Malcom X

Autobiografia

Einaudi, 1967

«Se devo essere uno dei martiri, lo sarò nel nome della fratellanza»

La storia di Malcolm - raccontata in una straordinaria forma narrativa dal giornalista Alex Haley, che collaborò alla stesura dell'Autobiografia del leader nero - si snoda a partire dalla vicenda giovanile e criminale di un ragazzo che da Omaha, Nebraska, finirà a vendere droga ad Harlem, tra le star delle big band del jazz. Le metropoli attraevano i neri non soltanto per le occasioni di lavoro, qualcosa stava cambiando o almeno si pensava che potesse cambiare. «All'inizio del secolo i neri vivevano ancora in gran parte nelle zone rurali del Sud. L'esodo su vasta scala ebbe inizio nel 1914, quando grandi masse cominciarono a spostarsi verso i grossi centri industriali del Nord: Chicago, Detroit, New York - spiegava nel 1963 il poeta Amiri Baraka (LeRoi Jones) nel suo Il popolo del blues (ShaKe, 1994) - L'aspetto più interessante di queste migrazioni di massa è che probabilmente modificarono ulteriormente il rapporto che il nero aveva instaurato con l'America (...). Si trattava dello stesso "movimento" umano che rese possibili fenomeni come il blues classico e il jazz (...). Ma più che di una nuova ipotesi, si trattava di una nuova idea di ciò che la vita dei neri poteva diventare».

Malcolm declinava tutto ciò a suo modo. «Assorbivo tutto come una spugna e qualche volta, nel corso di un raro sfogo pieno di confidenze, o di fronte a qualcuno che aveva bevuto un bicchiere più del solito, intuivo perfettamente qual era il particolare tipo di traffico cui si dedicava il mio interlocutore. Fui ben istruito da guappi assai esperti in traffici quali la lotteria clandestina, lo sfruttamento delle prostitute, i giochi d'azzardo di ogni specie, le vendita degli stupefacenti e ogni genere di furto, compresa la rapina a mano armata.»

Dalla strada, vissuta con violenza e curiosità, quello che per tutti è già diventato "il Rosso di Detroit" arriverà rapidamente alle galere, seguendo il percorso criminalità-repressione che continua ancora oggi a scandire le esistenze di milioni di afroamericani - la stragrande maggioranza della popolazione carceraria.
La cella è però, nelle tappe di formazione dell'identità umana e politica di Malcolm, un'altra "scuola", un altro luogo da cui apprendere, questa volta non più come lo spazio di "frontiera" della strada segnato dal pericolo come dal piacere, bensì come testimonianza di quella geografia del dolore e del controllo che accompagna le esistenze subalterne e non garantite. Il carcere è, insieme al ghetto, lo spazio della costruzione politica di una nuova generazione di neri che non si riconoscono nella morale evangelica, come nella pratica della nonviolenza che è stata incarnata da Martin Luther King.