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André Héléna

André Héléna (1919-1972) scrisse poco più di una dozzina di polizieschi, ma la sua produzione letteraria ammonta a circa duecento romanzi: non avendo mai riscosso particolari successi (tant'è che in Francia è stato praticamente dimenticato, e solo recentemente riscoperto) si adattò a scrivere un po' di tutto, dalle novelle rosa alle storie pornografiche.
Fin da giovanissimo coltivò la sua passione per la letteratura, e a Parigi cercò di inserirsi negli ambienti colti. Fondò una rivista di poesia ma un qualche pasticcio nell'amministrazione dei fondi lo portò in tribunale, e da lì in carcere per alcuni mesi: un'esperienza che deve avere avuto dei risvolti drammatici, perché in tutti i suoi noir, a partire da Les flics ont toujours raison, i poliziotti non sono mai visti di buon occhio: lontano dall'aperta simpatia che pervade i libri di Simenon, dove al Quai des Orfévres l'indiziato al massimo si becca qualche sganassone, Héléna sa bene quanto sia violento il mondo del crimine, da entrambe le parti, e non fa sconti a nessuno.
Un crudo realismo che talvolta diventerà eccessivo, e che forse contribuirà alle sue incerte fortune.
A rendere così aspri i suoi polar vi fu anche, e soprattutto, l'esperienza della guerra: Héléna entrò a far parte del maquis e poté vedere direttamente le atrocità commesse non tanto dai tedeschi quanto dai suoi stessi compatrioti, quei francesi che facevano parte delle formazioni di Vichy o delle bande fasciste; e in generale la vita in quel periodo - borsa nera, prostituzione, collaborazionismo, antisemitismo - non ispirava certo storie edificanti e consolatorie.

 

 

  • Viva la muerte! (J'aurai la peau de Salvador, 1949) Aìsara, 2012
  • Il buon Dio se ne frega (Le bon Dieu s'en fout, 1949) Aìsara, 2009
  • Gli sbirri hanno sempre ragione (Les flics ont toujours raison, 1949) Aìsara, 2009
  • Vita dura per le canaglie (Les salauds ont la vie dure, 1949) Aìsara, 2010
  • Il festival dei cadaveri (Le festival des macchabées, 1951) Aìsara, 2011
  • Un uomo qualunque (Le demi-sel, 1952) Fanucci, 2008
  • Il gusto del sangue (Neige au sang, 1953) Aìsara, 2008
  • La vittima (La victime, 1953) Fanucci, 2009
  • Il ricettatore (Le fourgue, 1953) Aìsara, 2009
  • Il bacio della Vedova (Le baiser à la Veuve, 1953) Aìsara, 2011
  • Massacro all'anisette (Massacres à l'anisette, 1955) Aìsara, 2011
  • Divieto di soggiorno (Interdit de séjour, 1956) Aìsara, 2010 - con Simone Sauvage
  • I viaggiatori del venerdì (Le voyageur du vendredi, 1958) Aìsara, 2008
  • I clienti del Central Hotel (Les clients du Central Hôtel, 1959) Aìsara, 2009

 

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Walter Catalano

André Héléna: un principe anarchico in nero 

 

 

André Héléna (Narbonne, 8 aprile 1919 - Leucate, 18 novembre 1972, è stato per decenni il più misconosciuto fra gli autori classici del noir francese. Confinato in vita al ruolo di pennivendolo di basso rango, questo grandissimo innovatore del polar - morto dimenticato e in miseria per alcolismo a soli 53 anni - non ha mai varcato le soglie gloriose della Série Noire di Marcel Duhamel, come buona parte dei suoi più fortunati colleghi. Solo nel 1986 - a ben 14 anni dalla scomparsa - le edizioni 10/18 hanno finalmente ripubblicato sei dei suoi romanzi migliori nella collana La Poisse, avviando la riscoperta e la rivalutazione di questo autore sfortunato: negli anni successivi non sono mancati i riconoscimenti, nel 2000 una mostra su di lui, intitolata significativamente Le prince noir, lo ha tardivamente consacrato nel pantheon dei grandi; Jacques Hiron e Jean-Michel Arroyo, nel 2003, gli hanno dedicato un’appassionata biografia (immaginaria a fumetti, La Foire aux frisés; e la Revue Polar, glorioso trimestrale specialistico pubblicato fra il 1981 e il 2001, gli ha riservato un corposo dossier monografico in due volumi.

Il rapporto fatale fra Héléna e la narrativa nera era iniziato davvero molto presto: per la prima volta a Parigi, nel 1936, il ragazzo diciassettenne aveva fatto parte dell’équipe tecnica del film Arsène Lupin Détective di Henri Diamant-Berger con la vedette Jules Berry; in quello stesso anno erano iniziate anche le sue ambizioni letterarie, per il momento limitate alla poesia, con la prima raccolta pubblicata, Le bouclier d’or. Riformato nel 1939, dopo una sortita in Spagna contro i Franchisti durante la Guerra Civile, Héléna trascorre il periodo dell’occupazione tedesca a Leucate dove nel 1944 passa al maquis, esperienze - quella spagnola e quella partigiana - entrambe fondamentali, alle quali tornerà spesso negli scenari delle sue trame più riuscite. Subito dopo la guerra si arrangia con lavoretti temporanei, come il rappresentate di prodotti 3D (Dératisation, Désinsectisation et Désinfection, e tenta di lanciare la sua rivista poetica La poterne, ritrovandosi a scontare sei mesi di prigione per sottrazione dei fondi degli abbonamenti (illecito dovuto probabilmente solo a inesperienza e leggerezza, conoscerà così di persona il vero volto della legge: nei suoi romanzi futuri gli sbirri non saranno mai personaggi positivi.

Come dichiarerà in un’intervista del 1958 a Mystère Magazine, a proposito del suo esordio letterario nel 1948: «Il mio libro, anche se esaurito rapidamente non provocò alcuna reazione tra le alte sfere. Solo coloro che avevano fatto esperienza della Giustizia potevano credermi, perché sapevano che niente di quella storia impietosa era inventato. Era un racconto genuino, crudo e distinto come un grido di rabbia. Sarò sempre fiero di essere stato il primo, di tutta la stampa, a parlare liberamente e apertamente degli ‘interrogatori’ abusivi perpetrati da certi poliziotti: si chiamava:  Les flics ont toujours raison». Proprio il tema carcerario è la ragione e la forza de Gli sbirri hanno sempre ragione, la prima spassionata denuncia in Francia delle sopraffazioni perpetrate dai flic su rei e presunti rei e della barbarie del sistema giudiziario francese.

“Quei  poliziotti  erano tutti fieri all’idea che presto la loro foto sarebbe stata pubblicata, fissandoli per l’eternità in quella posa gloriosa: sei marcantoni attorno a un povero tizio spappolato dai ceffoni e pieno di sangue. Per qual che mi riguarda, dovevo avere uno strano grugno, con la barba, gli occhi gonfi, e i vestiti in disordine, uno di quei grugni che fanno dire al lettore ingenuo: ‘Ah! Ha proprio una faccia da assassino’. Una faccia da assassino? Ma la si costruisce, signori!”.

A differenza del conservatore Simenon che, soprattutto nel ciclo del commissario Maigret, non manca mai di idealizzare i poliziotti, il libertario Heléna non intende discostarsi dalla realtà: la tortura, fisica e psicologica, la prepotenza, l’arroganza, l’intimidazione, il totale disprezzo per il detenuto sono prassi abituale, perché, comunque sia, “gli sbirri hanno sempre ragione“. La storia di Théophraste Renard ci mostra come un piccolo delinquente che sogna solo un lavoro e una vita tranquilla, possa, per l’infrazione di un divieto di soggiorno, trasformarsi in un pregiudicato, già colpevole a priori e senza prove di un reato più grave, in quanto “capace del fatto“; dopo una breve detenzione, persa la donna, il lavoro, i suoi sogni, quello che era solo un innocuo spostato sarà stato trasformato dal sistema carcerario francese in un assassino. A metà strada fra la denuncia sociale e il noir esistenzialista, il primo libro di Héléna è già un testo importante e maturo.

A questo potente esordio segue l’anno seguente, 1949, lo speculare Il buon Dio se ne frega (Le bon Dieu s’en fout, in cui un evaso dalla Cayenna torna nei luoghi della sua infanzia sfidando la legge, come se recuperare il proprio passato fosse l’unico modo per inventarsi un nuovo futuro. Documenti falsi, una donna, un surrogato di casa. Un’epica lotta contro il destino e l’ordine costituito: ma il buon Dio se ne frega e, nella lotta fra individuo e società, per quanto sia strenuo il combattente, la sconfitta è riservata sempre al più debole. Anche in questo caso l’epilogo della storia non potrà non essere tragico: un finale  commovente che lascia uno spiraglio di amara speranza. Si muore sì, ma forse non del tutto soli, c’è una donna che piange e perfino gli sbirri mostrano un certo rispetto: ”Chi è stato a vendermi ?” chiesi a fatica. “Monsieur Sape. Ma non bisogna avercela con lui”. Accennai un piccolo gesto con la mano. Mi stavo intorpidendo. No, non ce l’avevo con lui. Non ce l’avevo con nessuno. Avevo giocato e avevo perso. Correttezza. Fair play. Non provavo più amarezza né rancore. Mi trovavo al confine di un paese dove tutte queste cose non hanno più molta importanza… C’era Edith. Non ero solo. Mi stringeva la mano”.  

A questi due ottimi testi segue una decina di altri titoli fra il ‘49 e il ‘51; poi il numero sale esponenzialmente: 11 solo nel 1952; 18 nel 1953, quando si lancia nella scrittura contemporanea di due serie: Les compagnons du destin (dieci romanzi ”che formano un’antologia della miseria e della malavita dell’anteguerra”  e L’Aristo (quest’ultima composta di ben 16 romanzi in uno stile più rilassato, argotico e divertito, e così via. Per sbarcare il lunario Héléna si trasforma in un vero forzato della letteratura, in trent’anni di carriera scrive oltre duecento romanzi, sia firmati a suo nome, sia sotto una miriade di fantasiosi pseudonimi: Noël Vexin, Andy Ellen, Andy Helen, Buddy Wesson, Maureen Sullivan, Kathy Woodfield, Herbert Smally, Jean Zerbibe, Sznolock Lazslo, Robert Tachet, Clark Corrados, Peter Colombo, Alex Cadourcy, Trehall, Joseph Benoist, Lemmy West, C. Cailleaux. Ovviamente, dato il ritmo forsennato della composizione, non tutte le sue opere sono allo stesso livello qualitativo che precipita facilmente dal capolavoro alla trama frettolosa e raffazzonata: oltre ai romanzi neri e alle serie (Série La môme Patricia, Série La môme Murielle, Les aventures de Fanfan la douleur, Série Maître Valentin Roussel, Série Em Carry, e altre, si dedica anche al romanzo erotico e pornografico con titoli come Collège Mixte del 1957, Édition très spéciale del 1958, La Ceinture de chasteté del 1961, Mariage à la provençale del 1969, e così via.

Fra i suoi romanzi più riusciti, quasi tutti per fortuna tradotti in italiano e pubblicati dalla benemerita (e purtroppo scomparsa Aisara edizioni di Cagliari, ricordiamo soprattutto: Il gusto del sangue (Le Goût du sang del 1953, epitome di quel sottogenere che decenni dopo sarebbe stato battezzato con qualche forzatura noir mediterraneo, in cui l’ambientazione - comune a gran parte dell’opera dello scrittore - al confine franco-catalano nel periodo della Repubblica di Vichy, anticipa l’atmosfera di certi film di Louis Malle come Lacombe Lucienne o Au revoir les enfants. Jacques Vallon un giovane frustrato e complessato scopre il “gusto del sangue”, diventando un sicario al servizio della Resistenza, un boia che stermina collaborazionisti e miliziani fascisti; ma il gioco gli piace un po’ troppo: “ ‘Stronzo!’ ripetè una voce roca. E la testa del miliziano esplose col fragore di un tuono. Jacques uscì dalla chiesa, la bocca secca, le gambe fiacche, colmo di una stanchezza appagata. Come si fosse appena scopato la più bella ragazza del mondo. La sensazione era identica”.  La violenza omicida va a colmare il suo disperato bisogno di rivalsa sessuale nei confronti di uomini che reputa più attraenti e più fortunati di lui con le donne. Finita la guerra non saprà rinunciare al suo ruolo di assassino seriale: ma a questo punto sarà ormai diventato solo un fuorilegge, pericoloso per i suoi stessi ex compagni: e il cacciatore diventerà la preda.

Analogo scenario quello del libro in assoluto più bello di Héléna, I clienti del Central Hotel (Les Clients du Central Hôtel del 1959, che travalica i confini del noir per diventare affresco di costume, amara riflessione esistenziale, romanzo storico sull’Occupazione e la Resistenza, profonda indagine psicologica e sociale. Il Central Hotel di Perpignan negli ultimi giorni dell’Occupazione nazista della Francia è il provvisorio scenario degli incontri, sessuali soprattutto, di un pugno di personaggi alla deriva: partigiani e collaborazionisti, spie e poliziotti, tossicomani e spacciatori, donne facili ed ebrei in fuga; un’umanità disperata e disperante accomunata dalla paura e dal senso di precarietà e di vuoto che l’insensatezza della guerra porta con sé. Il sole caldo di un’estate del sud contrasta con l’umore greve e oscuro della vicenda, una sensualità malata che gronda sperma e sangue: il caos dei destini umani, l’amore e la guerra, nullità alle quali la natura assiste con indifferenza. Uno splendido finale in prima persona (ma il resto del romanzo è tutto in terza: l’innominato narratore è forse l’autore stesso chiosa amaramente : “Altrove, per me, era ormai dappertutto. E in nessun posto…”.

Parimenti di alto valore letterario è un altro dei più feroci noir di Héléna, scritto in collaborazione con una giovane amica - Simone Sauvage - e originato dalla sceneggiatura per un film del 1955, che ovviamente non venne mai realizzato: Permesso di soggiorno (Interdit de séjour, in cui viene descritta la distruzione morale e materiale di un uomo, Simon, che per amore di una prostituta viene - del tutto innocente - implicato in una rapina e incarcerato. Il conseguente divieto di soggiorno che gli impedisce la residenza a Parigi lo metterà alla mercé della polizia, e lo costringerà ad abbassarsi al rango di informatore. Senza essere cattivo Simon, prigioniero degli eventi, diventerà un delatore e andrà consapevolmente incontro alla fine che meritano i traditori. Il destino, la tragedia, il cieco concatenarsi di cause ed effetti, l’ennesimo meccanismo kafkiano di una legge ingiusta che sempre stritola il debole, precipitano passo dopo passo, la vittima nell’inevitabile abisso.

Decisamente non a questo stesso livello ma segnato ugualmente dal peso greve della ruota di Ananke è Il bacio della Vedova (Le Baiser à la veuve del 1953. “Baciare la vedova”, nel gergo della mala, significa mettere il collo sulla ghigliottina: la parte forse più suggestiva del libro è infatti proprio la descrizione iniziale dei preliminari dell’esecuzione. Il libro comincia dall’epilogo della vicenda: l’esecuzione di Maxence, il protagonista; in flashback seguiamo poi la tortuosa traiettoria che conduce la vittima designata a incontrare la Vedova. Il fato ineluttabile, una serie di circostanze imprevedibili, una catena di azioni e reazioni, spinge tutti i personaggi verso il compimento del loro destino: anche i passi del povero Maxence, sono segnati, e uno dopo l’altro, lo conducono senza via di scampo in una sola direzione: verso il bacio della Vedova.

Altro bell’esempio dei noir esistenziali/sociologici di Héléna è Il ricettatore (Le Fourgue, del 1953), questa volta nella sua ampia galleria di personaggi della mala - ora sordidi, ora disperati, vittime e carnefici insieme - fa ingresso la figura di un ricettatore; Monsieur Bernard, un ricettatore sui generis - apparentemente uomo banale e insospettabile - che non esita però a trasformarsi in assassino e a dimostrare un’astuzia e un sangue freddo insolito per la sua grigia categoria criminale. Anche il personaggio più negativo trova, come sempre nel migliore Héléna, se non giustificazioni ai suoi delitti, almeno una qualche comprensione: Bernard si chiama in realtà Cohen, scopriremo nel concitato finale, perfino una creatura tanto squallida ha qualche remota ragione in mezzo a tanti terribili torti.

Gli efficaci scenari spagnoli, ben poco folkloristici, sono un’altra caratteristica tipica di Hèléna, la ritroviamo in Viva la muerte ! (J’aurai la peau de Salvador del 1949), dove probabilmente lo scrittore attinge anche a ricordi personali: una storia ambientata subito dopo la fine della Guerra Civile e la vittoria di Franco,  in cui un giovane malvivente si unisce ai guerriglieri repubblicani e anarchici che sulle montagne asturiane o sul confine basco non hanno deposto le armi e continuano la lotta antifascista. Più che i motivi ideologici, come di consueto in Héléna, sono i motivi personali che spingono, almeno all’inizio, il protagonista a schierarsi: l’odio mortale per un ex complice - Salvador - che gli ha sottratto sia il malloppo di una rapina che la donna amata, e che è divenuto un caporione dei falangisti.

Simile è l’ambientazione di Massacro all’anisette (Massacres à l’anisette del 1955, duello all’ultimo sangue tra due bande criminali che si contendono una partita di cocaina fra i vicoli del Barrio Chino di Barcellona, e analogo antieroe è il protagonista di Vita dura per le canaglie (Les Héros s’en foutent e del suo seguito, Il festival dei cadaveri (Le Festival des macchabées del 1951, più romanzi picareschi che noir, un susseguirsi di inseguimenti, sparatorie, fughe rocambolesche attraverso la Francia occupata dai nazisti. Il classico protagonista di Hélena - un piccolo delinquente che le circostanze avverse hanno trasformato in assassino - dopo essersi messo contro la Gestapo per un delitto passionale (ha ucciso per gelosia la fidanzata, che lo ha tradito con un tedesco, insieme all’amante e ad un altro tedesco sopraggiunto in aiuto del camerata è costretto a nascondersi e fuggire dai nazisti come dalla polizia francese, a diventare un sicario per conto della Resistenza e, infine, a trasformarsi in un disincantato ma sincero patriota (non certo per nazionalismo, ma per avversione contro la prepotenza e la sopraffazione. Il secondo romanzo è il seguito delle avventure di Maurice Debar, un po’ delinquente, un po’ patriota, perennemente in fuga dalla Gestapo e dalla Milizia fascista francese. Ancora missioni da brivido ed evasioni funamboliche,  insieme all’amico catalano Bams dalla navaja facile. Questa volta lo seguiremo fino ad un inquieto, torbido e assai poco rassicurante dopoguerra.

Stesso scenario di desolante dopoguerra in  La Vittima (La Victime del 1953: ancora scontri fra bande di malavitosi, traffici illeciti, partite d’oppio, un commissario corrotto e spietato, e come sempre, la vittima designata: Edgar, un ladruncolo da due soldi, un perdente e un perfetto capro espiatorio. Fra i romanzi tradotti in italiano resta da ricordare ancora Le Demi-sel,  da noi Un uomo qualunque, del 1952, quintessenza del noir, disperato e catastrofico nella trama segnata dal caos, dal caso, dall’ineluttabile destino di tragedia che avvolge tutto; nella scrittura secca e cattiva, piena di parolacce e di argot del milieu; nei personaggi: ladri, assassini, magnaccia, poliziotti violenti, puttane o ragazze traviate; persone sole, rose dall’angoscia e dall’alcol, burattini mossi dagli istinti più oscuri; sparatorie a ogni capitolo, tonnellate di morti ammazzati, sesso facile e sordido; finale, nel segno del più cupo non senso, senza alcun riscatto o redenzione per nessuno.

Solo una citazione in chiusura invece per l’ultimo volume rimasto della bibliografia italiana: I viaggiatori del venerdì (Le Voyageur du vendredi del 1958, che è invece un mystery d’indagine divertente ma piuttosto leggerino, e che pertanto esula dal nostro percorso. Resta ancora molto da scoprire nella sconfinata produzione del Prince noir, e non solo nell’ambito del noir: speriamo che altri editori, come ha pionieristicamente tentato, purtroppo senza fortuna, Aisara, se ne facciano carico.

 

grazie a: carmillaonline