Francis Durbridge



Insomma, ci s'è anche provato a leggere qualcuno dei polizieschi di Durbridge (1912-1998), ma... dupalle!
Comunque vada a lui un tot di riconoscenza, perchè qualcuno in RAI ebbe l'idea di attingere ai suoi romanzi per farne alcuni sceneggiati (qui un'analisi del fenomeno), destinati (quasi tutti) a restare nella storia della nostra televisione, anche perché interpretati dai migliori attori di prosa dell'epoca:

  • La sciarpa (1963), reg. Gu. Morandi, con Aroldo Tieri, Nando Gazzolo, Roldano Lupi, Francesco Mulè, Franco Volpi
  • Paura per Janet (1964), reg. D. D'Anza, con Ernesto Calindri, Valentina Fortunato, Aroldo Tieri, Massimo Girotti, Lia Zoppelli
  • Melissa (1966), reg. D. D'Anza, con Rossano Brazzi, Massimo Serato, Dina Sassoli, Aroldo Tieri, Turi Ferro
  • Giocando a golf una mattina (1969), reg. D. D'Anza, con Aroldo Tieri, Luigi Vannucchi, Andrea Checchi, Giuliana Lojodice, Luisella Boni
  • Un certo Harry Brent (1970), reg. L. Cortese, con Alberto Lupo, Ferruccio De Ceresa, Anna Maria Ackermann, Carlo Hintermann
  • Come un uragano (1971), reg. S. Blasi, con Alberto Lupo, Delia Boccardo, Corrado Pani, Renzo Montagnani, Adriana Asti, Nora Ricci
  • Lungo il fiume e sull'acqua (1973), reg. A. Negrin, con Sergio Fantoni, Nicoletta Machiavelli, Renato De Carmine, Giampiero Albertini
  • A casa, una sera... (1976) reg. M. Landi, con Nino Castelnuovo, Grazia Maria Spina, Tonino Bertorelli, Enrica Bonaccorti, Lia Tanzi
  • Dimenticare Lisa (1976), reg. S. Nocita, con Ugo Pagliai, Marilù Tolo, Emilio Cigoli, Carlo Enrici
  • Traffico d'armi nel Golfo (1977), reg. L. Cortese, con Giancarlo Zanetti, Renato De Carmine, Lorenza Guerrieri
  • Poco a poco (1980), reg. A. Sironi, con Flavio Bucci, Teresa Ann Savoy, Franco Fabrizi, Renato Scarpa, Diego Abatantuono

 


 

 

 

 

 

Elhitro Elhitro

C'era una volta la TV di qualità...

 

Il fiume scorre lentamente mentre un uomo, dalla sommità di un ponticello, spezzetta una pagnotta. Ai più attenti, la cosa pare non avere senso, in quanto, a causa delle dimensioni, ciò che viene lasciato cadere è difficilmente commestibile dai pesci che popolano il corso d’acqua.
Ben pochi, però, possono accorgersi di questo particolare, in quanto stanno scorrendo i titoli di testa di “Lungo il fiume e sull’acqua”, poliziesco tratto da un romanzo di Francis Durbridge, ed i telespettatori sono concentrati esclusivamente su quanto avrà inizio di lì a qualche minuto.
Siamo nel gennaio 1973 ed il giallista britannico, oramai da qualche anno, sta spopolando sulle reti televisive europee.
A questo proposito, come ricorda Luca Masali, quando anni addietro “la TV tedesca propone sei puntate per sei giorni di seguito di uno sceneggiato tratto da un suo romanzo, così tanta gente rimane chiusa in casa a seguire il telefilm che gli incassi dei cinema subiscono un tracollo impressionante, al punto che direttori di sale cinematografiche comprano pagine sui quotidiani locali per pubblicare il nome dell’assassino, sperando così di tagliare le gambe al pericoloso concorrente”.
L’espediente non riscuote grande successo e mette a repentaglio l’incolumità degli impianti gestiti dagli improvvidi inserzionisti, presi d’assalto da telespettatori inferociti.
Per quanto ci concerne, come fa del resto lo stesso Masali, prendiamo con le proverbiali molle questo aneddoto, limitandoci ad iniziare la narrazione dall’anno di grazia 1963, in cui la RAI trasmette i primi sceneggiati tratti da un romanzo del nostro Francis: “La sciarpa”, che prende le mosse dall’omicidio di una ragazza assassinata in un sobborgo di Londra proprio con una sciarpa, e “Paura per Janet” le cui vicende ruotano intorno alla scomparsa di una bimba, probabilmente rapita. In “cabina di regia” siedono Guglielmo Morandi (“La sciarpa”) e Daniele D’Anza (“Paura per Janet”) che si avvalgono di interpreti di primo piano: Aroldo Tieri, Franco Volpi, Renata Mauro, Nando Gazzolo, Roldano Lupi, Ernesto Calindri, Massimo Girotti, Lia Zoppelli.
Incoraggiati dai riscontri di gradimento ottenuti, nel 1966 si replica con “Melissa”, e non badando a spese si girano esterni su suolo inglese, si conferma l’ottimo D’Anza e si scrittura un cast di attori di assoluto livello che annovera Rossano Brazzi, divo holliwoodiano, ed autentiche icone del cinema e del teatro italiano - Aroldo Tieri, Laura Adani, Turi Ferro -, perfettamente supportati da interpreti del calibro di Franco Volpi, Massimo Serato, Luisella Boni, Dina Sassoli e Stefano Satta Flores.
La vicenda, a dir poco intricata, prende spunto dall’omicidio di Melissa Foster (ben interpretata dalla nobildonna Smeralda Giovanna Amelia Palma Maria Ruspoli di Poggio Suasa, in arte, più brevemente, Esmeralda Ruspoli) che viene ritrovata assassinata in Regent’s Park, proprio mentre suo marito Guy - con una spiccata propensione a vestire i panni del principale sospettato - si ritrova a chiedere informazioni stradali ai poliziotti che hanno rinvenuto il cadavere.
Il successo è meritatamente travolgente, tanto che il Telegiornale dedica allo sceneggiato un servizio da cui trapela che il finale girato è stato più d’uno, onde evitare eventuali fughe di notizie.
Qualcuno opinerà, giustamente, che per conoscere l’epilogo di un romanzo basti leggere il libro, ma non sempre è così, in quanto, per esigenze di genere televisivo, l’esito finale può subire mutamenti anche sostanziali.
Tre anni dopo è la volta di “Giocando a golf una mattina” che s’impernia attorno alle vicende conseguenti un tragico avvenimento: la morte accidentale su un campo da golf di Bob Kirby, “vecchia gloria” dello sport britannico in fatto di tennis ed, ovviamente, di golf.
L’unico a non credere a questa versione dei fatti, accettata dagli inquirenti anche perché forse più comoda e plausibile di altre, è Jack, fratello del morto, nonché ispettore di Scotland Yard.
Gli eventi, dopo innumerevoli colpi di scena, che lo vedranno “infilarsi” in frangenti a dir poco compromettenti e ad inciampare in più d’un cadavere, alla fine gli daranno ragione.
La regia è ancora affidata a Daniele D’Anza ed i protagonisti sono tutti di ottima caratura, a partire da Aroldo Tieri (sempre lui!), Luigi Vannucchi, Andrea Checchi, Mario Carotenuto, Luisella Boni, Gastone Bartolucci, Marina Berti e Sergio Graziani, raffinato attore, nonché abile doppiatore.
Gratificati dal meritato successo, alla RAI si decide di replicare l’anno seguente con “Un certo Harry Brent”, altro prodotto televisivo di altissima qualità, a partire dal brano che fa da colonna sonora ai titoli di testa, “Roots of oak”, interpretato da Donovan.
Rimarchevoli sono i primi minuti dello sceneggiato in cui non viene praticamente proferita battuta, limitandosi ad indugiare sugli sguardi profondi dell’impareggiabile Alberto Lupo, ed il “riassunto delle puntate precedenti” illustrato da disegni di fattura tipicamente anglosassone.
A partire dall’inspiegabile omicidio di Samuel Felding, piccolo industriale con l’hobby delle invenzioni, all’epilogo che ha la storia, è tutto un fiorire di colpi di scena che sconcertano continuamente il telespettatore.
Il lieto fine che ha caratterizzato “Giocando a golf una mattina” purtroppo non si ripete e la tristezza che si legge negli occhi di di Susan Bates (interpretata da Claudia Giannotti), mentre scorrono i titoli di coda, accomuna la fidanzata di Harry Brent agli spettatori amareggiati dalla sorte toccata al protagonista principale.
Daniele D’Anza è rilevato dal poliedrico Leonardo Cortese, che sino a qualche anno prima ha alternato con successo l’attività di regista a quella di attore e doppiatore.
Come oramai consuetudine, il cast è sontuoso. Accanto ai già citati Alberto Lupo e Claudia Giannotti è tutto un fiorire interpreti di ottima levatura: Carlo Hinterman, Roberto Herlitzka (grande vecchio del teatro italiano, all’epoca poco più che trentenne), Ferruccio De Ceresa, Marzia Ubaldi, Walter Maestosi, Anna Maria Ackermann, Enzo Garinei e Valeria Fabrizi -che interpreta anche il brano di chiusura, “Un Amico”, scritto, insieme a Reed ed a Cortese, dal marito Tata Giacobetti, uno dei componenti del mitico Quartetto Cetra-.
Nel 1971 tocca a “Come un uragano”, in cui, tra cadaveri che scompaiono per poi riapparire altrove, amanti pericolosamente inaffidabili, attività illecite, mariti fedifraghi di scarsa fantasia, signorine attempate con l’hobby del ricatto e mefistofelici insospettabili, trascorrono spedite le cinque puntate, lasciando nello spettatore un irrisolto interrogativo: chi è e che ruolo ha nella vicenda il clown che appare nei primi fotogrammi dello sceneggiato e che l’ispettore John Clay prende a bordo della sua auto alla fine dell’ultima puntata?
Anche in questa occasione, sono messi a disposizione del regista Silverio Blasi validissimi interpreti, ad iniziare dall’impareggiabile Alberto Lupo (una volta tanto single), per proseguire con gli ottimi Corrado Pani, Delia Boccardo, Renzo Montagnani, Adriana Asti, Renato De Carmine e Sergio Rossi.
Nel 1973, è proprio la volta di “Lungo il fiume e sull’acqua”, a cui la regia di Alberto Negrin conferisce un ritmo particolarmente compassato, ispirandosi, forse, al lento fluire delle acque su cui si svolge una vicenda che, partendo dall’inspiegabile omicidio di Paolo Morani, rinvenuto cadavere su una casa galleggiante, ha il suo termine con lo sconcertante finale in cui vengono alla luce tutte le frustrazioni che hanno spinto a delinquere un “uomo normale”, dall’apparenza distinta. Le musiche di Roberto De Simone, in assoluto non disprezzabili, ma in alcuni momenti assolutamente irritanti, non aiutano a sveltire una narrazione a volte a dir poco sonnolenta.
Degna di menzione è “Vincent” (sulle cui note scorrono sia i titoli di testa che di coda), scritta ed interpretata da Don Mc Lean, che, insieme a “Diana” che chiudeva “l’uragano” di due anni prima, passa alla storia come una delle più belle canzoni da sceneggiato poliziesco.
Decisamente buona, anche questa volta, la prova offerta dai vari Sergio Fantoni, Giampiero Albertini, Renato De Carmine, Nicoletta Machiavelli, Laura Belli, Nicoletta Rizzi e dall’eclettico Daniele Formica, il più autenticamente british di tutta la compagnia.
Il mezzo passo falso di “Lungo il fiume e sull’acqua”, in termini di qualità, non di audience, ed i tempi che stanno cambiando, inducono probabilmente la RAI a prendere una pausa di riflessione triennale.
Soltanto nel 1976, infatti, si replica con “Dimenticare Lisa” che prende spunto dal fortuito incontro tra un ricco antiquario britannico residente a Napoli ed una signora tanto misteriosa quanto affascinante, sull’aereo che da Londra li conduce nella città partenopea.
Ovviamente, nel più autentico stile durbridgiano, nell’arco delle tre puntate ne accadono di tutti i colori e lo spettatore può gustare un prodotto televisivo che, tranne nel finale (un tantinello affrettato), può essere considerato di buon livello.
L’originalità di questo sceneggiato sta, soprattutto, nella ambientazione data da Durbridge, in quanto la vicenda si svolge, prevalentemente, tra Napoli e la costiera sorrentina.
Come consuetudine, gli interpreti diretti da Salvatore Nocita - Ugo Pagliai, Marilù Tolo, Paola Gassman, Marianella Lazlo, Sergio Rossi, Carlo Enrici - si disimpegnano con consumata maestria.
L’anno successivo va in onda “Traffico d’armi nel golfo”, anch’esso ambientato in Campania, che prende le mosse in una pensione di Castellamare di Stabia, dove l’archeologo inglese Tim Frazer, che da qualche anno lavora a Pompei, ha un appuntamento con un suo vecchio amico che deve restituirgli dei soldi.
Sul luogo dell’incontro, però, invece dell’amico, trova uno sconosciuto agonizzante che prima di spirare gli mormora qualcosa dall’astruso significato.
Il cast a disposizione dell’ottimo Leonardo Cortese risulta all’altezza delle aspettative, a partire da Giancarlo Zanetti, autentica star televisiva dell’epoca, che viene affiancato, nei ruoli principali, da Renato De Carmine, Lorenza Guerrieri e Marcello Mandò.
Nel 1980, “Poco a poco” è diretto da Alberto Sironi che decide di privare lo sceneggiato delle oramai consuete atmosfere, ambientando la vicenda in Italia.
Un caso a dir poco complicato si prospetta al commissario Mario Braschi, uomo dalla personalità piuttosto complessa, tornato a Milano dopo sette anni di servizio presso il Ministero degli interni: un famoso coreografo, impegnato nella preparazione di uno spettacolo al Teatro alla Scala, rimane vittima di un’aggressione e, qualche ora dopo, la stessa sorte tocca ad una costumista sua collaboratrice.
Le musiche di Paolo Conte accompagnano le performance dei protagonisti, tra cui spiccano Flavio Bucci, Teresa Ann Savoy, Franco Fabrizi e Diego Abatantuono.
Da allora... sono semplicemente trascorsi trentadue anni in cui, perlomeno sul fronte RAI, l’ottimo Durbridge è caduto nell’oblio.
Chi scrive, da buongustaio del genere, se ne duole perché quella era televisione di qualità, in cui la buona letteratura veniva proposta nel miglior modo possibile, anche dovendosi confrontare con budget non sempre faraonici.
I cast erano di ottima levatura ed il telespettatore non si accorgeva, o poco gli importava, che qualche esterno fosse palesemente girato in studio o che alle spalle di un Aroldo Tieri, di un Alberto Lupo o di un Turi Ferro si aprisse una finestra che dava su un fondale raffigurante il panorama circostante, in quanto era letteralmente rapito dalla vicenda e dalla magistrale interpretazione dei protagonisti.
Tutto sommato, però, forse è meglio che Durbridge sia finito nel dimenticatoio, in quanto, a giudicare da come sia stato maltrattato Nero Wolfe nella serie andata in onda la scorsa primavera su RAI 1, è preferibile che i gialli di qualità restino negli scaffali delle librerie a disposizione dei lettori, piuttosto che proposti sullo schermo da produzioni sprovviste non tanto dei mezzi necessari, ma della sensibilità indispensabile a proporre al pubblico un prodotto che, se ben realizzato, può agevolmente raggiungere livelli di assoluta eccellenza.

da: http://www.albopress.it/elhitro2/