Libertà di stampa in Italia

sul sito Reporters Sans Frontières i dettagli - qui la classifica

 

La libertà di stampa sembra ancora molto lontana dall'essere un valore universalmente riconosciuto e realizzato. L'annuale rapporto di Reporters sans frontieres fornisce ancora una volta un quadro sconfortante, con situazioni che peggiorano in vari Paesi, anche nel democratico occidente e nella vecchia Europa. È il caso dell'Italia, che scende dal 44° posto dell'anno scorso al 49° (ma nel 2007 era al 35°).

I dati più rilevanti quest'anno sono l'aumento della libertà di stampa negli Stati Uniti dopo l'insediamento di Barack Obama (dal 40° al 20° posto). In testa ci sono la Danimarca, la Finlandia, l'Irlanda, la Norvegia e la Svezia. Fanalino di coda (su 175 nazioni monitorate) è l'Eritrea. Peggiora la situazione in Iran (73°) e resta preoccupante quella dell'Iraq e dell'Afghanistan, dove i segnali di miglioramento continuano a essere troppo deboli e scarsi.

Ma ad allarmare il presidente di Rsf, Jean-François Julliard, è soprattutto l'Europa. Nel vecchio continente diversi Paesi come Francia (43° posto), Italia (49°), Slovacchia (46°) mostrano un progressivo restringersi degli spazi per la libertà di stampa e perdono progressivamente posizioni.

Meno libertà di stampa in Europa

(Reporters Sans Frontières - Rapporto sulla libertà di stampa 2009 - Europa ed ex-Unione sovietica)


L'Italia in tre anni ha perso quattordici posizioni nella classifica sulla libertà di stampa stilata annualmente da Reporters sans frontiers, e dal 35° posto del 2007 scivola quest'anno al 49°. E mentre gli Stati Uniti, nell'anno di Barack Obama alla Casa Bianca, guadagnano 20 posizioni rispetto all'anno scorso (dal 40° al 20° posto), Israele è in caduta libera (perde 47 posizioni e precipita al 93° posto) e l'Iran si ritrova addirittura al quart'ultimo posto (172°), avanti solamente al "trio infernale" Eritrea, Corea del Nord e Turkmenistan.
Il Paese che gode di maggiore libertà di stampa - secondo i dati raccolti - è la Danimarca, seguita da Finlandia e Irlanda. Ma anche se le prime tredici caselle della classifica sono occupate da paesi europei, alcuni - come Francia (43/esima), Slovacchia (44/esima) e Italia - "proseguono la loro caduta". Per quanto riguarda l'Italia, si legge nel rapporto, "le vessazioni di Berlusconi nei confronti dei media, le ingerenze crescenti, le violenze della mafia contro i giornalisti che si occupano di criminalità organizzata, e una proposta di legge che ridurrebbe drasticamente la possibilità dei media di pubblicare intercettazioni telefoniche spiegano il perché l'Italia perda posizioni per il secondo anno consecutivo". Ma la Francia non ha fatto molto meglio.

(20 ottobre 2009)

Per la prima volta dal 2002, i venti Paesi europei non dominano più l'indice. Solo 15 dei 20 paesi leader sono del Vecchio Continente, rispetto ai 18 nel 2008. Undici di questi 15 paesi sono membri dell'Unione europea. Essi comprendono i prime tre, Danimarca, Finlandia e Irlanda. Un altro membro dell'UE, Bulgaria, è in calo costante dall'epoca dell'adesione nel 2007 e ora è al 68° (contro la 59esima nel 2008). Questa è la collocazione più bassa tra tutti i membri dell'Unione europea.

La più grande caduta nel corso di un anno tra tutti i membri dell'UE è stata quella della Slovacchia. Il Paese è crollato di 37 posizioni fino ad arrivare a quota 44. Ciò a causa principalmente dell'ingerenza del governo nelle attività dei media e l'adozione nel 2008 di una legge che impone un diritto automatico di risposta a mezzo stampa. Anche due paesi candidati all'adesione all'UE hannosperimentato cadute drammatiche. Si tratta di Croazia (78esima), scesa di 33 posti, e della Turchia (al 122° posto), scesa di 20 posizioni.

L'impatto della criminalità organizzata e il fatto che i giornalisti siano divenuti possibili obiettivi spiegano la caduta di entrambe Bulgaria e Italia (49esima ), Paese che ha ricevuto la classifica peggiore dell'UE tra i sei fondatori. Le pressioni del Cavaliere sui mezzi di comunicazione, una maggiore ingerenza, la violenza mafiosa contro i giornalisti che denunciano le attività della malavita e un disegno di legge che dovrebbe drasticamente ridurre la possibilità dei media di pubblicare intercettazioni telefoniche spiegano perché l'Italia è scesa per il secondo anno consecutivo. La Francia (43° posto) non se la cava molto meglio, cadendo di otto punti a causa delle indagini giudiziarie e di arresti di giornalisti e di incursioni su mezzi di informazione, e anche a causa di interferenze nei mezzi di comunicazione da parte di politici, tra cui il presidente Nicolas Sarkozy.

I paesi più repressivi della regione, Uzbekistan (160) e Turkmenistan (173), non si sono evoluti in modo significativo e i loro giornalisti sono ancora oggetto di censura, trattamenti arbitrari e di violenza. I colloqui cominciati con l'Unione europea e gli altri partner non sembrano avere dato frutto in termini di diritti umani e ci sono tutte le ragioni di temere che la comunità internazionale dovrà sacrificare la libertà di espressione nella corsa per la sicurezza energetica. Sia l'Uzbekistan che Turkmenistan sono ricchi di risorse naturali, compresi gli idrocarburi. La Russia (153° posto) è scesa di 12 posti, per la prima volta sotto la Bielorussia (151° posto). Le ragioni di questa caduta, tre anni dopo l'assassinio di Anna Politkovskaya, comprendono omicidi continui di giornalisti e attivisti per i diritti, che contribuiscono a informare la popolazione, e le aggressioni contro i rappresentanti dei media locali. Esse comprendono anche il ritorno con forza crescente di censura e di autocensura e il completo fallimento nella punizione dei responsabili per gli omicidi.

Indicatori mostrano un deterioramento della situazione della libertà di stampa in quasi tutte le ex repubbliche sovietiche, tranne la Georgia (81) e, in misura minore, la Bielorussia (151), il cui governo ha avviato una cauta e finora limitato miglioramento nelle sue relazioni con la stampa come parte di un rinnovato dialogo con l'UE. È difficile in questa fase prevedere se questa increspatura sulla superficie possa crescere o è destinata a sparire.

La Georgia è stata in grado di saltare di 39 posizioni, perché durante la guerra che ha combattuto non ha imposto coperture, anche se la tensione politica ha continuato ad avere un impatto sui mezzi di informazione. La sua vicina di casa a del Sud del Caucaso, l'Armenia (111° posto) è scesa notevolmente a causa di diversi casi di violenza fisica nei confronti di giornalisti e di tensione politica che ha continuato ad influenzare i media e la società.

Non vi è stato alcun cambiamento nella vicina Azerbaijan, dove la situazione continua ad essere davvero preoccupante. Questo era chiaro a Reporters sans frontières dai limiti imposti alla stampa durante la campagna elettorale presidenziale, nel novembre 2008, e dalla decisione della televisione nazionale e della radio di vietare alle stazioni radio straniere (BBC, Radio Free Europe e Voice of America) di trasmettere sulle frequenze locali.

Il declino della libertà di stampa ha continuato in Asia centrale, soprattutto in Kirghizistan (125° posto) e nel vasto e ricco di risorse energetiche Kazakistan (142° posto) caduti entrambi di più di 15 posti. Il Kazakistan si è distinto per il numero di cause per diffamazione intentata contro giornali indipendenti e dell'opposizione e il suo ricorso alla collaudata pratica di chiedere somme colossali per danni per costringere le pubblicazioni a chiudere.

La classifica del Kazakistan, la peggiore da quando questo indice ha preso vita nel 2002 è dovuta anche a causa di intimidazioni e violenze contro i giornalisti e l'estensione ai siti web di una legge che restringe la libertà dei media tradizionali. In Kirghizistan, le preoccupazioni sono state alimentate da un aumento delle aggressioni e intimidazioni nei confronti dei giornalisti, fatto che ha portato alcuni a fuggire dal paese, da una campagna elettorale vista da un solo punto di vista e dalla pressione sulle stazioni radio straniere, che hanno bisogno di un accordo preliminare con le autorità per essere in grado di trasmettere a livello locale. La grande caduta della Turchia è dovuta a un'ondata di casi di censura, in particolare la censura dei mezzi di comunicazione che rappresentano le minoranze (soprattutto i curdi), e gli sforzi da parte dei membri degli organi di governo, le forze armate e il sistema giudiziario di a mantenere il loro controllo sulla copertura delle questioni di interesse generale.

Nella Croazia, che spera di poter aderire all'Unione europea molto presto, alcuni aspetti delle relazioni serbo-croate sono fonte di tensione e sono off-limits per i media. I giornalisti che violano il tabù sono spesso bersaglio di violenza. Gruppi di criminalità organizzata sono stati responsabili di attacchi fisici ai giornalisti.

Una classifica analoga è stata stilata dalla Freedom House:

Nel rapporto 2009 di Freedom House (organizzazione autonoma con sede negli Stati Uniti, che si pone come obiettivo la promozione della libertà nel mondo), infatti il nostro Paese viene declassato da Paese 'libero' (free) a 'parzialmente libero' (partly free), unico caso nell'Europa Occidentale insieme alla Turchia.

Le ragioni della retrocessione dell'Italia sono molteplici, spiegano gli estensori del Rapporto, che esamina la libertà di stampa in 195 Paesi da quasi 30 anni (dal 1980): "Nonostante l'Europa Occidentale goda a tutt'oggi della più ampia libertà di stampa, l'Italia è stata retrocessa nella categoria dei Paesi parzialmente liberi, dal momento che la libertà di parola è stata limitata da nuove leggi, dai tribunali, dalle crescenti intimidazioni subite dai giornalisti da parte della criminalità organizzata e dei gruppi di estrema destra, e a causa dell'eccessiva concentrazione della proprietà dei media.

Più in dettaglio, Freedom House riconosce che, in generale, in Italia "la libertà di parola e di stampa sono costituzionalmente garantite e generalmente rispettate, nonostante la concentrazione della proprietà dei media". Ma è proprio quest'ultimo il punto dolente. Certo, c'è la legge Gasparri, rispetto alla quale l'organizzazione avalla le critiche secondo le quali introduce norme che favoriscono l'attuale presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ci sono i tanti processi per diffamazione a carico di altrettanti giornalisti, Freedom House ne cita alcuni tra i più eclatanti, tra i quali quelli a carico di Alexander Stille e di Marco Travaglio.

Ma il punto veramente dolente, a giudizio dell'organizzazione, è costituito "dalla concentrazione insolitamente alta della proprietà dei media rispetto agli standard europei". Berlusconi, affermano senza reticenze gli autori del rapporto, controlla attraverso il governo la Rai, e possiede Mediaset. E la crisi di La7 non ha certo giovato in questo panorama.



Considerazioni critiche su Freedom House:

Freedom House ovvero White House

Fabrizio Casari
(membro del Board di direzione di Reporter Associati)


Freedom House, assai nota ma poco conosciuta organizzazione statunitense, ha diramato nei giorni scorsi il rapporto sulla libertà di stampa. Appuntamento annuale al quale la potente organizzazione è deputata da un ordine di servizio impartitole direttamente dalla Casa Bianca. Le critiche all’Italia sono condivisibili, certo. Una situazione come quella italiana, deve apparire francamente intollerabile agli occhi del Paese che sanziona il conflitto d’interessi e la concentrazione monopolistica. Ma...

...il caso italiano non è certo una priorità per Freedom House, il cui vero lavoro è oggi incentrato su ben altre scacchiere: Cina, Cuba, Vietnam, Iran, Siria, Nigeria e Sudan sono i paesi nel mirino. Il fatto che questa associazione sia incaricata di redigere analisi e rapporti così importanti per gli orientamenti di politica estera dell’amministrazione statunitense non deve stupire.

Sessantaquattro anni di attività lo dimostrano: Freedom House sta alla CIA come un topo al formaggio.

Per averne conferma basta leggere i nomi dei suoi esponenti più importanti, vero e proprio mix di intelligence e diplomazia, spesso parallela, USA. Presidente di Freedom House è attualmente James Woolsey, ex capo della CIA. Il Consiglio d’amministrazione vede tra gli altri la presenza dell’ex ambasciatore Thomas Foley, (presidente della Commissione Trilateral, ex presidente del Consiglio d’intelligence) Malcom Forbes (Forbes magazine) Samuel Huntington (teorico dello scontro di civiltà), Jeane Kilkpatrick (ex ambasciatrice di Reagan all’Onu) e, ciliegina sulla torta, Diana Villiers (moglie di John Negroponte, attuale coordinatore di tutta l’intelligence USA).

L’idea dalla quale nacque la Freedom House venne a F.D. Roosevelt, nel 1941, quando vennero create diverse associazioni negli Stati Uniti il cui scopo era quello di preparare ideologicamente il Paese alla guerra. Si riunificarono poco prima dell’attacco a Pearl Harbor e trovarono una casa comune a New York: la Casa della Libertà, Freedom House, per l’appunto. Ma la casa vera era ed è tuttora la Casa Bianca.

Furono numerosissime le associazioni ed i premi che grazie a Freedom House videro la luce, ma le campagne più significative furono a sostegno del Piano Marshall, della Nato e della guerra in Viet-nam. Lo slogan preferito? “Stati Uniti, paese della libertà”. Nel 1982, quando Reagan decise di aprire la Fondazione Nazionale per la Democrazia (Fed), con lo scopo di rendere presentabili le covert action della CIA, Freedom House smise di brillare di luce propria per divenire un settore del ben più ampio dispositivo di propaganda della Casa Bianca. Da quel momento la Ned (National Endowment for Democracy) assorbì e sovvenzionò Freedom House, che a sua volta cofinanziò e realizzò alcuni progetti della Ned, ampliando così la sfera dell’intervento politico-mediatico a sostegno delle amministrazioni USA.

Nel 1983, di fronte all’esplodere dello scandalo Iran-Contras, Reagan decise di ristrutturare l’apparato di propaganda, definito “diplomazia pubblica”. Walter Raymond, Direttore del Consiglio Nazionale di Sicurezza, organizzò un comitato di supervisione dove inserì, per conto di Freedom House, Leonard R. Sussman e Leo Cherma, quest’ultimo specialista della guerra psicologica. A capo della segreteria delle operazioni arrivò Otto Reich, (agente CIA, legatissimo ai cubani di Miami e ispiratore del fallito colpo di stato confindustriale in Venezuela, attualmente ai vertici del dipartimento per l’America latina dell’amministrazione Bush).

Associazioni per la libertà di stampa e per la libertà religiosa, arruolamento di dissidenti dei paesi dell’Est e di intellettuali europei a un tanto al chilo, invio di articoli già confezionati per i principali giornali in lingua inglese, uffici in mezzo mondo; Freedom House partecipò in prima linea alla nuova guerra fredda patrocinata da Reagan e da Bush padre. Nel 1988 Freedom House creò un gruppo di lavoro sull’America centrale il cui obbiettivo principale era quello di diffondere la disinformazione sul governo sandinista del Nicaragua. Per l’occasione, vennero coinvolti anche sindacalisti della Afl-Cio.

Negli anni ’90 l’attività dell’associazione si ampliò all’est europeo e ad alcuni paesi del Maghreb, tra i quali Giordania e Algeria. Nel 1999 creò il Comitato statunitense per la pace in Cecenia, diretto dall’ex Consigliere della Sicurezza Nazionale Brzezinski e da Alexander Haig, il primo segretario di Stato di Reagan. Ottenne l’appoggio dell’influente Istituto democratico per gli Affari Internazionali di Madeleine Albright, vera e propria enclave democratica nella Ned e nella CIA. Sono innumerevoli le organizzazioni e le associazioni statunitensi che Freedom House coinvolse nei suoi progetti.

Lo scopo era quello di contattare ogni possibile organizzazione dalle stesse finalità presenti nel campo socialista e di farlo attraverso sigle che apparentemente non destassero particolari sospetti. Contatti, accordi, nomi e analisi arrivavano sulle scrivanie di Langley e nei rapporti alle varie agenzie dalle quali Freedom House dipendeva e dipende e che a loro volta, in parte, dal lavoro di Freedom House traggono enormi vantaggi per le loro operazioni. É dagli uffici di Freedom House che nacque l’idea della jihad afghana ed è sempre la stessa associazione che chiese a Osama bin Laden, allora fervente agente CIA e capo dei Talebani, di aiutare l’esercito musulmano in Bosnia.

Nel 2002, Freedom House creò in Ungheria, con l’appoggio della Usaid, un servizio web per le Ong dell’Europa centrale, tra queste ngonet.org. Negli ultimi anni ha condotto la campagna di riabilitazione del partito Arena in El Salvador, eredità politica degli squadroni della morte del maggiore Roberto D’Abuisson, assassino tra gli altri di Monsignor Romero. Arena entrò a far parte della Lega Anticomunista Mondiale ed uno dei suoi uomini più fidati, Antonio Saca, è oggi Presidente di El Salvador.

Il Presidente George W. Bush ha incaricato Freedom House di presentare un rapporto annuale sulle libertà pubbliche ed i diritti politici nel mondo. A seguito di questo, gli Stati Uniti decidono se dare o negare aiuti allo sviluppo nel quadro della Millenium Challenge Corporation. Freedom House prepara insomma il terreno; è il retroterra, l’essenza di quella “ingerenza democratica” che precede le guerre preventive.

Negli ultimi anni, l’attività in America latina è stata piuttosto intensa.

Cuba risulta essere la punta di diamante della sua iniziativa. L’attuale programma di Freedom House ha nei suoi punti fondamentali localizzare e reclutare giornalisti, esponenti poltici e di Ong dell’est europeo da inviare a Cuba a sostegno dei cosiddetti dissidenti. Nessun segreto, lo riconobbe pubblicamente nel giugno del 2000 la stessa Freedom House, quando ammise di aver organizzato e finanziato il viaggio a Cuba di quattro giornalisti, due economisti e un accademico dell’est Europa con il fine di redigere articoli, relazioni ed analisi destinate a formare opinione internazionale contro l’isola caraìbica. Il coinvolgimento di Freedom House nel recente “Programma Cuba”, in ottemperanza alla sezione 109 della legge Helms-Burton del 1996, ha visto l’elargizione di un milione e mezzo di dollari provenienti dai fondi della Ned.

A capo dell’operazione, tanto per non smentirsi, è stato insediato Frank Calzon, terrorista di origine cubana, ufficiale CIA legatissimo alla Fnca di Miami. Le regole, di Freedom House come della Ned, alla fine, sembrano essere due: il primo amore non si scorda mai, i vecchi amici non si dimenticano.

4 maggio, 2005