Stalin: la passione del potere


Lenin lo considerava "volgare". Altri l'hanno descritto un uomo segreto, manovratore e sornione. Giuseppe Stalin amava prima di tutto, e al di sopra di tutto, il potere.
Una notte come molte altre, alla fine degli anni '40. Nessuna luce filtra dalla dacia di Kuntsevo, vicino a Mosca. Le finestre sono mascherate ermeticamente e la tenuta protetta da unità del NKVD. Stalin, come sua abitudine, è in piedi davanti al grammofono. Mette dei dischi e osserva i suoi invitati.
Sono tutti maschi. Ballano. Molotov balla il valzer con il numero due del partito polacco, Jacob Berman, responsabile della polizia politica che, decenni dopo, parlerà di queste strane serate (la moglie di Molotov a quell'epoca era prigioniera in un campo dil avoro).
L'atmosfera è pesante, la paura palpabile. Stalin recita il ruolo di ospite amabile, ma basta un niente per fargli tirare fuori le unghie: una cameriera si sofferma un attimo di troppo mentre apparecchia. Lui esplode: "Che cosa ha da ascoltarci"?
Si fa bisboccia e si beve, Stalin molto meno che in passato e solo del vino di Georgia, ma gli invitati non possono rifiutare di partecipare alle libagioni.
Nel 1937, durante una di queste serate, Ciumiatski, un ex compagno di esilio, si era ostinatamente rifiutato di bere: "Te ne pentirai", lo aveva avvertito l'ospite. L'indomani fu arrestato e successivamente fucilato.
Stalin è vestito con semplicità, ai piedi porta i suoi vecchi stivali sfondati che indosserà anche nel momento della morte. Quando gli imbalsamatori vorranno mettergliene un paio nuovo verranno a sapere che non ne aveva altri. Non ha il gusto del lusso anche se nelle sue quindici dacie o residenze varie ogni giorno viene preparato, con infinite precauzioni, il pasto per il padrone, nel caso decidesse di venire.
Alle pareti di Kuntsevo fa appendere semplici riproduzioni di dipinti ritagliati dal settimanale Ogoniek. Viceversa, molti marescialli e generali espongono nelle loro dimore dei capolavori della pittura europea, trofei riportati da Germania o da altrove. Ma molti, nel frattempo, sono stati arrestati, un po' per queste rapine e molto perché se ne sono troppo vantati, e si sa che la gloria della vittoria deve rimanere unico appannaggio del "generalissimus".
Quando non era, per lunghi mesi, in vacanza sul Mar Nero, Stalin passava la maggior parte del suo tempo nella dacia. A quasi 70 anni si sentiva invecchiare ed era sempre più attratto dai medici specialisti della longevità - a volte anche da ciarlatani - ai quali assicurava protezione e carriera.
Ma era, più che mai, il padrone unico del paese. L'unico a conoscere il funzionamento di tutti gli organismi di potere, l'unico per il quale il sistema sovietico non era opaco. Aveva a disposizione l'immensa macchina dell'NKVD ma fin dagli anni '20 aveva attivato una sua rete di informatori. Durante la guerra aveva leggermente allentato i vincoli ideologici e polizieschi, ma aveva poi dato un nuovo giro di vite.
I campi di lavoro del Gulag erano pieni zeppi. Si stavano preparando nuove purghe e alcuni dei suoi più vicini collaboratori, sopravvissuti alle grandi purghe degli anni '30, avevano buoni motivi di preoccupazione.
Nel cassetto della sua scrivania conservava il biglietto che Bucharin gli aveva scribacchiato prima di essere giustiziato nel 1938: "Koba [era questo il nome che Stalin stesso si era attribuito all'epoca della sua gioventù in Georgia], perché mai hai ritenuto che la mia morte fosse necessaria?"
In effetti, perché mai Stalin aveva firmato centinaia di migliaia di condanne a morte (solo nel 1937 e nel 1938, 383 liste di persone da fucilare, dove figuravano migliaia di nomi: 3.167 persone, ad esempio, sulla lista firmata il 12 settembre 1937, prima di andare al cinema)? Perché mai aveva fatto uccidere tanti suoi ex amici, i genitori di sua moglie, la moglie del suo segretario, quella di Kalinin (il "presidente" dell'URSS), la moglie, il fratello, la figlia e le quattro sorelle del Maresciallo Tukhatcevsky, avendole prima fatte torturare? Perché aveva deliberatamente affamato l'Ucraina e il Kuban (o Krasnodar, regione del Mar Nero), provocando la morte per fame di sei milioni di persone?
Perché suo padre, un calzolaio alcolizzato, lo picchiava? Perché aveva un braccio atrofizzato, due alluci congiunti e il viso devastato dal vaiolo? (In Il Dottor Živago Pasternak parlerà della "ferocia sordida e sanguinaria dei Caligola devastati dal vaiolo")
Sarebbe veramente troppo semplice. Da giovane Stalin aveva degli amici. Delle donne (apparentemente nessun problema dal punto di vista sessuale, diversamente da Hitler). Se il suicidio della sua seconda moglie lo ha colpito sembra che ciò sia dovuto soprattutto al fatto di averlo vissuto come un'offesa a se stesso, una forma di infedeltà. Ma numerosi testimoni riferiscono di sentimenti di forte tenerezza per la figlia Svetlana, con cui amava giocare a scambiarsi i ruoli: nel 1935 le invia una lettera che firma "il povero segretario della padrona Svetlana, il miserabile Stalin."
È stato anche visto, anche se raramente, dare prova di una sorta di generosità: salvare dal patibolo alcuni vecchi professori del seminario di Tiflis di cui aveva apprezzato l'insegnamento. Spedire denaro a vecchi amici. Accettare, a volte, che gli si tenesse testa e, a modo suo, proteggere alcuni artisti, dare prova di una certa e temporanea indulgenza nei confronti di poeti o scrittori come Mandelstam o Bulgakov. Cancellare una persona, la moglie di Majakovskij, da una lista di condannati a morte: un nome su 230mila.
Fin da giovane era considerato "volgare"; ma anche segreto, manovratore e sornione. Aveva lo sguardo "giallo" come il "gatto nero" della celebre canzone di Okudjava. Tuttavia, una delle molle più profonde, più decisive della sua personalità, sembra essere stata l'invidia. Un odio profondo per coloro che erano più competenti o più brillanti di lui. Dagli ex ufficiali zaristi fino agli "ingegneri" del primo grande processo del '28, fino a Nicolas Voznessenski, colui che organizzò con talento l'industria durante la guerra, che farà poi fucilare.
Coloro che lo conoscevano bene sapevano che cosa dovevano aspettarsi da lui.
Durante il primo congresso degli scrittori sovietici, nel 1934, Bucharin, l'ex "bambino prediletto della rivoluzione" che cercava, come sempre, di ritornare nelle sue grazie, pronunciò un discorso di tre ore sulla poesia. Un discorso bellissimo, salutato da interminabili ovazioni. Pallidissimo, tornando al suo posto disse ai suoi vicini "avete firmato la mia condanna a morte". Aveva ragione, anche se si sbagliava di alcuni anni. "Non sopporta le persone intelligenti" confidava ad un amico Maxime Litvinov nel giugno del 1939, dopo essere stato destituito dal suo posto di Ministro degli Affari Esteri.
È forse per questo motivo che oggetto del suo maggiore odio fu senza dubbio Trotskij, il brillante vice di Lenin, I'oratore ispirato che aveva commesso l'errore di guardarlo dall'alto, di disprezzare colui che, nelle sue memorie, si ostinò a chiamare "la più eminente mediocrità del partito"? La vendetta arrivò con calma ma fu implacabile, dall'esilio all'assassinio in Messico, nel 1940.

È nel 1918 che Stalin inizia ad uccidere in modo massiccio. E cioè dal momento in cui ne ha avuto l'opportunità. A Zaritsin, prima, dove aveva dato ordine che le migliaia di vittime venissero ammucchiate sulle chiatte della Volga, prima di venire annegate. A Pietrogrado poi, e sui diversi fronti in cui fu mandato. Ma aIlora quel comportamento non aveva niente di eccezionale. Vi erano gli indicibili orrori della guerra civile, i massacri e le esazioni di una Tceka infestata di banditi. La fanatica volontà di assicurare ad ogni costo la vittoria della rivoluzione, vale a dire la liquidazione dei suoi nemici, reali o potenziali. L'arresto e l'esecuzione di ostaggi come metodo di governo. Il terrore cieco destinato a paralizzare ogni velleità di opposizione.
Non è Stalin ma Trotski che ha praticato apertamente e teorizzato la necessità di questo terrore. Fu Lenin ad inviare dovunque numerosi telegrammi con i quali ingiungeva di accelerare la repressione ed esigere veri e propri contingenti di esecuzione. Egli scrisse anche a Stalin, nel 1922, per esortarlo ad accelerare la "pulizia definitiva" dei socialisti e dei liberali.
E fu sempre all'inizio degli anni '20 che gli abitanti di alcuni villaggi recalcitranti vennero uccisi con il gas. Ed è sotto la direzione di Lenin che fu messo in atto l'uso deliberato della carestia per stroncare la resistenza dei contadini, da cui Stalin trasse ispirazione all'epoca della seconda collettivizzazione.
Possiamo quindi ritenere che Stalin, che dal 1919 in poi rappresentò l'Ufficio politico presso la Tceka, non abbia quindi fatto altro che organizzare e regolare a suo beneficio le pratiche della guerra civile e dell'epoca "eroica" del potere bolscevico?
Vi ha indubbiamente messo del suo: il suo talento di organizzatore, la sua stupefacente memoria, il suo gusto per il segreto, il suo senso della manovra, la sua conoscenza delle debolezze umane. Egli ha costruito lentamente il suo potere, accumulando le informazioni, i dossier.
Già negli anni '20 aveva fatto installare al Kremlino un sistema che gli permetteva di ascoltare tutti i suoi collaboratori, facendo poi giustiziare per "spionaggio" il tecnico ceco che aveva effettuato l'installazione. Si circondava di uomini le cui biografie denunciavano debolezze, macchie (Ežov e Berjia erano dei depravati sessuali), e se ne serviva al momento buono. Il suo cinismo assoluto lo ha portato, nel 1937, durante la grande ondata di terrore, a far pubblicare un discorso sull'"uomo, il capitale più prezioso", in cui chiedeva di essere "particolarmente attenti alle vite umane..."
Vi era forse in lui anche del puro sadismo? Si sa che amava giocare al gatto e al topo con le sue vittime: ad esempio, telefonava mentre I'NKDV perquisiva la loro casa e, falsamente stupito, le incitava a cacciare i funzionari della Tceka. Ma lo si è visto anche scoppiare a ridere mentre gli veniva raccontata la scena dell'esecuzione di una delle sue vittime. Oppure scrivere "scellerato, prostituto", ai bordi di una lettera in cui il generale lakir gli diceva, prima di essere fucilato: "Morirò pronunciando parole d'amore per Lei, per il partito e per il paese."
Era in ogni caso spietato, indifferente alle immense sofferenze che faceva subire agli altri. Compresi i soldati fatti prigionieri dai tedeschi e le loro famiglie, deportate per rappresaglia. Come Hitler, esigeva che si morisse sul posto, anziché indietreggiare, ma lo si è visto una sola volta visitare il fronte, a distanza di sicurezza e con un'accurata regia. Lui stesso non sembrava particolarmente temerario: l'unica volta in cui prese l'aereo per andare alla conferenza di Teheran nel 1943, vi furono alcuni vuoti d'aria e un testimone lo ha descritto "aggrappato al sedile, il viso deformato dalla paura."
La testimonianza non è necessariamente affidabile, ma una cosa è certa: non entrava mai in contatto con la popolazione. Al di là dei suoi soggiorni di vacanza in luoghi totalmente protetti, il suo ultimo viaggio "sul campo" è del 1928. Si trattava di uno spostamento in Siberia, per lanciare una campagna per la confisca del grano, durante il quale incontrò solo alcuni dirigenti del partito.
Era veramente interessato solo a quel mondo, quello del partito. Certo, amava la lettura, il cinema, la musica georgiana, e anche la filosofia (salvo bloccarsi su Hegel, malgrado i corsi particolari che gli furono impartiti da uno specialista). Amava molto se stesso, voleva garantirsi un posto nella Storia. Gli capitava di rimbrottare gli adulatori maldestri, di rifiutare opere agiografiche sulla sua gioventù, ma apprezzava il "culto" della sua persona. Il suo nome fu citato 2.500 volte dagli oratori del XVII Congresso nel 1934, di cui 64 solo da Kaganoviç.
Ma quello che amava, al di là di ogni misura, era il potere che egli esercitava sugli uomini.
Nel 1935, Raskolnikov, un vecchio bolscevico, lo descrive come "perfido, furbo e vendicativo", ma anche dotato dì "una volontà inusuale, sovrumana". Questa volontà che lo riavvicina al suo predecessore Lenin spiega forse l'inimmaginabile estensione dei danni dello stalinismo? Oppure, al contrario, il sistema ha consentito la straordinaria ascesa di Stalin? "Una pulce ingrandita di migliaia di volte diventerebbe l'essere vivente più orribile e più pericoloso che ci sia" aveva scritto Maxim Gorkij in un pensiero su Stalin ritrovato dopo la sua morte tra le carte dello scrittore.
"Paranoico", per uno dei suoi biografi, "anormale" secondo Churchill, l'uomo al quale De Gaulle attribuiva "un fascino tenebroso" è risultato essere più forte, più furbo dei responsabili che ha schiacciato. Eppure, come ricordano i fratelli Medvedev in un recente libro "i crimini di Stalin erano commessi collettivamente." Tra gli altri, da colui che ne rivelò in seguito una parte: Nikita Krusëv.

l'Unità, 5.3.2003