LA DONNA SI DIFENDE

Guida pratica alla difesa personale

 

1. CONOSCERE LA VIOLENZA



Durante una lezione di karate, il maestro friulano Gianni Veggian, dopo averci fatto assistere ad alcune dimostrazioni di tecniche difensive nei confronti dell’attacco di un avversario, dichiarò con una certa enfasi che ci avrebbe spiegato come affrontare ben due attaccanti. Chiamò un paio degli allievi più esperti, e, dopo averli fatti sistemare in posizione d’attacco, si piazzò risolutamente, con una grinta molto “marziale”, al centro del dojo; [11] tutti ci aspettavamo che a un cenno i due avanzassero e, ovviamente, venissero neutralizzati, perciò rimanemmo allibiti quando il maestro, dopo aver guardato minacciosamente i due sfidanti ed essersi esibito in qualcuno di quei veloci movimenti di mano che si vedono nei film “di kung fu”, scappò di corsa dalla stanza. Qualche istante dopo rientrò sorridendo e spiegò che aveva allestito quella sceneggiata per farci capire un punto fondamentale del combattimento: anche se si è molto esperti, occorre evitare sempre, se è possibile, il confronto con più di un avversario, perché il rischio di prenderle di santa ragione è davvero elevato. E questo per chiudere il discorso in merito alle improbabili evoluzioni che spesso ritroviamo in certo cinema. [12]

Ho voluto ricordare questo episodio perché, anche se di arti marziali vere e proprie si parlerà nell’ultimo capitolo, introduce subito la prima regola, assolutamente essenziale, a cui attenersi: in uno stato di difficoltà occorre innanzitutto essere in grado di valutare con estrema rapidità e obiettività la situazione.

1. C’è una reale probabilità di attacco violento? Ovvero: che intenzioni ha l’aggressore (stupro, rapina, “semplice” [13] teppismo, molestia)?

2. L’aggressore è armato, e comunque qual è il suo grado di pericolosità (è molto robusto, ha dei complici, è ubriaco o sotto l’effetto di droghe)? Com’è vestito: ha un giubbotto imbottito, guanti, cappotto, scarpe pesanti?

3. Avete sotto mano, o c’è comunque nel vostro raggio d’azione, qualcosa che possa servire come strumento di difesa? [14]

4. Qual è l’ambiente circostante (c’è gente, il luogo è isolato, che tipo di fuga è possibile, l’aggressore o voi disponete di un veicolo, c’è la possibilità di provocare forti rumori)?

Ecco, le cose da analizzare sembrano un’infinità, troppe le variabili da prendere in considerazione, ma se provate a rileggere questi quattro punti vi renderete conto che in effetti si tratta di elementi che potete quasi cogliere a colpo d’occhio.
La questione è un’altra: noi siamo abituati alla normalità, e quando ci troviamo in pericolo, l’eccezionalità, la novità, improvvisa e sgradevole, ci travolge e modifica in un attimo il nostro rapporto con la realtà. L’ambiente circostante, che magari ci è del tutto familiare, sembra perdere consistenza; gli oggetti quotidiani svaniscono; le cose più ovvie sono improvvisamente prive di significato: tutta la nostra attenzione si rivolge non tanto a chi ci minaccia quanto all’idea esasperata del pericolo che egli rappresenta, e il nostro corpo, che pensavamo di conoscere così bene facendo ginnastica o rilassandoci nella vasca da bagno, diventa improvvisamente estraneo, inutilizzabile, già sopraffatto.
In quel momento si crea una sorta di legame esclusivo tra il vostro corpo e quello del nemico, ed è la stessa vostra cultura che rischia di agire contro di voi: conoscete l’istinto e la capacità di prevaricazione del maschio, ne temete l’ottusità, provate rabbia e vergogna per la vostra presunta inferiorità fisica, avete la triste consapevolezza di come, il più delle volte, la donna esca comunque sconfitta da questo conflitto avvilente, al di là degli stessi danni strettamente fisici.
Attenzione: con ciò non intendo minimamente sottintendere una sorta di inevitabilità del fatto, o addirittura una remissività della donna che quasi confina con una morbosa complicità. [15] Voglio soltanto sottolineare come, di fronte all’evento traumatico, la razionalità può trovarsi paralizzata: ciò può accadere a chiunque, e quindi, a maggior ragione, a chi sconta necessariamente secoli di subordinazione e disprezzo ad opera del maschio.
Vorrei aggiungere che questa sorta di black out psicofisico può annientare la capacità di risposta anche delle donne che hanno raggiunto maggior equilibrio e coscienza di sé attraverso i più svariati mezzi. Per capirci: non è detto che una cintura nera riesca a risolvere sempre positivamente uno scontro fisico di strada, perché chi pratica seriamente le arti marziali lo fa in genere in un ambiente corretto e in ogni caso ha imparato a non far male all’avversario; tant’è vero che abitualmente i “gorilla” sono persone che hanno soprattutto praticato la boxe o il football americano più che il karate.

Il punto di fondo, dunque, è questo: dovete prima di tutto prepararvi mentalmente all’ipotesi di un’aggressione.

Ciò non significa, è evidente, esserne ossessionati, ma, al contrario, sapere che, per sgradevole o drammatica che sia, tale eventualità esiste. Certo, statisticamente è abbastanza remota, ma rispetto ad altri tipi di rischi (dall’AIDS al furto dell’automobile) non è che risolvete il problema pensando “ma perché dovrebbe capitare proprio a me?”. Vero?
E allora, non fate l’errore psicologico di “dimenticare” la cosa, di considerarla talmente degradante o spaventosa da concludere che “non ci voglio nemmeno pensare”.

Interrompete, adesso, la lettura per qualche minuto e riflettete con calma su quante volte, negli ultimi mesi, vi siete trovate in qualche frangente imbarazzante o addirittura a rischio.
Bene, siete proprio sicure che se le cose fossero degenerate avreste saputo reagire con lucidità? Fate un semplice test: senza sbirciare i 4 punti indicati sopra, provate a ripercorrerli mentalmente (e con rapidità) e a ipotizzare la vostra capacità di gestire la crisi.
È possibile che in questo momento, vale a dire in condizioni di assoluta normalità, la vostra verifica abbia dato un risultato soddisfacente, in ogni caso domandatevi ancora: “Se quel porco mi avesse messo le mani addosso, cosa avrei fatto veramente?”.
Ripeto: la preparazione psicologica è la condizione irrinunciabile, in via preliminare, per sapersi comportare correttamente. Ogni tecnica che potrete imparare nelle prossime pagine, e che magari avrete esercitato insieme a una persona amica, rischia di non servire a nulla se al momento buono la vostra mente non avrà la quiete necessaria per impostare nel giro di pochi secondi una strategia semplice ed efficace.
Non scoraggiatevi, il raggiungimento di questo obiettivo non richiederà specialissime sedute di meditazione, improbabili esercitazioni mistiche con altrettanto improbabili guru: stiamo parlando, molto semplicemente, di pensare con calma a un possibile evento negativo. Se questo pensiero, che le prime volte vi riuscirà ovviamente un po’ ripugnante, riuscirà in seguito a dipanarsi normalmente, fino a scomparire in silenzio e ad entrare nel vostro abituale corredo mentale, avrete già raggiunto il primo, importantissimo risultato.
Vedrete, non sarà poi così difficile, sarà sufficiente solo un po’ di pazienza.
Se poi questo elementare training psicologico lo potrete gestire con l’aiuto di particolari tecniche di rilassamento [16] tanto meglio: tutto questo libro è rivolto a fornire alcuni elementi di base, cioè a introdurre e non a esaurire un discorso, che potrete eventualmente (ma non necessariamente) proseguire in tanti modi.

Allora, possiamo finalmente ritornare alle cose concrete, cioè ai 4 punti di “analisi”, con un’ inevitabile avvertenza: in tutte queste pagine non troverete mai soluzioni perfette, problemi sicuramente risolvibili proprio nel modo descritto. La ragione è evidente e sta nel fatto che la persona violenta, così come l’azione violenta in sé, sono per definizione irrazionali e quindi, come tali, sfuggono alla possibilità di venir rigidamente classificate in categorie.
Tuttavia è anche vero che in genere i vari tipi di aggressione si svolgono più o meno sempre nello stesso modo, e che i fattori che compongono una situazione violenta, teoricamente pressoché illimitati, in realtà sono riconducibili ad alcuni gruppi fondamentali.
Quindi gli esempi e le tecniche che troverete saranno da considerarsi non come formule dogmatiche ma come indicazioni senz’altro utili nella maggior parte dei casi.
Chi compie un atto ingiustificato (ma ingiustificato per chi?...) di violenza è quasi sempre uno stupido, e quindi è quasi sempre abbastanza prevedibile, anche se ciò non può mai significare sottovalutazione del pericolo.
Per chiarire meglio la struttura del libro, vorrei precisare che rispetto alle situazioni descritte qui sotto non vengono indicate di volta in volta le possibili modalità di reazione: ho preferito separare i due momenti, per non disarticolare troppo la trattazione, e quindi sarà nel cap. 3 che verranno esaminate le specifiche tecniche di autodifesa, dopo averne esaminato i presupposti (i mezzi da usare, le parti del corpo da colpire, ecc.).


ENTITÀ DEL PERICOLO

La situazione di pericolo non coincide esattamente con la pericolosità specifica dell’ individuo che vi trovate di fronte.
Lo stupro è palesemente più drammatico di uno scippo, ma se chi tenta di violentarvi è un ubriaco che non si regge in piedi, può essere sufficiente uno spintone per disimpegnarvi; viceversa, il ragazzo in scooter che tenta “soltanto” di strapparvi la borsa può essere talmente “motivato” (ha bisogno immediato di denaro perché deve farsi al più presto) che, davanti a una vostra banale reazione, può farsi saltare i nervi, scendere e accoltellarvi.
Una situazione apparentemente molto pesante, insomma, può sgonfiarsi in un attimo, mentre un episodio minore può avere invece sviluppi inaspettati e gravi.

La molestia. Lo stupro.

Giù le mani! [17] è un utilissimo studio sul diffuso fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro, e fa ben capire che, anche sul piano strettamente individuale, il problema non è certo risolvibile in termini di semplice autodifesa, quando magari il molestatore è il datore di lavoro che fa pesare il ricatto del licenziamento.
Per evidenti ragioni qui non ci si occuperà di questo versante del problema (anche se è certamente molto significativo sotto l’aspetto sociale), [18] ma della molestia “classica”, quella, per intenderci, di chi in autobus tocca il sedere o per strada fa apprezzamenti volgari e tenta l’imbrocco.
In effetti parrebbe che non sia molto da dire: la situazione non è particolarmente rischiosa e di solito non richiede specifici accorgimenti; spesso un bel ceffone [19] chiude la faccenda.
Eppure, anche in questa situazione apparentemente banale (che sia comunque spiacevole e irritante è un altro discorso) non date tutto per scontato: il manrovescio di cui sopra o un secco “Vattene o chiamo la polizia” sono in grado, appunto, di chiudere in un attimo la vicenda, ma possono anche innescare una controreazione con esiti ben più gravi rispetto alla situazione di partenza. Il bravo maschio italico, pur credendosi irresistibile, si è in qualche modo abituato al fatto che le proprie raffinate avances possano venir ignorate e se vede che “questa non ci sta” in genere non insiste più di tanto; ma se voi “osate” replicare in qualche modo, può darsi che si senta in obbligo - magari per salvare la faccia di fronte ai suoi compari - di darvi una lezione. Si limiterà a restituirvi il ceffone?
Ancora: il commercialista del quarto piano, che con gli occhi vi perfora il retro dei jeans ogni volta che passate, v’incontra una sera d’estate nel garage del condominio e comincia a farvi gli abituali complimenti; come al solito voi lo scoraggiate, ma sarà che sua moglie è in vacanza già da tre settimane (“che chissà cosa combina, quella”), sarà che ci sono 35 gradi e voi avete un vestito leggero leggero, anche quel poveruomo che pare vada in chiesa ogni domenica può perdere la testa e saltarvi addosso. Fin dove arriverà?

E qui lasciatemi aprire una parentesi, anzi due. [20]
Quando leggiamo di uno stupro la reazione di sdegno è immediata, la condanna assoluta. Ma chi è lo stupratore? Certo, un represso, un individuo che ha introiettato i peggiori stereotipi razzisti, un uomo incapace di costruire un rapporto paritario con una donna. Queste, però, sono categorie di analisi, elementi sicuramente essenziali per capire le storture di una società. Ma lui, lo stupratore, è necessariamente un delinquente abituale, è socio fondatore di qualche club di “Forza maschi”, ha cominciato a sedici anni con la sorellina? Esiste, insomma, la tipologia dello stupratore?
Francamente non credo. [21] È certo che molti fra coloro che hanno esercitato una violenza sessuale soffrono di gravi patologie psichiche (il più delle volte determinate a loro volta da abusi e violenze subiti nell’infanzia), o nel migliore dei casi sono i prodotti della più avariata cultura sessista, tuttavia sono convinto che la maggior parte di essi siano persone complessivamente “normali ”: il commercialista del quarto piano, appunto, quel simpaticone del fruttivendolo, il compagno di università di vostro fratello, il tecnico che ripara i computer. Se è così, perché allora arrivano fino al limite intollerabile della violenza al corpo di un altro essere umano?
Non sono in grado di rispondere, e comunque il problema, gravissimo, non è l’oggetto del libro: il mio scopo, in questo capitolo, non è tanto indicare delle risposte, quanto piuttosto di proporvi delle domande, di suggerire delle riflessioni. In questo caso, senza voler vedere a tutti i costi in ogni maschio un potenziale violentatore, considerate la possibilità che molti uomini normali, sottoposti a particolarissime tensioni sessuali, possano oltrepassare un confine che essi stessi, in condizioni diverse, non esiterebbero a considerare invalicabile. Questo non significa in alcun modo giustificare, ma solo cercare di andare oltre la ripugnanza e tentare di capire un fenomeno.
La seconda parentesi in qualche misura si collega a questa ipotesi di ragionamento. Da quando, ormai parecchi anni fa, uscì il documentario Processo per stupro, abbiamo (donne e uomini) avuto occasione di assistere un’infinità di volte al risibile - ma quanto insidioso! - rosario di insinuazioni che nei tribunali tende a sfumare le responsabilità del violentatore e a dipingerlo sostanzialmente come vittima dell’eterno spirito di seduzione tipico di ogni donna. In altre parole: la signorina è un po’ puttana, e comunque se l’è andata a cercare, poteva stare a casa!
Mamme e amici dei giovinotti annuiscono, sdegno e riprovazione sul TG3.
È chiaro che si tratta di vera e propria spazzatura, ma, anche qui, se ci fermiamo solo a questa considerazione salveremo forse le nostre anime belle, ma non eviteremo certo la trappola dell’ipocrisia.
L’accoppiata fra la cultura maschilista e le tre regole d’oro del libero mercato (1. Vendere a tutti i costi 2. Vendere a tutti i costi 3. Vendere a tutti i costi) produce una strepitosa inflazione di tette e culi in edicola e in tv, e in questa palude intellettuale non restano invischiati solo i maschietti allupati, ma anche un bel numero di femminucce. Le due amiche che escono dalla discoteca gioiosamente equipaggiate di scollature e lustrini come da istruzioni ricevute sulla rivista giusta; la donna sicura di sé che va in vacanza da sola e usa gli shorts perché sono estremamente comodi. Due esempi opposti: da una parte la debolezza culturale e l’ingenuità, dall’altra l’automatica rivendicazione del proprio sacrosanto diritto all’autonomia e al rispetto.
Mi viene in mente quanto mi raccontava un amico tornato da New York: dovendo andare a cena fuori, si era messo un bel completo blu e quando il portiere d’albergo fa per chiamare un taxi, lui risponde che non importa, avrebbe preso la metropolitana; “Non vestito così, spero!” commenta l’altro (alludendo al fatto che in certi posti è pericoloso dare l’impressione di avere in tasca più di venti dollari), ma lui non se ne cura, e anzi pensa “cosa diavolo gliene fregava a quello, potrò ben andare in giro come mi pare!” Naturalmente, arrivare alla prima stazione, darsi un’occhiata intorno e tornare in fretta all’albergo per vedere di quel taxi, fu questione di pochi minuti.
Non sto minimamente teorizzando che quindi bisogna nascondersi o girare col chador. Dico solo che i diritti (dalla propria libertà in generale al semplice modo di divertirsi) vanno affermati e difesi con coraggio, ma senza dabbenaggine o velleitarismi, e tenendo conto realisticamente della propria condizione di vulnerabilità. La propria sicurezza passa sempre, inevitabilmente, attraverso una qualche forma di autolimitazione: [22] sarà forse umiliante, ma non saprei che altro dire.

Questa digressione mi pareva indispensabile per ribadire un concetto di fondo: cercate - senza mai ingigantire i problemi - di valutare con la massima obiettività le situazioni, considerando che possono evolversi in modi imprevedibili. La volgarità di una battutaccia può anche trasformarsi in qualcosa di ben più serio; un vestito provocante (mi si passi il termine), se non farà mai di voi la provocatrice e non assolverà in alcun modo l’eventuale molestatore, può in certi frangenti procurarvi dei guai.
Non dovete vedere un possibile stupratore in ogni maschio che vi guarda senza rispetto [23] e reagire come Lorena Bobbit (la signora americana che qualche anno, esasperata dalle continue violenze del marito, lo evirò) non appena vi sfiorano, ma non potete nemmeno pensare che il violentatore sia palesemente un bruto identificabile come tale.


Il teppismo

A volte i confini fra i possibili scenari sono piuttosto vaghi, e anzi ho insistito fino adesso sulla necessità di prevedere - senza paranoie - gli eventuali sviluppi di una situazione: così forse risulta un po’ artificiosa la distinzione fra la molestia e il teppismo. Dove finisce l’una e inizia l’ altro? Ma dato che queste schematizzazioni non hanno nessun valore “scientifico”, ed hanno il solo scopo di fornire alcuni esempi concreti rispetto ai quali potreste dover prendere delle decisioni immediate, immaginiamo un gruppetto di ragazzi (magari giovanissimi, visto il proliferare di bande di 12-13enni) annoiati da un sabato sera in cui “non succede niente”. La bella [24] ragazza che torna a casa da sola non è propriamente oggetto di molestia sessuale, né tantomeno rientra nei loro progetti l’idea dello stupro: vogliono solo divertirsi, “fare un po’ di casino”, ma le pastigliette che girano anche a quell’età [25] fanno brutti scherzi, il girotondo goliardico trascende in qualcosa di sempre più sgradevole, la regola del gioco è che non ci sono regole, e quindi non si sa quando e come finisce. Altro esempio: la colf torna nel proprio appartamentino di periferia e ha l’imperdonabile difetto di avere la pigmentazione diversa da quella della maggioranza dei cittadini italiani. Fuori del bar i quattro ultras commentano schifati il goal mancato di Weah, quel negraccio del Milan, e guarda chi ti passa, proprio una di quelle selvagge, ma perché non se ne stanno a casa loro, però, è anche bona. Oppure i nostri amici, incazzati neri per la partita persa, devono proprio sfogarsi, e cosa c’è di meglio di quella marocchina, somala, filippina, checcazzonesosontutteuguali?


Il furto e la rapina

Gli scippi sono ormai diffusissimi (in Italia ne vengono denunciati circa 1500 alla settimana) e la loro dinamica è ben nota: il motorino che passa rasente il marciapiede; o la viuzza del centro storico in cui vi ritrovate soltanto voi e lui; ma anche una strada qualsiasi, non vi accorgete delle sue brutte intenzioni, perché lui non è che ha cominciato a fissarvi da mezz’ora, gli basta un’occhiata per scegliere l’obiettivo, e tiene lo sguardo fisso sulla Gazzetta o sulle vetrine, vi ignora, e poi uno strappo e via.
Oppure siete in macchina, ferme da qualche parte, da sole o con un’altra persona e qualcuno vi osserva da vicino. Ecco una tipica situazione a più variabili: può essere un guardone, che vuole solo osservare senza agire, o invece deciso a intervenire in qualche modo, ma anche un malvivente interessato non agli eventuali aspetti piccanti bensì ai portafogli; l’automobile dà un falso senso di sicurezza, è un microcosmo che pare appartenga solo a noi stessi, inviolabile, [26] mentre basta un colpo di martello ben dato per spaccare un finestrino, o un altro automezzo per impedirvi di ripartire.
L’autobus è affollato, sapete che su quella linea sono già avvenuti dei furti, quindi avete automaticamente piazzato la borsa davanti a voi e con la mano sopra (lo sappiamo tutti quanto è facile prelevare un borsellino conservato in una borsa a tracolla, magari di quelle che non si chiudono, eppure, fateci caso, quasi tutte le donne continuano a conservare questa comoda ma rischiosa abitudine); avete addirittura dato un’occhiata in giro per individuare qualche tipo “losco”, [27] eppure il portafogli sparisce lo stesso. Se lo scoprite una volta arrivate a casa, vabbé, ma c’è il caso che ve ne accorgiate subito o magari durante.
Quella coppia di turisti sembra davvero in difficoltà e annaspando con una piantina della città, larga come un lenzuolo, vi chiede aiuto: non è che mentre voi cercate di indicare il percorso migliore per raggiungere il Duomo, uno dei due esercita la propria destrezza all’interno della vostra borsa?
Siete in casa e sentite strani rumori: [28] è sempre l’acqua dei termosifoni, o il legno del vecchio armadio che “lavora”, o il martello del vicino che si fa sentire attraverso quegli ottimi conduttori che sono i tubi; ma può anche essere un ladro che sperava di lavorare indisturbato e che vedendovi comparire all’improvviso può spaventarsi [29] e farvi passare un guaio.
Tornate a casa la sera e due individui vi bloccano intimando di aprire la borsetta: si accontenteranno del portafogli?

Ecco solo alcune fra le tante possibili situazioni in cui non solo vi trovereste senz’altro in difficoltà, ma dovreste rapidamente farvi un quadro preciso: possibilmente per risolvere il problema, ma perlomeno per ridurre al minimo i danni, e comunque per evitare in tutti i modi un comportamento sbagliato che possa addirittura aggravare la vostra posizione.
Lo scippatore, ad esempio, non intende violentarvi o farvi delle angherie, e nemmeno minacciarvi, ma anzi ha lo scopo di avere con voi il minor contatto possibile, quel paio di secondi, cioè, necessari per strapparvi la borsa: resistere, come si è già accennato, può anche voler dire trasformare uno spiacevole incidente in un dramma. Più in generale si può dire che la maggior parte dei malviventi spera di non usare la violenza, e non tanto per ragioni umanitarie, quanto perché ciò vorrebbe dire complicazioni, perdite di tempo, aumento vertiginoso del rischio; d’altra parte mettono in conto tale eventualità e si attrezzano di conseguenza, senza per questo essere sempre tecnicamente preparati. [30]
Il ladro che si è introdotto in casa altrui vorrà uscirne silenziosamente e non appena compiuto il lavoro: se vi vede arrivare con quella graziosa rivoltella che vi ha regalato vostro marito “perché non si sa mai” (e che naturalmente voi non avete mai usato e che ora brandite fieramente con la sicura ben innestata), c’è il caso che davvero si spaventi più di voi e che a sua volta tiri fuori quella brutta calibro 9 mai adoperata ma che a tre metri proprio non può sbagliare bersaglio e fa dei buchi come palle da tennis.
Senza proseguire nell’esame di una casistica ampia e variabilissima, quello che mi preme sottolineare ancora è la necessità non tanto di essere pronte ad ogni evenienza (mica siete un carabiniere che studia le casistiche di cui sopra), quanto di saper reagire razionalmente al pericolo.
Urlare, mettersi a correre, impugnare un’arma che non si sa usare, dire sciocchezze: sono i tipici atteggiamenti che vi possono mettere in gravissimo pericolo.
Tacere e non muoversi dev’essere una sorta di riflesso condizionato rispetto al pericolo, la condizione di calma preliminare a qualsiasi altro comportamento, il momento in cui valutate e decidete cosa fare: obbedire senza discutere oppure reagire con velocità e precisione. Le vie di mezzo e le iniziative pasticciate provocano solo guai seri.


PERICOLOSITÀ DELL’AGGRESSORE

Ripeto una considerazione formulata poco sopra: la situazione di pericolo non coincide esattamente con la pericolosità specifica dell’individuo che vi trovate di fronte.
Credo di avere già chiarito il significato di questa distinzione, che potrebbe anche essere espressa rovesciandola: la pericolosità specifica dell’individuo che vi trovate di fronte non coincide esattamente con la situazione di pericolo.
Voglio dire che non è preoccupante solo l’evento in sé, ma soprattutto il modo in cui i protagonisti agiscono: valga per tutti l’esempio ricordato prima del delinquente inesperto, e dunque psicologicamente instabile, insicuro, che sente il bisogno di dimostrare la propria “professionalità” ostentando un’arma e usando metodi violenti laddove non servirebbero, o che semplicemente si spaventa e spara.

Le armi

È sicuramente la condizione peggiore e quindi dovrete prestare la massima attenzione a quei segnali che possono rivelarla: nervosismo, teatralità dei gesti, esibizione delle armi stesse.
In ogni caso ricordatevi la battuta attribuita a un famoso maestro giapponese: “Non c’è colpo di karate più veloce di una pallottola”. In qualsiasi situazione vi troviate, e qualunque sia la vostra preparazione in fatto di autodifesa, se chi vuole rapinarvi o violentarvi ha una pistola o un coltello, l’alternativa di cui parlavo prima non esiste: dovrete solo obbedire senza discutere.
Avevo pensato d’inserire in bibliografia un manualetto di Ju jitsu per difesa personale che ricordavo di aver letto vari anni fa, e sono andato a rivederlo: l’autore spiegava puntigliosamente come difendersi non solo da svariate coltellate e bottigliate, ma anche da chi estrae la pistola dalla cinta davanti e dalla cinta di dietro, la punta alla schiena e la punta al torace. Ho deciso che quel libro era meglio buttarlo: non dubito che l’illustre maestro di Ju jitsu sia perfettamente in grado di disimpegnarsi in simili frangenti, ma vi pare possibile che una persona normale impari a fare altrettanto dopo aver letto qualche pagina? Ovvero, se qualcuno mai vi punterà una pistola addosso, usate subito le vostre mani forti e scattanti, alzandole.
Un Maestro mi diceva che egli preferiva di gran lunga un avversario armato di coltello piuttosto che di bastone, dato che il primo per colpire doveva avvicinarsi fino ad essere a portata di mano, mentre l’altro poteva percuotere stando a distanza di sicurezza; con grande delicatezza il maestro evitava di precisare che questo poteva permetterselo lui, con trent’anni di esperienza.
Voi, anche se avrete partecipato a un corso di difesa personale, dovrete avere invece un sacrosanto “rispetto” per l’arma che vi minaccia: assolutamente non mettetevi a urlare, non piangete, non bluffate, e soprattutto non assumete alcun atteggiamento che irriti o spaventi chi vi sta di fronte; obbedite senza fiatare, al massimo dite o fategli capire che farete senz’altro quello che vuole, ma se vi intima di tacere non aggiungete una sillaba.

Sulla questione delle armi, c’è da fare ancora un ragionamento: può essere utile che voi possediate una pistola?
La mia opinione è netta: no. Oltre al fatto che, fortunatamente, sono molto rare le occasioni in cui sarebbe indispensabile disporre di un’arma da fuoco, c’è da dire che avendo una pistola o una rivoltella [31] è abbastanza elevato il rischio di trovarsi, prima o poi, ad usarla: e questo non perché ci si trovi davvero nell’assoluta necessità di farlo, ma per il fatto che, ad esempio, con la pistola nel comodino verrebbe naturale impugnarla quando si vanno a controllare quei rumori che vengono dal soggiorno; e se c’è davvero un ladro, che fate? Gli sparate applicando la pena di morte per il reato di furto? Gli dite di alzare le mani? Così magari succede quello che abbiamo ipotizzato più sopra, che sia cioè il malvivente a usare prima e meglio di voi la sua arma: appunto, possedere un’arma significa sapere perfettamente quando (ma in base a cosa decidere?) e come adoperarla, per cui, a meno che non abbiate deciso di trasferirvi nei sobborghi di Washington, lasciate perdere.
Se, tuttavia, particolarissime circostanze v’inducono a ritenere vitale il possesso di una pistola, approfittate della Legge che - anche per la semplice detenzione in casa - vi obbliga a dimostrare la vostra idoneità al maneggio di un’arma da fuoco: non limitatevi ad andare al poligono il minimo di volte necessario per ottenere la certificazione, ma tenetevi in allenamento e chiedete consiglio all’istruttore, sia sull’acquisto che sulle varie modalità d’uso.

Altre armi

Se un’arma da fuoco o da taglio in mano all’aggressore riducono praticamente a zero le vostre possibilità di difesa, non dovete comunque sottovalutare la pericolosità di oggetti o attrezzi che possono essere usati per colpire (cacciavite, bastone, pietra, martello, ecc.), soprattutto se maneggiati da una persona alterata. Tuttavia la loro occasionalità sta a indicare che non vi era una chiara premeditazione e in ogni modo, pur potendo provocare danni gravi e addirittura la morte, sono contrastabili con minore difficoltà.
La prima avvertenza, ovvia, è di non fare avvicinare troppo l’aggressore e di assumere una posizione di guardia (ne parleremo in seguito), badando, però, di non lasciar credere a chi vi sta davanti che siete particolarmente esperte: dovrete, anzi, simulare paura - e non sarà oltremodo difficile - e approfittare della sua sicurezza per coglierlo di sorpresa, ricordando che un calcio ha una portata doppia rispetto a un pugno e che quindi potrete colpire senza entrare necessariamente nella sfera d’azione dell’aggressore armato. A meno che non riusciate a risolvere la cosa al primo colpo, dovrete poi mettere nel conto di dover subire qualche danno, e ciò significa essersi preparate - fisicamente e mentalmente - a sopportare un dolore forte e improvviso.
Ricordate sempre che chi molesta o aggredisce una donna il più delle volte si aspetta che questa si dia subito per vinta, o al massimo urli, meni colpi sconclusionati, o pianga: il fatto che invece voi reagiate con prontezza e determinazione può essere di per sé un forte fattore di disorientamento, e se i vostri colpi avranno anche vigore e precisione questo elemento d’imprevedibilità potrà giocare un ruolo decisivo.

Più di un aggressore

La presenza di più aggressori equivale anch’essa a mettervi in una condizione indifendibile e una vostra reazione può appunto moltiplicare i danni; in ogni caso l’umiliazione che subirete sarà ancora maggiore e avrete bisogno di tutta la vostra forza d’animo. Forse potrà esservi di qualche conforto sapere che vi sono nettamente maggiori probabilità di assicurare alla giustizia gli autori di un’azione criminale di gruppo, rispetto al reato di un singolo.
Comunque, se con un singolo aggressore dovrete cercare di avere la massima possibilità di movimento, nel caso di più malviventi, invece, mettersi con le spalle a un muro può sicuramente aiutarvi a ridurre i danni, perché in questo caso probabilmente non potranno colpirvi più di uno alla volta.
Se non si tratta di un’aggressione, ma di un “pacifico” tentativo di furto, potete decidere di prendervela con il più debole, cercando d’immobilizzarlo e gridando “Al ladro!”: può darsi che il/la complice si spaventi e scappi, soprattutto se intorno c’è qualcuno che può aiutarvi.

L’aspetto fisico


La pericolosità di un aggressore è sicuramente accentuata dalla sua mole e robustezza (che tuttavia, come vedremo, presentano anche degli svantaggi), ma sovente l’eccesso di spavalderia che in genere accompagna la prestanza fisica diventa una sorta di sensazione d’invulnerabilità, a tutto favore di chi avvia a sorpresa un contrattacco molto rapido e deciso.
Ma non fate anche voi un errore analogo: non crediate che solo gli omaccioni siano pericolosi. Oggi le attività sportive sono piuttosto diffuse e se chi fa body building è abbastanza riconoscibile, così non è per la maggior parte degli sport e il praticante, anche se all’apparenza normale o mingherlino, può avere buone risorse in termini di forza e di agilità.

Alcool e droga

Al sabato sera è sempre più frequente imbattersi in chi ha bevuto troppo o in qualche ragazzo impasticcato: personalmente ritengo che incontri di questo tipo siano tra i più rischiosi, perché vi è un’atmosfera di apparente allegria che tende a far sottovalutare moltissimo l’imprevedibilità di chi è ubriaco o drogato. Non voglio certo demonizzare chi talvolta si prende una vacanza dalla razionalità o magari si è lasciato andare per una sera (anche Bill Clinton ha detto di aver fumato marijuana, ...“ma senza inspirare”), dico solo - schematizzando al massimo un discorso che in realtà sappiamo essere ben più articolato e controverso - che le sostanze le quali in vario modo allentano i freni inibitori agiscono da moltiplicatori degli impulsi, e quindi anche di quelli negativi: un’avance, un litigio, uno scherzo, possono degenerare con una facilità che, da sobri, facciamo fatica a immaginare.
Se uno è ubriaco fradicio o strafatto, presumibilmente non avrà grandi capacità di coordinamento, e potrà essere neutralizzato con relativa facilità, ma chi è all’apice dell’alterazione può manifestare un’aggressività e una “cattiveria” davvero sorprendenti. Senza dilungarmi, vorrei pregarvi ancora di non prendere alla leggera questo tipo di situazioni: evitate assolutamente di trovarvi coinvolte in una rissa, e comunque cercate di defilarvi al più presto; se vi trovate in qualche contatto con chi è visibilmente alterato, guardatevi bene dal pronunciare frasi del tipo “Levati di torno, ubriacone” o dall’assumere atteggiamenti (rimprovero, derisione, ecc.) che potrebbero innescare i tipici comportamenti da “sbronza cattiva”: siate ferme ma cortesi, e se non riuscite ad allontanarvi ragionate rapidamente sui possibili sviluppi, appunto tenendo conto che uno scontro fisico potrebbe avere sviluppi decisamente pericolosi.

L’abbigliamento

È un argomento forse secondario, ma che ha una sua importanza: alcune tecniche che vedremo più avanti andranno evitate, e sostituite con altre, se l’aggressore è vestito in modo tale da proteggere o coprire le zone che s’intendono raggiungere con il colpo. Un calcio negli stinchi, ad esempio, non avrebbe alcun senso se l’altro indossa degli stivaletti; un pugno nello stomaco sarebbe inutile se andasse ad affondare in un giubbotto; una torsione della mano avrebbe scarsa efficacia se lui porta i guanti; un calcio ai genitali risulterebbe abbastanza problematico se dovesse farsi strada in un ampio cappotto. E così via.
Imparate a farvi un’idea a colpo d’occhio di come l’aggressore viene a trovarsi protetto e di quali sono le parti utilmente attaccabili (io ad esempio porto gli occhiali e confesso che mi fa parecchia paura l’idea di un pugno che arriva dritto alle lenti). Tra l’altro, osservare l’aggressore vi consentirà di descriverlo con una certa cura quando sporgerete denuncia.
E, viceversa, tenete conto del vostro abbigliamento: una minigonna non è l’ideale per sferrare un calcio; un piumino renderebbe troppo blanda una gomitata; una collana o una sciarpa si prestano ad essere usate contro il vostro collo; ma un anello d’oro può causare un forte dolore, le unghie affilate sono micidiali, un tacco a spillo è dannoso per chi lo porta ma può esserlo anche per chi se lo ritrova piantato in un piede.


DIFENDERSI COMUNQUE


Si diceva adesso di come un anello possa essere un ottimo additivo per il pugno; analogamente vi è una vastissima quantità di arnesi da lavoro e oggetti quotidiani che all’occorrenza potete usare per difendervi e per colpire: ombrello, penna o altro oggetto appuntito, orologio con cinturino d’acciaio, bottiglia di vetro, fermacarte, uno spray qualsiasi nella borsa della spesa, forcine, martello, sedia, casco e catena antifurto del motorino, squadra da disegno, posate, forbici per le unghie, cacciavite, ecc.
In un primo momento avevo quasi pensato di classificare questi strumenti in base alla loro disponibilità in casa, per strada, nella borsa, e via dicendo, ma sarebbe risultata una suddivisione artificiosa, perché in realtà tutte queste cose sono intorno a voi continuamente e l’importante è proprio avere la prontezza di spirito di utilizzarle anche per uno scopo così diverso da quello abituale. È un’iniziativa che può sembrare scontata, un po’ come usare un giornale per ripararsi dalla pioggia se non si ha l’ombrello, ma se torniamo a quanto si diceva all’inizio sull’eccezionalità delle situazioni violente, ci rendiamo conto perfettamente che in quei momenti a tutto penseremmo fuorché al brandire il pulisciunghie come fosse la spada di Lancillotto.
E invece è proprio questo che dovreste fare, e ve ne convincerete solo pensando un attimo a quanto pericolosa sarebbe una... pulisciunghiata.
Certo non potrete frugare per mezzora nella borsa, probabilmente già affollata in modo deplorevole, alla ricerca di “qualcosa”, ma - senza farne una fissazione! - non vi sarà difficile trovare alcuni oggetti che usate d’abitudine e assegnare loro anche questo incarico d’emergenza: un martello sotto il sedile dell’auto, [32] un taglierino nello scomparto meno incasinato della borsa, delle forbicine con custodia nel taschino dei jeans che avrete appositamente cucito, un cacciavite fissato col nastro isolante al fanale del motorino. Insomma, metteteci un po’ di creatività, e soprattutto abbiate la rapidità mentale per inventare sul momento una soluzione.
Questo vale a maggior ragione per cose che non vi appartengono ma che potete utilizzare rispetto all’ambiente in cui vi trovate: una pietra (se riuscite ancora a trovare strade non asfaltate), una bottiglia al bar, un vaso di fiori in un atrio, la cornetta del telefono in una cabina pubblica, una penna in un ufficio. Si tratta, in genere, di palliativi, così come possono al massimo servire come diversivo espedienti quali buttare in faccia [33] all’aggressore le chiavi, il contenuto di un bicchiere e il relativo bicchiere, un giornale. Non crediate, tuttavia, che siano gesti inutili: se da soli non servono a molto, possono però distrarre l’aggressore quel tanto che basta per scappare senza essere trattenuta o per mirare un colpo.
Ma ricordatevi sempre che la vostra reazione, soprattutto se volta palesemente a far male all’aggressore, lo farà di sicuro infuriare: quindi tenetevi pronte ad affrontare le conseguenze delle vostre azioni.


L’AMBIENTE


Purtroppo la cronaca ci ricorda quasi ogni giorno che essere in mezzo alla gente non è di per sé un fattore di sicurezza. È facile scandalizzarsi leggendo sul giornale che qualcuno è stato aggredito in pubblico senza che nessuno intervenisse, ma non è forse naturale che chiunque assista a una scena di violenza abbia egli stesso paura? E voi cosa fareste? Forse - lo affermo un po’ provocatoriamente - cerchereste intorno a voi un uomo per dirgli di fare qualcosa, e quello a sua volta ne cercherebbe un altro più robusto...
Il discorso ci porterebbe lontano, ma qui dobbiamo limitarci a vedere come potete comportarvi rispetto all’ambiente in cui vi trovate, fermo restando che le tecniche specifiche di difesa verranno illustrate in un altro capitolo.


In casa

Il vantaggio di trovarvi in un ambiente noto è intanto di ordine psicologico, e poi saprete esattamente come muovervi, cosa cercare per difendervi: barricarvi in camera da letto da dove in pochi secondi potrete telefonare al 113 (polizia) o al 112 (carabinieri), [34] rompere il vetro di una finestra o chiamare aiuto se sapete di poter contare sui vicini, correre alla scrivania dove ci sono le forbici o in cucina a prendere un coltello. Ma è inutile dire che se con voi c’è vostro figlio piccolo, dovrete evitare a tutti i costi uno scontro, preoccupandovi anche che il bambino non si faccia prendere dal panico e attiri su di sé la rabbia dell’intruso.
Le scale non sono certo l’ideale per un’aggressione, troppa gente intorno, ma in effetti si tratta di un luogo non infrequente per episodi del genere: se v’inseguono dal basso, non scappate ma afferratevi alla ringhiera e calciate alla testa; se il malintenzionato è in alto, appoggiatevi al muro, lasciatelo avvicinare e cercate di stringergli violentemente i genitali.

In auto

La prima cosa da fare, ovviamente, è cercare di ripartire, o perlomeno di chiudervi dentro e di suonare il clacson con colpi ripetuti (il suono ininterrotto attira meno l’attenzione, perché fa pensare a un banale guasto); dato che non è facilissimo aprire una vettura chiusa, in genere basta questo a scoraggiare il malvivente, che però può avere qualche attrezzo: se traffica per aprire una portiera, cercate di procurarvi uno strumento di difesa improvvisato o contenuto nell’abitacolo ( estintore, chiave inglese, ecc.) altrimenti appoggiate la schiena sul lato opposto e preparatevi ad accoglierlo scalciando; nel caso stesse per rompere un vetro con una mazza, uscire è senz’altro preferibile che rischiare gravi ferite da taglio.
Nell’improbabile caso di un inseguimento, se siete in automobile non impegnatevi in giostre cinematografiche e puntate a raggiungere qualche locale pubblico, alla peggio causate un piccolo incidente che attiri l’attenzione; se siete a piedi abbandonate al più presto il percorso stradale, badando di non peggiorare la situazione andando a finire in un luogo isolato.

Per strada

Una sera tardi, dovendo per forza percorrere da sole un tratto di strada - cosa che evidentemente è opportuno evitare - procurate almeno di non essere abbigliate in modo vistoso o che comunque attiri l’attenzione; gridare “Al ladro!”, come veniva suggerito prima, è meglio che invocare “Aiuto!”, perché in qualche maniera evoca in chi ascolta un fatto specifico, non particolarmente grave; di notte può essere ancora più efficace urlare “Al fuoco!”, richiamo che suscita immediatamente attenzione; per analogia, si può anche pensare al fatto di provocare davvero un piccolo incendio (al cassonetto della spazzatura), ma solo se la cosa richiede un tempo minimo.
Il borseggiatore che si vede scoperto non necessariamente se la dà a gambe e può ritenere più conveniente giocare al rilancio e mollarvi un paio di ceffoni gridando di “tornare a casa!”: palese è lo scopo di far intendere ai passanti che si tratti di una vivace lite familiare, e state pur certe che intorno a voi si creerà un alone di simpatia per quel “poveruomo, chissà quante gliene ha fatte passare quella strega”. Anche qui la generica richiesta di “aiuto” avrebbe poca fortuna, meglio chiedere a gran voce di “chiamare la polizia, è uno scippatore”.
Al rapinatore che vi minaccia, e che non vi sembra il caso di fronteggiare, date senz’altro ciò che chiede, avendo avuto l’accorgimento - soprattutto quando siete in viaggio all’estero - di tenere nel portafogli solo una somma modesta (ma non irrisoria, altrimenti quello mangia la foglia) e il grosso del denaro in una tasca interna dei pantaloni o in qualche altro luogo non del tutto evidente. [35]

Un espediente abbastanza efficace per rimediare al fatto di trovarvi in una strada deserta, consiste nel provocare forti rumori, che magari non faranno accorrere schiere di soccorritori, ma che sicuramente disturberanno l’aggressore, e forse qualche abitante della zona che chiamerà il 113: spesso una botta sulla portiera di un’auto di grossa cilindrata fa scattare l’allarme, una serranda metallica di un negozio se percossa fa un chiasso infernale, come pure una vetrina rotta. Naturalmente non provocate un danno sproporzionato, perché se è in pericolo la vostra vita qualunque mezzo è buono, ma diversamente non sarebbe molto saggio dover rifondere qualche milione per aver impedito un furto modesto.

In treno

Il borseggiatore in metropolitana, una volta che l’avrete colto sul fatto, assumerà un’aria innocente come Gesù bambino: se avete recuperato il portafogli che lui avrà probabilmente buttato sul pavimento, potete anche decidere di chiudere lì la cosa, anche perché non vi sarebbe facilissimo dimostrare l’accusa; se invece avete ottime ragioni per pensare che ce l’abbia ancora lui, mettetegli le mani addosso (ma senza esagerare, perché se non è schedato in questura, può essere lui a portarvi in tribunale e ricavarne un buon risarcimento) e chiedete la collaborazione di un vicino o del guidatore.
Soprattutto nei treni a lungo percorso, operano, da soli o in bande, dei veri professionisti, che spesso usano il sistema di narcotizzare le vittime, con bombolette oppure offrendo bibite drogate: nei vagoni letto o a cuccette dovete concordare coi compagni di viaggio di bloccare la porta con la scaletta, perché chiuderla solo con lo scrocco significa dimenticare che quasi sicuramente i delinquenti dispongono di una chiave; in scompartimento ciò non è possibile, e d’altra parte può risultare complicato organizzare dei “turni di guardia”, che però sarebbero l’unico modo per tenere un minimo la situazione sotto controllo: esiste comunque il freno di emergenza, che non esiterete a usare se le cose si mettono davvero male. In questa, come in altre occasioni, la diffusione dei telefoni cellulari può rivelarsi utilissima, sempre che l’apparecchio non sia nella sua custodia, dove vi verrebbe immediato sottratto, ma, poniamo, nel sacchetto dei panini e dell’acqua minerale.

 


Pensate, Watson, ai fatti di infernale crudeltà, alle malvagità nascoste che continuano per anni, senza che nessuno se ne accorga

A. Conan Doyle, I faggi rossi




NOTE


[11] Letteralmente il luogo della via: è il termine giapponese che indica dove si pratica un’arte marziale. Non una palestra, dunque, ma un luogo in cui imparare a combattere equivale anche a conoscere se stessi.

[12] In realtà mi è capitato di assistere a una dimostrazione in cui un maestro aveva la meglio su tre cinture nere, ma, per l’appunto, era un maestro di grandissima esperienza.

[13] Il termine è fra virgolette per l’ovvia attenzione a distinguere l’assoluta diversità dei rischi: è evidente che un naso rotto è una prospettiva poco simpatica, ma la sua gravità scompare di fronte alla violenza sessuale. D’ora in poi, comunque, queste differenziazioni verranno date per scontate.

[14] È importante ricordare che in Italia sono vietate le bombolette spray con gas lacrimogeno, urticante o paralizzante, perché possono essere considerate alla stregua di armi da fuoco: la sola detenzione, oltre che l'uso contro persone, è reato, come confermato da una sentenza della Corte di Cassazione (22.06.2006). In altri paesi sono piuttosto diffuse, dato che sono pratici da portare con sé, facili e rapidi da usare, efficaci senza per questo essere potenzialmente micidiali come un’arma da fuoco. Comunque potrete sostituirle con una bomboletta di lacca: non ha lo stesso effetto, però risulterà abbastanza irritante da darvi qualche attimo per tentare di sottrarvi al pericolo.

[15] Mi riferisco in particolare all’indecente armamentario di allusioni, ambiguità, riserve mentali, che troppe volte hanno visto la donna che ha subìto violenza trasformata, nelle aule giudiziarie o nei commissariati, da vittima a istigatrice. Ma su questo aspetto molto delicato tornerò nel trattare il tema della “prevenzione” individuale dell’aggressione.

[16] Più avanti vi sarà qualche accenno in merito, ma dato che l’argomento, decisamente complesso e collegato agli esercizi yoga, alle modalità di respirazione, ecc., esula ampiamente da questo breve manuale, si rimanda ai testi indicati in bibliografia.

[17] Adele GRISENDI, Giù le mani!, Ediesse, 1993. Sullo stesso argomento è interessante anche Michael CRICHTON, Rivelazioni, Garzanti, 1993: si tratta di un romanzo, un thriller, che affronta la cosa dal punto di vista dell’uomo molestato da una donna, e che per questo ha suscitato molte polemiche.

[18] Altri fenomeni assai gravi sono quelli delle molestie e delle violenze in famiglia, degli abusi sessuali, della pedofilia: anch’essi, però, sfuggono ampiamente al discorso tecnico che qui affrontiamo.

[19] Ma, anche se sembrerà curioso, dare un buon ceffone è meno facile di quanto sembri e richiede un minimo di perizia, se non altro per non farsi male: ne riparleremo a proposito delle tecniche.

[20] Si tratta di due riflessioni particolarmente delicate e, non potendo in poche righe andare a fondo del problema, sono stato molto incerto se inserirle in questo ambito: il rischio di essere frainteso (“Ecco, avrà tutte le migliori intenzioni, ma in un modo o nell’altro viene poi sempre fuori la connivenza con il resto della specie maschile”) è molto forte. Sconsideratamente, forse, ma con molta onestà, non ho voluto sottrarmi alla necessità di una rapida incursione in questo campo minato.

[21] Ma, con ben altra competenza scientifica, sessuologi e sociologi hanno tentato di definire alcune categorie di massima in cui si possono distinguere i violentatori: cfr. D. DETTORE- C. FULIGNI - F. VITAGLIANO, Donna e abuso sessuale: storia, cultura e terapia, Angeli, 1993, p. 73 e C. VENTIMIGLIA, La differenza negata, Angeli, 1989, p. 29-30.

[22] Che però, come ricordava una giornalista francese, può addirittura trasformarsi in una sorta di stato di guerra, che “fa sfiorare i muri, abbassare la testa, vivere per tutta la vita la paura di rientrare, di uscire”: ivi, p. 30.

[23] “Questo modo di prospettarsi la vita è solo il frutto dei nostri incubi culturali e dei fantasmi dei mass media”: Judith R. WALKOWITZ, Jack lo Squartatore e i miti della violenza maschile, in A. CORBIN (cur.), La violenza sessuale nella storia, Laterza, 1993, p. 162.

[24] È solo per convenzione che immaginiamo la vittima con un aspetto “piacente”: questa caratteristica è ovviamente motivo di maggior attenzione, ma, soprattutto nei casi di violenza carnale, non dimentichiamo che molto spesso età e aspetto non hanno alcuna rilevanza, ovvero, rovesciando gli abituali canoni, possono essere proprio persone lontane dal modello erotico corrente (bambine, donne obese, anziane, ecc.) i bersagli scelti da chi soffre di particolari patologie.

[25] Chi scrive è un convinto antiproibizionista (pur con idee differenziate fra droghe leggere e pesanti), quindi gli accenni alle sostanze stupefacenti, ivi compreso l’alcool, hanno solo il fine di evidenziare la pericolosità specifica degli stati di alterazione.

[26] Non a caso la maggior parte degli incidenti stradali avviene per una totale sottovalutazione delle continue, forti possibilità di contatto con un altro veicolo.

[27] Ma in Questura vi direbbero che i borsaioli non sono così fessi da andare in giro abbigliati come i cattivi di un film giallo. Chi compie un furto o una rapina a volte è un balordo, ma più spesso è una persona che lo fa di mestiere e se permettete ha la sua brava professionalità: se aprire porte chiuse a chiave o sfilare portafogli vi sembra tanto difficile, ricordate che è il suo lavoro, non il vostro.

[28] Non necessariamente di notte, perché in realtà la maggior parte dei furti in abitazione sono compiuti di giorno.

[29] Un fattore che viene quasi sempre ignorato è la paura che ha il malvivente: dato che noi lo vediamo come una minaccia, non riflettiamo sul fatto che la sua è un’attività pericolosa (infatti rischia la galera) e che quindi egli è continuamente in tensione: da qui, più che da una sua malvagità intrinseca, la propensione a risolvere con la violenza un imprevisto o una situazione difficile.

[30] Un funzionario di polizia mi raccontava che nelle sparatorie, peraltro abbastanza rare, in genere hanno la meglio gli agenti per il solo fatto che, disponendo di un poligono, hanno più occasioni per esercitarsi; e tuttavia il delinquente che porta con sé un’arma da fuoco è tanto più pericoloso quanto è inesperto, perché spesso tende a sparare al minimo imprevisto.

[31] Per intenderci, la pistola è quella col caricatore estraibile, mentre la rivoltella, o revolver, ha il tamburo.

[32] Cfr. in appendice la nota sulle norme di legge.

[33] A proposito: anche un bello sputo può servire!

[34] Quando chiedete aiuto per telefono, dite prima di tutto che è un’emergenza, poi dove siete e il vostro nome, e solo in seguito date altri particolari: è un consiglio che, al pari di molti altri, sembra scontato, ma è un fatto che anche le più elementari norme di buon senso nei momenti critici tendono a svanire.

[35] Se in un cassetto di casa o dell’albergo, avrete lasciato le fotocopie dei documenti e delle carte di credito e i duplicati delle chiavi, eviterete notevoli complicazioni.