inizio rosso e giallo


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Boileau & Narcejac


Un po' come con Aveline, per i lettori italiani anche Pierre Boileau (1906 - 1989) e Thomas Narcejac (pseudonimo di Pierre Ayard, 1908 - 1998), sono in seconda fila nel panorama poliziesco, ed è un vero peccato.

Intanto va detto che la coppia non è da considerarsi solo tale, perché entrambi hanno avuto una propria produzione autonoma (e infatti più avanti riproduciamo un testo del solo Narcejac): ciascuno dei due scrittori, individualmente, è stato premiato col prestigioso “Grand Prix du Roman d’Aventures”.

I lavori più interessanti, comunque, sono stati certamente scritti a quattro mani, sia come romanzi che come soggetti o sceneggiature scritti espressamente per il cinema.
Da ricordare anche la produzione di romanzi per i ragazzi (la serie di Sans Atout pubblicata da Mondadori).

Alcuni film tratti dai loro libri:


  • 1955: I diabolici (da Celle qui n'était plus), di Henri-Georges Clouzot, con Simone Sigoret, Michel Serrault, Vera Clouzot, Paul Meurisse.
  • 1958: Vertigo (da La donna che visse due volte), di Alfred Hitchcock, con James Stewart e Kim Novak: forse il film più bello di Hitchcock, che si avvalse della collaborazione di Bernard Herrmann, per la colonna sonora, e di Saul Bass per la sequenza grafica introduttiva. I toni angosciosi tipici di altri film qui non vengono compensati con il consueto finale lieto e ordinato.
  • 1993: Entangled (da I vedovi), di Max Fischer, con Pierce Brosnan, Roy Dupuis, Laurence Treil.
  • 1996: Diabolique (remake de I diabolici), di Jeremiah Chechick, con Sharon Stone e Isabelle Adjani


Per una bibliografia completa si veda genovalibri.it, qui ricorderemo solo i libri più importanti, tradotti in italiano:

  • Gli indemoniati (Celle qui n'était plus, 1952), Il Romanzo per tutti, 1955, o I diabolici, Mondadori, 1981; Fazi, 2003; Adelphi, 2014
  • Il paese dell'ombra (Les Visages de l'ombre, 1953), Il Romanzo per tutti, 1955
  • In fondo al pozzo, Il Romanzo per tutti, 1955
  • La donna che visse due volte (D'entre les morts, 1954), Garzanti, 1958; Mondadori, 1977; Sellerio, 2003; Adelphi, 2016
  • Il quarto colpo (L'ingénieur aimait trop les chiffres, 1958), Garzanti, 1960; Mondadori, 2009
  • Misterius (Les magiciennes, 1957), Garzanti, 1962; o Le incantatrici, Adelphi, 2015
  • Furto d'identità (Usurpation d'identité, 1959) Mondadori, 2019
  • Sepolcro d'acqua (Maléfices, 1961), Feltrinelli, 1964
  • Le vittime (Les victimes, 1963), Mondadori, 1997
  • Pezzi d'uomo scelti (…Et mon tout est un homme, 1965), Feltrinelli, 1967, 2015; Garzanti, 1974; Mondadori, 2015
  • Operazione Primula (Opération Primèvere, 1970), Sonzogno, 1973
  • Terminal (Terminus, 1980), Mondadori, 1992
  • Mr. Hyde (id., 1986), Mondadori, 1997
  • I vedovi (Les Veufs, 1970), Mondadori, 1998; Sellerio, 2006



  • ciclo di A. Lupin:

  • Il segreto d'Eunerville (Le Secret d'Eunerville, 1973), Sonzogno, 1974
  • La polveriera (La Poudrière, 1974), Sonzogno, 1976
  • Le Second visage d'Arsène Lupin, 1975
  • La Justice d'Arsène Lupin, 1992
  • Le Serment d'Arsène Lupin, 1995

 






    alcuni libri del solo Pierre Boileau (ed. Pagotto, 1950-51): scritti negli anni '30 e '40, si basano su solide strutture poliziesche ma risultano molto appesantiti da uno stile retorico, a effetto, quasi ottocentesco:



Thomas Narcejac

Introduzione a Il romanzo poliziesco

Perché il romanzo poliziesco viene spesso definito un genere «paraletterario»? Forse perché si regge su compromessi e indulgenze, o perché fa appello alle passioni più torbide? Considerazioni del genere, e altre che si potrebbero fare, non sono irrefutabili; molti infatti sostengono che non vi siano in letteratura generi minori, ma unicamente buoni o cattivi libri.
Cocteau scrive, nella sua premessa al Mystère de la chambre jaune (1) «Da lungo tempo, contro la letteratura poetica o realistica, ho cercato rifugio nei libri in cui l'autore ignora l'ossessione della poesia e della verità, il desiderio di elevarsi al di sopra di se stesso e, starei per dire, del disprezzo ostentato per un genere ritenuto indegno della sua penna, mentre la verità è che guardare molto, troppo, in alto è fuorviante.» La frase è suggestiva, ma Cocteau, come accademico, non avrebbe certamente speso una parola per Gaston Leroux, se quest'ultimo avesse avuto l'idea di porre la propria candidatura all'Accademia di Francia.
In linea di massima si può dire che il romanzo poliziesco gode spesso di grande stima, ma non viene mai preso sul serio. Dopo i complimenti di rito, un autore di romanzi polizieschi, se intervistato, si sente sempre porre la stessa domanda, breve ma molto eloquente: «Non ha mai provato a scrivere romanzi veri?» Tutti pensano, infatti, che il romanzo poliziesco non sia un vero romanzo, anche se poi nessuno saprebbe dire perché.
Lo scrittore di romanzi polizieschi sembra, del resto, in possesso esattamente delle qualità richieste al vero romanziere: immaginazione, spirito di osservazione, capacità di cogliere la vita in tutti i suoi aspetti, stile ecc. Devo confessare che anch'io l'ho creduto a lungo e ho anche cercato di dimostrarlo. (2) Avevo torto. È vero invece che il romanzo poliziesco è diverso dal romanzo tout court.
Per capire in che cosa consiste la differenza, ascoltiamo la voce di qualche romanziere, in colloqui raccolti e presentati da Jacques Borei in Romanciers au travaii:

Miller: «La qualità meno utile in campo artistico è la lucidità della coscienza. Quando si scrive, l'autore lotta per fare emergere ciò che egli stesso ignora.»
Faulkner: «Per me arriva sempre un momento, nella composizione di un'opera, in cui i personaggi acquistano una loro vita propria, indipendente, e si muovono da soli verso lo scioglimento della vicenda. In genere questo accade verso la pagina 275.»
Mauriac: «I miei cari colleghi, scrittori come me di romanzi, sembrano convinti che un buon romanzo debba seguire certe regole, ben precise, imposte dall'esterno... Un grande romanziere non dipende che da se stesso.»
E.M. Forster: Domanda: «Siete cosciente della vostra abilità tecnica?» Risposta: «La gente non può capire come si sia poco coscienti delle proprie cose, quanto spesso si proceda alla cieca, anche sul terreno più familiare.»
Simenon: «Un'opera d'arte non può essere scritta per piacere a una certa categoria di lettori (...). Scrivendo per fini commerciali, si sarà sempre costretti a fare qualche concessione (...). Io non so nulla dei fatti da narrare, prima di cominciare il romanzo.»
Hemingway : «A volte si conosce la storia. Altre volte la si inventa a mano a mano che si procede, senza avere idea di come si svilupperà.»
Robert Penn Warren: «Non si sceglie una storia: si è scelti da una storia (...). Quanto poi agli altri aspetti del piano di un'opera o del mestiere di scrittore, io cerco più che altro di immergermi, sia durante la composizione dell'opera sia durante il lavorio riflessivo preliminare, nell'atmosfera della storia e di coglierne tutti i possibili significati, anziché un piano predeterminato in tutti i suoi sviluppi.»
Lawrence Durrell: «Faccio ben pochi progetti, in partenza. All'inizio ho un certo numero di punti di riferimento, ma il grande pericolo, in questo genere di cose, è approdare a un esercizio letterario freddo e meccanico.»
Alberto Moravia: «Quando mi siedo al tavolo a scrivere, non so mai, prima di cominciare, che cosa accadrà. Ho fiducia nell'ispirazione.»
Nelson Algren: «Non si può abbozzare una trama e poi cercare di appiccicarvi sopra il testo.»
William Styron: «La maggior parte degli scrittori scrive semplicemente perché spinta da un bisogno interiore.»
Da questi testi emerge una convinzione ben precisa: il romanzo si sviluppa come un feto. Il romanziere lo porta in sé, lo nutre della sua sostanza, ma ignora, durante la gestazione, quale sarà il frutto. Niente progetti. Niente regole. L'intelletto non deve intervenire nell'oscuro travaglio della nascita.
Come dice Miller: «È dannoso riflettere.» E Durrell: «Si rischia di approdare a un esercizio letterario freddo e meccanico.» Per questo - non è inutile sottolinearlo - il romanziere ha la sensazione di essere un demiurgo. È a un tempo se stesso e più di se stesso. Si guarda creare. Se molti scrittori di romanzi polizieschi rivendicano con accanimento il titolo di romanzieri, è perché vogliono valorizzarsi, stimandosi creatori.
E tuttavia è evidente che uno scrittore di romanzi polizieschi non lavora affatto come un semplice romanziere. Ha bisogno di un piano, rispetta certe regole, sa in ogni momento dove è diretto. Approda allora a quell'«esercizio letterario, freddo e meccanico» di cui parla Durrell? Ecco la difficoltà. La creazione letteraria deve proprio essere inconscia?
Gli scrittori sopra citati sono tutti «vitalisti». Si ricorderà in che cosa consiste il vitalismo: esso sostiene che la vita «inventa» dei composti chimici, che la scienza è incapace di riprodurre in laboratorio. Le sintesi che la vita ottiene senza sforzo, in grazia di una facoltà misteriosa, la scienza, armata di tutte le risorse fisico-chimiche, non riuscirà mai a realizzarle, anche se ne conoscesse tutti gli elementi.
E ciò che è vero a livello di biologia, lo è pure a livello di letteratura. Una frase di Chateaubriand è molto più ricca delle parole che la compongono. In un personaggio di Proust c'è ben più di quanto non si rilevi analizzandolo. Questo quid in più emerge, probabilmente dall'inconscio. È pura intuizione, pura «ispirazione».
Eppure sono molti gli scienziati che rifiutano la spiegazione vitalista e sostengono che la vita non può essere altro che un felice accordo di atomi e di molecole, così come sono sempre più numerosi i criteri che cercano di forzare il mistero della creazione letteraria e di fondare, per così dire, la chimica del romanzo.
Il loro antenato più illustre, l'uomo che ha voluto dimostrare come l'invenzione letteraria, anziché sfuggire alla nostra presa, è solo il risultato di processi coscienti e perfettamente individuabili, è Edgar Poe.
Poe è stato, in letteratura, l'artefice di una rivoluzione identica a quella di Cartesio in filosofia. Cartesio aveva dimostrato che il pensiero, passando da un'idea chiara e distinta a un'altra idea chiara e distinta, era in grado di stabilire l'esistenza di Dio e di spiegare tutti i fenomeni della natura, eliminando così ogni residuo irrazionale dal processo conoscitivo. Poe, a sua volta, analizza la genesi della poesia e dimostra chiaramente che l'ispirazione è un prodotto di sintesi, i cui vari elementi sono il risultato non solo di una scoperta razionale, ma anche di una deduzione logica. E se il tutto sembra più ricco della somma delle sue parti, è semplicemente perché un tutto strutturato trasforma i propri elementi costitutivi in «dati caratteristici» e appare come un'«essenza» ricca di possibilità.
Come si ha «integrazione» si ha anche significazione globale e poesia. Ma ascoltiamo Edgar Poe: «Molti scrittori (...) preferiscono far credere che compongono con una specie di sottile frenesia o estatica intuizione, e certo rabbrividirebbero se dovessero consentire al pubblico di dare un'occhiata dietro la scena (...) e vedere le ruote e i rocchetti, i paranchi per i cambiamenti di scena, le scale e le trappole (...) tutto l'equipaggiamento che novantanove volte su cento costituisce la prassi comune dell'histrio letterario (...). Per quanto mi riguarda non (...) ho la minima difficoltà a ricordare il progressivo svolgimento delle mie composizioni (...). Scelgo The Raven (...). Mi propongo di dimostrare che nessuna parte dell'opera è frutto del caso o dell'intuizione e che il lavoro è progredito passo passo verso la conclusione con la precisione e la rigida conseguenza di un problema matematico.» (3)
Poe dimostra così che ogni parola di The Raven è stata scelta in base a ragioni ben precise e tutta la poesia è stata costruita partendo da considerazioni sulla necessità di produrre effetti ben determinati. Ora, ciò che è vero per la poesia, lo è ugualmente per il romanzo.
Il metodo è identico nei due casi. «Solo tenendo sempre presente il dénouement si può dare a un intreccio il necessario aspetto di coerenza o connessione causale.» (4) In altri termini, la storia deve essere scritta a rovescio, partendo dalla fine per immaginare via via gli episodi intermedi. «Posso dire che la mia poesia abbia avuto inizio dalla fine, dove ogni opera d'arte dovrebbe cominciare.» (5) Così Poe inventa il romanzo poliziesco.

C'è indubbiamente una parte di «bluff» in questo modo di concepire l'invenzione letteraria, e si può scommettere che la genesi di The Raven è stata concepita a cose fatte. L'importante, tuttavia, è che Poe sia stato creduto, che la sua spiegazione arrivasse in un momento in cui, come vedremo più avanti, sembrava ragionevole affrontare i misteri della natura con il giusto impiego di un metodo scientifico. Si poteva dunque, con fiducia, tentare di scrivere romanzi di nuovo genere, riprendere il controllo dell'immaginazione e obbligarla a inventare delle trame sotto il controllo costante della riflessione. Si poteva, in qualche modo, innestare su di essa la logica.
A ben considerare, si trattò di una rivoluzione notevole. C'era dunque la possibilità di raggiungere la concretezza della vita, partendo da una rigorosa consequenzialità della riflessione? I personaggi, le loro azioni, i loro sentimenti... si sarebbero potuti smontare e rimontare, in modo che risultasserò del tutto intelligibili senza cessare di essere reali? Proprio così. E questa fu l'ambizione del romanzo poliziesco, all'alba del XX secolo. Ben lungi dall'essere considerato un genere «minore», il romanzo poliziesco parve, al contrario, aprire una strada ancora inesplorata.
Se rompeva col romanzo tradizionale, era per arricchire la letteratura al contatto della scienza, dominando l'ispirazione, addomesticandola e facendola lavorare a comando, esattamente come si cominciava a fare con l'elettricità.
Per essere Balzac, per superarlo, era sufficiente «prendere la ragione per il suo giusto verso,» come, più tardi, doveva dire Rouletabille! Era meraviglioso: il romanzo poliziesco è nato in un'atmosfera di stupore.
È stato, per circa una trentina d'anni, il genere di romanzo preferito da una certa élite.
Dorothy Sayers sottolinea: «È interessante notare come sia notevole il fascino che il genere superiore (6) del romanzo poliziesco esercita sugli intellettuali in genere, tanto scrittori che lettori.» (7)
E John Carter: «Anche se la produzione del romanzo poliziesco cessasse domani, non potrebbe essere dimenticato, perché il suo successo dura da lungo tempo e in modo fecondo, avendo dato vita a un corpo di opere letterarie, che i Taine e Saintsbury del futuro non potranno passare sotto silenzio; è infatti noto che il romanzo poliziesco è la lettura preferita di uomini di stato, di professori delle nostre più antiche università: in conclusione, di tutta quella parte del pubblico, intellettualmente più viva.» (8)

E tuttavia non ha mai mantenuto le sue promesse. Molti critici pensavano che fosse in evoluzione. Bisogna invece dimostrare che il romanzo poliziesco non poteva conoscere evoluzione; in qualche modo, è stato prigioniero fin dal principio di una struttura complessa, le cui varie componenti si sono via via sviluppate - e da ciò l'illusione di una sua evoluzione come genere - ma la cui natura profonda è sempre rimasta immutata.
Il romanzo poliziesco non è stato mai né veramente scientifico, né veramente romanzesco. È stato ed è un'altra cosa, che né Edgar Poe né i suoi epigoni avevano previsto e che io chiamo una «macchina da leggere.» Per spiegare il funzionamento di questa strana macchina dovrò, però, svolgere una ricerca piuttosto ampia, talvolta con un taglio forse troppo accademico, di cui chiedo anticipatamente scusa.
Non è facile trattare seriamente di un argomento, tutto sommato, frivolo: si rischia fatalmente di passare dalla pedanteria al sottinteso, e viceversa. Se tuttavia, come spero, questa ricerca consentirà di comprendere meglio che cosa sia una letteratura «di consumo», allora merita, secondo me, di essere intrapresa.
Ho preso in esame soltanto i classici inglesi e americani: Freeman, E. Queen, D. Carr, Chesterton, ecc. Sono loro gli ispiratori della letteratura poliziesca nel suo insieme, inoltre hanno scritto opere molto tipiche. Per definire il genere del romanzo poliziesco, non è affatto necessario farne la storia: qualche sondaggio al momento buono sarà sufficiente a fornire le informazioni necessarie.



(1) G. Leroux, Mystère de la chambre jaune, 1905 (Il mistero della camera gialla, Milano 1967)
(2) Th. Narcejac, Estetique du roman policier, Parigi 1947; R. Caillois, Le roman policier, Parigi 1964
(3) E. A. Poe, The Philosophy of Composition (Filosofìa della composizione, in Opere Scelte, Mondadori, Milano 1971)
(4) ibid.
(5) ibid.
(6) II tipo inferiore sarebbe il thriller
(7) D. Sayers, The Omnibus of Crime, New York 1929
(8) J. Carter, Putting Crime on the Shelf, in The Art ofthe Mystery Story di H. Haycraft, New York 1946

da: Thomas Narcejac, Il romanzo poliziesco, Garzanti, 1976