La E$$O va alla guerra


È della fine di settembre 2002 la stipula di un accordo tra Exxon Mobil, la più grande multi-nazionale petrolifera ed il Dipartimento di Stato della Difesa statunitense di Donald Rumsfeld: ad un prezzo fissato a poco meno di 48 milioni di euro, la Exxon, che in Europa è proprietaria del marchio E$$O, fornirà carburanti e oli lubrificanti per la marina, l'esercito, il corpo dei marines, l'aviazione, le basi NATO e tutte le agenzie afferenti al Dipartimento.

La E$$O rifornirà anche le basi militari americane e della NATO presenti sia sul territorio italiano. Il contratto non è vincolato all'attuale anno finanziario e si esaurirà solo alla fine di settembre del 2005, data entro la quale, evidentemente, Bush pensa di aver finito il suo lavoro in Medio Oriente. La commessa rappresenta un'ulteriore prova di quanto stretto sia il legame tra G.W. Bush e la multinazionale del petrolio che, per il suo impegno a sostegno del candidato repubblicano alla ultime presidenziali, aveva già incassato il diniego da parte statunitense di aderire al trattato di Kyoto sul taglio delle emissioni di gas serra e l'emanazione di un piano energetico nazionale che punta al rilancio delle attività estrattive e ad un aumento nell'uso di combustibili fossili che porterà gli USA ad incrementare le emissioni di gas serra di circa il 26% rispetto agli scorsi anni.

Di fronte a tanta ostentata arroganza c'è chi ha deciso da fare guerra alla E$$O usando il terreno di scontro più consono alla multinazionale: il mercato. Da oltre un anno, infatti, è in piedi una campagna di boicottaggio dei prodotti petroliferi a marchio E$$O, lanciata in Gran Bretagna e presto estesasi, tra l'altro, in USA, Francia, Austria, Germania, e Australia. Che la strategia di azione diretta sul mercato iniziasse ad affaticare le politiche irresponsabili della compagnia statunitense, lo si era capito già nel corso dell'ultima riunione degli azionisti, allorquando, su suggerimento di accreditate agenzie di consulenza finanziaria, circa il 20% dei proprietari di azioni della Exxon aveva richiesto formalmente che l'azienda fosse più presente sul mercato delle energie alternative e la smettesse di spendere soldi in pubbliche relazioni dirette a convincere la pubblica opinione dell'inesistenza dell'effetto serra e del suo legame con i combustibili fossili.

Secondo un recente sondaggio dell'agenzia Mori, nell'arco di un anno il numero degli inglesi che dichiarano di rifornirsi periodicamente nelle stazioni E$$O è sceso di un quarto e circa un milione di guidatori hanno dichiarato di boicottare la compagnia per la sua politica in merito ai cambiamenti climatici. Dalla ricerca emerge che, alla domanda su dove si riforniscono regolarmente di carburanti, nel 2001 il 26% aveva risposto E$$O contro il 19% dell'ultimo sondaggio. Che una politica più attenta alle esigenze di tutela ambientale siano oramai una strategia anche per il mercato, è dimostrato dal dato, rilevato dalla stessa agenzia, che la BP, che al contrario ha deciso di non disconoscere le proprie responsabilità sui cambiamenti climatici e sta investendo molte risorse nella ricerca su fonti rinnovabili, è passata da 18% al 21% nelle preferenze dei guidatori. E i risultati di questa campagna si stanno facendo vedere anche altrove.

Dopo poco che fossero stati pubblicati i risultati della ricerca di mercato della Mori, la Deutsche Bank ha prodotto un rapporto sulla Exxon destinato agli specialisti in investimenti in cui si dipingeva la compagnia statunitense come un investimento rischioso a seguito della campagna di boicottaggio inglese. Secondo gli analisti del settore, infatti, essere considerati nemici dell'ambiente n° 1 da Greenpeace ed altre organizzazione mette il marchio E$$O a forte rischio, rinforzato anche dall'assenza di una politica aziendale sullo sviluppo di altri settori energetici che non riguardino i combustibili fossili.