inizio rosso e giallo


Frank Schätzing


Eh sì, neanche gli scrittori polizieschi sono più quelli di una volta... Ti creavano il loro bravo detective, possibilmente dilettante tanto i poliziotti veri sono scemi, cercavano da bravi di imitare Hammett o Dickson Carr, magari qualche volta facevano una rapida incursione nell'horror o nel fantasy ma poi tornavano a casa, con un cadaverone fresco fresco sul tappeto.

Oggi, invece, 'sti scrittori vogliono ficcare il naso dappertutto, e un giorno ti spiattellano un bel mistero della camera chiusa e il dì appresso ti fanno un comizio sull'ambiente che va a remengo.
Appunto, Frank Schätzing (Colonia, 1957) è uno di questi rompiscatole che non si fanno catalogare comme il faut: un appassionante thriller fantaecologico (Il quinto giorno), un romanzo durissimo su Kosovo, NATO, terrorismo e dintorni (Silenzio assoluto), un altro thriller (Silenziosamente),...
E sì che aveva cominciato bene: un bel romanzone ambientato nella Germania feudale, che non sarà il Bronx o il dolce Sussex, ma che comunque ti garantiva intrighi e sangue.

Dopo Il nome della rosa non ci si salva più da fratelli o sorelle che indagano acutamente fra navate avvolte d'incenso e gelide cripte, però va detto che ll diavolo nella cattedrale (Nord, 2006) è un libro magnifico: la Colonia medievale è uno scenario affascinante, con le sue terribili lotte di potere, le trame di mercanti avidi e di prelati ambiziosi, le architetture sontuose, la miseria onnipresente.
E la vicenda delittuosa è condotta da Schätzing con vera maestria: quasi distrattamente, perchè l'autore si diverte troppo a raccontarci la sua città natale, a inseguire affettuosamente Jacop, astuto e maldestro ladruncolo capitato in mezzo a qualcosa di molto, ma molto più grande di lui.
Ma gli elementi del grande giallo ci sono, eccome.

E poi, nel 2010, esce il poderoso (oltre 1300 pagine) Limit: un romanzo estremamente complesso, oltre che interminabile, in cui Schätzing affronta con vigore e padronanza il difficile compito di incardinare il thriller non a un nucleo centrale classico (la movimentata indagine tesa a scoprire un complotto internazionale), bensì a un intreccio di storie e di generi. Fantascienza non banale, con ripetuti omaggi ad Arthur C. Clarke; geopolitica che affronta seriamente le competizioni internazionali per il controllo delle fonti energetiche, raccordando gli scenari attuali con quelli di un futuro non troppo lontano (la vicenda è ambientata nel 2025); ma anche incursioni intense e documentate nell'universo Cina, anche qui mescolando attualità e proiezioni verso il futuro.

  • Il diavolo nella cattedrale (Tod und Teufel, 1995), Nord, 2006
  • Il quinto giorno (Der Schwarm, 2004), Nord, 2005
  • Il mondo d'acqua (2006), Nord, 2006 - saggio che raccoglie le ricerche sulla biologia marina effettuate per Il quinto giorno
  • Silenzio assoluto (Lautlos, 2008), Nord, 2009
  • Limit (Limit, 2009), Nord, 2010
  • Breaking news (Breaking news, 2014), Nord, 2014
  • Il quarto uomo (Die dunkle Seite, 1997), Nord, 2015
  • La tirannia della farfalla (Die Tyrannei des Schmetterlings, 2018), Nord, 2018

Luca Crovi

I segreti dei thriller di Frank Schätzing

È vero che tempo fa alcuni turisti in Sri Lanka si sono salvati dallo tsunami perché era capitato loro di leggere il suo libro Il quinto giorno.?

Sì, è vero, e non è accaduto soltanto là. È capitato che qualcuno, proprio la sera prima di quei terribili eventi, abbia letto proprio la pagina in cui racconto cosa capita quando il mare si ritira. Così, quando il giorno dopo hanno visto quel fenomeno, hanno capito quale pericolo rappresentasse. Me lo ha raccontato una cinquantina di persone.

Eppure probabilmente non c’era nulla di programmatico nella sua decisione di scrivere un libro che parlasse anche di maremoti. Se non mi sbaglio, il suo romanzo era nato tutto da un sogno?

Sì, non vado mai alla ricerca delle mie storie, ma aspetto che siano loro a cercare me. In effetti, in quel caso, avevo sognato una grande quantità di esseri marini, spaventosa e minacciosa.

Cosa l’ha sempre affascinata del mare?

Per me il mare è un vero universo, un cosmo che ci avvolge dall’alto al basso. Di fronte ad esso, quindi, si possono avere che due reazioni: la paura o la curiosità. In me prevale la seconda. Inoltre, quando ci si immerge, non è solo un’immersione nell’acqua, ma in un mondo scuro e oscuro, che ti porta verso te stesso, verso un io che, come il mare, è profondo e sconosciuto.

Perché dopo Il quinto giorno ha sentito l’esigenza di realizzare Il mondo d’acqua, che non è un thriller, bensì un saggio che narra la nascita della vita e l’evoluzione delle acque sulla Terra?

Erano tanti i lettori che mi chiedevano quale fosse la realtà e quale la fantasia ne Il quinto giorno. Allora ho deciso di usare il materiale raccolto per le ricerche fatte per il romanzo e di realizzare un libretto, che invece è diventato un saggio. La documentazione, infatti, era vastissima: avevo interpellato esperti per tre anni e letto moltissimo. Ma la grande sfida non è raccogliere il materiale, bensì capire come funziona un mondo.

Lei è un musicista (con una grande passione per un certo rock progressivo come quello dei Genesis e dei Tangerine Dream) e un performer. Quale suono si immagina abbiano le profondità del mare e quali musiche ha scelto per sottolineare le emozioni dei due suoi libri dedicati al mare quando ne ha realizzato la versione audiobook?


Quando penso al suono del mare mi viene subito in mente il canto delle balene, e così ho pensato di ispirarmi a loro per comporre musica. In occasione di uno spettacolo legato all’uscita de Il quinto giorno abbiamo sperimentato il mix del canto delle balene con la musica di strumenti irlandesi, come la cornamusa. Il risultato è stato sorprendente!

In Silenzio assoluto ha scelto di toccare un argomento spinoso come quello del terrorismo. Perché?

Perché è una realtà che ha a che fare con la nostra epoca, sempre più immersa nell’incertezza e nell’insicurezza. In questi anni, inoltre, abbiamo assistito al passaggio dal vecchio terrorismo, che colpiva in maniera mirata, ad una nuova forma di terrorismo, che si accanisce indiscriminatamente su grandi masse di persone. In Silenzio assoluto ci troviamo alla vigilia dell’11 settembre, un momento in cui il mondo intero si trova in uno stato di confusione totale e accadono avvenimenti come la guerra del Kosovo. Quello che a me interessava mettere in luce era il nodo intricato di politica, dispotismo e terrorismo che si è realizzato in quel momento e che non può essere districato.

Ken Follett ha sostenuto in un’intervista che gli abbiamo fatto tempo fa che dopo gli eventi dell’11 settembre è molto difficile per gli autori di thriller ipotizzare trame mozzafiato con protagonisti i terroristi, perché la realtà ha davvero superato la fantasia. Che cosa ne pensa?

Sì, è vero, è più difficile, però dobbiamo continuare a scrivere, cercando nuovi spunti, perché il terrorismo è ancora più pericoloso di una volta.

Quanto bisogna essere documentati sulla situazione politica internazionale per poter realizzare un plot come quello di Silenzio assoluto e quanto invece si può volare sulla fantasia?

Quando i fatti veri ci sono tutti e corrispondono, e si hanno ben presenti tutti gli eventi di fondo, si può iniziare a lavorare con la fantasia. Per capire che cosa sta dietro a un fatto importante bisogna leggere moltissimi libri e soprattutto parlare con tanti esperti, e soppesare le ipotesi. La cosa veramente stimolante nello scrivere questo tipo di thriller è che tutto può essere verosimile.

È vero che dopo la pubblicazione del suo libro in Germania sono cambiati i sistemi di controllo di sicurezza dell’aeroporto di Colonia?

No, non è vero, questo libro non è riuscito a fare così tanto! Tuttavia, nel periodo in cui stavo scrivendo il romanzo ero in contatto con la polizia criminale e con i servizi segreti che si occupavano della protezione dei politici; e loro si sono interessati alle armi che intendevo descrivere, perciò ho dovuto cambiare alcuni dettagli, in modo che a qualche lettore non venisse in mente di riprodurle…

Perché ha voluto che il tema del conflitto in Kosovo fosse così centrale nello sviluppo del suo libro?


La guerra in Kosovo è scoppiata poco prima del G8 che si è tenuto a Colonia. Tutti parlavano del Kosovo, ma nessuno conosceva esattamente la situazione di quel Paese. Quando ho iniziato ad approfondire l’argomento, ho visto che nel Kosovo si concentravano gli interessi di tutto il mondo, e ho quindi visto sia una bella trama per un thriller, sia l’occasione per focalizzare i retroscena.

In che modo ha cercato di raccontare la mafia russa?


Il tema della mafia russa è marginale perché mi importava raccontare che, a un certo punto, in Russia cade l’ordine e aumenta il potere della mafia. La Russia diventa il crocevia di una serie di transazioni internazionali di cui non si può più seguire il percorso o conoscerne l’origine, e in questo la mafia russa gioca un ruolo enorme. Ma questo non vuole essere l’argomento del mio libro.

Come descriverebbe i terroristi che sono al centro delle vicende del suo romanzo?

Come una specie in via di estinzione. Che tenta, con un dispiego enorme di energie, di uccidere una sola persona. Il terrorismo moderno, invece, per uccidere il Presidente degli Stati Uniti, non esiterebbe a fare saltare il suo aereo.

Le è mai capitato di vedere come il tema degli attentati e dei raid terroristici è sviluppato in un serial di successo come “24”?


Sì. Serie televisive come “24” tentano di intervenire sulla paura e sull’insicurezza che ci può colpire, oggi, in qualunque parte del mondo ci troviamo. Tradurre le nostre paure in immagini serve per liberarcene, è una sorta di catarsi.

Perché ha voluto che il suo thriller, oltre a una grande dose di action e ricostruzione politica, avesse anche una dimensione fantascientifica, o meglio una dimensione scientifica-fantastica?


Innanzitutto, perché la scienza mi ha sempre affascinato, e poi perché se vuoi uccidere il Presidente degli Stati Uniti in visita a Colonia è chiaro che non puoi pensare di arrivare lì e dargli un colpo in testa…

Se dovesse ipotizzare oggi un altro complotto contro il Presidente degli Stati Uniti, chi ne potrebbero essere i responsabili?


Oggi chiunque potrebbe essere coinvolto in un complotto di questo tipo, perché a livello internazionale la situazione degli interessi non è affatto libera. Se diventasse Presidente Barak Obama [cosa ovviamente nel frattempo avvenuta], potrebbe trattarsi di islamisti o repubblicani statunitensi, o di qualunque organizzazione fondamentalista. Comunque dobbiamo ricordarci che nella tradizione delle uccisioni dei Presidenti degli Stati Uniti il grande pericolo risiede all’interno degli Stati Uniti stessi e non all’esterno. Sono sempre stati degli americani a uccidere i loro presidenti.

da http://giallo.blog.rai.it/