inizio rosso e giallo




le regole del giallo

Isaac Asimov ha scritto anche alcuni racconti polizieschi, ma è soprattutto noto per la sua produzione fantascientifica: anzi, per cercare di mettere un po' d'ordine in un genere che, per definizione, lasciava la più ampia libertà espressiva all'autore, Asimov ha fissato alcune regole, per lo meno per limitare gli abusi in un campo dove le sciocchezze prevalgono sulla pur sfrenata fantasia.

E così recitano Le tre leggi della robotica:

1. Un robot non può recare danno a un essere umano, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno. 2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contrastino con la Prima Legge. 3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e/o la Seconda Legge.

Analogamente, nel genere poliziesco abbiamo di tutto e di più, soprattutto da quando il cinema non può fare a meno dei formidabili effetti speciali resi possibili dalla computer grafica.

Tuttavia vale forse la pena di rammentare i buoni propositi di alcuni autori di gialli, che a suo tempo intesero appunto porre un freno all'eccessiva disinvoltura con cui il genere veniva trattato. Ne rammentiamo solo due (piuttosto diversi l'uno dall'altro), quelli cioè che hanno proposto le regole più plausibili, sia dal punto di vista letterario che da quello tecnico.


S. S. Van Dine (Willard Huntington Wright, 1888 - 1939)

Le venti regole


1. Il lettore deve avere le stesse possibilità del poliziotto di risolvere il mistero. Tutti gli indizi e le tracce debbono essere chiaramente elencati e descritti.

2. Non devono essere esercitati sul lettore altri sotterfugi e inganni oltre quelli che legittimamente il criminale mette in opera contro lo stesso investigatore.

3.
Non ci deve essere una storia d'amore troppo interessante. Lo scopo è di condurre un criminale davanti alla giustizia, non due innamorati all'altare.

4.
l'investigatore né alcun altro dei poliziotti ufficiali deve mai risultare colpevole. Questo non è buon gioco: è come offrire a qualcuno un soldone lucido per un marengo; è una falsa testimonianza.

5.
Il colpevole deve essere scoperto attraverso logiche deduzioni: non per caso, o coincidenza, o non motivata confessione. Risolvere un problema criminale a codesto modo è come spedire determinatamente il lettore sopra una falsa traccia, per dirgli poi che tenevate nascosto voi in una manica l'oggetto delle ricerche. Un autore che si comporti così è un semplice burlone di cattivo gusto.

6.
In un romanzo poliziesco ci deve essere un poliziotto, e un poliziotto non è tale se non indaga e deduce. Il suo compito è quello di riunire gli indizi che possono condurre alla cattura di chi è colpevole del misfatto commesso nel primo capitolo. Se il poliziotto non raggiunge il suo scopo attraverso un simile lavorìo non ha risolto veramente il problema, come non lo ha risolto lo scolaro che va a copiare nel testo di matematica il risultato finale del problema.

7.
Ci deve essere almeno un morto in un romanzo poliziesco e più il morto è morto, meglio è. Nessun delitto minore dell'assassinio è sufficiente. Trecento pagine sono troppe per una colpa minore. Il dispendio di energie del lettore deve essere remunerato!

8.
Il problema del delitto deve essere risolto con metodi strettamente naturalistici. Apprendere la verità per mezzo di scritture medianiche, sedute spiritiche, la lettura del pensiero, suggestioni e magie, è assolutamente proibito. Un lettore può gareggiare con un poliziotto che ricorre a metodi razionali: se deve competere anche con il mondo degli spiriti e con la metafisica è battuto ab initio.

9.
Ci deve essere nel romanzo un poliziotto, un solo "deduttore", un solo deus ex machina. Mettere in scena tre, quattro o addirittura una banda di segugi per risolvere un problema significa non soltanto disperdere l'interesse, spezzare il filo della logica, ma anche attribuirsi un antipatico vantaggio sul lettore. Se c'è più di un poliziotto il lettore non sa più con chi sta gareggiando: sarebbe come farlo partecipare da solo a una corsa contro una staffetta.

10.
Il colpevole deve essere una persona che ha avuto una parte più o meno importante nella storia; una persona, cioè, che sia divenuta familiare al lettore e lo abbia interessato.

11.
I servitori non devono essere, in genere, scelti come colpevoli: si prestano a soluzioni troppo facili. Il colpevole deve essere decisamente una persona di fiducia, uno di cui non si dovrebbe mai sospettare.

12.
Ci deve essere un colpevole e uno soltanto, qualunque sia il numero dei delitti commessi. Il colpevole può aver naturalmente qualche complice o aiutante minore: ma l'intera responsabilità e l'intera indignazione del lettore devono gravare sopra un unico capro espiatorio.

13.
Società segrete, associazioni a delinquere et similia non trovano posto in un vero romanzo poliziesco. Un delitto geniale e interessante è irrimediabilmente sciupato da una colpa collegiale. Certo, anche al colpevole deve essere concessa una chance: ma accordargli addirittura una società segreta è troppo. Nessun delinquente di classe accetterebbe.

14.
I metodi del delinquente e i sistemi di indagine devono essere razionali e scientifici. Vanno cioè senz'altro escluse la pseudo scienza e le astuzie puramente fantastiche, alla maniera di Jules Verne. Quando un autore ricorre a simili metodi può considerarsi evaso, dai limiti del romanzo poliziesco, negli incontrollabili domini del romanzo d'avventure.

15.
La soluzione del problema deve essere sempre evidente, ammesso che vi sia un lettore sufficientemente astuto per vederla subito. Se il lettore, dopo aver raggiunto il capitolo finale e la spiegazione, ripercorre il libro a ritroso, deve constatare che in un certo senso la soluzione stava davanti ai suoi occhi fin dall'inizio, che tutti gli indizi designavano il colpevole e che, se egli fosse stato acuto come il poliziotto, avrebbe potuto risolvere il mistero da sé, senza leggere il libro sino alla fine. Il che - inutile dirlo - capita spesso al lettore ricco d'istruzione.

16.
Un romanzo poliziesco non deve contenere descrizioni troppo diffuse, pezzi di bravura letteraria, analisi psicologiche troppo insistenti, presentazioni di "atmosfera": tutte cose che non hanno vitale importanza in un romanzo di indagine poliziesca. Esse rallentano l'azione, distraggono dallo scopo principale che è: porre un problema, analizzarlo, condurlo a una conclusione positiva. Si capisce che ci deve essere quel tanto di descrizione e di studio di carattere che è necessario per dar verosimiglianza alla narrazione.

17.
Un delinquente di professione non deve mai essere preso come colpevole in un romanzo poliziesco. I delitti dei banditi riguardano la polizia, non gli scrittori e i brillanti investigatori dilettanti. Un delitto veramente affascinante non può essere commesso che da un personaggio molto pio o da una zitellona nota per le sue opere di beneficenza.

18.
Il delitto, in un romanzo poliziesco, non deve mai essere avvenuto per accidente: né deve scoprirsi che si tratta di suicidio. Terminare una odissea di indagini con una soluzione così irrisoria significa truffare bellamente il fiducioso e gentile lettore.

19.
I delitti nei romanzi polizieschi devono essere provocati da motivi puramente personali. Congiure internazionali e così via appartengono a un altro genere narrativo. Una storia poliziesca deve riflettere le esperienze quotidiane del lettore, costituendo una valvola di sicurezza delle sue stesse emozioni.

20.
Ed ecco infine, per concludere degnamente questo "credo", una serie di espedienti che nessuno scrittore di polizieschi che si rispetti vorrà più impiegare, perché già troppo usati e ormai familiari a ogni amatore di libri polizieschi. Valersene ancora è come confessare inettitudine e mancanza di originalità:

a) scoprire il colpevole grazie al confronto di un mozzicone di sigaretta lasciato sul luogo del delitto con le sigarette fumate da uno dei sospettati; b) il trucco della seduta spiritica contraffatta che atterrisce il colpevole e lo induce a tradirsi; e) impronte digitali falsificate; d) alibi creato grazie a un fantoccio; e) cane che non abbaia e quindi rivela il fatto che il colpevole è uno della famiglia; f) il colpevole è un gemello, oppure un parente sosia di una persona sospetta, ma innocente; g) siringhe ipodermiche e bevande soporifere; h) il delitto è commesso in una stanza chiusa, dopo che la polizia vi ha già fatto il suo ingresso; i) associazioni di parole che rivelano la colpa; l) alfabeti convenzionali che il poliziotto decifra.

Raymond Chandler (1888 -1959)

Le dieci regole


1.
Il romanzo poliziesco deve essere motivato in maniera credibile sia come situazione originale, sia come conclusione.

2. Il romanzo poliziesco deve essere tecnicamente esatto per quanto riguarda i metodi del crimine e dell'indagine.

3.
Il romanzo poliziesco deve essere realistico per quanto riguarda personaggi, ambiente e atmosfera. Deve trattare di persone vere in un mondo vero.

4.
Il romanzo giallo deve avere un autentico valore come storia, a parte l'elemento poliziesco.

5. Il romanzo poliziesco deve avere una semplicità di struttura fondamentale, sufficiente a rendere facili le spiegazioni quando è il momento.

6.
Il mistero insito nel romanzo poliziesco deve eludere un lettore ragionevolmente intelligente.

7.
La soluzione, una volta rivelata, deve apparire inevitabile.

8.
Il romanzo poliziesco non deve cercare di fare tutto in una volta. Se è una storia misteriosa in un clima mentale freddo, non può essere contemporaneamente una storia di violente avventure o di amore appassionato.

9.
Il romanzo poliziesco deve punire il criminale in un modo o nell'altro, non necessariamente mediante il giudizio di un tribunale... Senza la punizione, il romanzo diventa simile a un accordo non risolto in musica. Lascia un senso di irritazione.

10.
Il romanzo poliziesco deve essere ragionevolmente onesto con il lettore.


Certo, in tempi di serial killer, squadre investigative, contaminazioni selvagge fra generi e sottogeneri, queste regole sembrano più che altro il galateo della nonna, ma nella sostanza mantengono una loro robusta credibilità.
A proposito di quanto l'autore debba essere onesto col pubblico, i due grandi maestri degli intrecci mostruosamente complicati - Agatha Christie e John Dickson Carr - hanno sì costruito dei meccanismi raffinati e sostenibili, ma senza rinunciare a farsi beffe dell'incauto lettore. E Dalle nove alle dieci di Dame Agatha è il capolavoro di questi deliziosi imbrogli.

Ma ecco che qualcuno ha pensato bene di aggiornare un po' le cose, e ha riformulato le regole: non tutte ci trovano d'accordo, in verità, ma ci sembrano comunque interessanti.



Rina Brundu Eustace

20 regole per scrivere un giallo


Una moderna riscrittura (ex novo, in verità!)

Hanno ottanta anni ma non li dimostrano! Parlo delle Venti regole per scrivere un giallo di S. S. Van Dine (pseudonimo di Willard Huntington Wright, 1888- 1939), il grande giallista americano dell’epoca d’oro.

Proprio così! Nel leggerle e nel rileggerle la domanda nasce spontanea: quale autore moderno non le sottoscriverebbe quasi tutte? Dico quasi perché, in realtà, qualcosa è cambiato, non tanto dentro il testo, quanto nel contesto di produzione. Il va sans dire: sono cambiati i tempi (non è una contraddizione)!

La concorrenza, soprattutto sotto forma di telefilm di avanguardia trattanti tematiche correlate (cito per tutte la mitica serie di CSI, quella originale con William Petersen nel ruolo di Gil Grissom per intenderci!), è spietata, mentre le intasate strade dell’interweb non lesinano emozioni criminali ad ogni click anche solamente pensato.

Tuttavia, non si può negare che questo genere letterario (chiamiamolo così, osiamo, che ci sarà di male?) abbia dimostrato un’insospettata capacità di resistenza ai reiterati attacchi. La sua forza è scaturita dall’essersi chiuso a riccio conservando intatte le peculiarità (forse anche grazie al lavoro di puntellatura fatto da Van Dine!). Questa ferma impostazione strutturale e stilistica sarà, per quanto mi riguarda, l’arma vincente che ne garantirà la sopravvivenza e il successo di pubblico per molto altro tempo ancora.

Ciò non vuol dire che alcune delle regole dettate ottanta anni fa dallo scrittore americano, non presentino una qualità obsoleta, mentre è inutile negare che altre sono state completamente superate dal naturale evolversi dell’umano sentire (e quindi dalle pratiche criminali messe in atto, e quindi dalle metodologie investigative adottate). Bisogna riconoscerlo! Non vi è nulla di male o di presuntuoso nel mantenere una simile posizione; soprattutto, nulla viene tolto alla grandezza dell’autore. Allo stesso modo, nulla vieta che i vecchi insegnamenti possano coesistere con regole nuove, destinate, nelle intenzioni, a tappare le falle, rispetto al segmento temporale mutato, laddove queste siano state riscontrate.

Quella che segue è appunto una libera riscrittura, (ex novo, in realtà!) delle 20 regole per scrivere un giallo, secondo il mio modestissimo intendimento. Propone quindi una privata visione delle cose della narrativa poliziesca e non ha alcuna mira universale (neppure questa è una contraddizione in termini, caso mai qualcuno lo pensasse!). Per queste stesse ragioni e per il rispetto che si deve sempre a chi è di gran lunga più meritevole di noi, non mancherò, quando sarà necessario, di rimarcare qualunque forte presa di posizione rispetto alle indicazioni originali di Van Dine.

Un romanzo giallo sarà dunque tanto più valido quando l'autore non dimentica che:

1. Un giallo è un giallo.
Non è un libro d’avventure, né di spionaggio, né un romanzo rosa, ma neppure un trattato filosofico o un’opera che cambierà la storia del mondo. Di più, la scrittura nel giallo, per forza del suo destino, è sempre una scrittura di partenza, MAI una scrittura d’arrivo (altra cosa sono le valide trame inserite in situazioni letterarie differenti, si veda, per esempio, il bellissimo plot criminale ne Il nome della rosa di Umberto Eco). Questo significa che se un giallista ritiene di essere scrittore a tutto tondo, sarà con altre prove che dovrà dimostrarlo. Allo stesso modo, i critici letterari illuminati, in possesso della verità sulle cose, dovrebbero evitare di sentirsi ingiuriati e di esortare il popolo degli addetti ai lavori a non prendere sul serio gli autori di romanzi gialli; ciò accade puntualmente ogni volta che c'è un risveglio d'interesse per la loro produzione! God forbid!!

2. Un buon romanzo giallo non ha significati altri.
Inutile quindi tessere le lodi dell’autore per avere posto in primo piano problematiche sociali pregnanti per i nostri tempi, o sottili qualità semantiche. Un buon romanzo giallo dovrebbe essere valutato, solo ed esclusivamente, per la qualità della trama criminale e per la fluidità con cui questa si fonde nella storia raccontata.

3. Se è vero che i romanzi gialli possono essere scritti da tutti, é vero pure che non tutti possono scrivere romanzi gialli.
Optare per una simile scrittura, significa confessare di essere portatori sani di una perversione mentale (per guardare il bicchiere mezzo pieno, occorre dire che tale perversione si accompagna sempre con una indispensabile vena geniale) che si estrinseca con la stessa (con la scrittura per intenderci, non diventando un serial killer ricercato dall’Interpol!). Questa è una conditio sine qua non; astenersi dunque letterati desiderosi di nobilitare il genere (spinti principalmente da esigenze di portafoglio!), autori dotati pronti a mettersi alla prova, giornalisti di cronaca nera che giustificano il malfatto con l’esperienza vissuta e simili!

4. L’atmosfera è un elemento insostituibile nel romanzo giallo e si fa tuttuno con l’orizzonte d’attesa.
In altre parole, il giallo, per essere tale, deve catturare il lettore fin dalle prime pagine, seducendolo e rassicurandolo sul suo essere a casa. Su questo punto dissento quindi dalle indicazioni date da Van Dine nella regola 16. A giustificazione del mio dire, cito alcune delle più grandi creazioni di genere di tutti i tempi: And then there were none, Mousetrap, The murder of Roger Ackroyd, The Murder on the Orient Express, ecc. In questi romanzi, l’atmosfera diventa elemento attivo del plot; non è un caso neppure che gli stessi siano stati scritti da Agata Christie, maestra nell’utilizzo di simili tecnicismi (perché tali diventano nell’experienced writer). Per dirla tutta, nella produzione di questa grandissima autrice inglese, la capacità di creare atmosfera si è da tempo sublimata oltre la scrittura: ad un appassionato di gialli, basta tenere un suo libro in mano per sentirsi a casa!

5. Non esiste un romanzo giallo senza una geniale trama criminale!
Chiamatelo come volete, ma un giallista (non importa quanto famoso, non importa quanto venerato!) che riveli una cronica incapacità di ordire un meccanismo criminale perfetto e ad hoc, non è degno di questo nome.

6. Lettore e investigatore devono avere entrambi le stesse possibilità di risolvere l'enigma.
Tutti gli indizi devono essere (chiaramente) presentati e descritti. Questa regola è molto simile alla prima regola di Van Dine. A fare la differenza è l’avverbio plainly, chiaramente appunto, che io metto tra parentesi. Ritengo, infatti, che proprio per proteggersi contro le invasioni di cui si è già detto (televisione, cinema, internet), il romanzo giallo debba potersi difendere con le sue stesse armi, nello specifico, la scrittura. La qualità scritturale nel giallo sta quindi nella sua capacità di farsi indizio (senza trasformarsi in arma ingannevole, s’intende!), dando così, al lettore attento, e solamente a questo, la possibilità di scoprire il colpevole con relativa facilità.

7. La soluzione del giallo deve essere univoca.
Ci DEVE essere solo e soltanto una verità sul come si sono svolti i fatti. Questa è anche condizione imprescindibile per valutare la qualità della trama.

8. La soluzione del giallo deve essere sempre a disposizione del lettore capace.

9. Il colpevole può essere uno qualunque dei personaggi, non importa il suo ruolo.
Ancora, ci possono essere più colpevoli in uno stesso romanzo. Qui mi trovo di nuovo in disaccordo con le regole 10,11, 12, 17 di Van Dine. A mio avviso, le necessità della storia e della trama criminale giustificano queste indicazioni; si potrebbero portare poi molti esempi di capolavori di genere che sono diventati tali proprio in virtù dell’utilizzo di simili strategie (cito per tutti, Murder on the Orient-Express).

10. Un giallo può contemplare la presenza di più investigatori.
Per esempio, questo accade quando l’inchiesta delle forze di polizia é presentata parallelamente a quella del detective dilettante. È consigliabile però che ci sia solo un personaggio-eroe nella cui capacità di ragionamento il lettore attento possa riporre la propria fiducia.

11. Non esiste giallo senza il suo bel cadavere.
Anzi, un solo cadavere, la maggior parte delle volte, non è sufficiente.

12. Non vi è cadavere senza un delitto.
O meglio, la storia raccontata DEVE contemplare almeno un morto vittima delle macchinazioni dell’antieroe.

13. Gli omicidi commessi dalle varie organizzazioni criminali non hanno dignità tra le pagine di un giallo.
Peculiarità esclusiva di questo genere, che è poi anche l’elemento primo che gli conferisce una qualità affascinante, è un focalizzare sulle motivazioni istintive del crimine. Il giallo ci ricorda dunque che tutti noi siamo dei potenziali assassini. Non solo: più è insospettabile il personaggio in questione, più crescono le possibilità che il colpevole sia davvero lui (o lei).

14. Fermo restando che il colpevole potrebbe essere un character minore (vedi regola 9), i personaggi principali dovrebbero essere presentati subito, meglio ancora dovrebbero essere elencati, con tanto di ruolo, in una pagina dedicata prima che la narrazione abbia inizio.
Un lettore attento, che si appresta a leggere un giallo, dovrebbe essere visto alla stregua di uno scacchista che sta per cominciare la sua partita: necessita naturalmente di tutte le pedine, ma dopo spetterà solo e soltanto a lui fare scacco matto.

15. L’originalità è pure una condizione imprescindibile del plot criminale.
Uno scrittore può utilizzare stratagemmi già noti, qualunque essi siano, ma una trama non è valida se non contiene una qualche peculiarità che distinguerà il romanzo da tutta la produzione precedente.

16. La metodologia investigativa del personaggio-eroe dovrebbe sempre essere supportata da una grande capacità di ragionamento logico e da un approccio al caso fondamentalmente empirico, ovvero basato sull’esperienza (non solo delle cose criminali, ma anche, e soprattutto, del quotidiano).

17. L’antieroe sportivo è un’altra peculiarità del romanzo giallo.
Con questo voglio dire che ad un eroe che farà di una metodologia investigativa misurabile la sua arma prima, dovrà corrispondere un antieroe capace di ordire una trama criminale dotata di una qualità scientifica. La base scientifica è data dalla riproducibilità dell’esperimento (niente trucchi trascendentali quindi!).

18. Il denouement della storia dovrebbe sempre essere ad appannaggio dell’investigatore-eroe.

19. Il denouement non può essere MAI parziale.
Il lettore attento deve potere SEMPRE terminare il libro, con la minima soddisfazione di avere visto spiegata, non solo la ragione d’essere di ogni indizio rivelatosi veramente valido, ma anche quella di ogni passaggio fuorviante (ci debbono essere, altrimenti sarebbe troppo facile). Insomma, tutti i nodi devono venire al pettine (mai luogo comune fu più appropriato).

20. Un giallo è soprattutto una sfida dell’autore al lettore.
Ne consegue che un lettore attento non può limitarsi ad indicare questo, o quel personaggio, come sicuro colpevole. Le possibilità che sia nel giusto sono naturalmente molto alte considerando il numero limitato di personaggi. Non vi sono dubbi invece che un segugio che si rispetti si distingue dal detective dilettante, non tanto perché è invariabilmente capace di scoprire il colpevole, quanto perché è sempre in grado di spiegare, nei dettagli, come si sono svolti i fatti. Se consideriamo che le cose possono essere andate in una ed in una sola maniera (vedi regola 7), è tutto dire!

L'articolo è stato qui riprodotto col consenso dell'autrice.
Rina Brundu (Villagrande Strisaili, 1968) è laureata in Lingue e Letterature Straniere e vive dal 1997 a Dublino. È la creatrice del detective ogliastrino Don Osvaldo da Silva Ochoa, il bibliotecario di Villarosa, appassionato di informatica e di enigmistica. Il suo sito.

Hans Tuzzi

Regole?

Ogni genere ha le sue regole, si è detto. Davvero non si può infrangerle?
Un giallo esige un omicidio. Falso: pensate a La lettera rubata. Un capolavoro.
Un giallo vuole che il colpevole sia individuato e punito. Falso: pensate a La fine è nota di Geoffrey Holiday Hall o a La promessa di Dürrenmatt, autentico requiem per la detective story. Due capolavori.
E, a ben pensarci, chi è il colpevole punito in Assassinio sull’Orient Express? (Ma Agatha Christie non è una grande scrittrice, resta “soltanto” la più letta autrice di mysteries)
Non si deve anticipare il movente. Falso, come dimostra Rex Stout in un giallo di Nero Wolfe che nulla perde, per questo, in tensione. Il titolo? I wolfiani lo sanno.
Il lettore deve ignorare l’identità del colpevole. Falso, come dimostra il successo televisivo del tenente Colombo. Nel mio minimo, con Un gatto alla finestra ho scritto un racconto giallo dove si sa che un uomo è colpevole ma non si sa di che cosa.
Stile asciutto, pochi dialoghi. Non ditelo a Rex Stout, per limitarci a un classico.

Diremo allora che più un autore si piega alle regole del genere, meno è autore, cioè scrittore autentico: nei romanzetti di Liala alla fine ci si sposa sempre, ma in Anna Karenina la ben orchestrata passeggiata nel bosco, a dispetto di quanto il lettore si attende, si conclude non già nell’attesa richiesta di matrimonio bensì in un nulla di fatto. Proprio perché l’autore si chiama Tolstoj, non Liala.
Questa è grande arte. Ma il romanzo di genere non la esclude a priori. Il poeta dialettale Vann’Antò rivela la regola aurea: “lu cuntu è nenti, tuttu sta comu si porta”.
E il “padre” dei giallisti italiani, Augusto De Angelis, un autore dalle grandi qualità narrative e stilistiche, ha scritto, sul meccanismo narrativo del romanzo poliziesco, pagine ancor oggi illuminanti. Pagine da leggere e meditare.
Proprio sul tema della lettura Ruth Rendell ha tessuto un capolavoro, La morte non sa leggere, dove Eunice Parchmann, analfabeta, è a servizio in una famiglia nella quale la lettura è intrecciata al vivere quotidiano. E sarà proprio nella biblioteca che l’angosciante tensione narrativa e il pathos da tragedia greca trovano il drammatico e sanguinoso epilogo.
Non è un giallo, più di quanto non lo sia Edipo re. Ma lo scrittore consapevole si sente talmente sicuro della propria bravura che non si cura di esibirla. Né di infrangere la gabbia del genere.

grazie a: https://www.illibraio.it/