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Charles Baudelaire

Edgar Poe. La vita, le opere


Baudelaire scrisse tre saggi sull'opera del grande scrittore americano: il primo
Edgar Allan Poe, sa vie et ses ouvrages è del 1851, apparso sulla "Revue de Paris", il secondo del 1856 che riproduciamo qui, e il terzo del 1857 dal titolo Notes nouvelles sur Edgar Poe (leggibile qui).
Lo scritto di Baudelaire è ormai divenuto un classico, legato nella memoria del lettore al ricordo degli stessi Racconti: oggi forse non tutti potranno condividere il ritratto di Poe dipinto da Baudelaire - un Poe maudit isolato nella cultura americana dell'epoca - o certi giudizi generali di carattere storico-politico che affiorano qua e là; resta però il fatto che queste pagine ebbero il merito di servire da trait d'union tra Poe e la cultura europea, e che l'amore di Baudelaire per il personaggio conferisce al saggio una penetrazione e una finezza d'analisi fuori dal comune.

Recentemente venne condotto davanti ai nostri tribunali un disgraziato che aveva la fronte marcata con un insolito e singolare tatuaggio: Senza fortuna! Aveva così sopra gli occhi l'etichetta della propria esistenza, come un libro il proprio titolo, e il processo dimostrò che la bizzarra scritta era spietatamente vera. Nella storia della letteratura si trovano analoghi destini, vere e proprie dannazioni, - uomini che portano la parola scarogna scritta in caratteri misteriosi tra le rughe sinuose della fronte. L'angelo cieco dell'espiazione si è impossessato di loro e li fustiga con tutte le sue forze ad edificazione degli altri Inutilmente la loro esistenza manifesta talento, virtù, amabilità; la Società riserba loro un particolare anatema, e li accusa delle infermità che la sua stessa persecuzione ha loro attribuito. - Che cosa non ha tentato. Hofmann per placare il destino, e Balzac per implorare la fortuna? - Esiste allora una diabolica Provvidenza che prepara l'infelicità dalla culla, che getta premeditatamente esseri angelici, ricchi d'intelligenza, in ambienti ostili, come martiri nel circo? Vi sono dunque delie anime sacre, votate ali'altare, condannate a camminare verso la gloria e la morte, calpestando le proprie macerie?
L'incubo delle Tenebre stringerà in una morsa eterna queste anime elette? Inutilmente si dibattono, inutilmente si addentrano al mondo, ai suoi fini ultimi, agli stratagemmi; perfezioneranno la loro prudenza, sprangheranno tutte le uscite, barricheranno le finestre contro i proiettili del caso; ma il Diavolo entrerà dalla serratura; una perfetta virtù sarà il loro tallone d'Achille, una qualità superiore il germe della loro dannazione.

L'aquila per spezzarla dall'alto delle stelle
Sulla lor fronte scoperta cadere farà la tartaruga
Perché essi devono inevitabilmente perire.

Il loro destino è scritto in tutta la loro persona, brilla in un lampo sinistro dello sguardo, in un gesto, circola nelle loro arterie con ogni globulo di sangue.

Un celebre scrittore della nostra epoca [Allusione a Stello di Vign., N.d.T] ha scritto un libro per dimostrare che il poeta non può inserirsi nè in una società democratica nè in una aristocratica, nemmeno in una repubblica nè in una monarchia assoluta o moderata. Chi ha saputo dargli una risposta che non ammettesse repliche? Oggi io aggiungo un'altra postilla in favore della sua tesi, un altro santo al martirologio: devo scrivere la storia di uno di questi illustri infelici, troppo ricco di poesia e di passionalità, che come molti altri è scesa in questo basso mondo a compiere il duro tirocinio della genialità tra gli esseri inferiori.

Triste tragedia la vita di Edgar Poe. La sua morte un orribile finale, reso più orrìbile dalla volgarità.
Da tutti documenti da me letti, ho tratto la convinzione che gli Stati Uniti furono per Poe soltanto una vasta prigione: egli la percorreva con l'agitazione febbrile di un essere nato per respirare in un mondo più profumato di quell'immensa barbarie illuminata a gas. La sua vita interiore di poeta o anche di ubriacone, era un continuo tentativo di sfuggire l'infiuenza di questa atmosfera irritante. Dittatura spietata quella dell'opinione pubblica nelle società democratiche; non chiedetele nè carità, nè indulgenza, nè alcuna elasticità nell'applicare le sue leggi ai molteplici e complessi casi della vite morale. Si direbbe che dal sacrilego amore per la libertà è nata una nuova tirannide, quella degli animali, la zoocrazia che con la sua ferocia, la sua insensibilità, assomiglia all'idolo di Juggernaut. Un biografo - un brav'uomo pieno di buone intenzioni - col tono più serio dirà che se Poe avesse voluto arginare il suo genio e applicare le sue facoltà creative in modo più consono alla cultura americana, sarebbe diventato un autore da cassetta, a money making author; un altro - questo invece cinico naïf - che per quanto sia acuto il genio di Poe, sarebbe stato meglio per lui avere del talento, perché di più facile consumo del genio. Un altro, direttore di giornali e riviste, amico del poeta, confessa che era difficile dargli del lavoro perché il suo stile era troppo al di sopra della media. Che puzza di negozio! come diceva Joseph de Maistre.

Alcuni sono andati oltre e, associando il più rozzo giudizio sul suo genio alla ferocia dell'ipocrisia borghese, hanno fatto a gara nell'insultarlo; e dopo la sua improvvisa scomparsa hanno duramente attaccato il cadavere; specialmente Rufus Griswold che, per citare l'espressione vendicativa di George Graham, commise un'immortale infamia. Poe, forse provando il sinistro presentimento di una fine improvvisa, aveva incaricato Griswold e Willis di riordinare la sua opera, di scrivere la sua biografia e di riabilitare la sua memoria. E il pedagogo-vampiro ha meticolosamente diffamato l'amico in un lungo saggio, scialbo e astioso, proprio nell'edizione postuma delle sue opere. Non esiste dunque in America una legge che impedisce ai cani di entrare nei cìmiteri? Willis invece ha dimostrato che la bontà e la dignità camminano sempre di pari passo con l'intelligenza, e che la carità verso i nostri fratelli, che è un dovere morale, era anche una regola di buon gusto.

Provate a parlare di Poe con un americano, ne ammetterà forse la genialità e si mostrerà persino fiero di lui; ma con un tono sardonico dì superiorità, che denuncia l'uomo d'affari, vi parlerà della vita disordinata del poeta, del suo fiato da alcoolizzato che avrebbe preso fuoco con una fiammella di candela, delle abitudini di vagabondo; vi dirà che era un eteroclito alla deriva, un pianeta fuori dall'orbita, sempre in ballo tra Baltimora e New York, tra New York e Filadelfia, tra Filadelfia e Boston, tra Boston e Baltimora, fra Baltimora e Richmond. E se per caso, commossi dal preludio di una storia penosa, fate capire che forse l'individuo non è il solo responsabile e che deve essere difficile pensare e scrìvere tranquillamente in un paese dove vi sono migliaia di sovrani, in un paese senza una vera e propria capitale e senza un'aristocrazia, allora vedrete i suoi occhi dilatarsi e scagliare lampi, mentre la bava del patriottismo ferito gli sale alle labbra, e per bocca sua l'America tutta insultare la vecchia madre Europa e la filosofia del passato.

Lo ripeto, mi sono convinto che Edgar Poe e il suo paese non erano su un piano d'identità. Gli Stati Uniti sono un paese gigantesco e infantile, istintivamente geloso del vecchio continente. Fiero del suo sviluppo economico, anormale e quasi mostruoso, l'ultimo arrivato nella storia ha una fede ingenua nell'onnipotenza dell'industria; è convinto, come certi disgraziati da noi, che l'industria finirà col mangiarsi il Diavolo. Laggiù tempo e denaro hanno tale valore! L'attività materiale, esasperata in proporzioni da follia nazionale, lascia poco posto nella mente per le cose che non sono della terra.
Poe, che era di una vecchia famiglia, sosteneva che la disgrazia del suo paese era di non avere un'aristocrazia di sangue; diceva che presso un popolo senza aristocrazia il culto della bellezza non può che corrompersi, diminuire e sparire; criticava nei suoi concittadini, anche per il loro lusso enfatico e dispendioso, tutti i sintomi del cattivo gusto caratteristica dei parvenus; considerava il progresso, il grande ideale moderno, come uno specchio per le allodole e chiamava i perfectionnements dell'abitacolo umano cicatrici e orrori rettangolari; Poe, insomma, laggiù era un cervello in assoluto isolamento. Credeva soltanto nell'immutabile, nell'eterno, nel self-same; amava - crudele privilegio in una società innamorata di sé - il buon senso alla Machiavelli che precede il saggio nel suo cammino, come una colonna luminosa nel deserto della storia. Che cosa poteva pensare, o scrivere, sventurato, se aveva sentito la teologa del sentimento sopprimere l'Inferno per amore dell'umanità, il filosofo dei numeri proporre un sistema di assicurazioni e una sottoscrizione di un soldo a testa per la soppressione della guerra - e l'abolizione della pena di morte e dell'ortografia, le due follie correlative! - e tanti esseri bacati che, l'orecchie attente a dove spira il vento, scrivono fantasie giroscopiche, puzzolenti quanto i motivi che le ispirano. Aggiungete a questa impeccabile visione della verità una sensibilità straordinaria che una sola nota falsa poteva irritare, una raffinatezza di gusto che ogni cosa - tranne l'armonia delle proporzioni - rivoltava, e un insaziabile amore della bellezza che aveva assunto la violenza di una passione morbosa, e non vi stupirete che per un uomo simile la vita sia diventata un inferno e che sia finito male; anzi, vi stupirete che abbia potuto resistere così a lungo.

La famiglia di Poe era una delle più rispettabili di Baltimora. Il nonno materno era stato quatermaster-general durante la guerra d'indipendenza, ed aveva goduto della stima e dell'amicizia di La Fayette. Costui, durante il suo ultimo viaggio negli Stati Uniti, aveva voluto far visita alla vedova del generale per testimoniarle la propria gratitudine per i servizi resi dal marito. Il bisavolo aveva sposato una figlia dell'ammiraglio inglese Mac Bride, imparentato alle più nobili famiglie inglesi. David Poe, padre di Edgar e figlio del generale, s'innamorò perdutamente d'una attrice inglese, Elizabeth Arnold, famosa per la sua bellezza; scappò con lei e la sposò. Per legare più strettamente il proprio destino a quello di lei, diventò attore e si esibì con la moglie su diverse scene nelle principali città delI'Unìone. I due morirono a Richmond, quasi contemporaneamente, lasciando nella più completa indigenza tre bambini in tenera età, tra cui Edgar.

Edgar Poe era nato a Baltimora nel 1813. È basandomi su quanto detto da lui che scrivo questa data, perché ebbe a criticare Griswold che colloca la sua nascita nel 1811. [Le date sono inesatte, come pure il luogo di nascita. Poe nacque a Baltimora il 19 gennaio 1809. N.d.T.] Se mai spirito d'avventura, per usare un'espressione del nostro, ha presieduto a una nascita - spirito sinistro e tempestoso! - ha certo presieduto alla sua.
Poe fu realmente figlio della passione e dell'avventura.
Un ricco negoziante della città, di nome Allan, s'innamorò di quell'amabile infelice che la natura aveva così generosamente dotato, e siccome non aveva figli l'adottò. Costui si chiamò da quel giorno Edgar Allan Poe. Venne allevato nell'agiatezza e nella legittima attesa di una di quelle fortune che conferiscono al carattere un'assoluta sicurezza di sé. I genitori adottivi lo condussero con loro in viaggio in Inghilterra, in Scozia e in Irlanda e, prima di tornare in patria, lo lasciarono al dottor Bransby, che dirigeva un importante collegio a Sfoke-Newington vicino a Londra. Poe in William Wilson descrive quella strana casa costruita in vecchio stile elisabettiano, e le sue impressioni della vita scolastica.
Tornò a Richmond nel 1822 e continuò gli studi in America sotto la guida del migliori insegnanti del luogo. Ali'università di Charlottesville - vi entrò nel 1825 - si distinse non soltanto per un'intelligenza quasi miracolosa ma anche per una quasi sinistra sovrabbondanza di passioni - precocità tipicamente americana - che alla fine fu motivo della sua espulsione.
È bene ricordare di sfuggita che a Charlottesville Poe aveva già manifestato una notevole inclinazione alle scienze fisiche e matematiche. Più tardi ne farà largo uso nei suoi strani racconti, traendone effetti imprevedibili. Ma ho buon motivo di credere che non è a questo genere di composizioni che egli dava importanza che - forse anche a causa della precoce inclinazione - non era alieno dal considerarle facili giochi d'abilità, paragonandole alle opere di pura invenzione.
Qualche sfortunato debito di gioco provocò una momentanea rottura col padre adottivo, ed Edgar - fatto assai curioso che prova, checché si dica, una buona dose di cavalleria nel suo animo sensibile - progettò di partecipare alla guerra in Grecia e di andare a combattere i Turchi. E partì per la Grecia. Che gli successe in Oriente? Che fece? Si mise a studiare i classici litorali del Mediterraneo? Perché lo ritroviamo a St. Petersbourg, senza passaporto, implicato in non so quale pasticcio, costretto ad appellarsi al ministro americano Henry Middleton per sfuggire alla giustizia russa e far ritorno a casa? Non si sa; è un mistero che lui solo avrebbe potuto chiarire.
La vita di Edgar Poe, la sua giovinezza, le sue avventure in Russia e la corrispondenza, sono stati da tempo annunciati sui giornali americani, ma mai pubblicati. [Sembra si tratti di una delle tante leggende che Poe faceva circolare sul proprio conto. N.d.T. ]

Tornato in America nel 1829, manifestò il desiderio di entrare all'accademia militare di West-Point; vi fu ammesso, e anche là diede segni di un'intelligenza straordinariamente dotata ma priva di disciplina, e dopo qualche mese fu cacciato. Quel periodo avrà tristi conseguenze su tutta la sua esistenza. La signora Allan, per la quale nutriva un affetto realmente filiale, morì e il signor Allan sposò una donna giovanissima. Ne nacque un litigio di famiglia, una strana e tenebrosa storia che non posso raccontare, perché nessun biografo l'ha chiaramente spiegata. Non c'è motivo di stupirsi della definitiva rottura con Allan, e del fatto che costui, che aveva figli dal secondo matrimonio, l'abbia diseredato.
Subito dopo aver lasciato Richmond, Poe pubblicò un volumetto di versi [Al Aaraaf, Tamerlane and other poems, Hatch and Dunning, Baltimora, 1829. N.d.T.]; era realmente un'aurora smagliante.
Chi sente la poesia inglese, vi trova accenti extraterrestri, la pace e la melanconia, la deliziosa solennità, la precoce esperienza - stavo per dire innata - che caratterizzano i grandi poeti.

La povertà lo costrinse per qualche tempo a fare il soldato; è presumibile che i lunghi ozii della vita di guarnigione gli servirono per raccogliere il materiale delle sue future composizioni, strane composizioni che sembrano create per dimostrare che la stranezza è una delle partì integranti della bellezza.
Tornato a vivere nell'ambiente letterario, l'unico elemento in cui possono respirare certi esseri banditi, Poe si consumava nella miseria più nera quando un caso fortunato lo risollevò. Il proprietario di un periodico aveva organizzato due concorsi, uno per il miglior racconto, l'altro per la miglior poesia. Una scrittura particolarmente bella attirò gli occhi del signor Kennedy, presidente della giuria, e lo invogliò ad esaminare personalmente i manoscritti. Caso volle che Poe vincesse entrambi i premi; ma uno solo gli venne consegnato. Il presidente della giuria volle conoscere quello sconosciuto. L'editore del giornale gli presentò un giovane straordinariamente bello, mal vestito, abbottonato fin sotto al mento, con un'aria da gentiluomo fiera quanto affamata. Kennedy si comportò da amico. Gli fece fare la conoscenza di un certo White, che a Richmond aveva appena fondato il "Southern Literary Messenger". White era un uomo coraggioso, ma senza alcun talento letterario; aveva bisogno di aiuto. Ancora giovane - ventidue anni - Poe si trovò direttore di una rivista, che poggiava interamente sulle sue spalle. E il successo lo creò con le sue mani. Il "Southern Literary Messenger" da quel giorno dovette riconoscere di dovere la sua clientela e la sua fruttuosa notorietà all'eccentrico maudit, a quell'incorreggibile ubriacone. Per circa due anni Edgar Poe, con entusiasmo meraviglioso, strabiliò il suo pubblico con una serie di scritti di genere nuovo, e con articoli di critica la cui vivacità, la cui chiarezza, la cui severità ragionata erano fatte apposta per attirare l'attenzione. Gli articoli trattavano di ogni libro, e la vasta coltura che il giovane si era fatta gli era di valido aiuto. È bene che si sappia che per questo impegno considerevoie riceveva in cambio cinquecento dollari l'anno. Subito - dice Griswold, il che significava: "Si credeva abbastanza ricco, imbecille!" - sposò una graziosa ragazza, di carattere amabile e coraggioso ma senza un soldo, - precisa Griswold con una punta di disprezzo - Virginia Clemm, sua cugina.

Malgrado i servizi resi al giornale, White litigò con Poe dopo appena due anni. La ragione della rottura va evidentemente cercata negli attacchi d'ipocondria e nelle sbornie del poeta; caratteristici incidenti che turbavano il ciclo della sua mente, come lugubri nuvoloni che improvvisamente danno anche al più romantico dei paesaggi un'aria melanconica apparentemente irreparabile. Da quel giorno vediamo lo sventurato trasportare qua e là la sua tenda, come un uomo nel deserto, e i suoi leggeri penati nelle principali città dell'Unione. Ovunque dirigeva riviste o vi collaborava in modo sorprendente. Con incredible rapidità divulgò articoli di critica letteraria, di filosofia, e alcuni racconti pieni di fascino, riuniti poi sotto il titolo Tales of the Grotesque and the Arabesque; titolo notevoie, intenzionaimente voluto, perché gli ornamenti grotteschi e dell'arabesco esulano dalla figura umana: vedremo infatti che da molti punti di vista l'opera di Poe è extra o sovrumana.
In seguito si verrà a sapere, da notizie scandalistiche e provocatorie apparse sui giornali, che Poe e la moglie sono a Fordham gravemente ammalati e in miseria nera. Poco dopo la morte della signora Poe, il poeta è vittima dei primi attacchi di delirium tremens. Un'altra notizia apparsa improvvisamente su un giornale - quest'ultima ben più spietata - lo critica per il suo disprezzo e disgusto del mondo, e gli muove contro una di quelle requisitorie della pubblica opinione, contro le quali egli dovette sempre difendersi, la lotta più sterile e affaticante che io conosca.

Certamente guadagnava, i suoi lavori letterari gli davano abbastanza per vivere. Ma ho le prove che egli doveva sempre far fronte a scoraggianti difficoltà. Come tanti altri scrittori, sognò una rivista sua; desiderava essere a casa propria, la verità è che aveva sofferto abbastanza e desiderava ardentemente questo rifugio definitivo per il suo pensiero. Per riuscire in questo, per raccogliere una somma sufficiente, sarebbe ricorso alle letture. Sappiamo cosa sono queste letture: una specie di speculazione, il Collegio di Francia messo a disposizione di tutti i letterati, mentre l'autore non pubblica la sua lettura se non dopo averne ricavato il più possibile. Poe aveva già fatto a New York una lettura di Eureka, la sua poesia cosmogonica, sollevando parecchie discussioni. Questa volta pensò di fare delle letture nel suo stato, in Virginia. Contava, come scrisse a Willis, di fare una tournée nell'ovest e al sud, e sperava nell'appoggio degli amici letterati e dei vecchi conoscenti del collegio e di West-Point. Visitò quindi le principali città della Virginia, e Richmond rivide colui che aveva conosciuto così giovane, così povero e così scalcinato. Quanti non avevano mai visto Poe dai giorni del suo anonimato, accorsero in massa per ammirare il loro illustre compatriota. Si presentò elegante, bello, stilisticamente impeccabile come il prototipo della genialità; penso che da qualche tempo avesse spinto la sua condiscendenza fino a divenire membro di una lega anti-alcoolica. Scelse un argomento vasto quanto elevato: il Principio della Poesia, e lo trattò con quella lucidità che è uno dei suoi privilegi. Credeva, da vero poeta qual era, che il fine della poesia è della stessa natura del suo principio, e che essa non deve aver di mira altro che se stessa.
La calorosa accoglienza che gli venne fatta riempì il suo povero cuore d'orgoglio e di gioia; e si mostrò talmente entusiasta che diceva di volersi stabilire per sempre a Richmond e di trascorrere il resto dei suoi giorni in quei luoghi resi cari dalla sua infanzia. Tuttavia aveva da fare a New York e partì il 4 ottobre, sofferente di brividi e indebolito fisicamente. Arrivato a Baltimora continuava a sentirsi male; il 6 sera fece portare i bagagli ali'imbarcadero, da dove doveva partire per Filadelfia, ed entrò in una taverna per bere un eccitante. Là dentro purtroppo incontrò delle vecchie conoscenze e vi si fermò a lungo. L'indomani mattina, nella pallida luce dell'aurora, venne trovato un cadavere sul selciato, - è così che bisogna dire? - no, un corpo ancora in vita, ma che la morte aveva già segnato col suo sigillo. Su quel corpo, di cui s'ignorava il nome, non furono trovati né documenti né denaro, venne quindi trasportato in ospedale. È là che Poe morì, la sera stessa della domenica 7 ottobre 1849, ali'età di trentasette anni, stroncato dal delirium tremens, quel terribile visitatore che aveva già sconvolto il suo cervello una o due volte.
Così scomparve da questo mondo uno dei maggiori eroi della storia della letteratura, il genio che nel Gatto nero aveva scritto queste fatidiche parole: Quale malattia è paragonabile all'alcool?!

Questa morte è quasi un suicidio, un suicidio preparato da lungo tempo. O per lo meno ne creerà lo scandalo. Lo scalpore fu enorme e la virtù sciolse liberamente e voluttuosamente il suo canto enfatico. I discorsi funebri, anche i più indulgenti, non poterono non cedere il passo all'inevitabile moralismo borghese che non si lasciò sfuggire una così splendida occasione. Griswold ebbe parole diffamanti; Willis, sinceramente addolorato, fu più che ben educato. Colui che aveva toccato i vertici più alti dell'estetica, ed era sceso negli abissi più inesplorati dell'intelletto umano; colui che durante una vita slmile a una tempesta senza un istante dì bonaccia, aveva trovato processi nuovi e sconosciuti per stupire l'immaginazione, per sedurre gli animi assetati di bellezza, era morto in poche ore in un letto d'ospedale, che destino! E tanta grandezza, tanta sofferenza per sollevare un vortice di fraseologia borghese, per cadere in pasto ai virtuosismi dei giornalisti!

Ut declamatio fias!

Questi spettacoli non sono nuovi; è raro che una tomba illustre appena tumulata non divenga il luogo d'appuntamento degli sciacalli. D'altra parte la società non ama questi infelici arrabbiati, e sia che le turbino le sue feste, sia che ingenuamente li consideri come dei rimorsi, ha senza dubbio ragione. Chi non si ricorda i discorsi a Parigi subito dopo la morte di Baizac, che pure era morto secondo le regole? E più recentemente - oggi 26 gennaio fa un anno - quando uno scrittore di ammirevole onestà, [Gerard de Nerval, trovato impiccato il 25 gennaio 1855, in rue de la Vieille-Lanterne. N.d.T.] d'intelligenza acuta e che era sempre stato lucido, se ne andò con discrezione senza scomodare nessuno - ma con una tale discrezione che sembrava disprezzo - quante disgustose omelie, che assassinio raffinato! Un celebre giornalista, al quale Gesù Cristo non insegnerà mai la generosità, trovò divertente l'accaduto e lo celebrò con un gioco di parole di bassa lega. Tra i numerosi diritti dell'uomo che la saggezza del XIX secolo enumera così spesso e con tanta compiacenza, due molto importanti sono stati dimenticati: il diritto di contraddirsi e quello di andarsene. Ma la società giudica un insolente quello che se ne va; punirebbe volentieri certe spoglie funerarie, come quel povero soldato, colpito da vampirismo, che diventava matto alla vista di un cadavere. Eppure si può dire che sotto la pressione di determinate circostanze, dopo un esame approfondito di certe incompatibilità, e con una fede viva in certi dogmi e metempsicosi, si può dire senza retorica o giochi di parole, che il suicidio è talvolta l'azione più ragionevole della vita. Così si va formando una schiera di fantasmi, già numerosi, che ci viene a far visita: ciascuno di loro si vanta con noi del suo riposo attuale e ci parla delle proprie convinzioni.

Dobbiamo però ammettere che la triste fine dell'autore di Eureka ha suscitato alcune consolanti difese, senza le quali dovremmo disperare e non potremmo più rimanere al nostro posto. Willis, come ho già detto, parlò con onestà e non senza emozione, dei buoni rapporti che egli ebbe sempre con Poe. John Neal e George Graham richiamarono Griswold alla decenza. Longfellow - ed egli ne ha maggior merito dato che Poe l'aveva duramente maltratttato - con accenti degni di un artista seppe lodarne il vigore di poeta e di prosatore. Uno sconosciuto scrisse che l'America letteraria aveva perso il suo migliore cervello.
Ma il cuore spezzato, il cuore straziato, il cuore dalle sette spade fu quello della signora Clemm. Edgar era per lei figlio e figlia insieme. Duro destino, dice Willis - dal quale riprendo questi particolari, quasi parola per parola - duro destino quello che lei sorvegliava e proteggeva. Edgar Poe non era un uomo di tutta tranquillità, che scriveva con una fastidiosa difficoltà e con uno stile troppo al di sopra del livello intellettuale medio si potesse pagare bene, era sempre senza un soldo, lui e la moglie mancavano delle cose più necessarie per vivere. Un giorno Willis vide entrare nel suo ufficio una donna anziana con l'aria dolce e seria. Era la signora Clemm, cercava lavoro per il suo caro Edgar. Il biografo confessa di esserne stato sinceramente colpito, non solo per la precisione con cui lei lodava e apprezzava il talento del figlio, ma anche per il suo aspetto esteriore, la voce dolce e triste, i suoi modi un po' sorpassati, ma affascinanti [Ricordiamo che Willis dedicò la sua traduzione di Poe a Maria Clemm con una lettera del 25 luglio 1854, piena di affetto. N.d.T.] E per molti anni, continua Willis, abbiamo visto quell'infaticabile aiutante dell'artista, poveramente e insufficientemente vestita, che andava da un giornale all'altro per vendere ora una poesia, ora un articolo: talvolta diceva che lui era ammalato - unica spiegazione, unica ragione, invariabile giustificazione che adduceva quando il figlio momentaneamente colpito da uno di quei momenti propri degli scrittori nervosi, - ma non si lasciava mai sfuggire una sillaba che potesse essere interpretata come un dubbio, una minore fiducia nella genialità e nella volontà del suo prediletto. Quando le morì la figlia, si attaccò al sopravvissuto con rinnovato ardore materno, visse con lui, si prese cura dì lui, sorvegliandolo e difendendolo dalla vita, e da se stesso. Certamente, - conclude Willis con un'argomentazione profonda e imparziale, - se la devozione della donna, nata da un primo amore e ravvivata da una passione umana, ne glorifica e santifica l'oggetto, che dire in favore di colui che ispirò tale devozione, pura, disinteressata e santa come una sentinella divina? I detrattori di Poe avrebbero dovuto notare che esistono certi poteri di seduzione che non possono che essere virtù.
Si può immaginare che notizia terribile fu per la povera donna. Scrisse a Willis una lettera, di cui riportiamo qualche riga:
«Stamattina ho saputo della morte del mio caro Eddie... Potete scrivermi qualche dettaglio, le circostanze?... Non lasciate la vostra povera amica in questo profondo dolore... Dite a M.. di venirmi a trovare; sono in debito con lui di un messaggio da parte del mio povero Eddie... Non c'è bisogno che vi preghi di far sapere alla gente della sua morte, e di parlare bene di lui. So che lo farete. Ma raccontate che figlio pieno d'affetto era per me, la sua povera madre desolata...»
Questa donna mi appare ancora più grande. Colpita da una irreparabile disgrazia, non pensa che alla reputazione di colui che era tutto per lei, e non basta, per farla contenta bisogna dire che era un genio e far sapere che era un uomo ligio ai doveri e agli affetti. È chiaro che questa madre - fiaccola e focolaio accesi da un raggio disceso dal cielo più alto - serve da esempio ai nostri popoli, che troppo poco si curano della devozione, dell'eroismo e di ciò che va oltre il dovere. Non è un'opera di giustizia scrivere sulle opere del poeta il nome di colei che fu il sole morale della sua vita? Egli avvolgeva nella sua gloria il nome della donna, che con il suo affetto medicava le sue piaghe, la cui immagine sovrasterà per sempre ili martirologio della letteratura.

La vita di Poe, i suoi costumi, le sue maniere, il suo aspetto fisico, tutto ciò che costituisce l'insieme del suo personaggio, ci appaiono come qualcosa di tenebroso e insieme luminoso. La sua persona fisica era del tutto particolare, piena di fascino e, come la sua opera, segnata di un'indefinibile impronta di melanconia. Del resto era realmente ben dotato; fin da giovane aveva dimostrato una rara attitudine per gli esercizi fisici, e anche se era basso di statura, con piedi e mani da donna, e tutto il suo aspetto denunciava una delicatezza femminile, era assai robusto e capace dei più incredibili sforzi. In gioventù aveva vinto una scommessa di nuoto che supera le normali prestazioni. Sembra che la natura dia un temperamento energico a coloro dai quali pretende grandi cose, come concede una forte vitalità agli alberi incaricati di simbolizzare il lutto e il dolore. Tali uomini, d'apparenza talvolta debole, sono forgiati atleti, fatti per l'orgia e per il lavoro, pronti ad ogni eccesso e capaci di straordinaria sobrietà.

Ci sono alcuni lati di Edgar Poe sui quali l'accordo è unanime; per esempio la sua grande distinzione, la sua eloquenza e la sua bellezza, delle quali, a quanto si dice, andava un po' fiero. I suoi modi, strano miscuglio di alterigia e di straordinaria dolcezza, erano sicuri. Fisionomia, incedere, gesti, espressione, tutto indicava in lui, specie nei giorni migliori, una creatura eletta. Tutto il suo essere emanava una penetrante aria di solennità. Era realmente segnato dalla natura, come quelle figure di passanti che attirano l'occhio dell'osservatore e ne occupano la mente. Persino il pedante ed acido Griswold confessa che quando andò a trovare Poe e lo trovò ancora pallido e ammalato per la morte e la malattia della moglie, rimase straordinariamente colpito non solo dalla perfezione dei suoi modi, ma anche dall'aspetto aristocratico, dall'atmosfera raffinata del suo appartamento, in verità arredato molto modestamente. Griswold ignora che il poeta, più di ogni altro uomo, ha quel dono meraviglioso proprio della parigina e della donna spagnola, quello di vestirsi con un nulla, e Poe, innamorato della bellezza in tutti i suoi aspetti, aveva l'arte di trasformare una capanna in un palazzo di nuovo tipo. Non ha forse fatto progetti originalissimi e curiosi di mobili, di case di campagna, di giardini e di modifiche di paesaggio?
Esiste una deliziosa lettera di Frances Osgood, una delle amiche di Poe, che ci fornisce dettagli curiosissimi sulle sue abitudini, sulla sua persona, sulla sua vita privata. Questa donna, lei stessa letterata di valore, nega coraggiosamente tutti i vizi, tutte le colpe rinfacciate al poeta.

«Con gli uomini, - dice a Griswold, - era forse come l'avete dipinto voi, e come uomo potete avere ragione. Ma posso assicurare che con le donne era tutt'altro, e che nessuna donna ha conosciuto Poe senza provare per lui un profondo interesse. Mi è sempre sembrato come un modello d'eleganza, di distinzione e di generosità...
«La prima volta che lo vedemmo fu a Astor-House. Willis mi aveva passato al ristorante
II Corvo, dicendomi che l'autore voleva conoscere il mio parere. La musica misteriosa e soprannaturale di quella strana poesia mi prese così intimamente che quando seppi che Poe desiderava farsi presentare a me, provai una strana sensazione, quasi dì paura. Apparve con quel suo volto bello e superbo, gli occhi scuri che brillavano di un particolare splendore, splendore di sentimenti e di pensiero, con i suoi modi che erano un miscuglio ineffabile di alterigia e di dolcezza: mi salutò, calmo, serio, quasi freddo; ma sotto quella freddezza vibrava una simpatia così marcata, che non potei fare a meno di rimanere profondamente impressionata. Da quel giorno, fino alla sua morte, restammo amici... So di aver avuto la mia parte di ricordo nelle sue ultime parole, e che mi ha dato, prima che la sua ragione fosse destituita dal suo trono, una ultima prova di fedeltà ali'amicizia.
Era soprattutto nel suo intimo, semplice e insieme poetico, che il carattere dì Edgar Poe mi appariva nella sua luce migliore. Allegro, affettuoso, arguto, ora docile ora cattivo come un bambino viziato, aveva sempre per la sua giovane, dolce e adorata sposa, e per chiunque venisse da lui - anche durante il più faticoso lavoro letterario - una parola amabile, un sorriso benevolo, un'attenzione gentile e cortese. Passava ore ed ore al leggìo, sotto il ritratto della sua
Lenore, l'adorata e la morta, assiduamente, sempre con rassegnazione, fissando con la sua meravigliosa scrittura le brillanti fantasìe che si affacciavano al suo straordinario cervello sempre ali'erta. Mi ricordo di averlo visto un mattino più gioioso e più allegro del solito. Virginia, la sua dolcissima moglie, mi aveva pregata di andarli a trovare e non potevo resistere a tale richiesta... Li trovai che lavoravano alla serie di articoli che ha pubblicato col titolo The Literati of New York. "Vedete" mi disse, srotolando con un sorriso numerosi rotoli di carta (scriveva su delle strisce strette, senza dubbio per dare alla sua copia la giustezza della colonna del giornale), "voglio mostrarvi, a seconda della lunghezza, i vari gradi di stima che nutro per ogni membro della vostra tribù letteraria. In ciascun foglio, ognuno di voi è arrotolato ed esaminato. Vieni Virginia, aiutami!" E li srotolarono tutti, uno per uno. Alla fine ce n'era uno che sembrava interminabile. Virginia, ridendo, indietreggiava in un angolo della stanza reggendone un'estremità, e suo marito verso l'angolo opposto con l'altra estremità. "Chi è quel fortunato" dissi io, "che giudicate degno di questo incommensurabile favore?" "La sentite" esclamò, "come se il suo vanitoso cuoricino non le avesse detto che è proprio lei!"
Quando, per ragioni di salute, fui costretta a partire, ebbi una corrispondenza regolare con Poe, seguendo in questo le insistenti richieste della moglie che credeva che potessi avere su di lui un'influenza ed un ascendente salutare... Per quanto riguarda l'amore e la confidenza tra lui e sua moglie, che per me erano uno spettacolo delizioso, non saprei parlarne con troppo convincimento, con troppo calore. Tralascio qualche piccola avventura poetica nella quale venne trascinato dal suo temperamento romantico. Credo che sia stata l'unica donna che egli abbia amato veramente...
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Nei racconti di Poe non c'era mai amore. Per lo meno, Ligeia, Eleonora non sono, a dire il vero, delle storie di amore, L'idea principale attorno alla quale ruota l'opera è tutt'altra. Forse pensava che la prosa non è un mezzo all'altezza di questo bizzarro e quasi intraducibile sentimento, perché, al contrario, le sue poesie ne sono sature. La divina passione vi appare meravigliosa, stellare, e sempre velata di una insanabile melanconia. Nei suoi articoli parla talvolta dell'amore, anzi come di una cosa il cui nome fa fremere la penna. In The Domain of Arnheim, affermerà che le quattro condizioni base della felicità sono: la vita all'aria aperta, l'amore di una donna, il distacco da ogni ambizione e la creazione di una bellezza nuova. Ciò che rafforza l'idea di Frances Osgood sul rispetto cavalieresco di Poe per le donne, è che nonostante il suo prodigioso talento per il grottesco e l'orrido, in tutta la sua opera non vi è un solo passaggio che s'ispiri alla lubricità o ai piaceri sensuali. I suoi ritratti di donna sono, per così dire, aureolati; brillano in un'atmosfera soprannaturale e sono dipinti con lo stile enfatico dell'adoratore. Quanto poi alle piccole avventure romantiche, c'è da stupirsi che un essere tanto nervoso, la cui principale caratteristica è forse la sete di bellezza, abbia talvolta coltivato con ardore la galanteria, questo fiore vulcanico e vellutato che predilige i cervelli turbolenti dei poeti?
Della sua bellezza fisica così singolare, di cui parlano molti biografi, possiamo farci un'ìdea approssimativa chiamando in nostro aiuto tutte le nozioni vaghe, ma per altro caratteristiche, contenute nel termine romantico, termine che solitamente descrive un genere di bellezza che consiste soprattutto nell'espressione. Poe aveva una fronte vasta, dominante: alcune protuberanze tradivano le facoltà prorompenti che esse significavano (costruzione, paragone, causalità); vi troneggiava in una orgogliosa serenità il senso dell'ideale, il senso estetico per eccellenza. Tuttavia, malgrado queste doti, o a causa di questi privilegi eccessivi, il suo profilo non offriva forse una vista piacevole. Come in tutte le cose eccessive in un senso, poteva apparire un deficit dali'abbondanza, una povertà dall'usurpazione. Aveva grandi occhi tetri e insieme luminosi, di un colore indefinibile e tenebroso che tirava al viola; il naso nobile e solido; la bocca sottile e triste, anche se leggermente sorridente; il colorito bruno chiaro; la faccia generalmente pallida, l'espressione un po' distratta, con un impercettibile velo di melanconia.

La sua conversazione era notevolissima e ricca. Non era quello che si dice un parlatore, - cosa orrenda - e d'altra parte la sua parola come la sua penna detestava le convenzioni; ma una vasta cultura, un linguaggio penetrante, gli studi approfonditi, le esperienze raccolte in diversi paesi facevano della sua parola un insegnamento. La sua eloquenza, essenzialmente poetica, ricca di metodo, ma che spaziava talvolta al di là del metodo comune, un arsenale d'immagini prese da un mondo poco frequentato dalla moltitudine degli animi, un'abilità prodigiosa nel dedurre da una proposizione evidente e assolutamente accettabile punti di vista nuovi e nascosti, nello schiudere prospettive stupefacenti, in una parola l'arte di entusiasmare, di far pensare, di far sognare, di strappare gli animi dal fango della routine, tali erano le splendide qualità di cui molti hanno conservato il ricordo. Ma talvolta accadeva - almeno, così dicono - che il poeta, compiacendosi di un capriccio disgregatore, richiamava bruscamente gli amici alla realtà con pungente cinismo, distruggendo bruscamente il suo edificio di spiritualità. Una cosa è da notare, che non era affatto difficile nella scelta dei suoi ascoltatori, caratteristica comune nella storia di altre intelligenze superiori ed originali, per le quali ogni compagnia era buona. Gli animi che rimangono solitari tra la gente e che si nutrono di soliloqui, non devono far altro che essere gentili con gli altri. Si tratta insomma di una fratellanza basata sul disprezzo.

Dell'alcoolismo, celebrato e criticato con tanta insistenza, tanto che si potrebbe credere che tutti gli scrittori negli Stati Uniti siano modelli di sobrietà, bisogna pur parlarne.
Diverse versioni sono del tutto plausibili, e nessuna esclude le altre. Prima di tutto devo per forza sottolineare che Willis e la signora Osgood dicono che un piccolo quantitativo di vino o di liquore bastava per turbare completamente il suo organismo. È facile supporre che un uomo così completamente solitario, così profondamente infelice, che spesso giudicava il sistema sociale come un paradosso e un'ipocrisia, un uomo, bersagliato da un destino impietoso, che ripeteva spesso che la società non è altro che una massa dì miserabili (è Griswold a ricordarlo, scandalizzato come chi nutra lo stesso pensiero, ma che non lo confesserà mai), è naturale, dicevo, supporre che il poeta, gettato dall'infanzia tra gii eventi di una vita indipendente, con la mente occupata da un continuo e duro lavoro, abbia qualche volta cercato il piacere di dimenticare nella bottiglia. Rancori letterari, vertigine dell'infinito, dispiaceri famigliari, insulti della povertà, Poe fuggiva tutto ciò nel buio dell'ubriachezza come in una tomba preparatoria. Ma per quanto possa sembrare valida questa spiegazione, non la trovo abbastanza profonda, ne diffido proprio per la sua deplorevole semplicità.
So che non beveva come un goloso, ma selvaggiamente, con una celerità gelosa del tempo tipicamente americana, come se compiesse una funzione omicida, come se avesse dentro di sé qualcosa da uccidere, a worm that wouid not die. Raccontano che un giorno, quando stava per risposarsi (le pubblicazioni erano già fatte, e siccome la gente si congratulava con lui per quell'unione che gii avrebbe consentito felicità e agiatezza, aveva detto: «Forse avete visto le pubblicazioni, ma ricordatevi questo: non mi sposerò mai!»), completamente ubriaco andò a disturbare i vicini della futura sposa, ricorrendo così al suo vizio per sbarazzarsi di uno spergiuro verso la povera morta, la cui immagine era sempre viva in lui, e che egli aveva mirabilmente cantato in Annabel Lee. Considero questo fatto, così minuziosamente premeditato, come definitivamente provato.

Leggo in un lungo artìcolo del "Southern Literary Messenger" - la rivista che aveva avviato la sua fortuna - che mai la purezza, la perfezione dello stile, la chiarezza del suo pensiero, nè l'entusiasmo nel lavoro furono alterati dal vizio tremendo: la creazione della maggior parte dei suoi pezzi migliori ha sempre preceduto o seguito le sue crisi; dopo la pubblicazione di Eureka si abbandonò alla sua deplorevole inclinazione, e a New York la mattina stessa dell'uscita del Corvo, mentre il nome del poeta era su tutte le labbra, egli attraversò Broadway barcollando vergognosamente. Notate che i termini preceduto e seguito indicano che l'ubriachezza poteva essergli d'incentivo e anche di riposo.
È incontestabile che - simili a sensazioni fuggevoli e stupefacenti, ancor più stupefacenti nel loro ripetersi perché fuggevoli, che seguono talvolta un sintomo esteriore, sorta d'avvertimento come il rintocco dì una campana, una nota o un profumo dimenticato, e che sono loro stesse seguite da un avvenimento simile ad un avvenimento già conosciuto che aveva la stessa posizione in una catena rivelatasi precedentemente, - che nell'ubriachezza vi sono concatenazioni di sogni, di ragionamenti, che per riprodursi hanno bisogno dell'ambiente che li ha generati. Se il lettore mi ha seguito senza irritazione, ha già indovinato la mia conclusione: credo che in molti casi, non certo in tutti, l'ubriachezza di Poe era un mezzo mnemonico, un metodo di lavoro, metodo violento e mortale, ma adatto alla sua indole passionale. Il poeta aveva imparato a bere, come un meticoloso letterato si esercita a scrivere un quaderno di appunti. Non poteva resistere al desiderio di tornare ad immergersi nelle visioni meravigliose o terrificanti, nei sottili ragionamenti che aveva conosciuto in una precedente esperienza burrascosa; erano vecchie conoscenze che l'attiravano imperiosamente, e per riprender contatto con loro sceglieva la strada più pericolosa, ma più diretta. Una parte di ciò che oggi crea il nostro diletto, e che l'ha ucciso.

Delle opere di questo genio singolare, ho poco da dire; il pubblico manifesterà il proprio pensiero. Sarebbe per me difficile, forse, ma non impossibile, spiegare il suo metodo, il suo modo di procedere, specialmente in quelle pagine che basano il loro effetto su un'analisi minuziosamente condotta. Potrei iniziare il lettore ai misteri della loro creazione, dilungarmi su quella particolare inclinazione del genio americano che lo fa godere di una difficoltà superata, di un enigma risolto, di un tour de force riuscito; che lo spinge a divertitrsi con gioia infantile e quasi perversa nel mondo della probabilità, delle congetture, e a inventar frottole dando loro un'apparenza verosimile con la sua arte raffinata. Nessuno potrà negare che Poe è un meraviglioso ciarlatano, ma so che il suo cuore era con un'altra parte delle sue opere.
Devo ora fare qualche precisazione più importante, del resto assai brevemente.
Non è con i suoi miracoli materialmente scritti - che però lo hanno reso famoso - che egli potrà conquistare l'ammirazione degli intellettuali, ma con il suo amore per la bellezza, con la sua conoscenza degli elementi che costituiscono l'armonia; col lamento della sua profonda poesia, lavorata, trasparente e corretta come una gemma di cristallo; col suo stile ammirevole, puro e bizzarro, stringato come le maglie di un'armatura, compiaciuto e minuzioso, che con sfumature leggere guida dolcemente il lettore al fine desiderato; e soprattutto con la sua genialità del tutto particolare, col suo temperamento unico che gli ha permesso di dipingere e di spiegare in modo impeccabile, affascinante, terrificante, l'eccezione nell'ordine morale. Diderot, per prendere un esempio tra tanti, è un autore sanguigno; Poe è nervoso, anzi di più: il migliore che io conosca.

Quando introduce un argomento, ci attira a poco a poco, come in un gorgo. La sua solennità è sorprendente e tiene viva la nostra attenzione. Dapprima sentiamo che si tratta di qualcosa d'importante; poi lentamente vediamo dipanarsi un intreccio il cui interesse si basa tutto su un'impercettibile deviazione dell'intelletto, su un'ipotesi audace, su un imprudente dosaggio da parte della natura nell'amalgama delle facoltà. Il lettore, preso dalla vertigine, è costretto a seguire l'autore nelle sue trascinanti deduzioni.

Nessuno, lo ripeto, ha descritto con maggior fascino le eccezioni della vita umana e della natura; i fini stagione carichi di sfibranti splendori; le calure, umide e brumose, quando il vento del sud distende i nervi come fossero corde di uno strumento musicale; o gli occhi che si riempiono di lacrime che non vengono dal cuore; l'allucinazione che lascia un margine al dubbio e che poi si rafforza e si razionalizza come un libro stampato; l'assurdo che penetra nell'intelligenza e lo governa con logica spaventosa; l'isteria che sostituisce la volontà, la lotta tra nervi e mente, e l'armonia dell'uomo distrutta a tal punto che egli esprime il dolore col riso. Analizza ciò che vi è di più fuggevole, soppesa l'imponderabile e descrive, traendo effetti terrificanti da quel suo modo minuzioso e scientifico, il mondo immaginario che aleggia attorno all'uomo malato di nervi e lo porta alla rovina.
Anche la foga con la quale si butta nel grottesco per amore del grottesco e nell'orrore per amore dell'orrore, mi conferma la genuinità della sua opera e il completo accordo tra l'uomo e il poeta. Ho rimarcato che tale foga, in molti uomini, è effetto di una grande energia vitale inoperosa, talvolta di una castità dubbia, e di una profonda sensibilità soffocata. Il piacere soprannaturale che l'uomo prova alla vista del proprio sangue, gli scatti improvvisi, violenti, inutili, l'urlo scagliato senza che la mente abbia guidato la gola, sono fenomeni da classificare nella stessa categoria.

In questa letteratura di atmosfera rarefatta, la mente può sentire quella vaga angoscia, quella paura pronta alle lacrime e quella stretta al cuore che si prova in un luogo insolito e sconfinato. Ma è più forte I'ammirazione, e d'altronde l'arte è così grande! Gli elementi di fondo e quelli accessori sono in armonia coi sentimenti dei personaggi. Solitudine della natura o confusione delle città, tutto è descritto con stile nervoso e fantastico. Come il nostro Eugène Delacroìx, che ha elevato la sua arte al livello di grande poesia, Edgar Poe preferisce muovere i suoi personaggi su uno sfondo violaceo e verdastro, nel quale si rivela la fosforescenza della putredine e il presagio della tempesta. La cosidetta natura inanimata partecipa della natura degli esseri viventi, e con loro vibra di un fremito soprannaturale e galvanizzante. Lo spazio è reso più profondo dall'oppio; l'oppio dà un senso di magia ad ogni colore, e fa vibrare i rumori di una sonorità più significativa. Talvolta magnifici squarci, carichi di luce e di colore, si aprono improvvisamente nei suoi paesaggi, e vediamo apparire sul loro orizzonte città orìentali e costruzioni, sfumate dalla lontananza, sulle quali il sole lascia cadere una pioggia d'oro.

I personaggi di Poe, o meglio il personaggio di Poe, l'uomo dalla sensibilità acuta, l'uomo dai nervi a pezzi, l'uomo che con volontà caparbia e paziente sfida le difficoltà, l'uomo che fissa con uno sguardo gelido come una spada gii oggetti che s'ingigantiscono man mano che egli li osserva: è Poe stesso.
I personaggi femminili, luminosi e malati, che muoiono di strani mali e parlano con voci musicali, sono ancora lui; o per lo meno, con le loro strane aspirazioni, con la loro cultura, la loro inguaribile malinconia, partecipano intimamente dell'indole del loro creatore. La sua donna ideale si rivela in differenti ritratti sparsi nei suoi versi, troppo poco numerosi, ritratti, o meglio modi di sentire la bellezza, che il temperamento dell'autore avvicina e confonde in una unità vaga ma pur sensibile, nella quale più che altrove si manifesta con delicatezza quell'amore insaziabile della bellezza, che è il suo maggior merito, cioè la summa dei suoi meriti destinata all'amore e al rispetto dei poeti.

(da: E. A. Poe, Tutti i racconti, Sugar, 1967, trad. di Stefano Jacini)