inizio rosso e giallo


Patrick Quentin


Patrick Quentin ha scritto anche sotto il nome di Q. Patrick e Jonathan Stagge, ma a sua volta anche Patrick Quentin è uno pseudonimo, e di ben quattro scrittori (Richard Wilson Webb, Hugh Callingham Wheeler, Martha Mott Kelley e Mary Louise Aswell White).
Dal 1952 i romanzi furono scritti tutti dal solo Wheeler, ma prima come avranno fatto?

Bellissimi gialli, angosciosi e a tratti onirici, dove il delitto scompagina e frantuma la realtà, obbligando i protagonisti a ricercare una nuova percezione dì se stessi e del mondo.

    Patrick Quentin e Q. Patrick

  • La busta scambiata (The wrong envelope), Nerbini, 1949
  • Tè e veleno (Cottage Sinister, 1931), Mondadori, 1983
  • Delitto al club delle donne (Murder at the Women 's City Club, 1932), Mondadori, 1983, 2002
  • Dramma universitario (Murder at Cambridge o Murder at the Varsity, 1933), Mondadori, 1937, 1964; o Prima che il temporale finisca, Mondadori, 1996
  • In crociera col delitto (S. S. Murder, 1933), Mondadori, 1984, 2003
  • Presagio di morte (The Grindle Nightmare, 1935), Mondadori, 1977, 1997
  • La morte fa l'appello (Death Goes to School, 1935), Mondadori, 1954, 1970
  • Manicomio (A Puzzle for Fools, 1935), Mondadori, 1939, 1975, 2006
  • Il segreto della Grande Clara (Death for Dear Clara, 1937), Mondadori, 1939, 1982, 2005
  • Lo specchio stregato (Puzzle for Players), 1938, Mondadori, 1940, 1968, 1998
  • caso Claudia Cragge (The File on Claudia Cragge, 1938), Mondadori, 1964, 1985
  • Troppe lettere per Grace (Death and the Maiden, 1939), Mondadori, 1952, 1995
  • La casa dell'uragano (Return to the Scene, 1941), Mondadori, 1953, 1970, 2001
  • Le rose volanti (Puzzle for Puppets, 1944), Mondadori, 1951, 1974
  • La sorte sbagliò tre volte (Puzzle for Wantons, 1945), Mondadori, 1952, 1976, 2007
  • Cerco me stesso (Puzzle for Friends, 1946), Mondadori, 1950, 1970, 2012
  • Fiesta di morte (Puzzle for Pilgrims, 1947), Mondadori, 1951, 1980
  • Morte nell'acqua verde (Run to Death, 1948) Nerbini, 1949; o Il pozzo dei sacrifici, Mondadori, 1950, 1977
  • Vacanze all'inferno (The Follower, 1950), Mondadori, 1956, 2004
  • segreto della morte (Black Widow, 1952), Mondadori, 1953, 1979
  • Trilogia della paura: Dramma universitario, Manicomio, Lo specchio stregato (Murder at the varsity), Mondadori, 1953
  • Soluzione estrema (Danger Next Door, 1952), Mondadori, 1999
  • Mio figlio l'assassino (My Son, the Murderer, 1954), Mondadori, 1955, 1981, 2012
  • E tutto finirà (The Man with Two Wives, 1955), Mondadori, 1955, 1970
  • limite del furore (The Man in the Net, 1956), Mondadori, 1957, 1973
  • Dà una spinta al destino (Suspicious Circumstances, 1957), Mondadori, 1959, 1977
  • Omicidio di gala (Shadow of Guilt, 1959), Mondadori, 1959, 1971, 2010
  • Controcorrente (The Green-Eyed Monster, 1965), Mondadori, 1961, 1982
  • Un velo sul passato (Family Skeletons, 1969), Mondadori, 1966, 1984





    Jonathan Stagge

  • E i cani abbaiano (Murder Gone to Earth, 1936), Mondadori, 1952, 1970, 2002
  • Scritto fra gli astri (The Stars Spell Death, 1937), Mondadori, 1951, 1978, 2015
  • La buona morte (Murder or Mercy, 1937), Mondadori, 1952, 2012
  • Se ci sei batti un colpo (Turn of the Table, 1940), Mondadori, 1951, 1983
  • Chiamate un carro funebre (The Yellow Taxi, 1942), Mondadori, 1947, 1984, 2010
  • Tre cerchi rossi (The Scarlet Circle, 1943), Mondadori, 1951, 1981
  • Quelle care figliole (Death My Darling Daughters, 1943), Mondadori, 1950, 1992
  • Antico canto di morte (Death 's Old Sweet Song, 1946), Garzanti, 1950 o Dolce, vecchia canzone di morte, Mondadori, 1959, 1974
  • Le tre paure (The Three Fears, 1949), Mondadori, 1951, 1992
  • Sette casi per il dottor Westlake: Chiamate un carro funebre, Quelle care figliole, Tre cerchi rossi, Scritto fra gli astri, Se ci sei batti un colpo, Le tre paure, La buona morte, Mondadori, 1961


 

Chi è Patrick Quentin

Con la pubblicazione nel 1936 del primo della collana mystery della Simon& Schuster, A Puzzle for Foois (tit. it. «Manicomio») i lettori si trovarono di fronte a una nuova firma, Patrick Quentin e a un nuovo detective, Peter Duluth. Entrambi ebbero un impatto positivo sia sui lettori sia sulla critica e quindi diedero il via al decollo di una nuova serie. Un anno più tardi nella stessa collana venne pubblicato Death for Dear Clara (tit. it. «Il segreto della grande Clara») di Q. Patrick: gli editori rivelarono che Q. Patrick e Patrick Quentin erano entrambi pseudonimi di due inglesi educati ad Harvard. Questo era abbastanza vero ma la storia non era tutta qui.

La firma Q. Patrick fu usata la prima volta per Cottage Sinister (tit. it. «Tè e veleno»), un romanzo ben costruito su una serie di avvelenamenti che si verifìcano in un villaggio inglese. A quel tempo la firma nascondeva la collaborazione di due scrittori inglesi, Richard Wilson Webb e Martha Mott Kelley. II secondo romanzo di Q. Patrick, scritto dalla stessa coppia, riscosse un successo inferiore: Murder al the Womens City Club (tit. it. «Delitto al Club delle donne»), ambientato in una cittadina vicina a Filadelfia, ma né l'ambientazione né i personaggi erano convincenti. Per S. S. Murder (tit. it. «In crociera col delitto») Webb si servì di un altro collaboratore, Mary Louise Aswell, mentre Murder at Cambrìdge fu scritto solo da Webb. Da una seconda collaborazione con Mary Aswell, uscì The Grindle Nightmare (tit. it. «Presagio di morte»), un cupo studio sul sadismo che portò a termine la prima fase della carriera di Q. Patrick.

Death goes to School (tit. it. «La morte fa l'appello») inaugurò una felice collaborazione fra Webb e Hugh Wheeler (nato a Londra il 19 marzo 1912). Tutte le successive storie di Q. Patrick furono scritte da questa accoppiata. In Death for the Dear Clara compariva il detective della polizia di New York, tenente Timothy Trant, educato a Princeton, elegante, che doveva comparire anche in Death and the Maiden (tit. it. «Troppe lettere per Grace») forse il più notevole dei suoi casi, e in una serie di rcconti. Dopo Return to the Scene (tit. it. «La casa dell'uragano») ambientato nelle Bermude, la firma Q. Patrick durante gli anni '40 apparve soltanto in alcuni racconti. Nel 1950 venne pubblicato l'ultimo romanzo di Q. Patrick, Danger Next Door. Per la verità l'ultimo scritto di Q. Patrick fu uno studio sul caso Edith Thompson: The Girl on the Gallows.
Torniamo al 1936: la seconda collaborazione Webb-Wheeler, dopo Death Goes to School fruttò un genere di mystery diverso da quelli per i quali il nome di Q. Patrick era diventato famoso.
Gii editori pensarono che fosse meglio adottare un nuovo pseudonimo, e così nacque Patrick Quentin.
Nel 1952 Richard Wilson Webb smise di collaborare e quindi i successivi romanzi firmati Patrick Quentin furono scritti da Hugh Wheleer da solo. Nel primo romanzo di questa nuova serie compaiono per l'ultima volta Iris e Peter Duluth. Tornando ancora una volta all'anno 1936 occorre aggiungere che due pseudonimi evidentemente non bastavano per coprire tutta la produzione di Webb-Wheeler, per cui adottarono una terza identità: Jonathan Stagge. Tra il 1936 e il 1949, sotto la firma Jonathan Stagge, furono pubblicati nove romanzi, tutti con protagonista il dr. Hugh Westlake, un medico che lavora in una cittadina delia Pennsylvania e che si trova spesso coinvolto, assieme alla precoce figlia Dawn, in casi di morti misteriose.

 

Giuseppe Lippi

I quattro volti di Patrick Quentin

«Lo scrittore» è stato detto «ha una personalità tendenzialmente schizoide, parola da non confondersi con "schizofrenico". Di solito è un tipo schivo, solitario, e il suo lavoro lo mette in condizione di creare un mondo separato dalla realtà in cui i suoi alter-ego psichici vivono le più mirabolanti avventure.»
Robert Bloch, per fare un esempio, nel dedicare una copia di Psyco a un giornalista suo ammiratore, scrisse: «A Ray Zone, questo sforzo autobiografico.» Bloch si identificava dunque con Norman Bates? Be', non esageriamo; sta di fatto che una volta, nel rispondere all'eterno quesito «di dove prendi le tue idee?», disse più o meno: «Come ogni scrittore, prendo le idee dalla parte buia che c'è in me, dal Mister Hyde che non oserebbe mai mostrarsi nella normale vita sociale.»

Un caso di leggero, leggerissimo sdoppiamento della personalità? No: un caso cui i vari ingredienti di cui è composta una singola personalità vengono a galla in maniera spettacolare, spesso contrastante fra loro. Nella narrativa gialla questo «schizoidismo» ha prodotto risultati artistici eccezionali: basti pensare, per citare un solo esempio, alle molte personalità di Doanld E. Westlake, alias Richard Stark, alias Tucker Coe: uno scrittore che, per ogni pseudonimo, sfoggia anche uno stile diverso e una diversa sensibilità. E non si tratta d'un caso unico!
Prendiamo quello di Patrick Quentin, scrittore i cui romanzi hanno fatto spesso parlare di «superamento» dei limiti del genere e di «straordinaria resa artistica» (soprattutto in relazione a certi titoli, come Manicomio, Cerco me stesso e Mio figlio l'assassino). Chi è Patrick Quentin? Ma Patrick Quentin, lo sanno tutti, non esiste!

il suo primo «avatar» fu un signore di nome Richard Wilson Webb, che negli anni Trenta scrisse alcuni ottimi romanzi polizieschi in collaborazione con una certa Martha Mott Kelly. Usarono lo pseudonimo collettivo di Q. Patrick, e la cosa durò finché la Kelly (che era diventata intanto la signora Stephen Wilson) non abbandonò la scena, peraltro con scarso danno. Evidentemente, l'elemento trainante della coppia era Webb. Costui scrisse un romanzo da solo, poi uno con una nuova collaboratrice, Mary Louise Aswell, e infine iniziò una fruttuosa collaborazione con un inglese naturalizzato americano, Hugh Callingham Wheeler.
Wheeler, che è il membro superstite della coppia (Webb si ritirerà dalla professione attiva negli anni '50), racconta in un'intervista a Gian Franco Orsi come lavorava col suo collega: «Dapprima, Webb forniva la trama e io fornivo la stesura. In un secondo tempo prendemmo l'abitudine di ideare la trama insieme e io continuai a provvedere alla stesura, finché, come sapete, Webb dovette affidare a me tutto il lavoro.»
Certo Webb era ammalato, ma un sospetto in noi nasce lo stesso: come mai il «pezzo forte» della coppia Webb-Kelly e Webb-Aswell cedette tutto il peso della «ditta» nelle mani del collega Wheeler? C'è una sola risposta: nel gioco delle personalità che si completano a vicenda, ma che «si mangiano» anche a vicenda, Webb aveva trovato qualcuno più forte di lui.
La coppia Wheeler-Webb, che alcuni vogliono identificare come il «vero» (?) Patrick Quentin, usò a sua volta tre pseudonimi: Patrick Quentin, Q. Patrick e Jonathan Stagge.
Con il primo nome crearono le appassionanti avventure di Peter Duluth, un personaggio che è al di fuori di tutti gli schemi della narrativa gialla in quanto egli stesso vittima e risolutore dei casi che lo riguardano. In Cerco me stesso perde la memoria, in Manicomio va a disintossicarsi in una casa di cura con effetti estremamente drammatici, in Mio figlio, l'assassino rinuncia addirittura al ruolo di protagonista per mettere al centro del romanzo il rapporto tra un padre tormentato e un figlio che ha ucciso. Ma la «personalità» Quentin è anche responsabile delle avventure del tenente Trant, personaggio di poliziotto dalla statura umana fuori del comune di cui ricorderemo almeno un'avventura: Omicidio di gala.
La seconda "personalità", Q. Patrick, ha fruttato il famoso fìle-novel II caso Gragge, vera e propria ricostruzione di un'indagine alla quale il lettore può partecipare con tutti gli strumenti della polizia scientifica; mentre al primo periodo (parliamo del 1932) appartiene la recente riscoperta di Delitto al club delle donne.
La terza «personalità», Jonathan Stagge, ha fruttato i numerosi romanzi di cui è protagonista il dottor Westlake, inimitabile personaggio d'investigatore la cui aiutante e preziosa «spalla» è una bimbetta di pochi anni, sua figlia Dawn (Tre cerchi rossi, Scritto tra gli astri, Chiamate un carro funebre, solo per ricordare qualche titolo).

Ritiratosi Webb, Wheeler continuò a scrivere a ritmo sostenuto, usando vecchi pseudoinmi collettivi e con pieno successo. È dunque a lui che spetta l'onere di «incarnare» Patrick Quentin? Ma no, com'è possibile? Quentin è un po' come quell'ameba pensante di Quattro in uno, l'affascinante racconto di Knight in cui quattro illustri personaggi si trovano fusi in un corpo solo...

Con una differenza: che mentre «incidenti» simili portano inevitabilmente ad avversità e discordie, nel caso di Patrick Quentin, Q. Patrick e Jonathan Stagge, le quattro personalità hanno saputo raggiungere una mirabile fusione e darci uno dei giallisti più insoliti, più bravi e convincenti della narrativa americana.

 

Mauro Boncompagni

I personaggi quentiniani

Quando nel 1936 apparve Peter Duluth, sicuramente il più significativo fra i personaggi creati dalla fantasia di Patrick Quentin, il romanzo poliziesco celebrava la sua età dell'oro.
Agatha Christie continuava ormai da sedici anni i propri candidi amori con Poirot, fecondi di casi memorabili e di soluzioni; Ellery Queen insisteva, anche se da minor tempo, sui suoi problems in deduction, veri e propri rompicapi per il lettore intelligente ed esigente; John Dickson Carr riscuoteva crescente successo come implacabile arredatore di camere chiuse, mentre frattanto quelle di Rex Stout si erano aperte da un paio d'anni per introdurre i primi clienti di fronte all'imponente stazza, ed alla scontrosa surcigliosità del suo Nero Wolfe. Non era solo il trionfo del Personaggio Eccezionale, del Detective Carismatico e Miracoloso: era, più in generale, il segno di una civiltà letteraria che aveva fatto del romanzo giallo, con ammirevole pazienza artigianale, un perfetto meccanismo ad orologeria, una sofìsticatissima macchina capace di progettare intrecci sconcertanti, situazioni impossibili, delitti bizzarri, soluzioni multiple, ecc.
Ovvio corollario di questo stato di cose era che quanto più aumentava il tasso di complicazione di una trama, tanto più il detective (dilettante o meno) chiamato a far luce sul garbuglio doveva mostrarsi umanamente - e sentimentalmente - invulnerabile. Gli erano beninteso concesse, e talvolta con prodigalità eccessiva, talune anomalie nel carattere, destinate, in genere sotto forma di idiosincrasie individuali, a funzionare come segnali di riconoscimento; ma la sua presenza sulla scena era molto più simile a quella di uno scrutatore instancabile che di un comune personaggio, e come tale si comportava nel corso dell'azione, partecipando agli eventi senza mai farsene troppo coinvolgere. Chi non ricorda gli aridi resoconti, precisi sino all'ossessione e rigidamente asettici, dei romanzi di Freeman? Ma quale modo migliore, del tutto privo di sussulti, per introdurre i lunghi e snervanti esperimenti da laboratorio con i quali il dr. Thorndyke conclude i suoi casi? E gli smisurati, sublimemente irredimibili o grandiosamente gratuiti interrogatori ai sospetti che percorrono capitolo dopo capitolo, con la stessa grave lentezza, i romanzi di Rhode o di Connington? Come non vedere in questo culto della parola neutra, in questa ipertrofìa dell'osservazione distaccata, in questa pratica ossessiva dell'interrogazione inquisitoria, con tanto di bilancio provvisorio ogni sette od otto capitoli, la cifra rivelatrice di un preciso modo di concepire il giallo, quello a cui pensava anche Van Dine quando, nella terza delle sue venti regole, osservava ironicamente che lo scopo di un romanzo poliziesco è «di condurre un criminale davanti alla giustizia, non due innamorati all'altare?»

Ebbene, la scommessa di Peter Duluth, già dal primo romanzo che lo vede protagonista, Manicomio (Puzzle for Fools, 1936), si impegna proprio sull'esatto contrario rispetto alla convinzione di Van Dine secondo la quale indagine e psicologia farebbero a pugni. Nel romanzo in questione, Duluth ci viene presentato, prima ancora che come investigatore, come un caso psicologico - o se si vuole patologico: è un produttore teatrale semialcolizzato che si è fatto ricoverare in una cllnica psichiatrica per liberarsi dai propri incubi.
E nel corso della degenza, funestata da alcuni misteriosi delitti che lo costringeranno ad improvvisarsi investigatore, Peter conoscerà anche la propria futura moglie, Iris, destinata poi ad una brillante carriera di attrice. Si tratta, con tutta evidenza, di un investigatore per i tempi molto sui generis, non segnato da alcuna affinità con macchine pensanti quali Gideon Fell o Nero Wolfe. Di fronte alla teatrale ufficialità del primo (che, non dimentichiamolo, pur non rivestendo cariche a Scotland Yard ha la posizione di autorevole studioso di criminologia) ed alla coltivata, orgogliosa misoginia del secondo, Peter Duluth appare - ed apparirà ancor meglio in futuro, come un romanzo quale Il segreto della morte (Black Widow, 1952) chiaramente rivela - l'Everybody coinvolto in eventi più grandi di lui, il personaggio qualsiasi venutosi ad imbattere, talvolta per caso, in una macchinazione della quale non si riesce a vedere chi regga le fila. All'eccezionalità del grande detective, pronto a risolvere delitti che non lo coinvolgono mai in prima persona, Duluth contrappone l'angoscia del perseguitato costretto ad improvvisarsi investigatore per salvare la propria vita prima che la rete si chiuda.

Questo vale, almeno in parte, anche per gli altri investigatori sollevati da Patrick Quentin all'onore della pagina: il dr. Westlake e il tenente Trant. Il primo, pure lui creato nel 1936 e protagonista di nove romanzi fino al 1949, è come Duluth un investigatore più per necessità che per virtù, essendo spesso coinvolto personalmente nei casi sui quali deve far luce. Vedovo, ma tutt'altro che refrattario al fascino femminile, ha una fìglioletta, Dawn, al cui spirito di osservazione, che sovente lo aiuta nelle indagini, egli presta in generale più attenzione che ai suoi strumenti tenico-professionali, denotando in ciò scarsa fedeltà al verbo freemaniano, per il quale il termine «dottore» - e si pensi ancora al dr. Thorndike - è sempre sinonimo, come minimo, di «scienziato sperimentale». Il tenente Trant è invece un poliziotto professionista che compare, dal 1937 al 1965, in diversi romanzi a firma sia di P. Quentin che di Q. Patrick, Nonostante la sua ufficialità (che lo rende un po' più simile agli investigatori anni Trenta) e nonostante una certa sua discontinuità come personaggio, anche Trant conserva inconfondibile quella nota umana che lo avvicina ai suoi confratelli sulla pagina, come chiaramente risulta da quello che deve considerarsi uno dei dieci migliori romanzi gialli degli ultimi trent'anni: E tutto finirà (The Man with Two Wives, 1955). È un'opera, questa, che mette bene in luce la fisionomia discreta e sottile del personaggio, segnando insieme il risultato più alto di quella poetica della macchinazione e del suspense perseguita da Patrick Quentin in tutti i suoi romanzi ed approfondita con sempre maggior risalto psicologico negli anni Cinquanta. Una poetica costruita per intero su un brivido da vertigine: il brivido dell'uomo nella rete.

 

Miro Stivera

Quentin e il cinema

 

L'amante sconosciuta (Black Widow, 1954) di Nunnally Johnson. Con Van Heflin, Gene Tierney, Ginger Rogers, George Raft. Dal romanzo «II segreto della morte»

Quando il regista Nunnally Johnson lesse Black Widow di Patrick Quentin, la storia dovette piacergli subito perché sottopose il progetto alla Fox e ne trasse, sempre nel 1954, il suo secondo film mettendo insieme un ottimo cast. In Italia, il film uscì nel 1955 con un titolo che, invece di essere La vedova nera o di richiamare un titolo analogo ma ugualmente «da giallo», alludeva invece a turgidi melodrammi che in realtà erano appena sfiorati nella vicenda. L'amante sconosciuta non ebbe infatti il pubblico che si meritava. Gli appassionati del melodramma a forti tinte ne rimasero delusi per il suo intreccio decisamente a suspense e poco romantico, mentre gli amanti del film giallo, e non per colpa loro, se lo lasciarono sfuggire. Ma era un bei film, girato bene e di buon livello, la fotografia a colori leggermente buia e sgranata, drammatica, e i grattacieli di New York che ammiccavano fuori da ogni finestra come in molti film Fox di quegli anni, forse perché facevano un'ottima figura nel formato orizzontale del Cinemascope.
Peter Duluth, il produttore teatrale incauto e sfortunato, era un Van Heflin un po' rigido e imbambolato, ma sua moglie, la deliziosa attrice Iris Duluth, era una Gene Tierney molto elegante e bellissima. Avrebbe girato altri due film prima di ritirarsi volontariamente e per parecchio tempo in una casa di cura per malattie mentali. La ragazza Nanny Ordway che mette tutti nei pasticci era Peggy Ann Garner, e Lottie Marin, la grande attrice temperamentosa e ficcanaso, era Ginger Rogers, fìsicamente non sbagliata per la parte ma non disposta ad affrontarla con sufficienti sfumature. Il tenente Trant era niente di meno che George Raft, rispolverato e rimesso in circolazione, e bravissimo.
Il film, leggermente lento nell'azione - ma tutti i film di Nunnally Johnson lo erano, quasi un marchio di fabbrica, era molto fedele al libro di Patrick Quentin da cui era tratto, libro che conserva tuttora il suo profumo di tragedia americana degli anni '50. E i riferimenti culturali di Quentin sono tanti, molto belli e fin troppo dotti. E c'è di tutto: dalla vita bohème della gente del Village descritta con pochi abili tocchi, al mondo del teatro di Broadway che l'autore doveva conoscere bene, alla figura dell'attrice Lottie Marin che viene disegnata sapientemente col suo egocentrismo e i pigiami cinesi rosso pomodoro a pagode. C'è persino un'aria della Salomé di Strauss cantata da Ljuba Welitch che è quasi il leit motiv della storia, e ad un romanzo giallo di ottimo livello con un finale a sorpresa non si può francamente chiedere di più.

da "Dossier Patrick Quentin", Il Giallo Mondadori, n. 1829, 19.2.1984