Simone Collini

Bertinotti: "In Italia la sinistra non esiste più. Tutto cambi"

 

In Italia non esiste la sinistra». Fausto Bertinotti lo dice come se la frase non avesse bisogno di poi chissà quali spiegazioni. «Non è un’invettiva. È una constatazione, amara, di fatto». Riguarda il Pd, che «ha un’istanza sostanzialmente moderata», riguarda l’Idv, «populista e giustizialista», ma riguarda soprattutto la cosiddetta sinistra radicale, che «dopo la sconfitta elettorale ha subìto una divisione neoidentitaria che l’ha resa impotente».

Nel suo studio di presidente della Fondazione Camera dei deputati parla a lungo della crisi economica «che chiederebbe la presenza della sinistra», della «giusta indifferenza» del movimento della scuola per tutte le forze di opposizione, del «deserto politico che ha circondato lo sciopero generale della CGIL». Di Rifondazione comunista non vuole parlare. Almeno, non direttamente. Ma alla vigilia dell’assemblea di Chianciano in cui Vendola e i suoi annunceranno la scissione, l’ex segretario Prc lancia un messaggio piuttosto chiaro: «La sinistra, così com’è, accentua la sua crisi e la sua scomparsa. L’attuale assetto è non solo inadeguato ad affrontare la realtà, ma impedente per una rinascita. E quindi va spezzato. Solo così può esserci un vero Big bang, il nuovo inizio di cui c’è bisogno».

Eppure ci sono diverse forze che si dichiarano di sinistra.
«Si può essere morti senza saperlo. Per capire se sei vivo o morto bisogna vedere la reattività di fronte agli eventi. Oggi assistiamo alla crisi del capitalismo finanziario globalizzato. Questo è un terreno proprio della sinistra perché richiede una riflessione sul modello di sviluppo, sull’intervento pubblico, sul lavoro trattato come variabile dipendente, sulla questione redistributiva tra salari, profitti, rendita e anche sulla questione ambientalista».

Lei non le vede queste riflessioni?
«A parte che non le vedo perché la sinistra non riflette più, ha fatto come la cattiva industria, ha cancellato la ricerca. Se ci fosse una sinistra si farebbe portatrice di un’innovazione del modello economico e sociale in direzione dell’uguaglianza e di uno sviluppo ecologicamente sostenibile. Ma non c’è. La sinistra come tale è assente, o perché fuori da questa sfida, irretita dall’adesione sostanziale alla cultura neoliberale, o perché ridotta all’impotenza dal carattere assolutamente minoritario delle sue formazioni».

Parla della sinistra politica ma poi ci sono anche i movimenti, o no?
«Ma i più recenti movimenti hanno mostrato che vogliono essere indipendenti. Sono un fenomeno inedito. Il movimento della scuola ha rifiutato il codice dei fratelli maggiori e dei padri. Non ha cercato né l’alleanza né la collisione, semplicemente ha ignorato la sinistra politica».

Il perché, secondo lei?
«Perché la sinistra politica non esiste nella dimensione di vita di queste forze sociali, siano studenti o docenti. La sinistra non significa nulla nella loro esistenza concreta».

Resta il sindacato: anche questo non è più caratterizzabile come di sinistra?
«Guardi, abbiamo assistito a un evento clamoroso, mai successo nella storia d’Italia del dopoguerra. La CGIL ha indetto uno sciopero generale e per la prima volta è stato agito senza il consenso esplicito e partecipato del principale partito di opposizione. Stiamo parlando della più grande organizzazione sociopolitica del Paese e dell’arma più classica del movimento operaio. Intorno si è creato il deserto politico. Un vuoto che ha spinto persino il più politicizzato dei sindacati a una manifestazione di indipendenza».

L’indifferenza dell’Onda, la CGIL: cos’è, un contagio?
«No, è che si difendono. I movimenti, compreso quello più classico dei lavoratori, si difendono dalla inesistenza della sinistra e da una contaminazione che allo stato non può che essere negativa, foriera di divisioni e/o di subalternità».

Questa indipendenza però avvantaggia la destra.
«Ma chi ne è il responsabile? È chiaro che se manca una proposta di alternativa, il vuoto viene coperto, per quanto contraddittoriamente, da esponenti di destra. Per cui Tremonti può apparire portatore di una tesi di sinistra quando critica la globalizzazione e nessuno è efficace nella critica ai suoi proponimenti perché nessuno è in grado di costruire un’alternativa complessiva al suo pensiero. Per cui un po’ di capitalismo compassionevole rischia di soppiantare un riformismo inesistente».

Lei non fa distinzione tra forze interne ed esterne al Parlamento: sono tutte responsabili di questa mancanza di proposta alternativa alla destra?
«Il Pd ha un’istanza sostanzialmente moderata, l’Idv sostanzialmente populista e giustizialista. Quindi entrambi non sono in grado di alimentare una reale dialettica parlamentare. Un’opposizione emendativa potrebbe esistere in un sistema politico ad alta densità parlamentare, che affida agli emendamenti una possibilità di articolare diversamente lo schieramento decisionale. Ma in un sistema tendenzialmente bipartitico, che ha svuotato il Parlamento della sua forza decisionale, un’opposizione che oscilla tra la moderazione dei contenuti e il populismo dell’invettiva è totalmente inidonea a valorizzare il Parlamento».

E le forze della cosiddetta sinistra radicale? Non potrebbero loro, benché fuori dal Parlamento, farsi portatrici di questa proposta alternativa?
«No perché si stanno rinchiudendo in ipotesi prevalentemente identitarie e quindi condannate all’impotenza. Ci sono al loro interno segmenti di proposte che mostrano una posizione concettualmente reale, ma allo stato sono soltanto dei brandelli».

Cosa ci vorrebbe, secondo lei, per modificare la situazione?
«Ci sarebbe bisogno di un vero Big bang, un ricominciare, perché questo non è il tempo della manutenzione».

Questo Big bang sa un po’ di attesa...
«Nelle culture messianiche c’è l’attesa attiva e partecipe. E comunque si può concorrere a maturare i tempi. Ad esempio mostrando di aver imparato la lezione dei nuovi movimenti, che hanno dentro di loro una cifra che non avevano quelli precedenti e che possiamo chiamare codice dell’indipendenza. Un modo per accelerare l’arrivo del Big bang è cioè quello di evitare soluzioni fondate sull’autosufficienza, di produrre una sorta di arcipelago di esperienze che innervino le basi della costruzione di questa sinistra e che mostrino nel loro prodursi tutta l’inadeguatezza dell’attuale assetto organizzato della sinistra politica italiana. Anzi, questo assetto è non solo inadeguato ma anche impedente, e quindi va spezzato».

Tra breve ci saranno le europee, e a seconda delle scelte che si compiono il Big bang può essere accelerato o rallentato...
«C’è il tempo della semina e della raccolta. Questo è il tempo della semina».

l'Unità, 24 gennaio 2009