forze democratiche internazionali agivano nel senso di riuscire a realizzare in Italia un governo democratico (accenna alle decisioni della Conferenza di Mosca).

Il nostro atteggiamento è valso d'altronde a provocare spostamenti e concessioni da parte delle forze badogliane-monarchiche. La nostra politica ha ottenuto dei risultati. Il nostro errore è stato quello di fossilizzarci, di rimanere sulle nostre posizioni anche allorquando la situazione dimostrò che era impossibile riuscire a realizzare un governo esclusivamente del CLN. Specialmente dopo Bari avremmo dovuto accorgerci che si era creato un vicolo cieco dal quale bisognava uscire al più presto. Noi avremmo dovuto mutare prima. In questo senso dobbiamo farci l'autocritica e non in quello indicato da Gino (Negarville, n.d.r.) e dagli altri due compagni di Roma.

Altro errore fu l'insufficiente attività per realizzare l'unità d'azione con le forze estranee al CLN. È vero che noi dicevamo che nel fronte della lotta contro la Germania c'era posto per tutti, anche per i monarchici ed i badogliani, ma praticamente abbiamo fatto molto poco in questa direzione, né abbiamo visto il problema del come legare organicamente queste forze.

La terza questione alla quale voglio accennare è questa: in che cosa è consistita la nostra politica? Non condivido il giudizio di Gino secondo il quale si tratta di salvare il nostro partito dal vicolo cieco. Questo non è vero per l'Italia occupata dove il partito in questi mesi è riuscito a scatenare una notevole lotta di massa contro i tedeschi ed i fascisti. La politica del nostro partito non si è esaurita nella polemica contro Badoglio, com'è avvenuto nell'Italia liberata. A Roma si è parlato di errore di tutta la nostra politica passata. Questo giudizio non è giusto. Ma in che cosa consiste per i compagni di Roma la politica del partito? Sono parte fondamentale di questa politica gli scioperi che abbiamo condotto, culminati nello sciopero generale di marzo, le azioni dei Gap, l'organizzazione delle brigate Garibaldi e la condotta della guerra partigiana.
Nell'Italia occupata, l'attività preminente del nostro partito è stata quella della condotta della guerra contro la Germania e contro il fascismo. Ecco perché il nostro bilancio è positivo. […]


Nascita di una nuova democrazia (da La Nostra Lotta, n. 11 del 10 luglio 1944)

«Nel fuoco della lotta nazionale contro l'oppressore, nella partecipazione delle larghe masse popolari alla guerra di liberazione, nasce bagnata dal sangue dei caduti e consacrata dall'eroismo dei combattenti: la nuova democrazia italiana.
Quest'atto di nascita è garanzia di vita sicura e liberi e progressivi sviluppi. Il popolo presente oggi nella guerra per l'indipendenza farà sentire domani nella ricostruzione politica e sociale del paese la sua volontà. Già oggi mentre ferve la battaglia si pongono le fondamenta della nuova democrazia italiana. Prima fra tutte, segno caratteristico di un regime che sarà diretta espressione della volontà popolare, è questa larga partecipazione delle masse che si attua oggi nella lotta e che dovrà dare domani il tono a tutta la politica italiana, e costituire il sicuro presidio di ogni conquista democratica.»
L'articolo elencava le grandi lotte combattute, dagli scioperi del marzo 1943 alle azioni partigiane, allo sciopero generale in tutta l'Italia occupata, lotte che avevano mobilitato e risvegliato alla vita politica larghe masse di giovani, di donne, di operai, contadini e lavoratori, che avevano portato alla creazione di nuovi organismi rappresentativi: comitati di agitazione, comitati di difesa dei contadini, Gruppi di difesa della donna, Fronte della gioventù, ecc., per concludere sulla necessità di sviluppare ancora di più questa opera di riorganizzazione delle larghe masse, ed opporsi a qualsiasi tentativo di soffocarla e deviarla.

«Né questo movimento di massa che deve affondare le sue radici assai profondamente può essere imbrigliato e contenuto nei limiti ristretti dei partiti politici. [...] I partiti non possono che inquadrare una parte delle energie che vengono espresse dalle masse popolari in questo loro ingresso nella vita politica. Il Partito comunista, che ha l'orgoglio di essere stato alla testa di questo movimento popolare, e che ha visto i suoi effettivi moltiplicati per l'afflusso di nuovi militanti, non pretende affatto di contenere entro i suoi ranghi tutto questo afflusso di nuove forze politiche espresse dal popolo. Accanto ai militanti comunisti od ai militanti di altri partiti antifascisti, ci sono migliaia e migliaia di operai, contadini, intellettuali che sono dei nuovi quadri del movimento popolare, degli attivisti delle formazioni partigiane, dei comitati di agitazione, dei comitati di contadini, dei Gruppi di difesa della donna, del Fronte della gioventù, che non sono iscritti a nessun partito. Ma ciò non vuol dire che essi non possano, ed anzi non debbano esercitare una seria influenza e contare sulla direzione del movimento popolare, e questo per necessità stessa della lotta, oltre che per un'esigenza strettamente democratica.

I Comitati di liberazione nazionale che sono stati sinora soltanto una coalizione dei partiti antifascisti, non possono non tener conto di questa nuova realtà che si è venuta creando in questi mesi di lotta. Un anno fa i partiti antifascisti rappresentavano le sole forze politiche organizzate nel paese; ma nel corso di quest'anno delle energie e delle forze nuove si sono affermate.
È necessario perciò che i Comitati di liberazione nazionale, pur mantenendo e rafforzando i vincoli unitari che uniscono i partiti antifascisti, si colleghino strettamente con tutte le organizzazioni di massa che si sono formate e stabiliscano uno stretto e diretto contatto con le masse in movimento in modo da essere sempre più l'espressione della volontà popolare. [...]

Da questo allargamento della sua base popolare, il movimento dei Comitati di liberazione avrà tutto da guadagnare: aumenterà la sua forza, la sua autorità, la sua capacità di guidare realmente le masse nella lotta ed assolvere i gravi compiti che gli pone l'attuale situazione insurrezionale.
Ed i partiti politici antifascisti non possono certo temere questo allargamento del movimento. Si tratta di un processo di approfondimento ed allargamento della vita politica e di formazione di nuovi quadri che costituisce l'essenza di quella democratizzazione della vita politica che è la condizione prima della rinascita nazionale. [...]
Si profilano così, ancora in mezzo al fumo del campo di battaglia, i lineamenti di quella che sarà la nuova democrazia italiana. Il carattere di un regime democratico non è dato tanto dalla forma dei suoi istituti, quanto dai rapporti tra le varie forze, dai modi della vita politica, e sostanzialmente dal grado di reale partecipazione a questa delle grandi masse popolari.
La democrazia prefascista fu facilmente battuta dalla reazione fascista appunto perché debole era il peso delle masse popolari, scarso il legame tra gli istituti e le masse. La democrazia di domani invece sarà forte ed aperta a tutti i progressi politici e sociali perché la creazione del popolo stesso, creazione che già si va attuando nei duri cimenti, ecc., ecc.»
Non ci limitammo ad accettare supinamente la "svolta" di Salerno, ma, nel momento stesso in cui si formava insieme a Badoglio un governo di unità nazionale, noi ponemmo con più forza e con maggiore chiarezza di prima la necessità di creare dei CLN che non fossero soltanto coalizioni di partiti, ma rappresentassero le larghe masse lavoratrici, ponemmo il problema di creare dei CLN periferici, quali organi di potere della nuova democrazia, della "democrazia progressiva aperta a tutte le conquiste".

Sulla portata della "svolta di Salerno" sono stati versati dalla Liberazione in poi fiumi di inchiostro, da una parte per accusare il PCI di essere il responsabile di "una rivoluzione mancata", di avere quanto meno salvato la monarchia, di avere impedito la costituzione di un governo veramente democratico e progressivo (magari con Benedetto Croce alla testa!), dall'altra per esaltare iperbolicamente la "svolta", quasi che Togliatti, come ha scritto R. Battaglia, fosse stato colto da "una specie di illuminazione improvvisa sulla via di Salerno" (15) e da essa e solo da essa fosse dipesa la salvezza e la liberazione del paese.

Sarebbe difficile sottovalutare l'importanza di quella iniziativa politica di Togliatti - "corrispondente in pari tempo all'interesse dell'Italia e a quello delle grandi nazioni democratiche alleate" (16) - e l'influenza che essa ebbe sugli sviluppi della politica italiana. La costituzione a Salerno del governo di unione nazionale dette una spinta vigorosa a tutto il processo unitario ed al potenziamento della guerra di liberazione: soprattutto a Roma e nei territori liberati dove la situazione era "bloccata" per l'acuto contrasto tra i partiti antifascisti sulla questione istituzionale che aveva determinato un'impasse certamente dannosa alla causa italiana. Ma nel Nord la situazione non era "bloccata"; il PCI e gli altri partiti di sinistra del CLNAI erano impegnati in grandi lotte di massa e militari, le formazioni partigiane avevano una notevole consistenza e non occupavano il loro tempo in astratte discussioni sull'assetto del domani, sui poteri da riconoscere o da negare alla monarchia. Nell'Italia occupata dai tedeschi non si poneva il problema di dare vita ad un governo unitario, poiché di fatto questo governo esisteva ed era rappresentato dal CLNAI e dai CLN periferici.

Formazioni partigiane cossiddette "autonome" e per lo più di orientamento liberale-monarchico già esistevano e, anche se rivendicavano la loro autonomia, collaboravano nella lotta con quelle garibaldine e di "Giustizia e libertà", con le Matteotti ed una parte di esse erano collegate col CLNAI e col Comando generale del CVL.

I rapporti con gli alleati, senza essere immuni da screzi e da reciproche diffidenze, erano di collaborazione; del tutto cordiali, quasi sempre, quelli tra le "missioni" alleate e la maggior parte delle formazioni partigiane tra le quali erano state paracadutate.

Le stesse discussioni in seno al CLNAI avvenivano su temi diversi che non nel Sud ed a Roma; le divergenze sorgevano sui problemi del presente, sul modo come condurre la guerra di liberazione, sul lavoro di organizzazione e di mobilitazione del popolo, sulla struttura che dovevano avere i CLN periferici e centrali (se dovevano essere concepiti quali organi di governo, struttura basilare del nuovo stato di domani, oppure no), i comandi partigiani e così via.
La situazione nel Nord era tale che gli stessi socialisti ed azionisti non poterono assumere e non assunsero l'atteggiamento preso dai loro compagni a Roma e difatti il CLNAI diede la sua adesione alla "svolta" politica del Sud (17).

Né dopo la "svolta" ci fu un maggior intervento da parte degli alleati o del governo italiano in aiuto al movimento partigiano del Nord ed a potenziamento della guerra di liberazione. Gli alleati non permisero di "organizzare (ad eccezione di poche unità al seguito delle loro armate) un vero e grande sforzo di guerra di tutto il paese e in primo luogo di creare un esercito italiano che si batta sul serio contro i tedeschi," come Togliatti aveva sperato. Al governo italiano non fu lasciata possibilità alcuna di aiutare concretamente la resistenza con l'invio o ottenendo si inviassero maggiori lanci nel Nord e tanto meno lanciando paracadutisti, reparti aviotrasportati, mezzi pesanti da guerra, ecc..

Tutte le "zone libere" furono liberate dai partigiani del Nord quando già c'era un governo di unità nazionale, nel corso dell'estate e dell'autunno, e nessuna di esse poté ricevere (malgrado avessero per prima cosa preparato dei campi di atterraggio per aerei) un aiuto concreto per poter rafforzarsi e resistere. Ancora nel novembre 1944, quando la missione del CLNAI si recò a Roma e fu ricevuta dal presidente e poi dal Consiglio dei ministri, il governo italiano si limitò a dichiarare la propria incompetenza ad affrontare le situazioni dei territori invasi, soggetti esclusivamente, in quanto zona di operazioni, all'autorità militare alleata; la missione avrebbe quindi dovuto trattare da sola con gli anglo-americani (18).

Lo stesso Togliatti scrisse nel dopoguerra:
«Non fu soltanto la svolta di Napoli, cioè non fu soltanto la posizione presa dal partito nella zona già liberata dopo il ritorno a Napoli di Togliatti, che cambiò il corso delle cose. Fu tutta l'attività dei comunisti tra il popolo e nei contatti con gli altri raggruppamenti politici. [...] I compiti più gravi si posero nelle regioni occupate dai tedeschi per l'organizzazione della resistenza di tutta la popolazione e la lotta armata contro i fascisti e gli invasori stranieri. Per risolvere questi compiti non furono necessari soltanto enormi capacità di organizzazione, coraggio, spirito di sacrificio, eroismo. Le avanguardie operaie e popolari prodigarono in questi campi veri tesori. Fu anche necessario, però, sin dal primo momento, lavorare e combattere a passo a passo, nel contatto e in unione con altre forze politiche, per fare accettare da tutti le necessità e le responsabilità, per smascherare l'attesa inerte, il doppio giuoco e il tradimento, la viltà, e per trascinare gli altri con l'esempio, là dove non si riusciva col ragionamento. La vittoria insurrezionale del 25 aprile 1945 fu il risultato di due lunghi anni di questo lavoro, che non fu soltanto propaganda e organizzazione indispensabile alla preparazione dei combattimenti contro lo straniero, ma azione politica che preparava un rinnovamento d'Italia attraverso la stretta unione di tutti i cittadini di spirito democratico e patriottico.» (19)

Dal maggio in poi - è verissimo - noi nel Nord sottolineammo con maggiore forza l'importanza dell'unità come presupposto per una giusta direzione del movimento, ma non trascurammo mai (anche dopo la "svolta" di Napoli) di aggiungere che insieme all'unità era necessario operare per assicurare una giusta direzione alla lotta. Ancora nell'agosto 1944 scrivevamo:
Il posto d'avanguardia e di direzione nella lotta di liberazione nazionale non spetta di diritto al nostro partito. Questo posto il nostro partito se lo deve conquistare e se lo conquista ogni giorno con l'esempio, con l'opera di convinzione, con la lotta e con l'azione (20).

Anche dopo la "svolta" di Napoli e di Salerno, se più grande fu lo sforzo unitario, non venne mai meno la nostra attenzione sulla direzione da imprimere al movimento, all'obiettivo: lotta per una democrazia progressiva. Valga per tutte la posizione che assumemmo per fare dei CLN degli organismi rappresentativi delle masse e degli organi di potere, ed ancora alla vigilia dell'insurrezione (ne parleremo piu avanti), il 10 aprile 1945, con la famosa direttiva n. 16. Guai se in quei giorni ci fossimo lasciati invischiare dal feticismo dell'unità e se per timore di urtare questo o quest'altro personaggio o gruppo politico avessimo capitolato di fronte a coloro che manovravano per impedire l'insurrezione!

Infine non risponde a verità l'affermazione fatta da diverse parti che noi dopo la "svolta" di Napoli, per le esigenze della lotta unitaria, accantonammo le istanze sindacali, le rivendicazioni economiche e sociali.
Non accantonammo mai la lotta di classe, gli scioperi si susseguirono sino all'ultimo. Certo vi era un interesse generale della nazione col quale dovevano essere coordinati gli interessi particolari, ma noi comunisti non ritenemmo mai che gli interessi della classe operaia fossero in contrasto con quelli nazionali. Al contrario, la lotta di classe potenziava la lotta di liberazione nazionale. Riuscimmo a fare accettare dal CLNAI il principio, ma soprattutto la pratica, dei grandi scioperi e dello sciopero generale! (21) Sempre dall'inizio alla fine della guerra la Resistenza italiana fu caratterizzata dall'intrecciarsi della lotta armata con le lotte di massa. Tutti gli scioperi politici organizzati durante la Resistenza partivano ed avevano come base delle rivendicazioni economiche, sociali. La lotta era indirizzata contro i nazifascisti e contro i grandi industriali collaborazionisti. Le direttive in tal senso erano chiare ed esplicite.


Note:

1) Unità, ed. dell'Italia meridionale, gennaio 1944
2) Unità, ed. dell'Italia meridionale, gennaio 1944
3) "Quando occorre tenere in mano una caffettiera bollente, è meglio non rompere il manico finché non si è sicuri di averne un altro egualmente comodo e pratico e comunque finché non si abbia a portata di mano uno strofinaccio. I rappresentanti dei vari partiti italiani che si sono riuniti 15 giorni fa a Bari sono naturalmente bramosi di diventare il governo d'Italia. Certamente essi non hanno alcuna autorità elettiva e certamente non avranno alcuna autorità costituzionale sino a che l'attuale re abdichi, o egli stesso o il suo successore non li invitino ad assumere questo ufficio. Non è affatto sicuro che essi avrebbero qualche effettiva autorità sulle forze armate italiane attualmente combattenti assieme a noi. L'Italia giace prostrata sotto le sue miserie e le sue sventure" (dal discorso di Churchill ai Comuni, 22 febbraio 1944).
4) Dai giornali dell'epoca.
5) Dai giornali dell'epoca; v. anche Agostino Degli Espinosa, Il Regno del Sud, Firenze, Parenti, 1955, p. 374
6) Per la libertà e l'indipendenza d'Italia. Relazione della direzione del PCI al V Congresso, Roma, edizioni Unità, 1945.
15) R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, cit., p. 221.
16) Palmiro Togliatti, Discorso al Modernissimo di Napoli, 11 aprile 1944, riportato in La via italiana al socialismo, Roma, Editori Riuniti, 1964, p. 50.
17) "[...] Ciò che nell'Italia del Sud era stato considerato un 'colpo di scena', che a Roma aveva dato luogo ad una violenta polemica sfociando infine nel rinsaldamento, almeno formale, del fronte antifascista, ebbe nel Nord un effetto diverso, come diversa era la situazione sul campo di battaglia dove già i monarchici ed i repubblicani combattevano fianco a fianco." R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, cit., p. 280.
La diversità di situazione viene colta e riassunta chiaramente anche da Leo Valiani quando scrive: "Il Comitato centrale di liberazione, nella situazione di Roma assediata, era ridotto ad un'attività simbolica. Ma essa non corrispondeva alla situazione del Nord. Da parecchi mesi tutto il nostro sforzo era volto a fare del CLN dell'Alta Italia un effettivo potere popolare governativo, un governo segreto riconosciuto dalla popolazione. Avevamo dietro a noi un esercito partigiano effettivo, delle masse popolari effettivamente in moto, perfino degli organi esecutivi di amministrazione rivoluzionaria. Con gli alleati eravamo in effettivi quotidiani rapporti di cobelligeranza che potevano tradursi da un momento all'altro in cooperazione strategica della massima importanza.
Sconfessare pubblicamente e lacerare gli impegni regolarmente assunti dal Partito d'Azione nel Sud, per gli amici di Roma significava solo una protesta diplomatica e morale, ma per il Nord avrebbe significato una scissione effettiva nel seno delle forze belliche effettive. I diplomatici possono sottilizzare sul valore di una firma, come quella data a Napoli, ma non può farlo chi ha la responsabilità di un esercito, sia pure quello partigiano." L. Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, cit., p. 238.
18) Franco Catalano, La missione del CLNAI nel Sud, in Il movimento di liberazione in Italia, maggio 1955, n. 36.
Charles F. Delzell, I nemici di Mussolini, Torino, Einaudi, 1962, p. 442.
19) Trent'anni di vita e di lotte del PCI, "Quaderno di Rinascita," 1951, testo non firmato, ma sicuramente di P. Togliatti, p. 153.
20) L’Unità garanzia della vittoria, La Nostra Lotta, a. II,  25 agosto 1944, n. 14.
21) “Le nostre organizzazioni devono prendere in seria considerazione la situazione delle masse popolari, i loro bisogni immediati, le loro rivendicazioni urgenti. Le concessioni strappate sinora sono irrisorie. L’agitazione economica per le rivendicazioni immediate degli operai, dei contadini, dei lavoratori, deve continuare, allargarsi, trasformarsi in possente movimento di massa, in scioperi, manifestazioni di strada. La difesa dei bisogni immediati delle masse si indentifica perciò nella lotta per la cacciata dei tedeschi e dei fascisti.” Luigi Longo, rapporto presentato alla Conferenza dei Triumvirati insurrezionali, in La Nostra Lotta, a. II, 25 novembre 1944, n. 19-20.