Gaddo de Anna

Vediamo di non gasarci troppo



Quando si sente parlare di “gassificazione” il pensiero, pressoché in automatico, va ad una fin troppo nota attività umana.
Umana perché compiuta dall’uomo e quindi, in quanto tale, ineffabile.
Con tale metodo l’uomo (il più importante aveva una cupa divisa grigia ed un chiaro accento teutonico) ha portato alla scomparsa di milioni di suoi conspecifici, solo perché non la pensavano come lui o, molto più semplicemente, perché li riteneva “pericolosamente” diversi da lui.
Unico essere astrale ad elevare a sistema il portare a compimento il suicidio di specie.
Questa volta, più precisamente, parliamo di “rigassificatori”, dove la sillaba iniziale dà significato di reiterazione di un’azione; il termine però è puramente tecnico ad indicare una procedura fisica, pur se questa potrebbe potenzialmente ricalcare, con minor sistematicità ma con medesimo dolo, le orme di quanto avvenuto ed indicato nelle righe di apertura.
Vediamo quindi di cosa si tratta e il perché di questa potenzialità.

Dicesi “rigassificatore” un impianto che permette di ripristinare lo stato fisico di un fluido, che essendo stato trasformato da gassoso in liquido e che da tale stato liquido deve ora essere riportato a quello gassoso.

L’utilizzo di tale impiantistica deriva dalla necessità di poter importare gas da quei paesi che, per scarsità di prodotto o mancanza di investimenti, non sono collegati tramite normale gasdotto.
Non tanto per una convenienza di prezzo, quanto per far fronte, almeno parzialmente, ad eventuali crisi energetiche o politiche di carattere internazionale, che potrebbero comportare una sospensione di fornitura attraverso i gasdotti già esistenti ed utilizzati.
Anche un semplice attentato terroristico od un disastro tellurico, potrebbero portare alle medesime situazioni. 
Il gas viene trasformato in liquido per poter essere trasportato in cisterne o navi cisterna; quindi ritrasformato nello stato aeriforme, per poter essere così immesso, con la giusta pressione, nelle condutture della rete di distribuzione.

Nel progetto a suo tempo presentato per i rigassificatori di Trieste, come ormai accade pressoché regolarmente quando si parla di progettare infrastrutture attorno alle quali girino quantità di capitali di  grosso livello (Elettrodotto carnico, TAV) manca, o se è è tale da essere una reale presa in giro, un’indicazione valutativa degli effetti di impatto ambientale che i bene informati chiamano V.I.A. (Valutazione di Impatto Ambientale) e che non vuol dire vi sia il VIA ai lavori.
Nel caso specifico, il primo impatto lo si rileva sulla flora e sulla fauna marina.
E questo per un continuo getto d’acqua (da 28 a 38.000 metri cubi/ora) di temperatura inferiore di 5 gradi (quando la legge, fra l’altro, prevede che tale getto non possa presentare uno sbalzo termico superiore a 3 gradi centigradi) rispetto a quella del corpo recettore (il mare).
Tale flusso d’acqua serve a scaldare il liquido che deve essere trasformato in gas ed è quindi, proprio per questo, che (il flusso) si raffredda rapidamente e violentemente.
L’acqua fredda, essendo più pesante, precipita quindi verso i fondali, che nel caso di Trieste sono di non più di 24 metri di profondità, apportando quali e quanti danni ambientali?

Quali e quanti i danni, poi, derivanti dall’uso di imponenti quantità di ipoclorito di sodio (più noto come varechina) necessario, nel flusso d’acqua di cui sopra, per la lavorazione del gas?
Immediatamente evidenti sono poi gli impatti negativi per l’attività della pesca, stante la riduzione delle aree a disposizione (impianto, più condutture, più distanze di sicurezza).
Non meno immediatamente evidenti gli  impatti ambientali di carattere paesaggistico e quindi turistico della zona.
Su questo sappiamo moltissimo sensibili i paesi circonvicini quali Slovenia e Croazia, perché evidentemente solo noi siamo così in gamba da fregarcene di tutelare il nostro e rovinare quel poco di positivo che ci è stato lasciato dal “progresso”.
I danni ambientali derivanti da questi impianti, di cui uno progettato al largo a 10 km dalla costa (off shore), non è affatto escluso si possano estendere, per le alterazioni dei fondali, fino alle lagune di Marano e Grado, che non sono certo distanti anni luce dal sito preposto e che, come tutte le lagune del mondo, sono ecosistemi dall’equilibrio estremamente instabile.
Su questi argomenti si sovrappone anche un altro grande rischio: quello riguardante la sicurezza.
Non dobbiamo dare retta ai pifferai magici che ci vogliono convincere dell’estrema sicurezza dei loro impianti.
Solo il fatto che ogni anno tali sistemi vengano migliorati, ci dice che evidentemente non erano così sicuri come ci assicuravano e che, anzi, andavano migliorati perché non erano in fondo così sicuri.
Ma mi avevano giurato che lo fossero! Si ma ora lo sono di più; e così di anno in anno.
Un po’ come la melensa moneta divisa in due, utilizzata dai copiani innamorati e con inciso: più di ieri e meno di domani.
Belgio, Stati Uniti erano sicuri, ma i morti sono stati molti.
Sono impianti non particolarmente soggetti ad incidenti, ma che neppure hanno avuto una sperimentazione sufficiente per essere ritenuti sicuri; e quando un incidente accade è a dir poco ….. esplosivo.
Una città degli U.S.A., Oxnard in California, ha rifiutato un rigassificatore a 10 miglia dalla costa (circa 18 Km) perché una valutazione di rischio (che non comprendeva quello di un attacco terroristico) avrebbe potuto comportare la distruzione della città e la morte di oltre 70.000 (settantamila!) persone sui circa suoi 150.000 abitanti.
Si stima che l’esplosione di una nave gasiera di 125.000 mc di gas sia pari ad una cinquantina di bombe nucleari tipo quella di Hiroshima; ma per fortuna senza le radiazioni!
Il deposito di Trieste dovrebbe contenere 320.000 mc di gas … 
Una nave gasiera, che presenta una lunghezza media di 300 m., 12 piani di altezza e che può contenere fino a 74 miliardi di litri di gas circa, in caso di attacco terroristico, nella deflagrazione è in grado di radere al suolo una città di notevole grandezza; e Trieste non è particolarmente grande e per di più inerpicata su alture che creano una barriera ad assorbenza d’urto.

Un’ulteriore considerazione riguarda il tipo di sviluppo che vogliamo immaginare per la nostra regione.
Industrie, produzione, traffico commerciale, consumo ad ogni costo, inquinamento, però posti di lavoro nelle imprese con il solito assistenzialismo di Stato?
Oppure lento ma progressivo e deciso abbandono di tutto ciò che è industria, inquinamento, produzione, traffico commerciale, consumo ad ogni costo, per una lenta ma decisa trasformazione, in ogni ganglio della società, con come méta una vita dal miglior tasso di qualità, una riappropriazione del proprio tempo libero, un’abbandono del manufatturiero e di tutti gli assistenzialismi di Stato con una sua progressiva riconversione in servizi, agricoltura, recupero del territorio, eventuale produzione di soli prodotti d’eccellenza, cultura, turismo, che tutti creano comunque migliaia di posti di lavoro, anche se hanno il difetto di essere più umani, meno stressanti ed inclini allo sfruttamento dei lavoratori?
Avvicinarsi quindi al concetto non di un altro sviluppo ma di uno sviluppo altro?
Come tutte le fonti di energia non rinnovabile, inoltre, pure le risorse dei giacimenti di gas, non sono inesauribili.
Sino ad oggi si ritiene che, a livello mondiale, sia stato fatto un uso di circa il 25% delle risorse esistenti.
Ma poiché, nel giro di pochi anni, si andrà ad una oramai accertata crisi produttiva di petrolio, con tutto quel che ne concerne, per esaurimento dei pozzi, l’utilizzo del gas dovrà necessariamente essere incrementato.
Per produrre la medesima energia tratta dall’utilizzo di una data quantità di petrolio, si deve far uso di una quantità ben superiore di gas; quindi, aumentando sempre più anche la richiesta di energia, il consumo di gas dovrà venire ulteriormente incrementato in progressione geometrica.
Gli esperti del settore, che indicano verso il 2013 l’anno di entrata ufficiale della grande crisi petrolifera per calo della produzione, ritengono che il 2030 (che è appena poco più in là dell’angolo) vedrà la stessa situazione per la produzione e l’utilizzo del gas.
Avendo una mente assennata e tralasciando gli ipocriti alibi dell’interesse nazionale (è più veritiero l’interesse delle grandi compagnie) ci si dovrebbe invece chiedere, per ricevere però delle risposte serie, siano esse in positivo che in negativo, perché ciò che si andrebbe ad investire in opere di questo genere non possa venir dirottato in investimenti per l’utilizzo delle energie rinnovabili, non inquinanti (anche il bruciare gas causa CO2) e soprattutto indenni da pericoli per l’incolumità e la salute delle popolazioni.
Le compagnie interessate ai lavori, visto il loro patologico modo di pensare, ritengono di allungare, ad amministratori e cittadini, prebende di vario genere, ritenendo che tutto si possa comprare e monetizzare. Anche la salute, anche la vita.
Perché quello dell’incolumità e della salute è ritenuto essere un discorso ridicolo: meglio un bel cancro, una bella strage, che rinunciare ad investimenti.
A vantaggio, questi ultimi, sempre di altri che non vivono lì e che comunque sono sempre pochi.
Un’ultima considerazione che certo è la meno allarmante ma forse la più significativa per valutare la serietà d’intenti di chi ritiene i rigassificatori come “strategici” per la nostra economia.
A parte il fatto che comporteranno un  numero molto esiguo di posti di lavoro, dal punto di vista dello sfruttamento impiantistico, sono strutture che si giustificano, economicamente, solo con un utilizzo che rasenti il 100%.
Ma come si fa se nell’intero orbe terracqueo sono solo 282 le navi gasiere esistenti e le uniche aziende specializzate nella loro costruzione, che non è semplice, si trovano unicamente in Korea e Giappone, dove i cantieri sono già pieni di ordinativi sino al 2020?
Pollice decisamente verso, quindi, per l’ennesima iniziativa infrastrutturale che, come uniche vere motivazioni, ha solo quelle del business comunque e ad ogni costo, a favore di pochi e sulle spalle di molti.