Il villaggio globale

Venticinque anni fa moriva a Toronto Marshall McLuhan (era nato a Edmonton nel 1911). Il sociologo canadese è stato uno dei più influenti critici della civiltà contemporanea e con i suoi saggi ha rinnovato radicalmente lo studio dei mezzi di comunicazione: alcune sue espressioni, come "villaggio globale" e "il medium è il messaggio" sono da tempo entrate nel linguaggio corrente.

Nel '62 scandalizzò la sua teoria della struttura del sistema sociale: "non dipende dal contenuto delle comunicazioni ma dalle comunicazioni stesse."
Oggi, la rivoluzione della Rete ha spazzato via i fondamenti della sua teoria, il tempo e lo spazio: per spiegare il mondo possiamo fare a meno del modello del villaggio. Ma quarant'anni fa le sue teorie sconvolsero le "magnifiche sorti e progressive" della cultura di massa: lo spazio prodotto nell'età elettrica dalla radio, dalla televisione e dalla tecnologia elettronica, sono in grado di compattare il sistema nervoso centrale dell'intera umanità, cervello compreso, in un unico complesso in grado di funzionare in maniera simultanea, come un gigantesco villaggio abitato da un'unica tribù. Ma nella tecnologia (ovvero medium, come dopo di lui tutti diciamo) della celebrazione avrebbe dovuto riconoscere la persistenza di quello spazio visivo della cui nascita, nell'età tipografica e meccanica, era stato appassionato archeologo e deil cui tramonto primo profeta.
Quando nel 1962 apparve La Galassia Gutenberg vi fu chi con grande acutezza scrisse che, paradossalmente, la vera riuscita del libro sarebbe stata più o meno quella di annullare se stesso. McLuhan sarebbe stato deliziato nel constatare che almeno nel mondo anglosassone il paradosso si è parzialmente avverato: nel breve profilo che l'Encylopedia Britannica gli dedica tale testo è l'unico dei suoi che non appare.
Eppure è il più importante, e già contiene tutti quelli che seguiranno. Vi si ricostruisce la nascita dell'uomo moderno come uomo tipografico, soggetto determinato dall'invenzione della stampa a caratteri mobili, invenzione che a sua volta condensa l'intero processo della cultura occidentale. Alla sua origine sta per McLuhan la struttura dell'alfabeto fonetico greco, l'unico basato sulla separazione tra vista, suono e significato, e capace pertanto non soltanto di scomprre ogni parola in modo che nulla vada perso, ma anche di contenere con poche lettere tutte le lingue. È questa la forma con cui si esce dalla tirannia dell'orecchio sull'occhio che tutte le culture non letterate sperimentano, ed è proprio l'interiorizzazione di tale tecnologia, fondata sulla stabilità del segno e sulla continuità, la linearità e la ripetitività della scrittura, a trasferire l'uomo dal mondo magico dell'orecchio a quello neutro della vista.
Molti anni più tardi Jorge Luis Borges, nel descrivere l'uguaglianza dei cittadini della pòlis classica, illustrerà in termini suggestivi l'effetto di tale trasferimento: due greci, finalmente liberi da preghiere e superstizioni, conversano e sono d'accordo soltanto su di una cosa, che con il dialogo si può arrivare alla verità, il cui concetto è evidentemente impensabile, allo stesso modo dell'uguaglianza stessa, senza la presenza delle leggi scritte.
La modema diffusione dei prodotti a stampa, moltiplicando la diffusione della scrittura, ha così generalizzato una tecnologia visiva, astratta ed esplicita, per cui tempo e spazio sono continui ed uniformi, ogni causa è sequenziale e le cose accadono secondo un'ordinata successione esattamente come nella parola una lettera segue l'altra: il mondo insomma è alla lettera la pagina di un libro, nel senso che la sua spiegazione è già contenuta nella forma che esso ha assunto.

La modema diffusione dei prodotti a stampa, moltiplicando la diffusione della scrittura, ha così generalizzato una tecnologia visiva, astratta ed esplicita, per cui tempo e spazio sono continui ed uniformi, ogni causa è sequenziale e le cose accadono secondo un'ordinata successione esattamente come nella parola una lettera segue l'altra: il mondo insomma è alla lettera la pagina di un libro, nel senso che la sua spiegazione è già contenuta nella forma che esso ha assunto.

Lo scandalo, allora, fu proprio questo: che la struttura di un sistema sociale fosse ritenuta una semplice funzione della natura dei media che servono alla trasmissione delle comunicazioni, e non dipendesse affatto dal contenuto che essi veicolano. L'idea insomma che il medium fosse il messaggio, come ancor oggi si ripete sulla scorta del titolo di un altro libro di McLuhan apparso ancor prima, nel 1964, e in quello che resta oggi il testo suo più celebre (da noi tradotto con il titolo Gli strumenti del comunicare), egli si era affrettato a precisare che ad eccezione della luce elettrica, che di norma arriva sola, tutti gli altri media si presentano in coppia, al cui interno uno funge da contenuto all'altro: ad esempio la pagina a stampa contiene la parola scritta. Sicché non di contenuti si trattava ma di altro: di riconoscere che il decisivo messaggio di una tecnologia consiste nel mutamento di proporzioni, di ritmo, o di schemi che introduce nei rapporti umani. E messa così era una posizione assolutamente consonante con i più avvertiti e lungimiranti criteri storiografici europei del tempo, come quelli della scuola delle Annales, anch'essi impostati sulla scoperta della centralità delle relazioni tra I'uomo e gli agenti della sua cultura materiale, ma anche sulla scoperta delle molteplici forme di spazialità scaturite nel corso delle epoche da tale compelsso di rapporti.
Quando McLuhan scriveva queste cose la civiltà elettronica era appena agli inizi: la conversione daIl'analogico al digitale nei sistemi di comunicazione cominciava appena, le stesse fotocopie erano un'autentica novità e più della metà dell'umanità (che era la metà di quella oggi) abitava ancora in case prive di luce elettrica. Soprattutto, i computer, che pure esistevano ma erano grandi come una stanza ed erano attraversati da corridoi per le pulizie, non avevano ancora iniziato a dialogare fra di loro. Ciò avverrà, silenziosamente, soltanto nel 1969, mentre a naso in su stavamo a guardare lo sbarco dell'uomo sulla Luna.
Per capire quello che davvero allora stava accadendo avremmo dovuto essere molto più stupidi di quanto non siamo stati e di quanto il celebre proverbio zen ci dice: non avremmo dovuto guardare né la luna, come facevamo, né il dito che ce la indicava, ma i nostri piedi, perché sotto di essi la Terra iniziava a smaterializzarsi e, con la nascita della Rete, a dipendere nel suo congegno dalla trasformazione degli atomi in bit, in immateriali unità d'informazione. Fu tale tacita rivoluzone, di cui McLuhan fece in tempo ad essere spettatore, a mettere in crisi l'intera sua analisi. Per McLuhan ogni tecnologia è un'estensione del nostro sistema fisico e nervoso, e serve ad aumentare il potere e la velocità.
L'esplosione della stampa aveva portato alla definitiva atomizzazione dell'antico ordine tribale, retto dalla comunitaria risonanza della parola, in una moltitudine di individui distinti e separati, segnando così, tra l'altro, la nascita dell'economia classica, del protestantesimo e della catena di montaggio. La dilatazione elettrica dei sensi, iniziata nell'Ottocento con il telegrafo senza fili, consentiva al contrario di udir rullare gli elettromagnetici "tamburi tribali" del nuovo villaggio planetario, dotato di una pluralità di centri ubiqui, sorto sui detriti della civiltà alfabetica. E sarebbe stato tale suono a delimitare e insieme ad unificare, oggi, la base della nostra comune esistenza.
In realtà la Rete, che oggi riassume la forma della comunicazione dell'età elettrica, non è assimilabile a nessuna delle tecnologie che l'hanno preceduta, per il semplice motivo che essa non si limita alI'incremento della velocità, ma segna anche la fine della velocità stessa, cioè dello spazio, che in pratica è, almeno da Giulio Cesare in poi, la riduzione del mondo a tempo di percorrenza. Le merci più preziose, come il denaro e l'informazione, quando si spostano lo fanno in rete: oggi non vi è più né spazio né tempo, ma tutta un'altra cosa, che nessuno per il momento riesce ad esprimere e definire in maniera convicente, ma che non è nemmeno posibile figurarsi atttraverso la metafora del villaggio.
L'alfabeto fece entrare i Greci in un fittizio spazio euclideo, caratterizzato dalla continuità, dall'omogeneità e da un orientamento unico per tutte le parti di cui esso si compone. Ma proprio perché tutto ciò oggi non basta più a spiegare il funzionamento del mondo dobbiamo fare a meno anche del modello del villaggio, che in definitiva obbedisce esattamente alle stesse caratteristiche che nella geometria euclidea appartengono ad ogni estensione.
Allo stesso modo che la galassia Gutenberg si dissolse teoricamente nel 1905 con la scoperta dello spazio curvo, come spiega McLuhan, così il suo villaggio planetario è di fatto sparito nel 1969, con la fine dello spazio come noi lo intendiamo e forse possiamo intenderlo. A McLuhan è capitata la stessa sorte che, secondo McLuhan, è capitata a Don Chisciotte, assunto come paradigma dell'uomo tipografico: di esprimere le configurazioni della tecnologia del suo tempo ma di non essere assolutamente in grado di leggerla. Che è un'altra maniera per dire che di Marshall McLuhan avremo sempre bisogno, perché per primo ha indicato la strada a tutti coloro che oggi si pongono il problema della relazione tra quel che vediamo e quello che pensiamo. Vale a dlire la questione cruciale dalla quale dipende la sopravvivenza di tutto quel che ancora oggi chiamiamo, come gli antichi, conoscenza.


Le principali opere:

La Galassia Gutenberg. Nascita dell'uomo tipografico - Armando, 1991
Il villaggio globale. XXI secolo: trasformazioni nella vita e nei media - SugarCo, 1994
La legge dei media. La nuova scienza - Edizioni Lavoro, 1994
Media e nuova educazione. Il metodo della domanda nel villaggio globale - Armando, 1998
La cultura come business. Il mezzo è il messaggio - Armando, 1998
La luce e il mezzo. Riflessioni sulla religione - Armando, 2002
Gli strumenti del comunicare - Net, 2002