Durante il colpo di stato del 1965 furono uccisi circa un milione di indonesiani: più della metà erano militanti e dirigenti del Partito Comunista Indonesiano, allora il più grande partito comunista di un paese non socialista. Una delle pagine più tragiche della storia del movimento operaio internazionale, una delle tante pagine dimenticate dalla sinistra.

Emanuele Giordana

USA - Indonesia - L'amico americano di Suharto


Sukarno aveva un nemico: l'America. Suharto invece aveva un ottimo amico: gli Stati Uniti. Benché fossero stati proprio gli americani ad avallare, nel '45, l'indipendenza dell'Indonesia dall'Olanda, Washington cambiò decisamente registro quando il nazional-populismo di Sukarno cominciò a nazionalizzare le imprese, a sbandierare una bizzarra dottrina che mescolava retorica nazionale a internazionalismo e a ospitare a Bandung il primo vertice dei non allineati.

Sul colpo di stato del 64/65, la storia non ha ancor detto l'ultima parola, ma non è un mistero che il Dewan Jenderal - il Consiglio dei generali - stesse affilando le unghie per opporsi all'influenza che il Partito comunista indonesiano, il più grande partito comunista dell'Asia dopo quello cinese, aveva su Sukarno.



Suharto fu la carta vincente. E da quel momento gli Stati Uniti in prima persona, ma anche la Gran Bretagna, la Francia e persino l'Italia, puntarono sull'allora giovane e rampante generale.



Erano gli anni in cui nasceva l'Associazione dei paesi del sud est asiatico (Asean) nata in chiave chiaramente anticomunista. Ed erano gli anni in cui la minaccia veniva da oriente: cinesi, vietnamiti, cambogiani, laotiani, birmani, malesi... L'Indonesia di Suharto costituiva il bastione più imponente, quello a cui si poteva ben perdonare - qualche anno dopo - l'annessione della piccola metà dell'isola di Timor, che il Portogallo dei garofani aveva liberato dalla schiavitù di Salazar.

Benché tocchi agli australiani la palma del riconoscimento de facto e de jure dell'annessione proclamata il 16 luglio del '76, furono proprio gli americani a garantire per primi l'impunità a Suharto.

Gli USA si astengono sulla prima risoluzione dell'assemblea generale dell'Onu (12 dicembre del '75) che condanna l'invasione (gli australiani votarono a favore). Si astengono anche alla risoluzione del consiglio di sicurezza che il 22 aprile del '76 "riafferma il diritto inalienabile all'autodeterminazione" di Timor Est.
Dal '76 in avanti gli USA voteranno una sequela di "no" all'Onu, mentre l'Australia si asterrà fino al 1978 quando la sua posizione verso l'Indonesia sulla vicenda di Timor cambierà radicalmente. Già nel giugno dell'81, il consigliere giuridico del Dipartimento di stato Aldrich dichiara che gli USA «riconoscono la validità dell'autorità sovrana dell'Indonesia su Timor orientale». La cosa viene ribadita nell'82 dal segretario di Stato aggiunto per gli affari del Sud-est e del Pacifico John Holridge, mentre nel 1990 prende posizione Bush: è ancora il Dipartimento di stato che, per bocca di Donald Camp, dell'ufficio per l'Asia orientale, dichiara che il presidente sostiene "l'incorporazione" di Timor da parte di Jakarta.

Se, ricorda lo studioso portoghese Barbedo de Mgalhaes, Stati Uniti, Francia, Germania, Olanda e Spagna forniscono armi e sostegno a Suharto, la parte del leone la fa sempre Washington (anche l'Italia fa la sua, partecipando ad esempio all'Iggi, un fondo per rilanciare l'economia del paese).

Ma il "grande e potente amico", come Canberra lo definisce, non si fida solo degli asiatici. Nel '51 Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda firmano l'Anzus, acronimo delle iniziali dei tre paesi, patto di difesa militare con caratteristiche simili alla Nato e che costituisce per tutta la guerra fredda la copertura del sistema difensivo strategico americano nel Pacifico.

Vista da questa angolazione, tutta la vicenda di Timor si comprende meglio: Washington ha sempre chiuso tutti e due gli occhi e continua ad attribuire a Jakarta il ruolo di garante dell'ordine "interno" (del resto il referendum non è stato ancora digerito dal parlamento indonesiano), un ruolo rivendicato dai generali che rispondono agli ordini di Wiranto. Si capisce anche perché gli Stati Uniti, così come nei Balcani, boicottino le Nazioni unite, preferendogli semmai l'opzione regionale dove, guarda caso,
sarebbero proprio gli australiani la testa di ponte di un possibile contingente di pace. Di più. Si sono spinti a dire che si potrebbe pensare a una forza di peacekeeping "prevalentemente asiatica". Il che, vista la dichiarata vocazione "asiatica" dell'Australia, coinvolgerebbe comunque il partner dell'Anzus.

Nel 1975, fa notare l'East Timor action network, l'invasione di Timor cominciò poche ore dopo che il presidente Ford e Henry Kissinger avevano lasciato Jakarta dopo un incontro ufficiale con Suharto. Quel periodo è proprio stato richiamato all'attenzione dei lettori persino dal New York Times di due giorni fa. Secondo l'editorialista Anthony Lewis sarebbe stato proprio Kissinger a dare carta bianca all'invasione che ha poi prodotto «atrocità indescrivibili» imputabili al «cosiddetto realismo kissingeriano». Kissinger, ricorda il giornale, non fu solo il paladino di Suharto, ma il sostenitore di Augusto Pinochet e dello scià di Persia.

Naturalmente qualcuno si è provato a condizionare quella politica, andata avanti nel segno della continuità: gli episodi sono diversi, ma dopo il massacro nel cimitero di Santa Cruz del '91, il Congresso votò la sospensione degli aiuti militari all'Indonesia e nel 1993 il Dipartimento di stato fu tra i promotori di una risoluzione dell'Onu, nella quale si stigmatizzavano le violazioni di diritti umani a Timor; subito dopo Washington bloccava la consegna di F-5 che la Giordania voleva vendere a Jakarta. Un fatto clamoroso ma che fu presto ribaltato. Da Bill Clinton.

Nel corso di una conferenza stampa il presidente dichiarò che per gli USA i diritti umani erano d'importanza centrale ma che questo tema non aveva mai «compromesso le nostre relazioni con i paesi che si stanno sforzando di migliorare i propri rapporti con noi». Sulla vicenda di Timor aggiunse che c'erano «dei punti da chiarire» ma che l'Indonesia restava «un paese col quale abbiamo sempre avuto buoni rapporti».

Nel '96, quindici senatori scrissero a Clinton chiedendogli di farsi promotore di un referendum a Timor. La risposta fu laconica: «Ho preso atto della vostra proposta e la terrò in considerazione

il manifesto 10 agosto 1999