Guido Sacconi (già Europarlamentare PSE)

Fame e non solo terrorismo le emergenze mondiali


Un miliardo e cento milioni di esseri umani non hanno accesso all'acqua potabile
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Un miliardo e seicento milioni non dispongono di energia elettrica.
Due miliardi sopravvivono con meno di un euro al giorno.


Sono cifre note che però non possono diventare freddi dati con i quali convivere. Questo è il tema del summit di Johannesburg che è chiamato ad accogliere due sfide principali. La prima, simbolica, è certamente la più evidente. Si svolge qui una rappresentazione della nuova cultura planetaria in via di formazione, quella dello sviluppo sostenibile. Al di là delle ambiguità, e delle adesioni strumentali ed ipocrite al concetto, nessuno può più contestare che la crescita deve (e può) procedere solo nel rispetto dell'ambiente e senza che si promuovano salute, istruzione e giustizia. Anche la seconda sfida, quella politica, non è meno impegnativa ed importante. Si tratta, implicitamente, di dimostrare che la guerra al terrorismo non è il primo problema planetario attuale e che essa stessa passa attraverso la frattura nord-sud. E si tratta anche di dimostrare la capacità collettiva di governare problemi globali opponendosi all'unilateralismo dell'unica superpotenza.

Essenziale dunque più delle dichiarazioni finali sarà il piano d'azione su cui si sta affannosamente negoziando. Un vero piano che deve cioè prevedere obiettivi e scadenze definite ed impegnative per l'accesso universale all'acqua potabile così come la fissazione di un programma energetico che porti al 10%, entro il 2010, la quota prodotta da fonti rinnovabili. Hanno dunque ragione i paesi poveri a pretendere in tal senso un trattamento privilegiato, ad invocare una politica internazionale di discriminazione, questa volta positiva. Dopo infiniti passaggi negoziali, esso prevede ora centocinquantatrè paragrafi che spaziano su tutti i temi chiamati in causa (povertà, consumi, risorse naturali, biodiversità, globalizzazione ecc.). In media finora l'accordo si è fermato al 15% soltanto dei sottoparagrafi. Ma sui punti più caldi il disaccordo è molto più vasto e profondo: finanziamento allo sviluppo 89%; commercio internazionale 85%. E vi sono poi dei nodi, propriamente discriminanti, come l'applicazione del principio di precauzione nella rimodulazione dell'uso delle sostanze chimiche. Oppure come da conferma di quanto già scritto nella dichiarazione del millennio: dimezzare entro il 2015 il numero delle persone a oggi prive di qualsiasi forma di assistenza sanitaria e, nuovamente, di accesso all'acqua potabile.

È in questo contesto che l'Europa è chiamata a svolgere una funzione di leadership. In questo contesto si colloca il ruolo del Parlamento Europeo. Il Parlamento Europeo non ha titolarità negoziale nell'ambito del ruolo che spetta invece alla Commissione e al Consiglio europei. Ma è l'unica espressione diretta dei cittadini e sotto il peso di questa responsabilità ha assunto posizioni puntuali ed avanzate su tutte le materie poste qui sul tappeto. Materie su molte delle quali, specificamente quelle ambientali, esercita invece una funzione legislativa piena anche se non esclusiva. Ecco perché il lavoro che, un po' nell'ombra, sta cercando di fare la delegazione del Parlamento Europeo lo definirei sostanzialmente così: pressing istituzionale e diplomatico. Pressing sulle altre istituzioni europee concretamente responsabili delle trattative. Pressing, e ricerca di alleanze, verso le altre delegazioni parlamentari qui rappresentate: alcuni parlamenti nazionali dell'Unione, alcune assemblee extraeuropee. Ma di questo, dell'importanza e delle difficoltà di questo dialogo multilaterale, potremo parlare nei prossimi giorni.

Rimane forse da dire una straordinaria contraddizione che qui si tocca con mano. Si incrociano a Johannesburg migliaia e migliaia di persone. Un'infinita varietà di ruoli, missioni, culture, etnie, lingue alla ricerca generalmente sincera di un destino comune più desiderabile da scrivere per l'umanità e l'ecosistema. E tutto ciò però si svolge in un contesto, Stenton Center, che percepisci come africano solo per l'infinità di addetti che vi operano per garantire la sicurezza, la ristorazione, lo shopping ecc. ecc. Una volta entrato, solo se sei accreditato, ti trovi in una qualsiasi city o in qualunque megastore di questo mondo omologato, identici a tutti gli altri. Niente di male. Ma ti fa pensare che il problema più arduo del futuro sarà ridare campo alle diversità. Sostenibilità non è solo cambiamento ma anche diversificazione dei modelli culturali, di produzione e di consumo.