Frantz Fanon

Frantz Fanon è stato uno psichiatra e scrittore nato il 25 luglio 1925 a Fort-de-France in Martinica, e morto di leucemia il 6 dicembre 1961 a Washington DC negli Stati Uniti.

Nacque in una famiglia discendente da schiavi africani, servi Tamil e bianchi. La sua famiglia apparteneva alla piccola borghesia e ciò permise a Fanon di frequentare il Lycée Schoelcher, una scuola per soli neri.

In seguito alla caduta della Francia nelle mani dei nazisti nel 1940, delle truppe della marina francese rimasero bloccate in Martinica. A causa della permanenza forzata sull'isola, i soldati francesi divennero "autentici razzisti". Vi furono numerose accuse di molestie sessuali. Gli abusi ai danni della popolazione locale da parte dell'esercito francese ebbero una notevole influenza su Fanon, in quanto rinforzarono i suoi sentimenti di alienazione e il suo disgusto per il razzismo coloniale. Durante la Seconda Guerra Mondiale combatté con la Resistenza Francese e in seguito proseguì i suoi studi di psichiatria. Divenne responsabile di una divisione dell'Ospedale Psichiatrico di Blida, in Algeria, lavorando soprattutto sull'adattamento dei test ai pazienti locali.

Durante la Guerra d'Algeria, Fanon collaborò apertamente con il Fronte di Liberazione Nazionale Algerino (F.L.N.) e ne divenne il portavoce. Nel 1957 venne espulso dal paese a causa della sua collaborazione con il Governo Provvisorio della Repubblica Algerina (G.P.R.A.).

Le opere

Nelle sue opere più famose, egli analizza il processo di decolonizzazione dal punto di vista sociologico, filosofico e psichiatrico.

La sua opera più conosciuta è I dannati della terra, che è stato concepito come un manifesto per la lotta anticoloniale e l'emancipazione del "Terzo Mondo". L'opera venne pubblicata per la prima volta nel 1961 da Maspero con la prefazione di Jean-Paul Sartre. Ne I dannati della terra Fanon analizza il ruolo della classe, della razza e della violenza nell'ambito delle lotte di liberazione nazionale. Quest'opera ebbe una notevole influenza su leaders rivoluzionari quali Ali Shariati in Iran, Steve Biko in Sud Africa e Ernesto Che Guevara a Cuba. Tra questi leaders, solo Guevara si interessò alle teorie di Fanon sulla violenza; Shariati e Biko si interessarono rispettivamente all'idea dell'"uomo nuovo" e della "coscienza nera". L'influenza dell'opera di Fanon si estese ai movimenti di liberazione palestinese, ai Tamil, agli Irlandesi, alle Pantere Nere ad altri movimenti che lottavano per la autodeterminazione.

Durante il suo soggiorno in Francia Fanon scrisse il suo primo libro Black Skin, White Masks, un'analisi degli effetti della soggiogazione coloniale sulla psiche umana.

Bibliografia

  • Pelle nera maschere bianche, Tropea Editore, 1996 (Peau noire, masques blancs, 1952)
  • L'An V de la révolution algérienne, 1959
  • I dannati della terra, 1962, Einaudi; nuova ed. Comunità, 2000; (Les Damnés de la terre, 1961)
  • Pour la révolution africaine, Maspero, 1964
  • Il Negro e l'Altro, il Saggiatore, 1972
  • Sociologia della rivoluzione algerina, Einaudi
  • Opere scelte, Einaudi
  • Renate Zahar, Il pensiero di Frantz Fanon, Feltrinelli
  • Pietro Clemente, Frantz Fanon tra esistenzialismo e rivoluzione, Laterza
  • Alessandro Aruffo - Giovanni Pirelli, Fanon, Erre Emme

da "http://it.wikipedia.org/wiki/Frantz_Fanon"

Alessandro Santagata

Frantz Fanon e la materia viva dell’oppressione

L’esplosione è ormai ogni giorno, e continuerà ancora a lungo. Sarebbe stato forse questo l’esordio di Pelle nera, maschere bianche (Ets, pp. 216, euro 20), se Frantz Fanon l’avesse scritto oggi.

Perché le esplosioni che egli avvertiva nei muscoli, quando sentiva qualcuno dire «Toh, un negro!» o rivolgerglisi in petit nègre, le esplosioni i cui fuochi già vedeva dalla lontana Fort-de-France, sembrano moltiplicarsi nel nostro presente come un lugubre salmo. Altri corpi, sessant’anni dopo, sono ancora alle prese con quel maledetto «Toh, un negro!»: nelle strade di Los Angeles, a Parma, nella banlieue di Parigi, nei nuovi ghetti in cui il razzismo non cessa di riprodursi.

L’elenco delle circostanze in cui la violenza continua ad affiorare prendendo di mira neri, rom, musulmani, immigrati, insomma quell’umanità «al ribasso», dà al libro di un Fanon allora appena ventisettenne una forza unica, che pochi scritti mantengono allo stesso modo a distanza di oltre sessant’anni. E se ogni epoca rilegge i classici cercandovi risposte ai suoi dubbi, Fanon è un classico indubbiamente atipico: perché è lui che continua a interpellare il nostro presente, e a rendere necessarie nuove traduzioni dei suoi scritti, in grado di estrarre con maggiore adeguatezza idee e argomenti che in quelle precedenti non avevano trovato analoga attenzione. Quella di Silvia Chiletti raggiunge l’obiettivo.

La malta di un pensiero

Oggi Pelle nera, maschere bianche il lettore italiano può assaporarlo finalmente appieno: traduzione meditata, che restituisce la tensione originaria del testo fanoniano e penetra nelle pieghe di uno stile a tratti nervoso, fra parole che vogliono colpire, farsi dardi, proiettili, come lui stesso scriveva in una lettera al fratello Joby, che intendono «provocare», come ricordava il filosofo francese Francis Jeanson nella prefazione del 1952. Traduzione doppiamente riuscita perché permette di cogliere nella costruzione del testo e nel suo originalissimo linguaggio i materiali e i vocabolari con i quali Fanon costruisce la sua malta: il sistematico procedere hegeliano, la fenomenologia di Merleau-Ponty, l’esistenzialismo di Sartre, e naturalmente la psicoanalisi, quella di Lacan: un autore «contestato come pochi», la cui appassionata difesa dei «diritti della follia» lo interrogano da molti punti di vista, e con il quale a tratti sembra quasi identificarsi («il fatto che i suoi avversari siano di gran lunga più numerosi dei suoi sostenitori, non sembra preoccupare questo logico della follia», aveva scritto l’anno prima nella tesi di specializzazione sull’atassia di Friedreich).

Le traduzioni inglesi che si sono succedute negli anni, da quella del 1967 di Lam Markmann a quella del 2008 di Philcox, passando attraverso l’edizione del 1986 con l’introduzione di Homi Bhabha, hanno conosciuto le stesse incertezze e rivelato come potessero essere riconosciuti, in quello che Mbembe ha definito un «lavoro gigantesco», profili nuovi e aspetti lasciati sino a quel momento in ombra. Per Bhabha, era «il linguaggio psicoanalitico della domanda e del desiderio» l’orizzonte scelto «nell’articolare il problema dell’alienazione culturale nella colonia». Giusto. Nel clima degli studi postcoloniali diventava questo l’orizzonte più significativo. E d’altronde Fanon, nell’esplicitare il suo progetto di dissoluzione del «doppio narcisismo» (quello dei Bianchi e quello dei Neri), scrive sin dalle prime pagine: «In effetti penso che solo un’interpretazione psicoanalitica possa rivelare le anomalie affettive responsabili dell’intero edificio di un tale complesso».

Quel linguaggio costituisce dunque un aspetto certo fondamentale, ma il rischio è quello di dimenticarne altri, altrettanto decisivi, finendo per dare un rilievo eccessivo a quello che è stato il Fanon «postcoloniale». Ogni lettura che voglia però isolare e far prevalere uno solo dei profili a svantaggio del Fanon clinico e militante, o del Fanon lucido analista della dell’apocalisse coloniale e profeta delle sue conseguenze sociali e psichiche, finirebbe col ripetere quel gesto di frammentazione contro il quale aveva protestato Ernesto de Martino quando chiedeva, per sé e per gli altri, che si fosse considerati «persone intere».

Questo rischio deve essere sorvegliato soprattutto al cospetto di una scrittura che si sviluppa con testarda coerenza nel corso degli anni, e non intende trascurare nulla nel realizzare il suo progetto. Se complesso di inferiorità esiste, scrive del resto Fanon, il processo è «economico innanzitutto, di interiorizzazione, o meglio, di epidermizzzione di questa inferiorità, in secondo luogo». Marx e Merleau-Ponty, dunque, non solo Lacan: perché è dal corpo e dall’esperienza vissuta, dagli sguardi che lo hanno tormentato, che Fanon trae la linfa infinita delle sue riflessioni («non parlo che di cose vissute», questa l’epigrafe, tratta da Nietzsche, posta nella sua tesi di specializzazione). E soprattutto un’attenzione incessante al tempo e alla storia («l’architettura del presente lavoro si situa nella temporalità»): il colonizzato, il nero che sogna la vendetta nel letto della bianca, l’indocinese nient’affatto docile, il bambino che vede Tarzan, la società antillana nevrotica perché dominata dall’idea del confronto con l’altro. Ciascun soggetto è ancorato al suocontesto, alla storia, e solo da quest’ultima traggono senso la sua esperienza e la sua sofferenza.

La nuova edizione di Pelle nera, maschere bianche, oltre a rispondere a un’attesa diffusa e giungere in un momento in cui la riflessione di Fanon è per più ragioni propizia (il lettore può trovare in italiano ormai tutti i suoi libri, nonché gli scritti psichiatrici, a torto giudicati minori), ha però un altro merito. L’introduzione di Vinzia Fiorino, nell’offrire preziose chiavi di lettura, spinge infatti Fanon a incontrare una riva inconsueta, o meglio «imprevista», come suggerisce la stessa autrice: quella del pensiero femminista italiano in una delle sue espressioni più note, Carla Lonzi.

Oltre le velenose diagnosi

Si tratta di un’operazione doppiamente coraggiosa. In primo luogo perché il dialogo fra Fanon e la donna (antillana, in particolare), individua senza dubbio una delle tensioni più feconde del suo pensiero, ma soprattutto perché in passato a Fanon non sono state risparmiate critiche di ogni genere: omofobo, misogino, sedotto dal mito del guerrigliero algerino con il quale avrebbe tentato di guarire la ferita narcisistica di una mascolinità martinicana ferita e umiliata… A scrivere queste velenose diagnosi, di cui hanno fatto giustizia interpreti rigorosi come Gibson o Sharpley-Whiting, sono state firme prestigiose: da Françoise Vergès a Albert Memmi, quest’ultimo giungendo a sostenere che l’opera di Fanon è essenzialmente motivata da bisogni personali, scandita da un’identificazione con la Francia («con il dominante») e dal «rifiuto di sé». Mediocre psicologismo, ha commentato giustamente Brigitte Riera, adottando un giudizio sin troppo benevolo nei confronti di una critica ingiusta e stizzosa.

Di un libro da leggere e rileggere con pazienza, con passione, devo ricordare almeno un ultimo aspetto, oggi particolarmente saliente. Se per Fanon «inventariare il reale» è «compito colossale», che ci lascia sempre con un senso di incompletezza, se non cessa mai di rivelarsi, nulla nascondendo – a chi sa leggere le sue parole – della propria esperienza, egli chiede (a sé e a noi) l’impegno forse più doloroso, non essere cioè schiavi del passato: «Non ho dunque altro da fare su questa terra che vendicare i Neri del XVII secolo? (…) Io sono il mio proprio fondamento. Ed è superando il dato storico, strumentale, che introduco il ciclo della mia libertà». Domanda sorprendente, affermazione radicale: nasce qui forse l’invito più decisivo di un pensiero che, mai amnesico nei confronti del passato, degli inganni del sapere (quello psichiatrico, in primo luogo), e delle radici oscure dell’alienazione, intende però curare la Storia stessa.

La vita del "nero" non è una questione di pelle

In un momento così difficile per l’Europa, la scelta di ripubblicare Pelle nera, maschere bianche di Frantz Fanon (Edizioni ETS, Collana «Studi culturali», pp. 216, euro 20, cura redazionale di Marica Setaro) non è solamente un’operazione culturale meritoria, è un atto politico. L’attualità di questo testo – spiega Vinzia Fiorino nell’introduzione – è del tutto evidente di fronte «ai significativi processi migratori che negli ultimi anni hanno visto riemergere antichi e beceri razzismi, afflati umanitari, inquietanti silenzi e insulsi balbettii».

Il rinnovato interesse per la figura di Fanon è anche contiguo alla ripresa degli studi su altri maestri del pensiero critico come Michel Foucault, Franco Basaglia e Carla Lonzi: una nouvelle vague che si spiega alla luce «delle trasformazioni epocali che nelle regioni del mondo economicamente più avanzate hanno ridisegnato nuove aree di marginalità e definito inedite perdite di status per figure sociali diverse».

La traduzionedi Silvia Chiletti restituisce la forza prorompente del linguaggio di Fanon, impegnato nel decostruire la realtà circostante per svelarne attraverso l’analisi critica dei discorsile contraddizioni socio-culturali. Tra i danni a lungo termine provocati dal colonialismo figura il desiderio di «lattificazione» innestato dalla società bianca occidentale. «Il Nero non è un uomo. (…) Il Nero è un uomo nero», spiega Fanon: «ciò vuol dire che a causa di tutta una serie di aberrazioni affettive egli si colloca all’interno di un universo da cui bisognerà tirarlo fuori». Agli occhi dello psichiatra lo svelamento del desiderio di «bianchezza» si impone dunque in prima istanza come una terapia (militante) per liberare «l’uomo di colore da se stesso».

Dal punto di vista politico, la critica ai sostenitori della «negritudine», che pure aveva attratto originariamente Fanon, allarga l’orizzonte in direzione di una lotta di più ampio raggio. Scrive Francis Jeanson nell’introduzione francese del 1952: «(Per Fanon), il postulare una salvezza futura delle società umane non apporta alcun rimedio alle disgrazie degli uomini di questo tempo. (…) L’uomo che si tratta di salvare non è l’astrazione di un’epoca inesistente, è il negro strappato dal suo villaggio, il fuciliere senegalese (…), esistenze attualmente in questione, di cui ciascuna è unica, insostituibile, vissuta senza ritorno…».

Le dialettiche di Hegel e Marx, ma anche le categorie psicoanalitiche di Freud e Adler, ne escono quindi fortemente ridimensionate e vengono ricondotte alla loro natura occidentale (centrica). Nello stesso tempo, se la «bianchezza» è un marcatore che«definisce la titolarità della sovranità e i confini della cittadinanza», la lotta per salvare il nero non può che divenire rivoluzionaria per l’intero sistema. La pelle e il corpo saranno il campo di battaglia, il «desiderio», una volta rivelata e superata la nevrosi, lo strumento di liberazione. 

grazie a: il manifesto, 3.12.2015

Frantz Fanon

Affrontare lo sguardo bianco

da Il Negro e l'Altro

Il negro colpevole di non essere bianco

"La disgrazia è che non si cessa, in nome della giustizia, di perdonarlo e ciò non fa che mettere bene in evidenza che egli è colpevole indefinitamente: colpa o difetto, ma in ogni caso, segnato per sempre."

Bisogna mettere in libertà l'uomo

Il caso di un malato negro che sogna di diventare bianco (desiderio inconscio): si deve liberare il malato per evitare la dissoluzione dello struttura psichica):
“Come psicoanalista devo aiutare il mio cliente a "coscientizzare" il suo inconscio, non più a tentare una gratificazione allucinatoria, bensi ad agire nel senso di un cambiamento delle strutture sociali.”

Fanon condivide il parere di Pierre Naville: "sono le condizioni economiche e sociali delle lotte di classe che spiegano e determinano le condizioni reali in cui si esprime la sessualità individuale."

Uno battaglia contro lo sfruttamento, la miseria, la fame

“Se è chiaro che i sogni degli uomini non bastano a trasformare il mondo, indubbiamente sarebbe preferibile malgrado tutto che questi sogni avessero tendenze umane piuttosto che inumane.”
"Lottare contro le strutture obbiettive d'oppressione e di sfruttamento."

"Il negro non è un uomo… il negro è un uomo nero."

Fanon critica il concetto di negritudine (sviluppato da Senghor e A. Césaire) e l'esaltazione della supremazia  dei valori negri (totale rifiuto della civiltà bianca): è un vicolo chiuso.
“Il caso del negro che vive in ambiente  bianco: l'alienazione è di natura quasi intellettuale e proprio perché concepisce la cultura  europea come mezzo di staccarsi della sua razza che egli si pone in una condizione di alienato.”

Presa di coscienza dell'alienazione economica, presa di coscienza dell'alienazione mentale e culturale

Lotta liberatrice.
Fanon è piuttosto impietoso verso i neri che, prigionieri  del loro passato di schiavi, pensano di non potersi liberare in altro modo che perdendosi nella ricerca di un passato più antico: a proposito delle negritudine Sartre (in Orphée noir) parla di momento negativo di una progressione  dialettica (negatività dialettica). La negritudine come affermazione dell’identità nera di fronte a quella del bianco colonizzatore era un passaggio obbligato, ma un passaggio transitorio che deve portare all’idea di liberazione dell’uomo colonizzato in quanto uomo.
“La ricerca delle negritudine è in un certo senso per il negro il tentativo di fare l'amore con la sua razza.”

>“Aver coscienza di se stesso ,ed essere presente a se stesso, presente agli altri, al centro del dramma suo e degli altri”

Fanon parla di sociodiagnosi

“Sul piano obbiettivo come sul piano soggettivo, deve essere proposta una soluzione… il negro deve condurre la lotta sui due piani: atteso che, storicamente, questi  si condizionino, qualsiasi  liberazione unilaterale  è imperfetta  e l'errore  peggiore sarebbe di credere nella loro dipendenza  meccanica.”
“Noi tendiamo nientemeno che a liberare l'uomo di colore da se stesso.”


L’ambivalenza della psicologia del colonizzato (ma anche quella dell’immigrato)

"J.P. Sartre , per metà vittima e per metà complice, come tutti.”
“Il destino del nevrotico  sta nelle mani del nevrotico stesso.”

Distruzione di un complesso d’inferiorità  psicoesistenziale:
“Io voglio davvero portare il mio fratello, negro o bianco, a scuotere nel modo più energico la deplorevole servitù edificata da. secoli di incomprensione.”
Il negro, il colonizzato e l’immigrato si normalizzano per ragioni psicosociali: uno sforzo di disalienazione passa attraverso una terapia sociale della riappropriazione di sé, di un sé liberato dal peso dell’alienazione mentale e dal complesso d’inferiorità.
L'uomo è un essere in situazione, situato nel tempo e nello spazio: "Io appartengo irriducibilmente alla mia epoca. Ed è per essa che io devo vivere.”
“Io , uomo di colore, io colonizzato, io immigrato, non voglio che una cosa: che cessi per sempre l'asservimento dell'uomo da parte dell'uomo. Voglio dire il mio asservimento da parte di un altro uomo…”

Liberare l'uomo di colore, il colonizzato e l’immigrato da se stesso, vuol dire liberare l’umanità che è in ognuno di noi.
"Per noi chi adora i negri è altrettanto 'malato' di colui che li odia."
“noi pensiamo che un individuo deve tendere a prendere su di sé l'universalismo inerente alla condizione umana.”
Qui sta il processo di disalienazione dell’uomo oppresso.

>“Qualsiasi  problema umano deve essere preso in esame a partire dal tempo. L’ideale infatti è che, sempre, il presente serva a costruire l'avvenire.”


"Questi negri non sono mai contenti. Qualunque cosa si faccia per loro, qualunque cosa si dica, la prendono sempre in mala fede! Se li amate credono che abbiate pietà di loro perché sono negri; se fate un rimprovero sembra sia solo per loro pelle".

Fanon porta il pensiero dei francesi nei confronti dei cittadini di pelle nera che vivono in Francia nella sua epoca; e aggiunge: "Li abbiamo civilizzati, istruiti, adesso fanno gli intellettuali". I libri di Fanon sono attualissimi; però sono anche pericolosi, perché se un immigrato (senza distinzione di pelle) li legge rischia di prendere coscienza, come la definisce Fanon stesso "la coscientizzazione".
Nel momento in cui un "terzomondiale" interiorizza i concetti, la filosofia, la politica di Fanon ha finito di vivere in pace. Un'ultima affermazione, sempre di Fanon: "finchè l'africano conserva comportamenti di dipendenza (servizievole, ossequioso, umile, sfruttato, inferiore, ecc.) tutto va benissimo; ma se il negro si dimentica la sua posizione di dipendenza, se si mette in testa di essere uguale all'europeo, allora l'europeo si irrita e respinge l'impudente". Allora cosa fare? "Condurre l'africano a essere uomo d'azione mantenendo intorno a sé il rispetto dei valori fondamentali che fanno un mondo umano... Perché se la struttura psichica si rivela fragile si assiste al crollo dell'Io. L'africano cessa di comportarsi come individuo razionale, lo scopo della sua azione sarà il bianco, perché solo quest'ultimo può valorizzarlo."

Hamid Barole Abdu - Modena (Carta, 19.02.06)


L’opera di Fanon comprende anche molti saggi e articoli di psicopatologia dell’immigrazione nonché sul rapporto tra medicina “occidentale” e medicina tradizionale; ci sono testi sulla condizione della donna in Africa nera e in Algeria; sulla trasformazione possibile di questa condizione attraverso le lotte di liberazione: Ci sono anche molti scritti sulle questioni legate all’identità dell’immigrato e alla sua difficoltà di ridefinirsi in un contesto socio-culturale che sottolinea in continuazione la sua condizione d’inferiorità. Alice Cherki spiega bene come Fanon affronta la questione dell’islam - non dimentichiamo che Fanon sarà uno dei membri dell’FLN algerino - : il suo approccio è quello di un laico che vede la dimensione religiosa come dimensione culturale e costruzione storica; quindi oggetto di mutamenti e cambiamenti. Queste pagine sono un invito a recuperare Fanon per la nostra comprensione psico-sociale dei fenomeni migratori.

grazie a http://www.mondodisotto.it/