inizio rosso e giallo


Dennis Lehane


Di origine irlandese, è nato nel 1966, ha studiato letteratura inglese e americana. Vive a Boston ed è uno dei nuovi talenti del trhiller americano.
A differenza della maggior parte degli autori statunitensi, Lehane non si limita a creare libri di genere, ma, pur mantenendo ben saldo l'impianto poliziesco, va molto oltre: rinuncia, cioè, ad esprimere il proprio talento solo nella confezione di una eccellente storia e affronta senza timori questioni difficili, controverse. Una scelta nient'affatto scontata se si pensa che autori ben più famosi di lui (Cornwell, Patterson, ad esempio) stanno ben attenti a non compromettere il successo commerciale di un libro esprimendo opinioni politiche chiare o misurandosi con realtà assai poco accattivanti dal punto di vista dell'intrattenimento: razzismo, violenza sui bambini, povertà, degrado dell'ambiente a causa del capitalismo selvaggio.
Insomma, ben venga questo rinnovato gusto per il coraggio civile: i serial killer sembravano ormai aver monopolizzato la letteratura gialla, all'interno di meccanismi narrativi anche ben funzionanti ma furbescamente neutri rispetto alla realtà.
Un po' come accadde ai tempi di Hammett, che senza complimenti fece giustizia delle anacronistiche atmosfere inglesi e buttò in faccia ai lettori corruzione, ambiguità, ingiustizie.

Da La morte non dimentica Clint Eastwood ha tratto quel capolavoro che è Mystic River (a Cannes niente, ma poi una valanga di riconoscimenti, tra cui l'Oscar a Sean Penn come migliore attore protagonista e a Tim Robbins come migliore attore non protagonista).



  • Un drink prima di uccidere (A Drink Before The War, 1994), Piemme, 2004, 2012
  • Buio prendimi per mano (Darkness, Take My Hand, 1996), Piemme, 2001, 2013
  • Fuga dalla follia (Sacred, 1997), Piemme, 2006, 2015
  • La casa buia (Gone, Baby, Gone, 1998), Piemme, 2003, 2015
  • Pioggia nera (Prayers For Rain, 1999), Piemme, 2004, 2012
  • La morte non dimentica - Mystic River (Mystic River, 2001), Piemme, 2002, 2015
  • L'isola della paura (Shutter Island, 2003), Piemme, 2005, 2015
  • Quello era l'anno (The Given Day, 2008), Piemme, 2009
  • Moonlight Mile (Moonlight Mile, 2011), Piemme, 2012
  • La legge della notte (Live by Night, 2012), Piemme, 2015
  • Chi è senza colpa (The Drop, 2014), Piemme, 2015
  • Ogni nostra caduta (Since We Fell), Longanesi, 2017
  • Tutti i miei errori (World Gone By), Longanesi, 2019




    film:

  • Mystic River, di Clint Eastwood (2003). Con Sean Penn, Kevin Bacon, Tim Robbins, Laurence Fishburne
  • Gone Baby Gone, di Ben Affleck (2007). Con Casey Affleck, Michelle Monaghan, Morgan Freeman, Ed Harris
  • Shutter Island, di Martin Scorsese (2010). Con Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Emily Mortime
  • Chi è senza colpa, di Michael R. Roskam (2014). Con Tom Hardy, Noomi Rapace, James Gandolfini, Matthias Schoenaerts
  • La legge della notte, di Ben Affleck (2016). Con Ben Affleck, Elle Fanning, Brendan Gleeson, Chris Messina, Sienna Mille

  • Lehane è anche stato tra gli sceneggiatori e produttori dell'ottima serie tv The Wire.

Irene Bignardi

Dennis Lehane

È uno scrittore molto amato dal cinema. Come dice lui, «non certo perché io scriva dei romanzi delle dimensioni adatte a essere tradotte sullo schermo». Anzi. Dennis Lehane è un autore, se così si può dire, massimalista, fluviale, di grandi romanzi romanzeschi. Ma ormai è il suo destino.
Anche il suo nuovo libro, Quello era l'anno, diventerà un film, come è successo per La morte non dimentica ( Mystic River, portato sullo schermo da Clint Eastwood), come L'isola della paura (Shutter Island, che ha trovato la sua forma cinematografica attraverso Martin Scorsese), come La casa buia (Gone Baby Gone, che è diventato un film di Ben Affleck). E sarà diretto da Sam Raimi, che uscirà dal mondo della fantasia per entrare negli orrori della storia. Perché Quello era l'anno (che poi in verità sono due, il 1918 e il 1919) è un grande romanzo storico, sostenuto da una robustissima documentazione e condotto con la sapienza di un maestro del thriller, un po' Doctorow e un po' Turow.
«Racconto due anni difficili e tormentati della storia degli Usa, i due anni successivi alla fine della guerra, undici mesi dopo la Rivoluzione d' ottobre. Due anni di agitazioni, scioperi, attentati, disastri sanitari».
Gli anni della Spagnola, che fece cinquanta milioni di vittime e che qui viene descritta in tutti i suoi devastanti effetti. Due anni di grandi movimenti sociali, di battaglia contro l'ingiustizia, di una devastante povertà a contrasto con una ricchezza sfacciata, di agitazioni degli anarchici, di una prova generale della caccia alle streghe comuniste. Nessuna meraviglia dunque che per portare a termine questo monumentale affresco storico a Dennis Lehane ci siano voluti un anno di letture e di ricerche, quattro anni di continuo lavoro di scrittura e tutta la sua passione di figlio della classe operaia.
«Sono nato a Boston, ultimo di cinque figli. I miei genitori sono emigrati dall' Irlanda, prima generazione. Mio padre era un sindacalista. E la mia vita di ogni giorno mi ha reso perfettamente consapevole delle differenze di classe, della vita degli "altri" che eravamo noi».
Anche se è andato al college, lontano da Boston, anche se ha scritto qualche racconto ambientato altrove, lei ha sempre finito per tornare, coni suo libri, alla città in cui è cresciuto, fin dai primi tentativi, diventati poi la base per una celebre serie tv che ha per protagonisti Patrick Kenzie e Angela Gennaro.
«Accanto alla città delle università e della banche, Boston ha sempre avuto anche un nucleo proletario: la "inner city", il cuore della città, il North Est, denso di tensioni sociali e razziali. Una fonte di ispirazione perfetta. Perché avrei dovuto attingere altrove? C' è tutto: Harvard, il paesaggio urbano, i contrasti sociali, la malavita, i mondi diversi che la compongono...».
Compreso l'aspetto della cattolica Boston che ha raccontato in Mystic River.
«Visto il mondo da cui venivo, ero un ragazzino molto vispo, sereno e consapevole delle cose della vita, e personalmente non sono stato vittima dei preti pedofili che ho raccontato nel romanzo, e che poi sono arrivati alla ribalta della cronaca, ma sono stato testimone, attraverso ciò che è accaduto ad alcuni miei compagni più vulnerabili, della perdita dell' innocenza, del clima di corruzione».
Ma dalla Boston contemporanea questa volta, con Quello era l'anno, è andato a ritroso nel tempo, alla Boston da cui è partito, alla fine della grande guerra, il movimento che ha portato alla costituzione del sindacato di polizia. Mette in scena abilmente personaggi veri e personaggi di fantasia, che si incontrano sullo sfondo di un periodo tumultuoso e tragico. E organizza la storia attorno a Danny, il poliziotto in bilico tra due mondi, diviso tra la sua simpatia per i rivoluzionari e il senso del dovere.
Qual è il rapporto tra storia e fiction?
«Danny è un personaggio "possibile", ma è storicamente vera la tela di fondo, con la povertà della fine della guerra, Woodrow Wilson presidente, l'incombente "Volstead Act", che avrebbe sancito l' inizio del proibizionismo e la nascita della malavita come la conosciamo. È storicamente vero il personaggio del Police Commissioner di Boston. È vero il personaggio del sindaco Peters, e della sua cuginetta quattordicenne che era la sua amante. E naturalmente è vero il personaggio del governatore Calvin Coolidge, che diventerà poi Presidente degli Stati Uniti, così come le tappe di una serie di decisioni da parte delle autorità che avrebbero avuto un effetto drammatico. È vero il personaggio di Luigi Galleani, l'italiano che divenne il leader degli anarchici negli Stati Uniti, e quello di W. E. B. Du Bois, il grande attivista dei diritti civili. È vero il personaggio di Babe Ruth, il grande campione di baseball, che nel libro incrociai suoi movimenti con quelli di Luther, il ragazzo nero in fuga. È storicamente vera l'esplosione della fabbrica di melassa che devastò la città. E sono veri i vari momenti di questa minirivoluzione, lo sciopero della polizia, che incendiò Boston. Un momento in cui tutte le forze oscure della città, i piccoli e i grandi criminali, videro l'occasione per rovesciare il governo».
Dopo questo episodio, devastante e terribile, nacque in effetti il sindacato di polizia.
«Che con alcune limitazioni, tra cui quella di non poter essere collegato a livello nazionale e quella di non poter scioperare, esiste tuttora».
Da che parte si schiera, tra i diritti e le necessità calpestate e i devastanti effetti che l'esplosione di violenza dovuta allo sciopero della polizia ebbe sulla città di Boston?
«È ovviamente una vicenda molto complessa, che venne condotta malissimo dalle autorità, ma che porta anche alla domanda se chi è responsabile della sicurezza pubblica abbia il diritto di scioperare, dove finiscano i diritti e i doveri. Spero di avere risposto, con il libro».
Lei è figlio di un sindacalista ed è sempre stato convinto che la vera linea di demarcazione del mondo corre tra chi ha e chi non ha. Perché in America sono ancora necessari i sindacati?
«A parte il resto, ringraziateli per i week-end, la giornata lavorativa di otto ore e il fatto che il vostro bambino di dodici anni non lavora in fabbrica». Ma a leggere Quello era l'anno, si capisce che Lehane ringrazia per molto di più.

da Repubblica, 3 ottobre 2009

Luca Crovi e Seba Pezzani

Intervista a Dennis Lehane


Come le è venuta l’idea di scrivere
Shutter Island - L’isola della paura?
Ho sempre desiderato scrivere un romanzo gotico. Da bambino, mio zio mi portava a un ospedale psichiatrico in un posto che si chiama Long Island ma che non ha niente a che fare con la Long Island di New York. Si tratta di un’isoletta lungo la costa di Boston. L’ospedale psichiatrico di quel posto, che era diverso da quello del libro, esiste ancora e l’isola si è sviluppata sostanzialmente intorno a esso. Era un luogo molto sinistro e un giorno, una ventina d’anni dopo, mentre camminavo sulla spiaggia, mi sono chiesto come sarebbe potuto essere, all’interno, un ospedale psichiatrico.

Leggendo il suo libro ci è venuto in mente
Asylum di Patrick McGrath...
Se qualcuno ha esercitato un’influenza su di me per quanto attiene a questo libro, si è trattato proprio di Patrick McGrath con quel romanzo, un libro fantastico. McGrath è veramente uno scrittore formidabile, imprescindibile se si trattano questi temi.

Che cosa secondo lei ha convinto Martin Scorsese a trasformare Shutter Island in film?
Martin mi ha confessato che è rimasto folgorato dai miei dialoghi che secondo lui riescono a ricreare il sapore di un’epoca. E ha cercato di rispettarli il più possibile nel film.

Ha mai visto pellicole come
Qualcuno volò sul nido del cuculo, Shock Corridor o Session 9 che hanno al centro il tema della follia?
Ho visto solo metà di Shock Corridor nell’ambito del lavoro di ricerca che ho fatto per questo libro. E di ricerche sugli istituti psichiatrici ne ho fatte tante. Ne ho visto solo metà, giusto per rendermi conto se c’erano spunti interessanti per la mia storia. Devo dire che non ne ho trovati molti. Un paio di cose che ho visto hanno avuto un forte impatto, per esempio Terrore dallo spazio profondo (Invasion of the Body Snatcher, Philip Kaufman, 1978) a cui ho pensato in maniera più o meno conscia. Volevo scrivere della superficie delle cose e delle persone, insinuando il sospetto che dietro l’apparenza si possa essere diversi, alieni o alienati. So che citare il film di Kaufman può essere furviante ma se fra cinque o dieci anni la gente tornerà a leggere il librò mi piacerebbe dicesse: «Ecco di cosa parlava l’autore». Sono stato influenzato anche da un altro film degli anni ’70 non molto conosciuto, che si intitola The Wicker Man (cfr Nocturno n. 89, ndr) di cui Anthony Shaffer ha scritto la sceneggiatura. Questo inquietante film si svolge su un’isola molto simile a quella di Shutter Island.

Il protagonista del suo romanzo Teddy Daniels è un uomo tutto d’un pezzo, un investigatore razionale che si trova a lottare in un luogo di follia. Come mai ha voluto metterlo in una situazione così claustrofobia e senza via d’uscita?
Perché la mia intenzione era proprio di scrivere un libro sulla claustrofobia, sulla rimozione di qualsiasi punto di riferimento del mondo normale. Il libro è un abbandono sistematico di qualsiasi illusione da parte dei due ispettori di poter trovare aiuto. Alla fine, il povero Teddy si trova da solo.

La chiusura alcuni anni fa dei manicomi in Italia ha per fortuna reso i malati cittadini con gli stessi diritti degli altri, ma ha creato un forte disagio sociale. Qual è la situazione in America?
Negli anni ’80 abbiamo avuto lo stesso problema, grazie al nostro meraviglioso presidente Reagan. C’è stato un taglio drastico dei fondi destinati agli istituti psichiatrici e così molti pazienti si sono ritrovati a spasso. Una delle idee fondamentali del libro era quella dell’ausilio dei farmaci, l’idea di trasformare gli istituti in una sorta di negozio in cui le persone vengono sedate, senza che in realtà si faccia davvero nulla per aiutarli. Ecco perché ho scelto il 1954 come anno di ambientazione della storia, perché è stato in quell’anno che il Ministero della Sanità ha approvato l’uso del litio. Ho cercato di indagare tutto ciò, di capire meglio cosa sia successo nella psichiatria americana, visto che il ricorso agli psicofarmaci è cresciuto e che essi vengono somministrati persino ai bambini di sei anni, solo perché sono vivaci e hanno genitori troppo pigri per compiere bene il proprio dovere.

Che influenza ha esercitato il cinema su di lei?
Un’influenza profonda. In altre parole, chiunque abbia più o meno la mia età o sia più giovane e dica il contrario racconta balle. Siamo cresciuti in un’epoca in cui l’esposizione a film e televisione è stata nettamente superiore alle generazioni precedenti. Dunque, il mio lavoro di scrittore è stato fortemente influenzato dal cinema. Sono un divoratore di film di ogni tipo. Quando insegno, dico spesso che il nemico della scrittura non è necessariamente il cinema, piuttosto la televisione...

grazie a: http://www.nocturno.it/