PdCI Lombardia

Territorio, ambiente, mobilità, casa



L’altra faccia della Lombardia

Quella che siamo abituati/e a considerare la popolosa, operosa e ricca Lombardia, oltre ai suoi nove milioni di abitanti, alle sue quattrocentomila imprese e al suo elevato reddito procapite(che nasconde però disuguaglianze feroci) presenta anche un rovescio della medaglia.
Innanzitutto la capacità massima accettabile di consumo di suolo è stata ormai raggiunta : in provincia di Milano, interamente in pianura, la quota di suolo artificializzato è pari a oltre il 36% e in provincia di Varese, pur con la presenza delle tre zone altimetriche (pianura, collina e montagna) è del 29%. In quest’ultima provincia vi è poi il più elevato consumo di suolo procapite: 416 mq. per abitante contro i già elevati 186 dell’area metropolitana milanese, indice di una tipologia edilizia e di una disseminazione dell’abitato che, insieme alla fittissima rete viaria, si ripercuote sull’alterazione degli equilibri naturali e soprattutto sull’incapacità del terreno di riassorbire le acque piovane, il che origina allagamenti e alluvioni con sempre maggiore frequenza. Ma, nonostante tale quantità di suolo occupato, il bisogno casa per i ceti popolari e medi è ancora insoddisfatto. Nell’ultimo decennio poi, nonostante la presenza consistente di aree dismesse che si sarebbe potuto riutilizzare, l’occupazione di suolo agricolo è cresciuta del 7% per insediamenti industriali e soprattutto commerciali. In Lombardia, infatti, vi è la presenza per abitante largamente più elevata, in ambito nazionale, di grande distribuzione commerciale, che divora il suolo agricolo, la forma e l’identità dei centri abitati e la vivibilità di quartieri e paesi circostanti, oltre a far aumentare a dismisura l’uso dell’auto.
La rete stradale è al collasso perché l’82% degli spostamenti quotidiani per lavoro e studio avviene in auto, soprattutto perché i treni per i/le pendolari sono scarsi rispetto alla domanda, saturi, maltenuti e sempre in forte ritardo. Più della metà della rete ferroviaria è a binario unico e, di questa, l’88% è priva di dispositivi di sicurezza.
Le acque del Bacino Lambro-Seveso-Olona (381 Comuni in 4 province: Como, Varese, Milano e Pavia) sono tra le più inquinate dell’intero paese; l’aria in tutte le zone di pianura è pessima, per il traffico privato e per le emissioni delle industrie e degli impianti di smaltimento dei rifiuti. Aria, acque e suolo risentono pesantemente di una eccezionale concentrazione di auto e mezzi pesanti, industrie, agricoltura intensiva e intensivi allevamenti zootecnici. La Lombardia produce molta più energia di quanta ne usi e il consumo procapite è il più elevato in Italia, come la più alta, rispetto all’intero paese, è la produzione di rifiuti per abitante. Non mancano neppure il dissesto idrogeologico (il 40% del territorio lombardo è montano), le frane frequenti, le alluvioni devastanti e l’esondazione dei laghi.
Più elevata in Italia, e sempre crescente, è pure l’incidenza dei tumori, degli infortuni sul lavoro e degli incidenti stradali.
La stessa economia di quella che un tempo era uno dei motori d’Europa è ora entrata in recessione, le crisi industriali e occupazionali sono sempre più numerose e anche l’agricoltura dovrà essere riconvertita a causa del forte ridimensionamento degli aiuti comunitari a partire dal 2006.
Sono sempre più in gioco la nostra salute e le nostre stesse possibilità produttive e occupazionali in un mondo da tempo globalizzato.
Le connessioni tra territorio, ambiente, salute, economia, lavoro e ben essere complessivo della popolazione sono ormai ineludibili.
Dobbiamo ripensare il modo di organizzare le attività umane sul territorio, il modo di spostarci e il modo di produrre.



LINEE STRATEGICHE PER IL CAMBIAMENTO :



- Realizzare il sistema policentrico lombardo: attività e servizi di eccellenza in ogni capoluogo di provincia; valorizzazione delle identità storiche e culturali di ogni centro urbano; realizzazione e potenziamento delle infrastrutture di mobilità in senso trasversale, soprattutto ferroviarie, ma anche stradali quando necessario; collegamento delle maggiori città e dei poli di attrazione dal punto di vista economico-produttivo in modi, tempi e costi di tipo urbano.
- Avviare il riequilibrio territoriale e socioeconomico:
1) tutela delle zone montane, contro il dissesto idrogeologico e contro la fuga degli abitanti, mediante attività di cura del territorio e attività economiche compatibili con l’ambiente, e mediante la rivitalizzazione dei piccoli Comuni montani (v. punto 1.4);
2) decongestionamento dell’area metropolitana e delle altre aree urbane densamente abitate mediante una mobilità riconvertita all’uso prevalente dei mezzi pubblici su ferro e mediante piani territoriali provinciali più efficaci di quelli attuali, che: redistribuiscano, ove possibile, nell’attuale tessuto urbanizzato, le attività attrattive di persone; riusino le poche aree dismesse rimaste solo per attività socialmente utili (verde pubblico, edilizia pubblica e servizi pubblici); prevedano la nuova edilizia pubblica e i nuovi servizi pubblici necessari in modo da ricompattare la forma dei centri abitati e contribuire a dar loro identità; impediscano lo spreco di nuovo suolo agricolo; prevedano la riforestazione di aree di pianura non interessate da agricoltura ad alta produttività; prevedano a tappeto la riqualificazione delle aree urbane periferiche (presenti anche in città mediopiccole);
3) sviluppo locale autosostenibile basato sulla cura e sulla valorizzazione di ogni territorio e delle sue caratteristiche fisiche, economico-produttive e culturali, sulla riduzione drastica delle varie forme di inquinamento, sulla riqualificazione degli spazi pubblici (piazze, edifici pubblici, luoghi per assemblee pubbliche e iniziative culturali, quartieri periferici), sull’allargamento della partecipazione politica e sulla rigenerazione della vita di relazione; da attuare mediante piani d’area, Agenda 21 locali oppure patti territoriali e altri strumenti della programmazione negoziata previsti dalla legislazione statale e regionale.
- Ristabilire il primato del pubblico: nelle grandi scelte di tutela e uso del territorio; nella tutela dell’ambiente come asse portante di tutte le politiche di settore e come destinataria dei finanziamenti e dei contributi regionali in ogni campo; nel governo e nella gestione delle risorse ambientali (acqua ed energia) e del patrimonio pubblico (edilizia popolare, ospedali, edifici storicoartistici, musei, ecc); per la tutela della salute (lotta a monte alle fonti di inquinamento e prevenzione degli incidenti sul lavoro- specie nei cantieri edili- e stradali).
- Per quanto riguarda più strettamente la tutela dell’ambiente, invece di puntare sul disinquinamento degli scarichi industriali e agricoli alla fine dei processi produttivi (che continua a rincorrere i problemi sprecando ingenti risorse pubbliche), e sulla strategia dei controlli, inefficace in quanto la Pubblica Amministrazione non ha e non avrà mai le risorse necessarie per controllare, né con operatori/operatrici né con tecnologie sofisticate, tutte le attività inquinanti 24 ore al giorno e 365 giorni l’anno, è fondamentale cambiare rotta e cioè puntare su una chiara strategia pubblica che riduca le varie forme di inquinamento nelle sedi e nei momenti in cui vengono prodotte e che coinvolga i privati, stimolandoli all’innovazione produttiva e rendendo conveniente per loro comportarsi in modo ambientalmente responsabile, operando con due leve principali: 1) la ricerca e l’innovazione finanziata dalla Regione; 2) adeguate politiche fiscali e tariffarie.
- Avviare un processo verso uno sviluppo sostenibile ambientalmente e socialmente come condizione indispensabile alla qualità del vivere per tutti/e e al rilancio produttivo.
Possiamo chiamare sostenibile uno sviluppo che, sul versante ambientale, sfrutta le risorse naturali a livelli non superiori alla capacità di rigenerazione (naturale o controllata) delle risorse stesse, integrando economia ed ecologia nelle scelte a ogni livello, e che, sul versante sociale, attua una equa redistribuzione di tutte le risorse (anche culturali e di cura in senso lato) esistenti in una società.
La sostenibilità ambientale dello sviluppo, oltre a contribuire a ristabilire un equilibrio ecologico a livello planetario e a tutelare la nostra salute, è un fattore competitivo strategico, che influenza direttamente l’attrattività di un territorio rispetto ad altri e la capacità di penetrazione di prodotti e di tecnologie innovative nel mercato globalizzato, oltre a essere l’unico strumento concretamente praticabile, ora, per tutelare l’occupazione.
La sostenibilità sociale dello sviluppo (tutela dei diritti del lavoro e di cittadinanza, riequilibrio nella distribuzione delle risorse pubbliche tra i vari ceti sociali a favore dei più deboli, accesso garantito a tutti e a tutte a servizi pubblici dal livello qualitativo elevato, attenuazione delle disuguaglianze socioeconomiche, tutela delle culture del territorio) è la seconda condizione per ottenere una società più vivibile, meno insicura e meno violenta.



POLITICHE E AZIONI CONSEGUENTI: L’AMBIENTE COME FATTORE TRASVERSALE DI CAMBIAMENTO E COME TUTELA DELLA SALUTE



Dobbiamo cambiare, in base alle linee strategiche enunciate, il modo di organizzare le attività umane sul territorio (capitolo 1), il modo di spostarci (capitolo 2) e il modo di produrre (capitolo 3). Le considerazioni e le proposte che seguono, organizzate per settori di attività, mettono in evidenza che l’aggressione all’ambiente o, al contrario, la sua tutela, è trasversale a ogni possibile approccio a qualsiasi attività umana venga effettuata sul quel grande contenitore che è il territorio, risorsa fisica sempre più scarsa, il cui uso deve essere sempre più oculato quanto più la scarsità aumenta.
Faremo poi proposte specifiche seguendo i filoni: dei cambiamenti climatici, del Protocollo di Kyoto e delle politiche energetiche (capitolo 4); della questione dei rifiuti, da trasformare in residui (capitolo 5) e della multiforme questione dell’acqua (capitolo 6); le proposte fatte in base ai settori di attività si integrano con quelle avanzate in base alle politiche di tutela delle singole risorse ambientali (energia, acque e suolo). La tutela dell’ambiente, per essere efficace, non può che essere trasversale, complessiva e globale.
Accompagna questo percorso la consapevolezza che attacco all’ambiente equivale ad attacco alla salute. Per un verso è ormai da tempo dimostrata la correlazione tra i livelli di concentrazione nell’aria delle diverse sostanze inquinanti (gas vari e polveri sottili) prodotte dal traffico automobilistico, dalle fabbriche e dalle centrali termoelettriche, e alcune patologie, soprattutto nei confronti dell’apparato respiratorio e cardiovascolare – che colpiscono soprattutto bambini/e e anziani/e -, con pesanti effetti sia sulla mortalità sia sul ricorso al sistema sanitario.
In particolare le polveri sottili - che provengono per il 39% dal trasporto su strada, per il 22% da combustione non industriale, per il 21% da attività industriali e produzione di energia – invadono l’apparato respiratorio veicolando sostanze cancerogene come il benzopirene e metalli pesanti, anch’essi cancerogeni, prodotti dalla combustione.
Nella maggior parte dei capoluoghi lombardi, soprattutto per la congestione da traffico, la media annuale di PM 10 (polveri sottili, le cui particelle hanno un diametro di 10 millesimi di millimetro o micron) e di ossidi di azoto è superiore, e talvolta di molto, a quella prescritta dalle normative europee e viene tamponata solo con palliativi. E si sono affacciate ormai le PM2,5, ancor più sottili e dannose per i nostri polmoni. Eppure si sapeva da quasi tre anni che, con il 2005, sarebbe entrata in vigore la direttiva europea contro le micropolveri, secondo cui il superamento dei limiti accettabili non sarebbe stato consentito per più di 35 giorni all’anno, e si fa finta di non sapere che, nelle zone a maggior rischio smog, nel 2010 dovranno circolare solo mezzi elettrici, a metano e gpl.
Per un altro verso è pure noto da tempo che la produzione di sostanze chimiche nocive (usate nelle attività industriali, artigianali e agricole), cresciuta notevolmente negli ultimi 70 anni e in continuo aumento senza che ne venga preventivamente testata la pericolosità per l’ambiente e per la salute - che contamina non solo l’aria, ma anche le acque e il terreno, passando poi nella catena alimentare -, comporta sia tumori (anch’essi in continuo aumento), sia alterazioni al sistema endocrino, con effetti sui sistemi riproduttivo, immunitario e nervoso. Né si può dimenticare l’inquinamento elettromagnetico, con effetti dannosi sulle cellule leucemiche e in particolare sulle fasce di età più basse.
Come risultato di tutte queste forme di inquinamento, in Lombardia la mortalità per tumori è pari al 35,9% contro una media nazionale del 29,7.
Diventa perciò vitale prepararsi già da ora ad applicare il regolamento UE sulle sostanze chimiche (REACH), che verrà discusso entro l’anno dal Parlamento europeo, e attivare tutte le forme di riconversione ecologica dell’industria e dell’agricoltura (capitoli 3 e 6).



IL GOVERNO DEL TERRITORIO



Il Consiglio regionale ha appena approvato (il 16/2/2005) la legge Moneta, che smantella l’attuale sistema di regole a garanzia dell’interesse collettivo connesso alla pianificazione: il piano territoriale provinciale è trasformato, da vero e proprio piano, in atto di indirizzo della programmazione socioeconomica della provincia (semplici parole al vento); il piano regolatore generale dei Comuni, che sparisce, è sostituito da tre strumenti che vengono ancora chiamati piani, ma che assolutamente non lo sono, anche perché modificabili in ogni momento, e il governo delle città si trasforma nella contrattazione tra le giunte comunali e i grandi proprietari di aree e di risorse finanziarie con cui cementificarle ulteriormente; da ultimo, gli standard urbanistici passano da 26 mq per abitante a 12,5.
Anche in Parlamento è previsto che venga approvata entro questa primavera un’analoga legge di controriforma della legge urbanistica nazionale del 1942, promossa da Lupi, ex assessore all’Urbanistica del Comune di Milano (la Lombardia è il laboratorio politico della destra nella distruzione di tutte le fondamentali garanzie pubbliche: prima scuola e sanità e ora territorio).
Il nostro programma elettorale prevede per prima cosa l’abrogazione della legge Moneta e l’elaborazione di una vera legge per il governo del territorio che: 1) sostituisca l’attuale legge urbanistica regionale, la 51/1975 (a suo tempo molto avanzata, ma ora largamente inadeguata); 2) dia le linee in base alle quali o abrogare o riordinare o riformare (a seconda dei casi) la massa di leggi succedutesi dopo di allora, e 3) definisca un assetto delle funzioni e dei poteri pubblici in grado di elaborare e attuare efficacemente buoni piani e politiche verso lo sviluppo sostenibile. Tutta la legislazione regionale in materia di ambiente, mobilità, casa, attività produttive dovrà poi essere armonizzata con il testo base sul governo del territorio.
Il nostro programma prevede poi, in base alla stessa impostazione: 2) il ripristino delle tutele giuridiche e del territorio dei grandi parchi regionali, il loro rilancio e la loro connessione in modo da realizzare una vera e propria rete ecologica regionale; 3) il ripristino del primato del pubblico anche mediante nuovi o rinnovati strumenti a tutela del territorio, dell’ambiente e della vivibilità; 4) una politica integrata per le zone montane e per i piccoli Comuni; 5) un’adeguata politica dell’abitare; e 6) il sostegno scientifico alle iniziative di Agenda 21 locali (programmi di azione ambientale a base locale – comunale o sovraccomunale- basati sul coinvolgimento e sulla partecipazione alle scelte di tutti gli attori locali: soggetti politici, sociali, sindacali, economici, culturali e scientifici) e una relazione annuale al Consiglio sulle esperienze in corso.



1.1 Una legge per il governo del territorio imperniata su questi punti:

- tre livelli di governo complessivo del territorio: la Regione, che elabori un documento regionale di indirizzo per la tutela del territorio e dell’ ambiente in tutti i loro aspetti, in base al quale predisporre i Programmi Regionali di Sviluppo, piani e programmi di settore, i piani d’area di rilievo regionale e i piani territoriali provinciali;
le Province, che elaborino il piano territoriale provinciale con valenza di piano paesistico, con
attenzione preminente alla tutela ambientale e, quindi, con maggiori poteri ed efficacia anche nei confronti delle attività produttive, come unico atto di pianificazione complessiva di area vasta, in base al quale predisporre i piani di settore provinciali, i piani d’area di rilievo provinciale e i piani sovraccomunali di riqualificazione urbana. I processi di sviluppo locale autosostenibile, tra cui i programmi di Agenda 21 locali, possono essere considerati come strumenti specificativi e attuativi del piano territoriale provinciale;
i Comuni, che elaborino il piano urbanistico-ambientale comunale, cioè un piano di nuovo tipo che tenga insieme urbanistica ed ecologia: “sdoppiato” tra piano strategico (che si occupa della configurazione territoriale) e piano operativo (riguardante la conformazione della proprietà), in base alla proposta dell’Istituto Nazionale di Urbanistica del 1995, assunta da quasi tutte le leggi regionali “di seconda generazione” emanate dopo tale data;
- collaborazione interistituzionale nell’elaborare i documenti e i piani (co-pianificazione) sotto forma di partecipazione incrociata di ogni soggetto titolare di pianificazione alla predisposizione dei piani degli altri soggetti (dei Comuni e delle Comunità Montane al piano territoriale provinciale e delle Province ai documenti, ai programmi e ai piani regionali; degli enti parco e delle autorità di bacino al piano territoriale provinciale e ai documenti regionali; delle Province ai piani di bacino idrografico e ai piani territoriali dei parchi);
- partecipazione dei soggetti sociali, economici, culturali e scientifici all’elaborazione dei piani complessivi ai tre livelli e dei piani di settore di qualsiasi tipo e ambito (ascolto delle richieste e delle proposte in fase iniziale; consultazione nelle varie fasi di elaborazione; negoziazione a livello territoriale locale per le scelte più problematiche in merito a localizzazione, dimensioni, modalità e tecnologie attuative);
- riordino e completamento degli strumenti di governo delle risorse ambientali : istituzionalizzazione del piano energetico provinciale (mentre la legge 10/1991 prevede solo quelli a livello regionale e comunale); integrazione tra loro dei piani per la tutela delle acque e per il governo del ciclo integrato dell’acqua; ripubblicizzazione della gestione dell’acqua e dell’energia; restituzione alle Province della tutela complessiva dei beni culturali, ambientali e paesistici, in coerenza con i compiti provinciali definiti dalla legge 142/1990 e con i contenuti del piano territoriale provinciale; regolamentazione in senso restrittivo dei piani cave provinciali;
- definizione di un assetto dei poteri pubblici in grado di attuare politiche integrate per lo sviluppo sostenibile: 1) sostituzione della Provincia di Milano con la Città metropolitana di Milano, con maggiori poteri proprio e soprattutto in materia di pianificazione territoriale, tutela dell’ambiente e mobilità (ad es. programmazione e gestione unitaria di servizi e tariffe per il trasporto pubblico in ambito metropolitano); 2) trasformazione dei Consigli di zona del decentramento amministrativo in Municipalità con funzioni e poteri pari a quelli dei Comuni; 3) in tutto il territorio non coperto da Comunità Montane istituzione dei Circondari come aggregazioni di Comuni per aree omogenee, con propri organismi e dotati di compiti di indirizzo e consultivi in materia di pianificazione territoriale-ambientale e di programmazione socioeconomica di livello provinciale, con compiti -territorialmente riunificati- sia di programmazione integrata dei servizi pubblici e delle risorse pubbliche in ambito locale, sia di gestione integrata dei servizi, degli interventi e delle azioni opportunamente collocabili al loro livello (distretti sociosanitari, distretti scolastici, consorzi intercomunali di gestione di vari servizi, servizi territoriali per l’impiego, ecc.).



1.2 Parchi e altre aree protette, rete ecologica regionale, flora e fauna.
Le aree protette interessavano, prima dell’ ultima giunta Formigoni (che ha modificato in peggio il regime giuridico di tutela dei grandi parchi regionali) il 25% del territorio lombardo, ma, a oggi, le aree effettivamente tutelate sono solo quelle ad alta naturalità e rappresentano solo il 5% di tale territorio, per cui diventa obiettivo immancabile ripristinare il precedente regime giuridico di tutela, in modo che tutti i grandi parchi regionali possano essere nuovamente compresi nella Carta nazionale delle aree protette, secondo i criteri previsti dalla legge quadro 394/1991.
Attualmente le aree protette lombarde sono uno scoordinato insieme di territori e competenze che solo in alcuni elementi precedentemente consolidati richiama quella che fu la grande innovazione della legge regionale 86/1983: un parco nazionale (il Parco dello Stelvio), 21 (di fatto ex) parchi regionali con al loro interno un numero crescente di aree naturali protette, una settantina di riserve naturali regionali e poco meno di monumenti naturali, un numero crescente (oggi circa cinquanta) di parchi sovraccomunali, circa 200 Siti di Interesse Comunitario (ex direttiva CE Habitat) e alcune decine di Zone di Protezione Speciale (ex direttiva CE Uccelli), a cui si sovrappongono i progetti di rete ecologica per le province che li hanno previsti e tracciati nei loro piani territoriali.
Ricondurre questo guazzabuglio a coerenza di sistema e assicurare competenze e responsabilità adeguate a ogni soggetto pubblico coinvolto richiede, dal punto di vista organizzativo: 1) un dipartimento regionale per elaborare e attuare le politiche di intervento e per coordinare le attività di monitoraggio delle specie e degli habitat; 2) servizi tecnici provinciali che supportino Comuni ed enti gestori dei parchi nella concreta traduzione territoriale e progettuale delle politiche formulate a livello regionale;. 3) il rafforzamento degli enti gestori delle aree protette, soprattutto per quanto riguarda le competenze tecnico-scientifiche e di vigilanza, con l’istituzione di un servizio professionale di vigilanza ambientale.
Occorre poi superare l’angusta idea dei parchi come aree sottoposte a tutela e tornare a pensare (come fu all’origine dell’intuizione del Parco del Ticino) ai parchi come progetti di gestione e sviluppo territoriale costruiti attorno al riconoscimento di valori naturalistici da preservare e accrescere. Tutti i valori territoriali (siano essi naturalistici, culturali, rurali) devono poi essere tradotti in un sistema complessivo di tutele in base al metodo della copianificazione tra Province ed enti parco, ma tutto ciò, per essere efficace, richiede che ai soggetti cui spetta definire le tutele naturalistiche sia riconosciuta adeguata autorevolezza e che alle “infrastrutture” ambientali, quali sono i segmenti della rete ecologica, venga riconosciuto un livello di priorità non inferiore a quello di qualsiasi altra opera o azione di infrastrutturazione del territorio.
Ciò posto, per rendere efficace il sistema delle aree protette occorre:
1) elaborare un piano regionale, con articolazioni provinciali, per l’attuazione della rete ecologica regionale, che connetta tra loro i parchi regionali mediante i cosiddetti corridoi ecologici (strade interpoderali, tratturi di campagna, alzaie lungo i canali, rive dei corsi d’acqua minori trasformate in percorsi pedonali e ciclabili immersi nel verde e utilizzabili anche da varie specie di animali) e mediante interventi di ampliamento dei parchi locali di interesse sovraccomunale (i PLIS) ; 2) elaborare piani territoriali delle aree protette, montane, metropolitane, fluviali, per integrare gli obiettivi di conservazione della natura nelle più complessive politiche di riequilibrio territoriale e socioeconomico e di cura del territorio, a opera degli enti gestori dei parchi e della Provincia o, congiuntamente, delle Province confinanti che siano territorialmente interessate dalle varie aree protette; tali piani devono poi costituire parte integrante dei rispettivi piani territoriali provinciali.
Anche tutelare la biodiversità è un aspetto cruciale per lo sviluppo sostenibile di un territorio e lo è in particolare per quello lombardo, sia per la ricchezza e talora l’unicità della sua presenza nelle zone alpine (v. punto 1.4), sia per l’estensione e l’impatto devastante dell’urbanizzazione nelle aree di pianura, che isola le aree naturali e seminaturali , determinando rottura nella comunicazione tra gli ecosistemi; oltre a ritutelare i grandi parchi e a realizzare la rete ecologica regionale, la Lombardia deve dotarsi di una legge apposita che preveda: 1) la sistematizzazione delle conoscenze e cioè il monitoraggio della biodiversità attraverso la stesura, e poi l’aggiornamento periodico, di una “Carta della Natura” e di liste su base regionale delle specie, della loro distribuzione territoriale e degli habitat di flora e fauna ad alta vulnerabilità; e 2) l’istituzione di un “Servizio Tutela Animali”, che renda operativa la tutela della fauna selvatica e degli animali domestici in quanto valore etico ed ecologico.
Tale servizio, in coordinamento con le strutture già esistenti, dovrà: 1) programmare e coordinare gli interventi di tutela, recupero e cura della fauna selvatica; 2) coordinare i Comuni piccoli e medi per l’applicazione della legge regionale per la tutela degli animali d’affezione e la prevenzione del randagismo; 3) realizzare un Rapporto annuale sullo stato degli animali nella Regione Lombardia, con dati statistici e tecnico-scientifici, e programmi informativi ed educativi; 4) adottare programmi di tutela degli equini a fine carriera; 5) contare su nuclei di tutela contro il bracconaggio, gli avvelenamenti e il bracconaggio ittico e per la tutela della fauna cosiddetta minore (anfibi e rettili) e la difesa degli animali domestici.
La politica faunistico-venatoria dovrà: 1) rispondere pienamente ai principi e alle disposizioni delle leggi quadro nazionali sulla caccia 157/1992 e sulle aree protette 394/1991, senza alcuna interpretazione di comodo che smantelli i regimi di protezione garantiti anche a livello internazionale in materia di specie, tempi, modi e luoghi di caccia; 2) non dovrà prevedere alcuna liberalizzazione indiscriminata della caccia ai piccoli uccelli protetti (passeri, fringuelli, ecc.) voluta con legge 221/2002; solo in casi di accertati danni alle colture sarà possibile effettuare controlli nei modi e nei termini stabiliti dall’art. 19 della legge 157/1992 (parere obbligatorio dell’Istituto Nazionale per la fauna selvatica e operazioni affidate solo a personale pubblico, ecc.); 3) non dovrà comprendere autorizzazioni a impianti di cattura di uccelli vivi a scopo di richiamo, trattandosi di pratica illegittima secondo la Direttiva 79/409/CEE e le Convenzioni di Berna e di Parigi.



1.3 Nuovi o rinnovati strumenti a tutela del territorio e dell’ambiente.
Rientrano in questo gruppo un insieme di strumenti di riequilibrio tra interesse pubblico collettivo e interessi privati, che vanno dalla ridefinizione degli standard urbanistici all’individuazione dei modi e delle tecniche, anche fiscali, più efficaci per ridistribuire le rendite differenziali indotte dai piani, dall’introduzione di indicatori e di parametri per misurare e valutare la sostenibilità delle singole scelte di trasformazione urbanistico-territoriale e degli stessi piani nel loro complesso (uno strumento specifico di “Valutazione della sostenibilità ambientale dei Piani”) alla messa a punto di nuove forme di contabilità e di bilancio ambientale a tutti i livelli di pianificazione: in ogni ente locale il bilancio finanziario dovrebbe essere accompagnato da un bilancio ambientale, perché le scelte complessive dell’ente possano essere consapevolmente indirizzate nel senso della sostenibilità ambientale e rese trasparenti.
Attualmente gli standard urbanistici sono uguali per tutti i Comuni, da quelli di 100 abitanti a Milano, e indipendenti dal contesto geografico-ambientale e dalle esigenze specifiche dei vari Comuni;. gli standard urbanistici in ambito comunale devono quindi essere differenziati (non certo diminuiti complessivamente!) come tipologia e come quantità secondo il contesto territoriale e deve essere programmata la realizzazione dei servizi previsti sulle aree a standard, perché non rimangano solo sulla carta, come troppo spesso avviene. Sarà poi la pianificazione territoriale provinciale a occuparsi degli standard sovraccomunali.



1.4 Gli interventi per le zone montane e per i piccoli Comuni.
Il territorio lombardo è costituito per il 40% da montagna, per il 20% da collina e solo per il 40% da aree di pianura.
Il territorio montano della Lombardia appartiene quasi completamente alle Alpi, il più grande bacino e risorsa idrica d’Europa e una delle 200 ecoregioni prioritarie a livello planetario per la conservazione della biodiversità; due delle 24 aree prioritarie per tale conservazione sono in Lombardia (Alpi Orobie-Grigne e Brenta-Adamello-Baldo-AltoGarda).
Un’ottima politica per la tutela delle zone alpine della Lombardia, anche contro il dissesto idrogeologico (che si manifesta con grande frequenza non solo in Valtellina – colpita dalla grande alluvione del 1987- ma anche nella Bergamasca, nel Bresciano e pure nell’Oltrepo pavese) non può che rifarsi all’applicazione della Convenzione per la Protezione delle Alpi, ratificata dal Parlamento italiano con la legge 403/1999.
Vi è poi da considerare che nell’arco alpino l’innalzamento della temperatura provocato dai cambiamenti climatici causa il progressivo scioglimento delle nevi perenni (si è già verificato l’innalzamento della quota neve dai mille ai milleduecento metri) e il continuo ritrarsi dei ghiacciai (sul versante italiano delle Alpi se ne sono ormai estinti 31): tutto ciò ha già messo in crisi l’economia di varie località sciistiche e ha causato ovunque l’aumento dei costi di gestione degli impianti (già oggi il 68% delle piste esistenti deve essere coperto con neve artificiale). E’ l’occasione per riconvertire le località sciistiche verso forme di turismo a basso impatto ambientale e di intrattenimento legate alla cultura tradizionale locale e ai suoi manufatti.
Altro gravissimo problema delle zone montane è il calo demografico, che colpisce due categorie di Comuni: quelli situati ad altitudini più elevate e quelli più piccoli (attualmente la soglia di rischio è individuata nella fascia 500-300 abitanti). In ogni caso oltre il 45% dei Comuni lombardi conta meno di 2.000 abitanti e gran parte di essi sono situati in zone montane. L’isolamento della popolazione montana, la mancanza di prospettive di lavoro, di miglioramento sociale e di servizi, il senso di inferiorità e la solitudine che ne derivano provocano un acuto disagio giovanile e un’incidenza altissima di suicidi, soprattutto tra gli addetti all’agricoltura, anziani e con basso livello di istruzione (in Provincia di Sondrio si verificano 15,8 suicidi per 100.000 abitanti contro una media nazionale di 5,9).
Se si vuole salvare la montagna in senso fisico-ambientale è indispensabile mantenere in montagna una popolazione stabile per tutto l’anno, non legata solamente al turismo estivo nei grandi alberghi, all’industria dello sci invernale e agli eventi estemporanei, distruttivi e devastanti, delle Olimpiadi della neve, che, una volta conclusi, lasciano danni paesaggistico-ambientali irreversibili e indebitamento agli enti locali.
Per mantenere una popolazione stabile e avviare, quando necessario, una politica attiva di reinsediamento occorrono: 1) attività economiche compatibili con l’ambiente, quali la cosiddetta “economia identitaria”, legata al territorio e ad attività e tradizioni antiche accompagnate dall’uso di tecnologie moderne e di moderne forme di commercializzazione e comunicazione (valorizzazione dei prodotti agroalimentari tipici, preparazione di piante officinali, valorizzazione del paesaggio antropizzato, dei nuclei storici e dei beni culturali locali -malghe, ecc.-, dei mestieri e delle usanze tradizionali), artigianato, agriturismo e accoglienza turistica familiare diffusa; 2) attività centrate sulla cura del territorio, quali silvicoltura, sistemazioni idraulico-agrario-forestali, tutela e pulitura dei boschi e prevenzione degli incendi, ripristino di aree degradate con i sistemi dell’ingegneria naturalistica, mantenimento dei diritti d’uso collettivo e delle vicinie, ecc., e 3) una dotazione minima di servizi da garantire in ogni piccolo Comune: scuola materna ed elementare, ufficio postale, ambulatorio medico, farmacia, bar, negozi, luoghi e iniziative di aggregazione culturale e ricreativa, distributore di carburante.
Le politiche pubbliche per la montagna (da parte della Regione con il coinvolgimento essenziale degli enti locali), da attivare con una legge regionale apposita e soprattutto con programmi mirati e partecipati, non devono essere di tipo assistenziale, ma consistere nella promozione e nel sostegno finanziario all’avvio di imprese individuali, familiari e cooperative (di produzione e commerciali); nell’attivazione di centri di telelavoro (10-20 persone), realizzabili in qualunque appartamento o edifico rurale recuperato, che svolgano servizi per medie imprese di altre località; in una formazione altamente qualificata che prepari all’autoimprenditorialità; nel sostegno all’affitto e nell’incentivazione alla riconversione delle seconde case in abitazioni permanenti; nel mantenimento/reinserimento dei servizi essenziali.
Sono poi indispensabili interventi strutturali quali riforestazione dei pendii brulli, rinaturazione degli argini dei fiumi, spostamento degli edifici costruiti nelle aree golenali, mantenimento degli alpeggi e dei prati-pascolo, fondamentali per prevenire il dissesto idrogeologico.



1.5 Il problema dell’abitare, della casa e dell’accoglienza.
Il bisogno casa è ancora grande e si presenta sotto vari aspetti: carenza fisica di case di edilizia pubblica, soprattutto nell’area metropolitana milanese, in cui si stima manchino 60.000 alloggi; degrado edilizio, urbanistico e socioeconomico di molti quartieri popolari e di aree periferiche; insostenibilità crescente del costo della casa (sia affitto, sia mutui per la proprietà) in parallelo al crescere della precarietà lavorativa e all’intermittenza con cui i/le giovani percepiscono un reddito e all’impoverimento crescente non solo dei ceti popolari ma anche dei ceti medi.
A tutto ciò si aggiungono: le discriminazioni introdotte dalla destra , basate sullo stato civile e sul luogo di nascita e di residenza, per l’assegnazione delle insufficienti case popolari; l’invecchiamento dei loro abitanti, che genera una particolare necessità di servizi sociosanitari, soprattutto domiciliari; e il pluridecennale disagio nelle relazioni tra abitanti dei quartieri popolari causato dalla presenza degli occupanti senza titolo , i cosiddetti abusivi; molti/e di questi/e sono divenuti tali per bisogno e disperazione o per situazioni familiari, ma a questa situazione di bisogno si è sovrapposta, sfruttandola, la delinquenza organizzata.
Diventa quindi imprescindibile, per prima cosa, destinare tutte le risorse regionali disponibili per questo settore: 1) al sostegno dell’affitto nella duplice forma di contributi per i soggetti economicamente deboli (giovani coppie comunque costituite-anche di fatto e omosessuali- madri con figli/e, immigrati/e, ecc.), e di sostegno a cooperative edilizie a proprietà indivisa, con sgravi fiscali, finanziamenti pubblici anche a fondo perso e oneri di urbanizzazione ulteriormente ridotti; 2) all’edilizia pubblica, di cui mantenere le finalità sociali, sotto il duplice aspetto della realizzazione degli alloggi mancanti e del recupero/riqualificazione dei quartieri pluridegradati., oltre a bloccare le vendite dell’edilizia pubblica esistente.
Per la realizzazione di nuovi quartieri, dopo che è stata persa, almeno a Milano e nell’area metropolitana, la grande occasione di utilizzare le aree dismesse per ciò che veramente serviva (verde pubblico ed edilizia pubblica di qualità), la Regione propone di costruire sulle aree vincolate a standard e non ancora utilizzate: tale scelta, tardiva e irresponsabile (dopo che sono state usate le aree dismesse per realizzare solo edilizia di lusso) ed ennesima prova dell’ingordigia speculatoria della destra, è a questo punto quasi obbligata. Se non si vuole un’ulteriore espansione urbana e l’occupazione di nuovo suolo agricolo, e dove non esistano aree pubbliche inutilizzate e non vincolate, o aree dimesse residue, non rimane che utilizzare parzialmente le aree a standard, ma solo da parte di quei Comuni in cui le aree a standard siano state sovradimensionate, scegliendo le localizzazioni meglio servite- o servibili- dal trasporto pubblico e costruendo quartieri integrati abitazioni/servizi pubblici/negozi/piccole attività produttive compatibili.
La nuova edilizia pubblica va edificata, sempre, con criteri ecologici (predisposizione della manutenzione programmata, efficienza energetica, uso di fonti rinnovabili per il riscaldamento, materiali non dannosi alla salute, risparmio idrico e reti duali per l’acqua potabile e non), e, appena possibile, nell’ambito di programmi misti nuova edificazione e recupero dell’esistente e come contributo a ridefinire la forma urbana e a riqualificare frange periferiche.
In particolare va reso obbligatorio il riscaldamento mediante pannelli solari ( di cui iniziare tempestivamente la produzione in Lombardia) in ogni nuova costruzione e ristrutturazione, accompagnato da sostanziosi contributi regionali a fondo perduto.
Va perseguito anche il recupero edilizio, energetico, urbanistico e socioeconomico dei quartieri degradati esistenti (mediante Piani Integrati di Intervento, Contratti di Quartiere e piani di riqualificazione delle periferie), sempre utilizzando criteri ecologici.
I Contratti di Quartiere, che sono finanziati dal Ministero delle Infrastrutture e dalla Regione, devono essere ricondotti in una strategia di riequilibrio socioeconomico e territoriale provinciale, facendoli progettare e presentare congiuntamente da Province e Comuni come elementi importanti di piani, anche sovraccomunali, di riqualificazione strutturale di aree periferiche.
La riqualificazione delle periferie deve essere affrontata con piani (comunali e sovraccomunali, in caso di Comuni confinanti) che affrontino i nodi strutturali dell’attuale assetto urbano monocentrico, localizzando in aree periferiche anche funzioni pregiate intorno a cui ricostruire “nuovi centri”. Nella stessa strategia rientrano il recupero edilizio e la rivitalizzazione funzionale dei centri storici, dei piccoli Comuni e dei nuclei abitati rurali (cascine).
Vanno poi messi in atto o proseguiti tutti i progetti che migliorano gli spazi pubblici aperti e rendono le città più belle e vivibili (l’abitare ben oltre l’alloggio, in centri abitati di ogni dimensione) e disincentivano l’uso dell’auto (migliorando anche la qualità dell’aria e l’efficienza degli spostamenti): pedonalizzare e riqualificare le piazze come centri della vita comunitaria; triplicare complessivamente le isole pedonali come spazi restituiti alla vita urbana e duplicare le zone a traffico limitato in ogni parte di città; realizzare zone alberate dentro e intorno alle città, soprattutto nelle aree più densamente abitate, anche perché sono belle e mitigano il calore estivo.
Occorre poi farsi carico: 1) dell’ accoglienza anche temporanea per le persone singole senza casa e in difficoltà socioeconomiche, in primo luogo recuperando e riusando edifici pubblici dismessi, mediante un piano di interventi per le aree urbane che faccia perno sui Comuni per la sua attuazione; 2) delle popolazioni nomadi, predisponendo un piano di interventi per l’attuazione di campi nomadi stabili, convenientemente attrezzati, e ben inseriti nelle città.
Occorre rendere efficiente ed efficace la gestione pubblica (eventualmente anche con una nuova riorganizzazione su base territoriale - i Circondari - soprattutto nella densissima area metropolitana milanese) di tutto il patrimonio residenziale pubblico, dando spazio adeguato e sostenendo l’autogestione e l’autorganizzazione degli/delle abitanti, così come le esperienze di autocostruzione e di autorecupero nel patrimonio pubblico e privato.
Dal punto di vista normativo è prioritario abrogare le discriminazioni introdotte dalla destra e varare una legge di sanatoria, non generalizzata come si è fatto in passato, ma selettiva, per mettere in regola, con una assegnazione a tutti gli effetti, gli/le occupanti senza titolo di alloggi pubblici, qualunque sia stato il mezzo usato per entrare nell’alloggio, purchè siano in regola con le leggi e si comportino secondo i regolamenti dell’ente pubblico proprietario, escludendo così dalla sanatoria la piccola e grande criminalità.
Controlli accurati, frequenti e capillari vanno messi in atto per eliminare la tragedia degli incidenti, molto spesso mortali, nei cantieri edili.




2. LA RICONVERSIONE DELLA MOBILITÀ DI PERSONE E MERCI



La mobilità su gomma oggi prevalente comporta: 1) spreco di suolo sottratto a una delle agricolture più fertili del mondo e interruzione frequente della continuità coltivata; 2) inquinamento atmosferico, acustico e termico, con il loro ingente carico di malattie e morti; 3) inefficienza energetica; 4) eccesso di incidenti stradali, con il suo carico di morti (attualmente in Lombardia la prima causa di morte per i giovani e tra le prime per l’intera popolazione) e anche di invalidità e spese sanitarie; 5) nelle aree urbane ingente occupazione di suolo da parte delle auto in movimento e in sosta e, conseguentemente, congestione e snaturamento degli spazi comuni (piazze, vie, cortili); 6) lunghissimi tempi di percorrenza e spreco di tempo di vita (e conseguenti affaticamento e stress) e di lavoro; la velocità media di percorrenza della rete stradale e autostradale in provincia di Milano è di 28 chilometri all’ora (!), con ripercussioni anche sui costi di produzione e sui prezzi al consumo.
Il sistema viario è praticamente al collasso, in quanto il 70% di lombardi/e si sposta quotidianamente per lavorare e studiare e l’82% degli spostamenti avviene in auto, ma il 70-80% del traffico di persone presente nell’area metropolitana milanese e nelle altre aree densamente abitate si genera a scala locale, per rispondere al quale è follia costruire altre autostrade, superstrade e tangenziali, che sprecheranno ulteriore suolo e ridurranno ancor più le sue quasi inesistenti capacità di drenaggio delle acque, richiameranno altre auto e altra edificazione, faranno aumentare la congestione, l’inquinamento, la distruzione del paesaggio e gli incidenti stradali.
Il vero problema del sistema dei trasporti di persone nell’area più dinamica del paese dal punto di vista economico, non è la carenza di assi infrastrutturali nazionali o trasnazionali a lunga percorrenza, ma la risposta efficiente alle esigenze di mobilità a breve percorrenza.
Per quanto riguarda invece il trasporto merci, in continua crescita, la Lombardia vi è particolarmente interessata sia come luogo di partenza e destinazione, sia come luogo di attraversamento, in quanto la maggior parte delle rotte commerciali stradali tra Italia ed estero passa dalla Lombardia. Oltre al resto d’Europa, infatti, anche la Svizzera prosegue nel trasferire su rotaia le merci in transito dall’Europa centrale verso sud, e queste, al confine italiano, finiscono prevalentemente su gomma. Un traffico pesante così intenso è assai gravoso per il sistema stradale, sia per la congestione, i rallentamenti, l’inquinamento e gli incidenti che si porta appresso, sia per il logoramento del manto stradale e delle opere di attraversamento (ponti e viadotti).
La ferrovia è assai più efficiente: 1) a parità di superficie utilizzata porta più merce della strada e più velocemente e la densità di persone trasportate per metro quadrato è quattordici volte maggiore di quella della strada; 2) l’inquinamento atmosferico, acustico e termico per unità di massa trasportata e per unità di velocità è minore e meglio controllabile di quello prodotto dai veicoli stradali a combustione; 3) il trasporto pendolare su ferro ha maggiore facilità di penetrazione all’interno delle città maggiori; 4) essendo un sistema di traffico programmato, consente di ripartire i carichi di merci in orari diversi, in modo da evitare ingorghi e rallentamenti; 5) risente molto meno, rispetto al trasporto su strada, delle condizioni atmosferiche avverse ed è quindi più affidabile.
Il sistema ferroviario lombardo, però, è totalmente inadatto a ricevere l’ingente quantità di traffico di persone e merci che pure è indispensabile trasferirgli, in quanto è: troppo imperniato sul nodo di Milano e lungo le direttrici principali a lunga distanza e presenta ancora molte tratte a binario unico e poche a binario quadruplo (che separano traffico veloce e traffico lento).
Il Piano generale dei Trasporti varato nel 2000 dal governo di centrosinistra in sintonia con il Libro Bianco dei trasporti UE del 2001, fissava l’obiettivo di riequilibrare i modi di traffico, in particolare per le merci, prevedendo il raddoppio del traffico su rotaia entro il 2010.
La Legge obiettivo della destra ha invece svuotato tale piano dei trasporti, rovesciando le priorità degli investimenti e riportando il trasporto su gomma dal 28% al 42% del totale.
È indispensabile, soprattutto in Lombardia, proprio per la quantità di merci movimentate, riconvertire la mobilità, in primo luogo delle merci, trasferendo gran parte del trasporto merci su rotaia, mediante: 1) la realizzazione di un sistema capillare di trasporto su ferro che raggiunga tutte le realtà industriali della regione; 2) la realizzazione di gronde merci per deviare da Milano il traffico non destinato alla città; 3) la realizzazione di grandi interporti strada/ferrovia e di poli logistici integrati, che si facciano carico anche dello stoccaggio in aree attrezzate e di una o più fasi di lavorazione, come il confezionamento di prodotti sfusi e l’invio alla distribuzione. Occorre poi ripensare la consegna delle merci nelle aree urbane, ottimizzando carichi, percorsi e orari e utilizzando mezzi ecologici.
È indispensabile anche potenziare la mobilità delle merci su acqua (Po da Cremona e anse del Mincio vicino a Mantova) e l’intermodalità ferro/acqua nei porti fluviali di Cremona e Mantova.
È ugualmente indispensabile: 1) ammodernare, rendere efficiente e sicura, ed estendere la mobilità su ferro riguardante i percorsi fissi casa-lavoro e collegare tra loro i capoluoghi e i principali poli di attrazione economico-produttiva e storico-culturale in modi, tempi e costi di tipo urbano (sistema ferroviario regionale); 2) riorganizzare il nodo ferroviario di Milano; 3) realizzare efficienti interscambi tra rete ferroviaria e trasporto pubblico su gomma; 4) nell’area metropolitana milanese e nelle altre aree urbane potenziare fortemente, soprattutto come frequenza, i mezzi di trasporto pubblico, collegando i capoluoghi e i loro Comuni di cintura, che formano con essi un’unica continuità urbanizzata, con una programmazione e gestione unitaria del trasporto pubblico e con modalità urbane (frequenze, percorsi, tariffe, costi); 5) estendere le corsie protette di trasporto pubblico anche nei percorsi extraurbani più frequentati; 6) incrementare i parcheggi di corrispondenza realizzandoli come parcheggi multipiano; 7) potenziare i percorsi ciclabili per la mobilità casa-scuola e casa-lavoro (la bicicletta è un mezzo di trasporto a emissione nulla ed è utile alla salute); 8) triplicare le isole pedonali e raddoppiare le zone a traffico limitato; 9) sostenere le esperienze di condivisione dell’auto (car pooling).
Chiusura al traffico privato dei centri storici e ticket d’ingresso in Milano per le autovetture di non residenti (ciò porterà solo a una limitata diminuzione delle auto in ingresso, ovvero a una limitazione più consistente in una prima fase per poi risalire parzialmente - come dimostra l’esperienza londinese -, ma procurerà risorse da destinare al potenziamento del trasporto pubblico).
Divieto d’uso delle jeep fuoristrada nei centri abitati, per la loro altissima pericolosità in caso di incidente e per il maggior inquinamento e occupazione di suolo che comportano rispetto agli altri tipi di autovetture.
Divieto d’ingresso nei centri abitati ai veicoli sopra le 20 tonnellate.
Disincentivare, con pedaggi elevati, il passaggio di TIR sulla rete autostradale.
Promozione di modalità e tecnologie di trasporto a basso impatto ambientale mediante il Polo per la Mobilità Sostenibile di Arese, da realizzare come centro di ricerca per la logistica e per la mobilità sostenibile e come centro di produzione di veicoli – autovetture, mezzi per il trasporto pubblico e per la distribuzione delle merci nelle aree urbane - ecologici, misti e a idrogeno ottenuto da fonti energetiche rinnovabili; studiarvi anche l’uso di antidetonanti per benzine che non siano cancerogeni, come l’alcool etilico, già usato negli Stati Uniti e abbondantemente prodotto in Italia come sottoprodotto delle raffinerie; e la produzione di benzine ecologiche, ottenute dalla colza, dal girasole e dal mais.

Per il sistema stradale proponiamo in particolare:
- di abbandonare il progetto dell’autostrada diretta Milano - Brescia (la BRE-BE-MI), anche perché, tra costi di esproprio, viabilità secondaria di accesso e ricanalizzazione delle acque superficiali, se ne andrebbe una grossa fetta del budget per la viabilità regionale, molto meglio utilizzabile per la riqualificazione e la messa in sicurezza di tale viabilità;
- di abbandonare il progetto della tangenziale est esterna di Milano;
- di abbandonare ogni progetto di autostrada o superstrada urbana (come ad es, la Gronda Nord in Milano) e di ingresso diretto in città di superstrade e autostrade (come ad es. la Paullese in Milano);
- di realizzare la Pedemontana secondo il progetto originario di collegamento diretto Varese-Como-Dalmine, e non con un sistema di pedaggio a caselli, ma introducendo un sistema a vignetta (come in Svizzera e in Austria), vincolando la vendita della vignetta a un rigoroso controllo sui fumi di scarico del veicolo;
- di abbandonare il progetto dell’autostrada della Valtrompia (BS);
- di rendere l’autostrada A21, dal casello di Manerbio a Brescia, tangenziale suburbana di Brescia;
- di abbandonare il progetto dell’autostrada Cremona-Mantova;
- di abbandonare il progetto dell’autostrada Tirreno-Brennero (TI-BRE), che devasterebbe la parte più prestigiosa dell’alto mantovano e delle colline moreniche;
- di riqualificare e mettere in sicurezza tutta la rete stradale ordinaria, per prevenire gli incidenti stradali e rendere più scorrevole il traffico residuo.



Per il sistema ferroviario proponiamo in particolare:
- di attivare lo scorrimento delle merci , aggirando il nodo di Milano, sia in direzione Est- Ovest sia in direzione Nord-Sud ( solo possibili due percorsi in entrambe le direzioni);
- di connettere il sistema ferroviario e logistico lombardo all’asse ferroviario di attraversamento alpino (Alp Transit), già in fase di avanzata realizzazione in Svizzera, in modo da collegare direttamente Milano e Monaco di Baviera, le due più importanti aree produttive della zona circalpina;
- di quadruplicare la tratta Milano-Venezia;
- con assoluta priorità di ammodernare, rendere sicura ed efficiente l’attuale rete per i pendolari; e di mettere in sicurezza l’intera rete;
- di realizzare un vero e proprio servizio ferroviario regionale con cadenze, tempi e costi di tipo urbano per il traffico passeggeri, reso capillare anche recuperando le tratte esistenti al di fuori delle 6 principali linee a lunga distanza convergenti su Milano;
- di realizzare celermente la cintura ferroviaria sud di Milano;
- di connettere adeguatamente Mantova e Sondrio con le linee principali e con Milano.
Per l’aeroporto di Malpensa, infine, occorre perseguire la compatibilità ambientale non solo del sedime aeroportuale, ma anche delle infrastrutture collegate e dell’indotto.
Ne deriva la necessità di: 1) una nuova valutazione di impatto ambientale che determini scientificamente il grado di sopportabilità del territorio circostante e, conseguentemente, la necessità di un nuovo PRG, di quantificare il traffico massimo di passeggeri e merci sopportabile, di realizzare le necessarie infrastrutture puntando sul trasferimento del traffico dalla strada alla rotaia;
2) vietare i voli notturni; 3) redistribuire i voli charter sugli aeroporti dell’Italia settentrionale; 4) definire compiutamente le regole di monitoraggio dell’inquinamento e del rumore; 5) far partecipare gli enti locali interessati all’assetto societario della società di gestione dell’aeroporto.



3. LA RICONVERSIONE DEL MODO DI PRODURRE



3.1 La riconversione ecologica delle attività industriali.
In Lombardia, una delle aree più inquinate del paese, è indispensabile puntare sulla diminuzione a monte delle varie fonti di inquinamento e l’industria è responsabile per una quota consistente dell’inquinamento delle acque, dell’aria e del suolo, oltrechè fonte di sprechi energetici e idrici.
Inoltre l’industria lombarda sta attraversando una gravissima crisi strutturale, per cui la riconversione ecologica (innovazione di processo produttivo e di prodotto in senso ambientale) in base alla quale le industrie usino sostanze non tossiche (o sempre meno tossiche), recuperino l’energia, usino acqua non potabile e la riciclino, riducano al minimo materiali di scarto e imballaggi, diventa, oltre che strumento potente a difesa dell’ambiente e della salute, l’unica via per il rilancio produttivo lombardo.
La Regione, invece di erogare alle imprese contributi a pioggia in base alle più diverse leggi e leggine, deve mettere in rete i centri di ricerca (università, centri di ricerca pubblici e privati) e il sistema delle imprese (associazioni industriali e dell’artigianato), elaborare indirizzi per la ricerca, l’innovazione tecnologica e la riconversione ecologica delle attività industriali, finanziare la ricerca e mettere a disposizione delle imprese, gratuitamente, le innovazioni prodotte, in modo da riportare l’industria lombarda al livello qualitativo necessario a sostenere la competizione internazionale e ad assicurare un lavoro stabile, sicuro dal punto di vista della salute e qualificato.
La Regione deve inoltre; 1) promuovere, con priorità assoluta, la produzione di pannelli solari e, in generale, di prodotti ad alta tecnologia e a elevato valore aggiunto; 2) giocare d’anticipo rispetto alle altre regioni europee iniziando a sperimentare e ad applicare il regolamento UE sulle sostanze chimiche (REACH), che introduce forme di cautela preventiva nell’uso di alcune sostanze, ancor prima della ratifica definitiva a livello di Unione e poi a livello italiano; 3) promuovere la realizzazione di centri pubblici di supporto alle piccole e medie imprese (la maggioranza delle imprese lombarde) per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, per la riconversione ecologica e per l’accesso ai fondi europei; 4) promuovere la realizzazione di parchi ecoindustriali in zone con imprese appartenenti a diversi settori merceologici, in modo che queste impostino una gestione comune delle problematiche ambientali derivanti dalla propria attività mediante il riutilizzo reciproco degli scarti di lavorazione e un uso efficiente delle risorse idriche ed energetiche; 5) sostenere la riconversione ecologica e la certificazione ambientale in particolare nei distretti industriali (prodotti identici e simili), in cui analisi e proposte possono essere effettuate a livello territoriale; 6) sostenere la commercializzazione, la diffusione e l’esportazione dei prodotti delle industrie che incorporano tecnologie innovative dal punto di vista ambientale e che riusano e trattano i residui industriali e i residui solidi urbani derivanti dalla raccolta differenziata.
Spetterà poi alle Province concretizzare gli indirizzi regionali in programmi e azioni locali, che costituiscono di fatto strumenti attuativi di piani territoriali a forte valenza ambientale sul versante delle attività industriali: programmi (provinciali o locali, a livello di distretto) di riconversione ecologica; realizzazione , insieme alle Camere di Commercio, dei centri pubblici di supporto; realizzazione dei parchi ecoindustriali; stipula di accordi volontari con le imprese; programmi di bonifica in profondità delle aree industriali dismesse, ecc.



3.2 La valorizzazione del commercio di vicinato e il contenimento della grande distribuzione.
La grande distribuzione (centri commerciali, ipermercati, grande distribuzione specializzata per aree di consumo) è dannosissima per il territorio, l’ambiente e la vivibilità dei centri abitati: spreca ingenti quantità di suolo agricolo, è usabile solo mediante l’auto individuale (per cui incentiva l’inquinamento atmosferico e acustico, l’inefficienza energetica e la cementificazione del suolo, anche mediante i parcheggi); distrugge la forma e l’identità degli insediamenti residenziali (la continuità costruita lungo le statali trasformate in strade mercato); costringe alla chiusura i negozi che si trovano nel raggio anche di qualche decina di chilometri, desertificando aree urbane periferiche e centri urbani minori e causando una perdita di posti di lavoro (autonomo e dipendente) assai maggiore dell’occupazione conseguente all’apertura di ogni nuova struttura.
Il commercio di vicinato, i negozi, invece, costituisce un indispensabile servizio alla residenza, talora vero e proprio servizio sociale di quartiere o di paese, in quanto sempre più luogo di incontro (talora l’unico) per una popolazione anziana e vecchia in continuo aumento; è usabile a piedi, non provoca alcun tipo di inquinamento ed è indispensabile a chi non può o non vuole usare l’auto; contribuisce, insieme a una elevata frequenza dei mezzi pubblici, alla sicurezza con cui si possono frequentare vie e quartieri e alla riqualificazione urbana; dal punto di vista economico offre (a differenza della grande distribuzione) un servizio personalizzato di guida all’acquisto, importante soprattutto per gli acquisti di livello medio-alto, ed esistono iniziative pubbliche (come i mercati comunali coperti, politiche tributarie, tariffarie e concessorie, piani e programmi di riqualificazione urbana) e anche strumenti organizzativi volontari (che i Comuni possono promuovere e sostenere) per ridurre i costi di produzione e, quindi, i prezzi di vendita, il che è importante soprattutto per i generi di largo consumo e per il sostegno ai bassi redditi. Contribuirebbe a rivitalizzare i piccoli Comuni, specie montani (esistono Comuni lombardi totalmente privi di negozi).
Strumenti utilizzabili a livello regionale: una nuova legge sulla distribuzione commerciale in sintonia con il Libro Verde sul Commercio dell’Unione Europea (1997), che: 1) sostenga e valorizzi il commercio di vicinato, garantendolo in tutto il territorio regionale, e una presenza equilibrata delle varie tipologie commerciali in sintonia con le varie caratteristiche territoriali e insediative; 2) attribuisca ai piani territoriali provinciali e a loro piani commerciali di settore la pianificazione della rete distributiva e in particolare delle grandi strutture di vendita in coerenza con le caratteristiche e le scelte territoriali- ambientali e di mobilità (come ha fatto la legge emiliana 14/1999); 3) subordini la possibilità di apertura di nuove strutture della grande distribuzione, anche se previste nei piani provinciali, a studi effettuati da soggetti diversi dai proponenti, meglio se pubblici (e comunque verificati dalla mano pubblica) e a effettiva necessità, comprovata anche mediante audizioni pubbliche e partecipate; 4) introduca lo strumento del programma commerciale d’area, che, pur prendendo in considerazione in modo integrato il commercio al minuto in sede fissa, il commercio ambulante, la media e la grande distribuzione, serva a valorizzare e a modernizzare la rete commerciale minuta- in sede fissa e ambulante-; i programmi commerciali d’area devono essere elaborati dalla Provincia insieme alle associazioni dei commercianti, ai sindacati lavoratori e alle aggregazioni sociali locali che hanno a cuore la vivibilità degli abitati; 5) preveda la realizzazione a tappeto dei centri di assistenza tecnica introdotti dal decreto Bersani (D.Lgs. 114/1998), da attuare mediante collaborazione tra Province, Camere di Commercio e Comuni aggregati in Circondari.



3.3 Il rapporto tra agricoltura e ambiente e la valorizzazione dell’agricoltura.
Il territorio agricolo è vitale per contenere l’urbanizzazione e la cementificazione, per mantenere la capacità del suolo di riassorbire le acque piovane e per l’equilibrio ambientale complessivo; purtroppo, però, gli attuali metodi di coltivazione (fertilizzanti, diserbanti e pesticidi) e di allevamento del bestiame fanno sì che il settore primario sia responsabile di una parte consistente dell’inquinamento delle acque e del suolo. Se infatti, per quanto riguarda le produzioni di qualità, sono in corso processi positivi (settore enologico in particolare in Valtellina e in Franciacorta, settore lattiero-caseario soprattutto per le produzioni in aree montane), in gran parte delle superfici agricole (filiere zootecniche di pianura), prevalgono produzioni orientate alla quantità, che provocano severi impatti ambientali soprattutto sul ciclo delle acque e sull’ecologia del paesaggio.
L’agricoltura è, inoltre, fondamentale attività economica in molte parti della Lombardia, dal Parco Agricolo Sud Milano, una delle aree a più elevata produttività per ettaro del mondo, al Lodigiano, al Pavese, al Cremonese e al Mantovano.
La considerazione in cui dobbiamo tenere il settore primario è accentuata dal fatto che nel 2006, con il previsto forte ridimensionamento degli aiuti comunitari alla produzione agricola e con l’entrata, nel mercato comunitario allargato, delle produzioni dell’est europeo e delle sue vaste pianure, si imporrà all’agricoltura italiana una profonda riconversione.
Salubrità, tipicità e tracciabilità costituiranno elementi di vantaggio competitivo per i prodotti agricoli lombardi.
Per tutelare contemporaneamente agricoltura e ambiente è allora indispensabile: 1) dire no agli organismi geneticamente modificati, in qualunque forma e commistione: per gli elevatissimi rischi di danno alla salute; perché fanno diminuire la biodiversità e rendono fragili gli ecosistemi locali; perché rispondono alla logica della globalizzazione contro ogni prospettiva che valorizzi le produzioni locali di qualità; 2) bloccare le nuove centrali termoelettriche e gli ampliamenti di quelle esistenti, tutte previste, tranne una a Brescia, nelle province agricole di Lodi, Pavia, Cremona e Mantova; 3) promuovere l’agricoltura biologica perché la sua copertura del territorio passi dal 2,5% attuale al 10% nel 2010; 4) minimizzare gli impatti ambientali nocivi sostituendo fertilizzanti e pesticidi con tecniche e sostanze non tossiche; 5) contenere i consumi idrici; ridurre i consumi energetici e utilizzare le biomasse per produrre energia; 6) sviluppare le attività agricole fornitrici di servizi importanti per la cura e la valorizzazione dei singoli territori.
Quest’ultimo punto significa che occorre sviluppare agricolture di sistema, e cioè considerare gli investimenti in agricoltura di qualità anche come strumento per attuare politiche territoriali orientate agli specifici e differenziati bisogni di ogni territorio:
- per le aree agricole prossime ai centri urbani e di non eccezionali prestazioni, la forestazione di pianura rappresenta una possibilità da assecondare;
- per la pianura irrigua occorre sostenere azioni di arricchimento del paesaggio e di connessione della rete ecologica attraverso il mantenimento e/o la ricostituzione di filari alberati, di siepi, di macchie boscate, e la manutenzione delle superstiti aree di rilevanza naturalistica e ambientale;
- per le aree fluviali occorre coinvolgere le aziende agricole nelle azioni di rinaturazione e di forestazione intorno ai corsi d’acqua;
- per le aree montane occorre: 1) rilanciare la silvicoltura, con priorità per la manutenzione dei versanti, ma anche pensando a inserire assortimenti legnosi di pregio; 2) prevenire la semplificazione ecologica conseguente all’abbandono di pascoli e appezzamenti coltivati promuovendo queste produzioni con un marketing territoriale specifico e con la valorizzazione anche culturale dell’agricoltura di montagna e dei suoi addetti e delle sue addette.



4. CAMBIAMENTI CLIMATICI, PROTOCOLLO DI KYOTO E POLITICHE ENERGETICHE



L’impatto dei cambiamenti climatici è visibile non solo su scala globale, ma anche a livello europeo e italiano; anche da noi aumentano le precipitazioni estreme, la frequenza delle inondazioni e la degradazione dei suoli. Non mancano, anche in Lombardia, neppure lo scioglimento delle nevi perenni delle Alpi e crisi di siccità che si alternano alle alluvioni.
Il 16 febbraio è entrato in vigore il Protocollo di Kyoto, l’unico, e storico, trattato internazionale che obblighi i paesi industrializzati a tagliare le emissioni di anidride carbonica (CO2), metano e altri gas a effetto serra prodotti da motori a scoppio, industrie, centrali termoelettriche, impianti di smaltimento rifiuti, e l’Unione Europea ne ha posto la realizzazione come priorità assoluta tra le quattro del suo Sesto Programma di azione ambientale.
Tra i 141 Paesi aderenti al Protocollo, i 39 industrializzati dovranno abbassare le proprie emissioni di gas a effetto serra, entro il 2012, sotto i livelli del 1990. Tale risultato è ottenibile sia mediante politiche strutturali nel proprio territorio nazionale, sia attuando progetti in campo energetico e ambientale in Paesi in via di sviluppo (ottenendo in cambio sconti sulle proprie quote di riduzione), sia comprando quote di gas a effetto serra dai Paesi che hanno inquinato di meno o ridotto di più (ricorso alla “borsa delle emissioni”), in modo che complessivamente siano rispettati i limiti globali di riduzione.
L’Italia ha ratificato il Protocollo il 1/6/2002 e si era impegnata a ridurre le sue emissioni del 6,5%, ma, avendole nel frattempo aumentate della stessa quantità, si trova ora a doverle abbassare del 13%. Il governo di destra aveva elaborato un piano nazionale di assegnazione (contenente il tetto di emissioni per ciascuno dei 1300 impianti industriali ed energetici soggetti a tale normativa) che è stato bocciato dalla UE a dicembre (prevedeva aumenti del 22%) e ora, invece di puntare sulle politiche strutturali, si appresta solo a predisporre progetti ecologici per il Sud del mondo (sicuramente positivi) per poter avere sconti e, soprattutto, a ricorrere al mercato delle emissioni, con una spesa prevista dai 300 ai 450 milioni di euro all’anno, totalmente improduttiva per il nostro sistema economico già in grave crisi. Le misure indispensabili per ridurre la produzione di gas che alterano il clima comporteranno, invece, vantaggi sia ambientali sia economici, in quanto la maggiore efficienza nella produzione industriale e negli edifici determineranno una riduzione dei costi, rispettivamente di produzione e di gestione, e, soprattutto, le imprese tecnologicamente avanzate godranno di un vantaggio competitivo, mente le altre pagheranno multe assai cospicue.
Per raggiungere l’obiettivo previsto dal Protocollo per il 2012 la Lombardia deve ridurre le proprie emissioni di CO2 equivalente (dei 6 gas a effetto serra l’anidride carbonica è il più abbondante ed è invalso l’uso di esprimere gli altri 5 in termini di CO2 equivalente) di circa 10 milioni di tonnellate come media del periodo 2008-2012: servono a tal fine le politiche strutturali e cioè una diversa organizzazione delle attività umane sul territorio (riconversione della mobilità; tutela del suolo non ancora artificializzato nelle aree montane, collinari e di pianura; tutela dei parchi e del suolo agricolo e aumento delle zone alberate - che assorbono CO2- anche nei centri urbani e intorno alle città; ricompattamento dei centri abitati, riuso delle aree e degli edifici dismessi, raddoppio delle zone a traffico limitato e triplicamento delle isole pedonali;) e politiche energetiche specifiche.



4.1 Dire no a nuove centrali termoelettriche e all’ampliamento di quelle esistenti.
La Lombardia è la regione più energivora d’Italia, non solo in valore assoluto, in quanto consuma il 21% dell’energia disponibile a livello nazionale, ma anche procapite: ciascun abitante “brucia” ogni anno l’equivalente di 3,7 tonnellate di petrolio contro una media nazionale di 3 tonnellate.
La Lombardia consuma 10.600 megawatt (il 38% nelle abitazioni, il 30% nelle industrie, il 29% nei trasporti e il 3% in agricoltura), ma raggiunge una potenza di oltre 16.400 megawatt fra centrali idroelettriche (5.600 MW) e centrali termoelettriche, fra esistenti, già autorizzate e in costruzione. Ancor più che nel resto d’Italia, nuove centrali sono totalmente superflue ed è possibile bloccare la costruzione delle centrali autorizzate ma non ancora in costruzione, in quanto ciò che occorre fare è stabilizzare la domanda di elettricità, potenziare il risparmio energetico (ovvero migliorare l’efficienza energetica delle varie attività) e sviluppare la produzione di energia da fonti rinnovabili, quali il solare termico e fotovoltaico e le biomasse.
Le centrali termoelettriche sono dannose per la salute e per il clima: che brucino olio combustibile (il peggiore) o gas naturale (anch’esso combustibile fossile, anche se gli impianti a ciclo combinato che lo usano presentano un maggior rendimento e minori emissioni di anidride solforosa), producono polveri sottili, ossidi e biossidi di azoto, monossido di carbonio e anidride carbonica, ossidi e biossidi di zolfo; e nelle province in cui sono maggiormente presenti la mortalità per tumori è più elevata che non nel resto della regione (36,1% contro il 35,9 della media lombarda).
Diventa perciò coerente programmare la chiusura delle centrali che utilizzano olio combustibile mano a mano che verranno realizzate efficienza energetica e produzione da fonti rinnovabili.



4.2 Ridurre la mobilità privata su strada per merci e persone e adeguare veicoli e carburanti.
Oltre a quanto proposto nel capitolo 2 sulla riconversione della mobilità, nei centri urbani come nell’intero territorio regionale, a vantaggio anche della qualità dell’aria, della salute e della vivibilità urbana (vedere anche punto 1.5 sull’abitare) occorre:
1) incentivare l’adeguamento del parco veicolare alle più recenti normative, anche nel settore merci, e il ricorso a sistemi ibridi e alimentati a metano e gpl; 2) avviare la produzione di veicoli a idrogeno ottenuto da fonti rinnovabili (Polo della Mobilità Sostenibile ad Arese) e realizzare la relativa rete di distribuzione, e mettere a punto a tempi brevi le benzine ecologiche; 3) mettere a punto uno specifico piano d’azione concordato tra Regione, ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) regionale e UPL (Unione regionale Province Lombarde) per la sostituzione graduale ma accelerata degli attuali mezzi di trasporto pubblico con i veicoli ecologici attualmente già disponibili.



4.3 Contenere i consumi energetici e migliorare l’efficienza energetica.
L’intensità energetica (rapporto tra consumo energetico e Prodotto Interno Lordo) dell’economia deve diminuire del 20% entro il 2015 mediante: 1) regolamenti edilizi con prescrizioni energetiche per diffondere la bioedilizia e per fissare standard minimi di efficienza sia nelle nuove costruzioni sia negli interventi di recupero edilizio e di ristrutturazione; 2) certificazione energetica degli edifici civili e a uso produttivo; 3) estensione della rete di metanizzazione per il riscaldamento civile; 4) conversione dei sistemi di riscaldamento e di raffrescamento usando tecnologie più efficienti e usare tecniche di climatizzazione naturali nei nuovi edifici; 5) ricorso al solare termico per almeno il 50% dei fabbisogni per acqua calda; 6) programmi provinciali per realizzare l’efficienza nel settore dell’illuminazione pubblica, con iniziative attuabili dai Comuni, meglio se associati nei Circondari; 6) sviluppo del teleriscaldamento.



4.5 Ridurre l’uso di combustibili fossili nella mobilità e per il riscaldamento.
Per rispettare l’obiettivo del 2015, i consumi di combustibili fossili (carbone e prodotti petroliferi) per mobilità e riscaldamento devono essere ridotti di circa il 20% rispetto agli attuali.
Insieme agli interventi sulla mobilità e sul risparmio energetico, le azioni da promuovere sono: 1) sviluppo dei cicli combinati e della cogenerazione (di energia elettrica e calore) basati su gas naturale (a più alto rendimento e quindi con emissioni in aria più contenute), al posto dei tradizionali impianti termoelettrici a condensazione; 2) sviluppo degli impianti per la produzione di calore e per cogenerazione civile o industriale che recuperino gli scarti di lavorazione della filiera legno; 3) diffusione della micro-cogenerazione (impianti di cogenerazione di piccola taglia); 4) sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili.



4.6 Ridurre le altre emissioni atmosferiche inquinanti.
Il contenimento delle emissioni realizzato nell’ultimo decennio grazie all’adozione di nuove tecnologie di combustione per gli autoveicoli e di nuovi processi produttivi industriali va proseguito mediante: 1) la riduzione dei limiti di emissione degli impianti industriali ed energetici per le polveri (PM10 e polveri totali), per gli ossidi di azoto, per gli ossidi di zolfo e per i composti organici volatili; 2) l’anticipazione al 2006, invece che al 2009, della Direttiva UE sui carburanti (benzina e gasolio) a bassissimo contenuto di zolfo, le cui tecnologie sono già disponibili.
Negli impianti di smaltimento dei rifiuti occorre installare le tecnologie più avanzate per abbattere le emissioni inquinanti in atmosfera.

4.7 Sviluppare le fonti energetiche rinnovabili.
Le fonti rinnovabili, oltre a non emettere gas che alterano il clima, consentono di ridurre la dipendenza energetica dall’estero che caratterizza il paese nel suo complesso, permettono la generazione di energia in modo distribuito sul territorio (anche nelle aree rurali isolate) e controllabile localmente e creano un numero di posti di lavoro cinque volte superiore rispetto alle fonti convenzionali di origine fossile.
In Italia la produzione di elettricità da fonti rinnovabili è appena percepibile (pari al 2%), ma è quasi inesistente in Lombardia, proprio nella regione in cui l’inquinamento è più grave e in cui le imprese necessitano più che mai di innovazione tecnologica, efficienza produttiva e minori costi.
Nelle aree agricole occorre sviluppare la produzione di energia dalle biomasse e, come contributo alla reindustrializzazione ecologica, iniziare a produrre qui in Lombardia - invece che importare-, e poi a usare, impianti capaci di trasformare i raggi solari in energia pulita per usi domestici (pannelli solari per riscaldare l’acqua) e produttivi (pannelli solari fotovoltaici per produrre energia elettrica).



4. L’ USO SOSTENIBILE DELLE RISORSE NATURALI E LA QUESTIONE DEI RIFIUTI

L’eccessivo prelievo di risorse naturali e il basso livello di efficienza con cui tale risorse sono utilizzate nel ciclo di vita dei beni e dei servizi forniti dalle attività produttive hanno ridotto la capacità delle risorse stesse di rinnovarsi e hanno comportato la produzione di quantitativi sempre maggiori di residui, che nell’accezione comune e nella maggior parte dei comportamenti consideriamo come “rifiuti”.
Oltre alla bassa efficienza energetica che caratterizza il sistema della mobilità, le attività industriali e l’edificazione, si verificano sprechi nelle stesse reti di trasporto dell’energia e ingentissimi sprechi sono perpetrati anche nell’uso dell’acqua, soprattutto per usi industriali e civili, oltrechè nelle reti di distribuzione.
Oltre a risparmiare energia e acqua, è pure indispensabile trasformare quanto più è possibile i “rifiuti” in “residui” ancora utilizzabili, in quanto ridurre la produzione dei residui e reimmetterli nel ciclo della produzione e dei consumi significa minimizzare sia il prelievo di materiali e risorse, sia gli impatti negativi che il loro smaltimento riversa sull’ambiente.
Per la Lombardia è realistico migliorare l’intensità d’uso dei prodotti, stabilizzando almeno la produzione dei rifiuti, e portare al 55% il recupero e il riciclo dei rifiuti urbani.
Le azioni necessarie affinché il sistema dei governi locali (Regione, Province, Comuni) rilanci una efficace politica di trasformazione dei rifiuti in residui sono: 1) una campagna a tutto campo per sensibilizzare a ridurre drasticamente la produzione dei rifiuti (cartacei, di beni durevoli, industriali); 2) impostare il problema a monte, in base al concetto del ciclo di vita dei prodotti, considerando la fase “rifiuto” come il punto di partenza per il nuovo approccio, e in base al principio che il produttore è responsabile del riciclo; 3) la realizzazione dei parchi ecoindustriali, con accordi tra imprese per riutilizzare reciprocamente i rispettivi scarti di lavorazione; 4) la riduzione dei vari tipi di imballaggi (primari, secondari, terziari) e dei rifiuti da imballaggi; 5) l’adozione di un sistema tariffario basato sull’effettiva quantità di rifiuti prodotti, per le utenze sia domestiche sia commerciali e produttive, che premi i comportamenti ambientalmente vantaggiosi; 6) l’estensione all’intero territorio regionale del recupero della frazione organica e del verde; 7) la massimizzazione del recupero delle frazioni valorizzabili, ancora lontano dai livelli europei; 7) il sostegno alla commercializzazione e alla diffusione dei prodotti industriali derivanti dal riciclo degli scarti di lavorazione e dalla raccolta differenziata dei residui solidi urbani.

6. LA MULTIFORME QUESTIONE DELL’ACQUA

L’acqua è fondamentale non solo per il ben-essere individuale e per l’attrattività di un territorio, ma per la stessa permanenza in vita di tutti gli organismi viventi del pianeta. Lo stesso Parlamento Europeo, nel giugno 2004, ha riconosciuto l’acqua come bene comune dell’umanità e ha affermato che la gestione dei servizi idrici non deve essere sottomessa alle norme del mercato interno europeo. In ambito planetario l’accesso all’acqua è di fatto negato a oltre un miliardo di esseri umani e già si profilano guerre per questa risorsa tra paesi che insistono sullo stesso fiume. Il dissesto idrogeologico e l’eccesso di acqua causano inondazioni devastanti e la carenza di acqua provoca una siccità ugualmente, anche se specularmente, deleteria. L’inquinamento provocato dalle attività umane può causare la morte biologica di fiumi e laghi e può arrivare alla falda e, da questa come dai corpi idrici superficiali, può passare nella catena alimentare.
Per tutti questi motivi occorre perseguire una cultura dell’acqua come bene comune, che significa il rispetto, la tutela, il non spreco, la gestione integrata, la gestione come servizio pubblico partecipato e la solidarietà con i paesi in cui l’accesso all’acqua è negato alla maggior parte della popolazione.
L’Italia, in particolare, è il paese dell’Unione Europea che preleva la più alta quantità d’acqua pro-capite, quasi 1.000 metri cubi all’anno, e il paese al primo posto nel mondo per prelievi a uso domestico (250 litri/abitante/giorno) e ogni giorno si perdono, per il cattivo stato della rete idrica, 104 litri per abitante. Il 60% dell’acqua prelevata è utilizzata per usi agricoli, il 25% nell’industria e il 15% per usi domestici.
L’intervento prioritario consiste nell’ integrare tra loro i molteplici piani per la tutela delle acque e per il governo del ciclo integrato dell’acqua previsti dalla legislazione statale (legge 183/1989; D.Lgs 152/1999; legge 36/1994) e regionale (L.R. 26/2003) e dalla Direttiva europea 2000/60/CE., seguendo l’impostazione della tutela contemporanea del suolo e delle acque che sta alla base dei piani di bacino e la tutela delle acque dall’inquinamento intervenendo a monte sui cicli produttivi industriali e agricoli (legge 183/1989).
6.1 Migliorare la qualità dei corsi d’acqua.
Per conseguire almeno gli obiettivi di legge (tutti i corsi d’acqua in classe “sufficiente” entro il 2008 e in classe “buona” entro il 2016) sono necessari forti interventi sia di prevenzione, sia di depurazione, sia di rinaturazione, e precisamente: 1) definizione e applicazione di nuovi standard di emissione nei corpi idrici basati sulla capacità di carico del singolo corso d’acqua; 2) contenimento dei prelievi e delle captazioni entro livelli idonei a garantire la funzionalità del fiume; 3) sviluppo del riciclo delle acque trattate a uso industriale e irriguo; 4) adeguamento dei sistemi di depurazione e affinamento con fitodepurazione degli scarichi civili; 5) drastica diminuzione degli apporti inquinanti di origine industriale e agricola mediante programmi negoziati, coinvolgenti soggetti pubblici e privati, di riconversione ecologica delle attività produttive – contratti di fiume- , a partire dalla riqualificazione ambientale del bacino Lambro Severo Olona; 6) salvaguardia della naturalità residua dei corsi d’acqua e suo ripristino attraverso un programma regionale di rinaturazione fluviale (ripristino della continuità ambientale, assecondamento delle dinamiche fluviali, salvaguardia della biodiversità, ecc), da attuare, congiuntamente, da parte delle Province, degli enti parco e delle Comunità Montane.
Diminuendo drasticamente i carichi inquinanti di origine sia civile sia produttiva si tutelano anche le acque sotterranee.
6.2 Recuperare la naturalità dei laghi.
Lo stato dei laghi prealpini è molto preoccupante: all’evidente eutrofizzazione dei laghi di Como e di Iseo si accompagna l’elevata e crescente concentrazione di composti azotati del lago Maggiore. Tale situazione dipende non solo dagli scarichi agricoli, industriali e civili, ma, in misura significativa, da elevate quantità di sostanze inquinanti che dall’atmosfera si depositano nelle acque.
Il recupero della funzionalità ecologica dei laghi lombardi richiede un insieme coordinato di azioni di lungo periodo, basate: 1) su una drastica riduzione degli apporti inquinanti di origine agricola e industriale, che possono essere conseguenti solo a processi di riconversione ecologica delle attività industriali e agricole; al tal fine lo strumento più adatto è il contratto di lago, strumento di programmazione negoziata che coinvolge soggetti pubblici e privati nel raggiungere obiettivi condivisi di risanamento e valorizzazione dell’intero bacino lacustre; 2) sul completamento del collettamento fognario e depurativo per ridurre drasticamente gli apporti inquinanti degli scarichi civili.



6.3 Risparmio idrico.
Riciclo dell’acqua nelle attività industriali.
Introduzione di norme edilizie per favorire il risparmio idrico e realizzazione di reti idriche duali (per acqua potabile e non) nelle nuove costruzioni. Installare riduttori di flusso nelle abitazioni.
6.4 Gestione pubblica del servizio idrico integrato.
Usufruendo della possibilità introdotta dall’art.14 della legge finanziaria 2003 occorre che le assemblee degli Ambiti Territoriali Ottimali scelgano, per il servizio idrico integrato, la “gestione in house” o “in economia” come scelta minima rispetto alla gestione pubblica; ancor meglio sarebbe una gestione “in economia” al 100% pubblica, introducendo negli statuti vincoli di salvaguardia rispetto alla vendita delle quote. Ciò comporta la modificazione della legge regionale 26/2003 che non prevede tale possibilità e che, soprattutto, tratta l’acqua come servizio di interesse economico, pur proclamandola “patrimonio dell’umanità” e “diritto umano, individuale e collettivo”.
Azioni importanti sono possibili operando nell’ambito della tariffazione del servizio: 1) introducendo il principio del diritto all’acqua per le utenze domestiche, con esenzione dal pagamento della tariffa per i primi 40 litri/giorno; 2) attuando sistemi tariffari differenziati per fasce di consumi, per premiare chi non spreca l’acqua e per rendere convenienti le tecnologie che consentono di risparmiarla, e in analogia a quanto abbiamo proposto per lo smaltimento dei residui solidi urbani; 3) destinando un centesimo di euro per metro cubo di acqua fatturato come contributo per il finanziamento di progetti di cooperazione riguardanti modelli sostenibili di gestione delle risorse idriche nei paesi carenti.



POLITICA DELLE RISORSE E FISCALITÀ



La riconversione in senso ecologico delle attività produttive e della mobilità, l’abbattimento delle costruzioni incompatibili con l’ambiente (argini fluviali in cemento, edifici nelle aree golenali da ricostruire altrove, ecc.), la rinaturazione dei fiumi ecc. richiederanno per anni investimenti ingenti, che non necessariamente devono essere tutti reperiti dalla mano pubblica, ma porteranno nel tempo a notevoli risparmi di risorse pubbliche. Ad es. la difesa contestuale del suolo e delle acque come impostata dalla legge 183/1989 e tutte le altre azioni di cura del territorio (che devono diventare l’ unica vera opera pubblica del Paese), facendo diminuire i disastri ambientali, faranno diminuire in modo ancor più consistente gli oneri per opere di ricostruzione (case, attività produttive, infrastrutture); la riconversione delle attività industriali e della mobilità farà diminuire l’ ingentissima e crescente spesa sanitaria attualmente destinata alla cura dei tumori e delle altre malattie da inquinamento e lo stesso effetto avranno la messa in sicurezza della rete stradale nella riduzione degli incidenti e una seria prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, a cominciare dai cantieri edili.
In aggiunta a questo cambiamento di rotta strategico il sistema pubblico deve: 1) indirizzare tutte le politiche pubbliche di settore e le attività private verso le varie forme di sostenibilità ambientale; 2) attribuire tutti i suoi finanziamenti e contributi ad attività che, nei vari settori, contribuiscano alla tutela dell’ambiente e della salute e a un uso efficiente delle risorse ambientali; 3) erogare contributi in grado di incentivare i comportamenti privati più meritevoli e far crescere investimenti privati compatibili con le finalità pubbliche; 4) promuovere comportamenti privati più consapevoli anche con la politica fiscale e tariffaria, reperendo ulteriori risorse da reinvestire nella sostenibilità; 5) utilizzare e organizzare l’utilizzazione, da parte di soggetti pubblici e privati, dei fondi europei, generalmente disattesi.
Esempi di politiche fiscali e tariffarie mirate alla sostenibilità ambientale: tariffe per lo smaltimento dei rifiuti tarate sulle quantità effettivamente prodotte dalle singole utenze; tariffe differenziate per fasce di consumi idrici; una tassazione regionale sul trasporto merci per finanziare la logistica ferroviaria; ticket d’ingresso in Milano per le autovetture di non residenti da destinare al miglioramento del trasporto pubblico.