Polonia 1956

La durezza con cui l'URSS represse le proteste esplose nel 1953 a Berlino, aveva rassicurato gli stalinisti: difficilmente nei paesi controllati da Mosca si sarebbero ripetuti i tentativi di mettere in discussione il potere.
Ma il 1956 s'incaricò di smentire drammaticamente questa previsione conservatrice.

L'economia di quasi tutti i paesi entrati nell'orbita moscovita non aveva nemmeno raggiunto i modestissimi livelli anteguerra e le luminose conquiste operaie e contadine erano in gran parte propaganda di regime.
Il malcontento popolare era assai diffuso, tuttavia il ricordo di Berlino, appunto, e la rigida "disciplina proletaria" (ovvero il minuzioso e diffuso controllo poliziesco) sembravano non lasciare alcuno spazio alle istanze di libertà e rinnovamento.

Ma il 28 giugno 1956 a Poznan gli operai delle officine Stalin si riuniscono in una tumultuosa assemblea e decidono di esprimere apertamente la propria insoddisfazione per lo stato delle cose.
"Pane e libertà" sono le parole d'ordine, che ricordano tristemente le rivendicazioni operaie di inizio secolo, quasi che le magnifiche sorti e progressive del socialismo sovietico fossero in realtà, e paradossalmente, un ritorno all'epoca del brutale capitalismo ottocentesco.

Ed è proprio il carattere elementare di questa protesta che dà il segno della gravità della situazione: senza alcun riguardo per le specificità nazionali Mosca imponeva ai paesi satelliti indirizzi economici rispondenti unicamente agli interessi di chi pianificava (?) l'economia sovietica, e i sacrifici imposti ai lavoratori - fossero polacchi, tedeschi o ungheresi - non trovavano riscontro nelle effettive realizzazioni sociali di questi paesi.
Certo, col tempo si sarebbero delineate forme anche significative di quello che a occidente chiamiamo welfare, ma nel complesso le condizioni di lavoro e di vita della stragrande maggioranza della popolazione erano intollerabili.

Pochi mesi prima della rivolta Wladyslaw Gomulka, ex Segretario Generale del Partito Operaio Unificato Polacco (PZPR), arrestato nel 1951, viene riabilitato insieme ad altre vittime dello stalinismo. Si crea un'opposizione interna col gruppo "progressista" che fa capo a J. Cyrankievicz contro il gruppo dirigente staliniano capeggiato da Zenan Nowak ma in realtà diretto dal maresciallo K. Rokossovski, Ministro della Difesa fin dal 1949. Ciò avveniva dopo la morte di Boleslaw Bierut, che nel '51 aveva sostituito Gomulka alla Segreteria del partito e che era particolarmente ligio alle direttive sovietiche.

Allo scoppio della rivolta i "liberali" rivendicano con forza un cambiamento che dia una risposta al malcontento operaio; i conservatori, invece, plaudono all'intervento dei carri armati, attribuendo la responsabilità delle rivolte agli "agenti dell'imperialismo." Alla fase repressiva subentra quella della conciliazione.

Per la prima volta viene celebrata la rivolta di Varsavia del 1944, guidata da Bor Komarowski, definita da Stalin una "insurrezione borghese."

In agosto Gomulka viene reintegrato nel partito e, con Cyrankievicz, si assicura l'appoggio di numerosi ufficiali e degli operai delle grandi fabbriche.

Il mese successivo tre giovani che avevano partecipato ai moti di Poznan vengono condannati a 12 e 18 mesi per "saccheggio", con ciò evitando di dare una motivazione politica. Il Segretario del POUP a Poznan viene espulso e sostituito per non aver saputo impedire che membri del partito partecipassero alla rivolta.

Il 19 ottobre il Comitato Centrale del partito elegge Gomulka Primo Segretario. Kruscev, Mikoyan e Kaganovic si precipitano a Varsavia e si teme che il maresciallo Rokossovski ordini alle truppe di intervenire contro i "liberali."
Questi intanto organizzano la resistenza mobilitando operai e studenti in grandi assemblee. Gomulka interviene criticando energicamente la politica agricola del governo e attribuendo la rivolta di Poznan al "profondo malcontento della classe operaia."
In un'importante riunione del Comitato Centrale del POUP Gomulka parla dello "sfruttamento imperialistico del proletariato polacco", usando una formula terribilmente ambigua, che pare spostare le responsabilità della crisi dalla politica economica (e più in generale dalla politica filo-sovietica) ai soliti complotti della controrivoluzione mondiale.
In quei giorni viene destituito il maresciallo Rokossovski, grande fautore della repressione antioperaia.
A fine novembre Gomulka e Cyrankievicz firmano a Mosca un accordo sull'indipendenza nazionale e la conservazione dell'alleanza con l'URSS a garanzia della frontiera occidentale polacca sulla linea Oder-Neisse. Un palese compromesso che tuttavia premia soprattutto lo status quo desiderato da Mosca.
Prevale dunque la normalizzazione e le iniziali aperture di Gomulka si ridimensioneranno notevolmente: il sistema si era incrinato ma con piccoli aggiustamenti riuscirà a superare anche la crisi del 1968, con le proteste studentesche.
E la "normalità" continuerà fino a quando, nel 1980, nei cantieri navali di Danzica...