inizio rosso e giallo


Felisatti & Pittorru

Massimo Felisatti e Fabio Pittorru, per la precisione.

Così, Costanzo Costantini nella prefazione a La Madama (1974):

"Dopo la prima prova da loro fornita con Violenza a Roma, in cui ricorrevano i popolari personaggi della serie televisiva «Qui squadra mobile», con questo nuovo giallo Felisatti e Pittorru smentiscono, almeno per quanto li riguarda, una duplice opinione molto diffusa: che gli italiani non avrebbero talento per questo genere letterario e che Roma non si presterebbe a fare da ambiente e sfondo a storie poliziesche. Il giallo sarebbe appannaggio, territorio, tema esclusivo dei nordici, tendenzialmente introversi, oscuri e torbidi, e dei paesi nordici, afflitti dalla nebbia, dai giorni lenti e tediosi e dalle lunghe notti angosciose, popolate di assassini, maniaci sessuali, piromani, incubi e fantasmi.
Gli italiani per contro sarebbero troppo estroversi, semplici e solari (o «mediterranei») per potersi dedicare con successo a storie intricate e tenebrose, per costruire con pazienza meticolosi meccanismi a base di brivido e «suspense». E, parallelamente, Roma sarebbe troppo superficiale, approssimativa e festaiola, dominata da giorni chiari e luminosi e da notti senza mistero, per poter fornire l'ambiente e la cornice (allo stesso modo, Roma non si presterebbe per i film di «mala», per i quali sarebbe più adatta Milano, e per il suo clima nordico e per la sua struttura urbana e suburbana e per il carattere piuttosto tetro dei suoi abitanti).
Tutto ciò è in gran parte vero, ma non è meno vero che Felisatti e Pittorru stanno dando un colpo decisivo a questa diffusa opinione. Ne troviamo le prove in La Madama, che s'impone per una fitta serie di elementi nuovi. Essi hanno combinato con singolare perizia la scrittura letteraria, la cronaca nera dei quotidiani e il gergo della malavita nelle sue successive variazioni, conferendo alle loro storie non solo un livello qualitativo pressoché assente nei pochi «gialli» italiani e in molti degli stranieri, ma altresì un connotato realistico netto e preciso. Una combinazione che, nonché appesantire, imprime al racconto un ritmo rapido e veloce, che si snoda o si articola attraverso digressioni altrettanto rapide e veloci, talora quasi fulminee, come tentacoli lanciati a sondare le sacche e risacche che contrassegnano la zona limacciosa, negativa e torbida della città.
Ma ciò che più sorprende è come Felisatti e Pittorru, entrambi ferraresi anche se il secondo di origine sarda siano riusciti a cogliere e ad utilizzare gli umori, gli impulsi, gli andazzi, in una paroia il costume della città, nelle sue varie manifestazioni e nelle sue continue modificazioni, sia nel campo della malavita organizzata o professionale che in quello della malavita non ufficiale, sino agli scandali, agli intrallazzi e ai misfatti che la cronaca, bianca e nera, registra ai nostri giorni.

Gli studiosi di sociologia sostengono che la malavita rispecchia la struttura, il grado di organizzazione e il livello di efficienza di una città. La società ufficiale e la malavita seguirebbero due tracciati paralleli, pressoché allo stesso stadio di sviluppo. Da questo presupposto deriverebbero alcune conseguenze: Milano sarebbe la sede d'una vera «mala», d'una «mala» di livello internazionale, Roma di una «mala» provinciale, incapace e ridicola. Ma ciò non risponde del tutto a realtà, per due ragioni precise: perché la malavita è ormai organizzata su basi internazionali e trasferisce via via la propria organizzazione - quadri dirigenti, metodi d'azione, mezzi, ecc. - nei settori in cui decide di operare; perché Roma ha subito negli ultimi quindici anni trasformazioni radicali.
Già sul finire degli anni cinquanta Roma non era più, o non era soltanto, una città provinciale, pastorale e godereccia, rifugio e centro di attività, nella sua crescente fascia periferica e subperiferica, d'una popolazione d'accatto in cui pullulavano piccoli malviventi. Era anche, o si avviava rapidamente a diventarlo, una città cruda, dura, violenta.
Con il suo abbagliante e inquietante affresco, Federico Fellini vi aveva richiamato avventurieri d'ogni sorta e d'ogni parte del mondo, e già agli inizi degli anni sessanta le grandi strade del centro nascondevano, dietro le facciate degli alberghi e le vetrine dei negozi, traffici e intrighi oscuri e misteriosi, a livello internazionale. La «dolcevita» andava cedendo il posto alla «malavita», e l'urbanesimo da una parte e la speculazione edilizia dall'altra acceleravano questo processo di trasformazione. Lo scrittore americano Norman Mailer, in visita in quel periodo alla città, ebbe a dire che la capitale italiana andava assumendo la struttura di un'ameba.
Nel 1963, l'anno del «boom» economico, Roma non è più la città nota per le numerose cameriere e mondane che vi vengono strangolate o decapitate ad opera di maniaci sessuali o di lenoni sui quali la polizia non riesce mai a mettere le mani, bensì la metropoli in cui maturano ed esplodono casi e delitti clamorosi, che trovano immediata eco sulla stampa internazionale. Nella primavera del '63 la giovane tedesca Christa Wanninger viene barbaramente uccisa in pieno giorno in Via Emilia, una traversa di Via Veneto. Tra la fine del '63 e l'inizio del '64 l'egiziano Farouk El Courbagi viene ucciso in un albergo della celebre strada da due coniugi anch'essi stranieri, Claire Chobrial e Youssef Bebawi, che si attribuiscono reciprocamente l'oscuro delitto. Alla fine del '64 la polizia di stanza a Fiumicino scova in un baule, sul quale era scritto «Ambasciata della RAU. Strumenti musicali. Fragile», l'egiziano Mordekai Louk, che vi era stato infilato dopo essere stato abbondantemente drogato. Nello stesso tempo si impiantavano stabilmente mafiosi e criminali, il traffico della droga assumeva dimensioni sempre maggiori e si gettavano le basi perché la città diventasse anche uno dei centri del terrorismo politico internazionale. Lo scrittore inglese Evelin Waugh, anch'egli in visita alla città in quel periodo, scrisse per il «Daily Mail» che una nuova ondata barbarica minacciava la capitale italiana e che egli non conosceva nessun'altra città al mondo in cui si respirasse un'aria di così irrimediabile decadenza. A sua volta la scrittrice Muriel Spark vi si stabiliva per ambientarvi le sue storie criminali.

Felisatti e Pittorru sono riusciti a registrare, con la cura e la precisione di cronisti, in ogni particolare, i mutamenti che Roma è andata subendo negli ultimi anni. Oltre che un giallo, La Madama è così anche un ritratto di costume, una sceneggiatura di patologia sociale. In esso trovano infatti posto, sia pure fuggevolmente, secondo le esigenze d'una narrazione rapida e incalzante, a colpi di scena continui, non solo i nuovi aspetti e i nuovi metodi della malavita ma tutti i mali della città (vi manca soltanto la rapina ai clienti di un ristorante, inaugurata qualche mese fa in pieno centro, in un'atmosfera da Far West, ma per il resto vi sono tutti, vecchi e nuovi).
Vi sono i vecchi: mafia, droga, bische, speculazione edilizia, conflitti fra polizia e carabinieri, lentezza della giustizia, potenti che estendono i loro tentacoli, malefici o benefici a seconda dei casi, sin dentro le celle carcerarie, ecc. Vi sono i nuovi: spionaggio telefonico, traffico d'armi, di valuta e di opere d'arte, trafficanti e noleggiatori d'armi che ingaggiano i malviventi in pianta stabile come se fossero impiegati statali, assalti in pieno giorno alle gioiellerie, agli uffici postali, rapine ai cinema e agli ospedali, speculazione alimentare, concentrazione delle testate, conflitti fra magistrati e fra poliziotti, baraccati che occupano gli edifici in costruzione, scontri fra gli extraparlamentari, scandali petroliferi e giovani pretori, rapimenti e sequestri le cui vittime prendono sulla stampa il posto e il rilievo che vi avevano sino a qualche tempo fa sovrani e regine, principi e principesse, stars cinematografiche, play boys ed esponenti del jet set. Ma vi è qualcosa in più: l'umorismo, una carica umoristica che scoppia di tanto in tanto, per rapidi cenni, allentando piacevolmente la «suspense». Giallo, ritratto di costume, sceneggiatura sociologica. Nel raccontare la storia di un traffico d'armi che la polizia non riesce a stroncare perché i veri mandanti sono sempre irraggiungibili o invulnerabili, i due autori trovano il modo di indicare anche le cause per le quali la malavita cresce e prospera sino a prospettarsi come un vero e proprio sistema nel sistema e per le quali Roma è diventata «la nuova città violenta», «la città d'una rapina ogni quarantacinque minuti». Sono le cause reali e non fittizie: la mancata riforma edilizia, la mancata riforma ospedaliera, la mancata riforma carceraria, la mancata riforma scolastica, ecc. che hanno messo in crisi una società in crescente espansione e in crescente processo di autocoscienza.
Anche in La Madama ritorna la vecchia filosofia, o la vecchia saggezza popolare: i potenti sono sempre potenti, finiscono sempre col prevalere, o comunque riescono sempre a sfuggire alle proprie responsabilità; la polizia da sempre ragione ai potenti, o comunque non osa toccarli, arretra sempre o quasi sempre quando dietro gli scandali, gli intrighi e i traffici illeciti in-travvede l'ombra, o avverte la presenza, di persone influenti; la polizia favorisce sempre gli elementi di destra.

È il frutto di una esperienza secolare. Ma nel libro affiora anche una nuova visione della polizia: vi vediamo una polizia che va acquistando coscienza della realtà, di se stessa e del proprio ruolo, e che talora si rifiuta di farsi cieco strumento del potere. Non la vediamo più meccanicamente, dall'esterno, secondo i vecchi schemi, ma dall'interno, con i suoi problemi umani, tecnici e sociali, desiderosa di coltivarsi, di elevarsi e di essere al passo con i tempi. Questa polizia, portatrice di una coscienza nuova o inquieta, trova in parte espressione in Antonio Carraro, il capo della Squadra Mobile, il quale si rende conto che in quel che succede in Italia non c'è alcuna logica e vede chiaramente da che parte sta la strada giusta, anche se non ha il coraggio, o la forza, di imboccarla o di percorrerla fino in fondo.
E più ancora trova espressione nell'agente Ferruccio Militello, il quale si domandava «perché la polizia stava sempre dalla parte peggiore.»

  • Violenza a Roma, Garzanti, 1973
  • La Madama, Garzanti, 1974
  • La prego di non mancare al delitto di questa sera, Garzanti, 1974
  • La morte con le ali bianche, Garzanti, 1976
  • Per vincere ci vogliono i leoni, Mondadori, 1977
  • Qui Squadra Mobile, Garzanti, 1978



Da Qui Squadra Mobile è stata tratta l'omonima serie televisiva Rai (regia di Anton Giulio Majano, 1973-6), sceneggiata dagli stessi Felisatti e Pittorru.
Alle prime sei puntate ne seguirono altre sei, con alcuni personaggi fissi: il commissario Antonio Carraro, capo della Squadra mobile, interpretato da Giancarlo Sbragia, e Fernando Solmi (Orazio Orlando), responsabile della Sezione omicidi; naturalmente anche a questa serie presero parte numerosi altri bravi attori, tra cui Carlo Alighiero, Roberto Chevalier, Gianfranco De Angelis, Leo Gullotta, Ivano Staccioli. Nella seconda serie, Sbragia, impegnato in teatro, fu sostituito da Luigi Vannucchi, nelle vesti di un nuovo investigatore, il commissario Guido Salemi.
Le vicende narrate erano ambientate a Roma ed erano ispirate ad episodi di cronaca nera e giudiziaria (rapine, delitti, estorsioni) realmente accaduti nei primi violenti anni settanta.

    Prima serie (1973):

  • Tutto di lei tranne il nome
  • Rapina a mano armata
  • Un caso ancora aperto
  • Il saltafossi
  • Un'indagine alla rovescia
  • Senza difesa

  • Seconda serie (1976):

  • Pollicino va in città
  • Il botto
  • Ragazzi troppo fortunati
  • La polizia non deve essere avvertita
  • Omissione di soccorso


Nel 1976 Felisatti e Pittorru sono gli autori di uno sceneggiato televisivo, Albert e l'uomo nero (regia di Dino Bartolo Partesano, 3 puntate), che ebbe un notevole successo, anche perché introduceva elementi vicini all'horror del tutto insoliti per la RAI di quell'epoca.

    libri di Felisatti:

  • La nipote scomoda (con Bruno Gambarotta), Mondadori, 1977
  • Agave (con Andrea Santini), Rizzoli, 1981
  • Rosso su nero, Mondadori, 1996
  • Vale un Perù, Libreria dell'orso, 2003