TINA MODOTTI
ARTE  VITA  LIBERTÀ


Emigrante, operaia, attrice, fotografa nel Messico degli anni venti, antifascista, militante nel movimento comunista internazionale, perseguitata ed esule politica, garibaldina di Spagna


 

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dal sito del Comitato Tina Modotti



Nata a Udine il 17 agosto 1896 e morta a Città del Messico il 5 gennaio 1942.
Dopo l'improvvisa scomparsa, il riconoscimento della personalità umana, artistica e politica di Tina Modotti fu quasi immediato e per alcuni anni la sua vita e la sua opera restarono vive in buona parte dell'America latina. Poi cadde l'oblio, lungo almeno trent'anni. Inquietanti cause di questo silenzio/rifiuto si possono trovare nel mondo reazionario, nel provincialismo, nel dilagante moralismo di questo secolo, contrari alla valorizzazione di una donna libera e inserita nel grande filone della cultura laica.

L'opera di Tina, che si trova in buona parte negli Stati Uniti, venne tenuta nascosta nei cassetti dei Dipartimenti di fotografia per la nefasta influenza del maccartismo che rese impossibile, per molti anni e non solo in America, lo studio e la presentazione di un'artista che aveva creato immagini di qualità e militato nel movimento comunista internazionale.
Anche la Sinistra storica non è esente da disattenzioni nei riguardi di questa friulana d'eccezione.
Oggi sappiamo che non esiste un artista di qualità e un militante di valore, come Tina Modotti, che sia stato trascurato per così lungo tempo dagli storici della fotografia e dalla storiografia politica. Tutto ciò è avvenuto nonostante le novità e il fascino che caratterizzano la sua avventura umana: la sua complessa esistenza appare, con il solo raccontarla, un romanzo.

Assunta Adelaide Luigia Modotti, detta Tina, nasce nel popolare Borgo Pracchiuso a Udine, da famiglia operaia aderente al socialismo della fine Ottocento. Il padre Giuseppe lavora come meccanico e carpentiere, mentre la madre Assunta Mondini fa la cucitrice.
Diventa emigrante all'età di soli due anni, quando la famiglia si trasferisce nella vicina Austria per lavoro. Nel 1905 rientrano a Udine e Tina frequenta con ottimo profitto le prime classi della scuola elementare. A dodici anni, per contribuire al sostentamento della numerosa famiglia (sono in sei fratelli), lavora come operaia in una filanda. Apprende elementi di fotografia frequentando lo studio dello zio Pietro Modotti.
Il padre decide di partire per gli Stati Uniti, presto raggiunto da quasi tutta la famiglia. Tina arriva a San Francisco nel 1913, dove lavora in una fabbrica tessile e fa la sarta; frequenta le mostre, segue le manifestazioni teatrali e recita nelle filodrammatiche della Little Italy.
Durante una visita all'Esposizione Internazionale Panama-Pacific conosce il poeta e pittore Roubaix del'Abrie Richey, dagli amici chiamato Robo, con cui si unisce nel 1917 e si trasferisce a Los Angeles. Entrambi amano l'arte e la poesia, dipingono tessuti con la tecnica del batik; la loro casa diventa un luogo d'incontro per artisti e intellettuali liberal.

Tina nel 1920 si trova a Hollywood: interpreta The Tiger's Coat, per la regia di Roy Clement e, in seguito, alcune parti secondarie in altri due film, Riding with Death e I can explain. Si tratta di una esperienza deludente, che decide di abbandonare per la natura troppo commerciale di quanto il cinema propone. Per la sua bellezza ed espressività viene ripresa in diverse occasioni dai fotografi Jane Reece, Johan Hagemayer e, soprattutto da Edward Weston con cui ben presto nascerà un legame sentimentale.
Il 9 febbraio 1922 Robo muore di vaiolo durante un viaggio in Messico. Tina arriva in tempo per i funerali e scopre, in questa triste occasione, un paese che a lungo l'affascinerà. Rientra a San Francisco per l'improvvisa morte del padre Giuseppe. Alla fine dell'anno scrive un omaggio biografico in ricordo del compagno, che verrà pubblicato nella raccolta di versi e prose The Book of Robo.

A fine luglio 1923 Tina Modotti e Edward Weston (con il figlio Chandler) arrivano in Messico, si stabiliscono per due mesi nel sobborgo di Tacubaja e, quindi, nella capitale. Uniti da un forte amore, vivono entro il clima politico e culturale post-rivoluzionario, a contatto con i grandi pittori muralisti David Alfaro Siqueiros, Diego Rivera e Clemente Orozco, che appartengono al Sindacato artisti e sono i fondatori del giornale El Machete, portavoce della nuova cultura e, in seguito, organo ufficiale del Partito Comunista Messicano.
A contatto con la capacità e l'esperienza di Weston, Tina accelera l'apprendimento della fotografia e in breve tempo conquista autonomia espressiva; alla fine del 1924 un'esposizione delle loro opere viene inaugurata nel Palacio de Minerìa alla presenza del Capo dello Stato.
Fra il 1925 e il 1926, in tempi brevi e diversi, tornano a San Francisco, dove Tina incontra la madre ammalata, conosce la fotografa Dorothea Lange, acquista una camera Graflex. Rientrati in Messico intraprendono un viaggio di tre mesi nelle regioni centrali a raccogliere immagini per il libro di Anita Brenner Idols Behind Altars. Il loro legame affettivo si deteriora e Weston torna definitivamente in California; i contatti continueranno per alcuni anni in forma epistolare.
Tina vive con la fotografia ed esegue molti ritratti, si unisce al pittore e militante Xavier Guerrero (che ben presto andrà a Mosca alla scuola Lenin), aderisce al Partito Comunista, lavora per il movimento sandinista nel Comitato "Manos fuera de Nicaragua" e partecipa alle manifestazioni in favore di Sacco e Vanzetti durante le quali conosce Vittorio Vidali, rivoluzionario italiano ed esponente del Komintern.

Tina trasforma il suo modo di fotografare, in pochi anni percorre un'esperienza artistica folgorante: dopo le prime attenzioni per la natura (rose, calli, canne di bambù, cactus...) sposta l'obiettivo verso forme più dinamiche, utilizza il mezzo fotografico come strumento di indagine e denuncia sociale, e le sue opere, comunque realizzate con equilibrio estetico, assumono di frequente valenza ideologica: esaltazione dei simboli del lavoro, del popolo e del suo riscatto (mani di operai, manifestazioni politiche e sindacali, falce e martello,...). Sue fotografie vengono pubblicate nelle riviste Forma, New Masses, Horizonte. In questo periodo conosce lo scrittore John Dos Passos e l'attrice Dolores Del Rio, ed entra in amicizia con la pittrice Frida Kahlo.
Nel settembre del 1928 diventa la compagna di Julio Antonio Mella, giovane rivoluzionario cubano, con cui Tina vive un amore profondo e al cui fianco intensifica il lavoro di fotografa impegnata e di militante politica.

Ma il loro legame dura pochi mesi, perché la sera del 10 gennaio 1929 Mella viene ucciso dai sicari del dittatore di Cuba Gerardo Machado proprio mentre sta rincasando con Tina, che rimane indignata e scossa da questo dramma e deve inoltre subire una campagna scandalistica con cui le forze reazionarie tentano di coprire mandanti ed esecutori del delitto politico. Partecipa alle manifestazioni in ricordo di Mella e, in segno di protesta, rifiuta l'incarico di fotografa ufficiale del Museo nazionale messicano. Si dedica alla militanza e al lavoro fotografico, realizzando un significativo reportage nella regione di Tehuantepec. All'Università Autonoma di Città del Messico il 3 dicembre si inaugura una rassegna delle sue opere, che si trasforma in atto rivoluzionario per il contenuto e la qualità delle fotografie e per l'infuocata presentazione tenuta dal pittore Siqueiros. La rivista Mexican Folkways pubblica il manifesto "Sobre la fotografia" firmato da Tina Modotti.

Nel frattempo il clima politico é molto cambiato, le organizzazioni comuniste vengono messe fuori legge: il 5 febbraio 1930 Tina viene ingiustamente accusata di aver partecipato a un attentato contro il nuovo capo dello Stato, Pasqual Ortiz Rubio, arrestata ed espulsa dal Messico. Si imbarca sul piroscafo olandese Edam, compie il viaggio fino a Rotterdam assieme a Vittorio Vidali e raggiunge Berlino, dove conosce Bohumìr Smeral, fondatore del Partito Comunista di Cecoslovacchia, lo scrittore Egon Erwin Kisch e la fotografa Lotte Jacobi, nel cui studio espone le opere che aveva portato con sè dal Messico. Tenta di riprendere l'attività fotografica, viene a contatto con le grandi novità dell'informazione giornalistica, specialmente con la stampa popolare di Willy Münzerberg: quotidiani e periodici come il prestigioso Arbeiter - Illustrierte - Zeitung che pubblica fotografie di Tina in diverse occasioni. In ottobre decide di partire per Mosca, dove l'attende Vidali.
Nella capitale sovietica allestisce la sua ultima esposizione, lavora come traduttrice e lettrice della stampa estera, scrive opuscoli politici, ottiene la cittadinanza e diventa membro del partito; abbandona la fotografia per dedicarsi alla militanza nel Soccorso Rosso Internazionale. Fino al 1935 vive fra Mosca, Varsavia, Vienna, Madrid e Parigi, per attività di soccorso ai perseguitati politici.

Nel luglio del 1936, quando scoppia le guerra civile spagnola, assume il nome di Maria e si trova a Madrid assieme a Vittorio Vidali, suo compagno da anni, che diventa Carlos J. Contreras, Comandate del Quinto Reggimento.
Durante tre anni di guerra, lavora negli ospedali e nei collegamenti, stringendo amicizia con altre combattenti come Maria Luisa Laffita, Flor Cernuda, Fanny Edelman, Maria Luisa Carnelli; si dedica ad attività di politica e cultura: scrive sull'organo del Soccorso Rosso Ayuda, nel 1937 a Valencia fa parte dell'organizzazione del Congresso internazionale degli intellettuali contro il fascismo e, assieme a Carlos, promuove la pubblicazione di Viento del Pueblo, poesia en la guerra con le opere del poeta Miguel Hernandez. Ha occasione di conoscere Robert Capa e Gerda Taro, Hemingway, Antonio Machado, Dolores Ibarruri, Rafael Alberti, Malraux, Norman Bethune e tanti altri della Brigate internazionali. Nel 1938 è tra gli organizzatori del Congreso Nacional de la Solidariedad che si tiene a Madrid.

Durante la ritirata, con la Spagna nel cuore, aiuta i profughi che si avviano alla frontiera e si trova in pericolo sotto i bombardamenti. Arriva a Parigi con Vidali. Nonostante sia ricercata dalla polizia fascista, chiede alla sua organizzazione il permesso di trasferirsi in Italia per svolgere attività clandestina, ma le viene negato per la pericolosità della situazione politica.
Maria e Carlos, come tanti altri esuli, rientrano in Messico, dove il nuovo presidente Lazaro Cardenas annulla la precedente espulsione. Conducono un'esistenza difficile e Tina vive facendo traduzioni, si dedica al soccorso dei reduci, lavora nell'"Alleanza internazionale Giuseppe Garibaldi" e frequenta pochi amici, fra cui Anna Seghers e Constancia de La Mora.
Nella notte del 5 gennaio 1942, dopo una cena con amici in casa dell'architetto Hannes Mayer, Tina Modotti muore, colpita da infarto, dentro un taxi che la sta riportando a casa. Come già era accaduto dopo l'assassinio di Julio Antonio Mella, la stampa reazionaria e scandalistica cerca di trasformare la morte di Tina in un delitto politico e ne attribuisce la responsabilità a Vittorio Vidali.

Pablo Neruda, indignato per queste polemiche, scrive una forte poesia che viene pubblicata da tutti i giornali e contribuisce a tacitare lo "sciacallo" che

    ...sul gioiello del tuo corpo addormentato
    ancora protende la penna e l'anima insanguinata
    come se tu potessi, sorella, risollevarti
    e sorridere sopra il fango.

I primi versi sono scolpiti sulla tomba di Tina che si trova al Pantheon de Dolores di Città del Messico. Lungo i decenni dopo la sua scomparsa, in altre occasioni sono stati messi in discussione avvenimenti della vita della Modotti. Soprattutto le circostanze della morte hanno sollecitato interpretazioni diverse, tentativi di scoop giornalistici, ambigue ricostruzioni televisive... Ciò nonostante la biografia di Tina è rimasta sostanzialmente invariata, perché quelle prese di posizione non sono mai state sostenute da rigorose ricerche, da prove o da obiettive e attendibili testimonianze.

Giulia Mattioli

Tina Modotti, in mostra a Parigi lo sguardo nuovo di una donna sulla rivoluzione

da Repubblica, 13.02.2024


Tina Modotti, 1919. Photo by Galerie Bilderwelt/Getty Images

 

Il museo Jeu de Paume ospita la più grande retrospettiva mai realizzata su Tina Modotti, fotografa che visse i tumulti di un'epoca rivoluzionaria e che attraverso i suoi scatti contribuì a plasmare un nuovo sguardo femminile. Una vita da romanzo e un occhio sempre prestato ai più deboli fanno di lei una vera pasionaria, che la grande esposizione racconta in tutta la sua intensità



La parola ‘attivista’ oggi viene usata con una tale superficialità che associarla, come spesso accade, ad una figura come quella di Tina Modotti sembra riduttivo: la sua vita da romanzo e i suoi scatti fotografici ci riconsegnano infatti l’immagine di una vera rivoluzionaria, di una pasionaria, di una donna che sposò le cause sociali in cui credeva. Una scelta coraggiosa in un momento storico in cui gli ideali potevano costare la vita. Alla fotografa italiana il museo parigino Jeau de Paume dedica ora la più grande retrospettiva mai allestita. Si intitola proprio L'oeil de la Révolution - L'occhio della rivoluzione - e ne ripercorre la carriera ma anche l’avventurosa esistenza. 

Fino al 12 maggio, sono esposte più di duecento fotografie, documenti d’archivio e magazine che risalgono all’epoca della sua produzione più intensa, gli anni Venti e Trenta vissuti nel Messico post-rivoluzione che la accolse a braccia aperte e la invitò a far parte di quella cerchia di artisti, intellettuali, esponenti politici e pensatori, che animavano la vita culturale della capitale e la rendevano una vera e propria fucina di idee.


Tina Modotti nel 1921. Photo by Wallace Frederick Seeley/Galerie Bilderwelt/Getty Images 

 

Perché il fuoco non muore: chi era Tina Modotti


Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini - detta Tina - nacque a Udine nel 1896, ma a causa delle condizioni economiche della famiglia migrò da adolescente a San Francisco. Trovò impiego in una fabbrica tessile, e contemporaneamente si avvicinò al mondo della recitazione. Dopo essersi soposata con il pittore e poeta Roubaix de l’Abrie Richey detto Robo, si trasferì a Los Angeles per inseguire la carriera cinematografica, ma l’avventura fu breve perché non le piaceva il modo in cui venivano commentati il suo corpo e il suo aspetto fisico. Preferiva stare dietro la macchina da presa, anzi, dietro l’obbiettivo: sin da ragazzina era stata vicina al mondo della fotografia grazie allo zio che possedeva uno studio, ma fu quando incontrò Edward Weston che la sua vita ebbe una svolta decisiva.

Frequentando il grande fotografo, del quale fu anche modella e poi compagna, Tina Modotti affinò l’occhio e la tecnica, e con lui si trasferì a Città del Messico dove cominciò a scattare sempre più assiduamente. Erano anni di fervore, durante i quali nell’aria si respirava l’idea di una rivoluzione sociale e culturale, ed ebbe modo di conoscere numerosi artisti e intellettuali, entrando a far parte dei loro circoli. Divenne amica stretta (si dice anche amante) di Frida Khalo e di Diego Rivera, di Clemente Orozco, di Pablo Neruda, conobbe e legò con sindacalisti e con esponenti dell’ala più radicale del Partito Comunista Messicano.

Tina Modotti, Woman with Flag, 1927. The Museum of Modern Art, New York 

Tina Modott,i Sickle, Bandolier, Guitar, 1927. Collection and archives of the Fundación Televisa, Mexico 


Si dice che ci siano state due fasi nella produzione fotografica di Tina Modotti: una romantica, fatta di nature morte, fiori e composizioni, e una rivoluzionaria, nella quale i soggetti divennero i lavoratori e le lavoratrici, le donne, i campesinos, i loro attrezzi e le loro mani forti. “Le mani, per Tina, sono l'origine del mondo, creano ogni cosa, trasmettono alla materia lo spirito che emana dal cuore” scrive Pino Cacucci nella biografia Tina. La macchina fotografica era un mezzo di denuncia sociale, la fotografia una forma di contestazione. Non amava essere definita artista, come ci ricorda una delle sue citazioni più celebri: “Sempre, quando le parole arte e artistico vengono applicate al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo. Mi considero una fotografa, niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente perché io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni.”

Importante fu il suo contributo alla formazione di quello che oggi definiremmo female gaze: stanca del modo in cui le donne venivano ritratte, in modo sensuale, allusivo, attraverso uno sguardo patriarcale e machista, Tina Modotti immortalava donne forti, lavoratrici determinate, emancipate, che partecipavano a lotte e movimenti. Con il suo lavoro la fotografa contribuì a costruire una nuova idea di femminile.


Tina Modotti,  Zapotec peasant woman with a jug on her shoulder, 1926. Collection and archives of the Fundación Televisa, Mexico 

Tina Modotti, Untitled (Indians carrying loads of corn husks for the making of tamales), 1926-1929. Donation by the Art Supporting Foundation, John 'Launny' Steffens, Sandra Lloyd, Shawn and Brook Byers, Mr. and Mrs. George F. Jewett, Jr., and anonymous donors

 

L’impegno politico per Tina Modotti divenne sempre più importante e la sua figura sempre più in vista, così come la sua opera fotografica, tanto che le autorità messicane, sul finire degli anni Venti, la presero di mira accusandola di essere coinvolta in omicidi e crimini politici, e cercando di rovinarne la reputazione dipingendola come una donna facile. Fu espulsa dal Messico nel 1930 con un’accusa pretestuosa, e da lì partì alla volta dell’Unione Sovietica dove venne arruolata dalle autorità per missioni di spionaggio, poi si trasferì in Francia e in seguito in Spagna in piena guerra civile. All’instaurarsi del franchismo tornò clandestinamente in Messico assieme all’anarchico italiano (a lei legato, anche sentimentalmente da anni) Vittorio Vidali, ma morì in circostanze mai del tutto chiarite in un taxi della capitale nel 1942. Il decesso venne attribuito ad un infarto, ma furono in molti a sospettare l’omicidio politico.


Tina Modotti,  Man with log, 1928. Collection and archives of the Fundación Televisa, Mexico 

Tina Modotti, Worker reading 'El Machete', 1927. With the kind authorization of the Throckmorton Fine Art Gallery, New York 

 

Pablo Neruda le dedicò una struggente e sentita elegia funebre:

"Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella / Avanzano ogni giorno i canti della tua bocca / nella bocca del popolo glorioso che tu amavi / Valoroso era il tuo cuore… Perché il fuoco non muore".

È difficile condensare in poche righe la vita di Tina Modotti. Ci pensa dunque la grande retrospettiva parigina a restituire l’immagine di questa donna coraggiosa, caparbia, appassionata e guidata da valori di uguaglianza e giustizia sociale. "Il suo lavoro colpisce per l’intensità", si legge in una nota stampa del museo Jeau de Paume. "Combinando l’analisi dell’opera di Tina Modotti con gli eventi storici a cui ha partecipato, questa mostra cerca di rompere con la narrativa romantica di certe biografie per mettere in luce il suo sguardo pionieristico di cittadina del mondo, impegnata nelle lotte del suo tempo".

Attilio Colombo

Intervista a Vittorio Vidali

1983

Ricorda il suo primo incontro con Tina Modotti?

Arrivai a Città del Messico nel settembre del 1927 ed una delle prime persone che conobbi là fu Tina Modotti. Il nostro incontro fu cordiale e da allora stringemmo un’amicizia che durò fino alla morte avvenuta il 5 gennaio 1942.

Da quali esperienze proveniva Tina? Per esempio non le parlò mai della sua vita in Fiuli, della sua emigrazione a San Francisco, del suo incontro con De Richey prima e con Weston poi, dei film interpretati da lei a Hollywood?

Tina era molto restia a parlare del suo passato. Tuttavia in varie occasioni mi parlò della isua vita di giovane operaia tessile a Udine, delle sue emigrazione assieme alla famiglia in Austria, dove il padre lavorava come stagionale; della sua emigrazione negli Stati Uniti col viaggio in terza classe per raggiungere il padre che lavorava a San Francisco in California, dove si trovava anche sua sorella Mercedes, che lavorava da modista. Del marito De Richey, di Weston, delle sue relazioni private era molto riluttante a parlarne e a darne giudizi personali e io non le chiedevo del suo passato, rispettoso della sua vita personale.

Qual’era il clima politico e culturale di Città del Messico dove Tina si stabilì nel 1923 e dove lei arrivò nel 1927?

Il clima politico del Messico degli anni venti era ancora immerso nell’atmosfera attiva e dinamica della rivoluzione del 1910 e delle drammatiche fasi di questa rivoluzione, che era stata la più interessante e la più progressista realizzata fino ad allora nell’ America Latina. Il Messico era diventato un paese molto libero e democratico e in esso si concentravano tutti gli immigrati politici dell’America Latina, in gran parte intellettuali. Era quella l’eopca dell’affermazione dei grandi pittori muralisti Clemente Orozco, Diego Rivera e David Alfaro Siqueiros, delle grandi agitazioni studentesche per l’università autonoma e - attratti dal fascino di questa rivoluzione che aveva come protagonisti Madero, Obregon, Francesco Villa ed Emiliano Zapata - visitarono il Messico scrittori ed artisti di altri paesi, fra cui John Reed, il grande giornalista, scrittore e poeta statunitense.

Nel milieu culturale di Città del Messico, Tina cosa rappresentava?

Nel milieu culturale di Città del Messico. In un primo tempo, suscitò curiosità per la sua nota come fotografa nel bellezza e la sua adesione agli ideali della rivoluzione messicana e per essere la compagna di Edward Weston, già allora noto come grande fotografo. Molti degli intellettuali messicani a San Francisco e a Los Angeles e quando arrivò in Messico per raccogliere le ultime parole di suo marito Rubaix de Richey, si trovò circondata dall’affetto di gran parte del mondo intellettuale messicano.

Quali erano allora i problemi di fondo della società messicana e quale il ruolo che gli intellettuali ritenevano fosse loro riservato?

I problemi della società messicana di allora erano il consolidamento della democrazia, la questione agraria, l’organizzazione dell’istruzione pubblica, e la lotta contro l’anafalbetismo, la lotta contro l’imperialismo e i tentativi statunitensi di impossessarsi di tutte le ricchezze del paese, l’applicazione delle leggi riguardanti le condizioni dei lavoratori e in primo luogo il nuovo codice del lavoro. Il ruolo degli intellettuali in quel periodo era fondamentalmente quello di stare al fianco al fianco dei governi per consolidare le conquiste rivoluzionarie e specialmente per aiutarli a realizzare i programmi dell’educazione pubblica e a sostenere il movimento dei lavoratori. Negli anni venti, il settimanale degli intellettuali El machete, per decisione degli intellettuali stessi, divenne organo del partito comunista messicano.

Nel 1927, Tina lavorava come fotografa, sia scattando ritratti a privati, sia fotigrafando in proprio e realizzando immagini che venivano pubblicate da giornali e riviste e messicane e internazionali. Aveva imparata la fotografia da Weston di cui era stata prima modella. Non l’ha mai vista lavorare? Non le ha mai parlato del suo lavoro di fotografa?

Quando la incontrai per la prima volta, Tina era già nota come fotografa nel Messico e un po’ anche all’estero. Viveva in un appartamento molto modesto, semplice, e si può dire che quanto guadagnava bastava appena per risolvere i suoi problemi materiali. Sì, l’ho vista lavorare ed ero con lei quando fece l’inchiesta sulla miseria nel Messico, al teatro delle marionette e anche in occasione di alcuni suoi ritratti. Però parlava poco del suo lavoro di fotografa.

Tina l’ha certamente fotografata in diverse occasioni. Ci può raccontare come operava? Agiva normalmente con metodo rapido, quasi a rubare l’immagine, o faceva posare a lungo i suoi soggetti, studiandoli per un’interpretazione migliore?

Talvolta fotografava rapidamente, colpita da un paesaggio, dall’atteggiamento di una persona, da un contrasto sociale, da un avvenimento politico, come un’assemblea di contadini o una conferenza operaia. Alle volte, per i ritratti soprattutto, cercava accuratamente la luce, l’interpretazione accurata del soggetto. Ma in generale era molto rapida e sbrigativa.

Il valore delle fotografie di Tina Modotti, al di là del loro fascino intrinseco, è dato dal fatto che esse rappresentano una grande testimonianza della sua tensione umana, sociale e rivoluzionaria. Quali immagini lei reputa più significative di questa perfetta identificazione tra fotografia e rivoluzione?

Personalmente ritengo più aderenti alla sua vita di rivoluzionaria e alla sua tensione sociale quelle fotografie che descrivono la contrapposizione tra la miseria e la ricchezza del paese, la maternità e l’infanzia, la vita dura dei contadini, i pericoli nel lavoro degli operai. Tina era molto apprezzata anche come fotografa delle opere di Diego Rivera, Orozco e Siqueiros, i tre grandi muralisti messicani.

Accanto ai modi operativi appresi da Weston ( la camera formato 20 x 25, le lastre, lo sviluppo curatissimo, la tendenza a sovraesporre il negativo ecc.), Tina caratterizzò molte sue immagini con la ricerca, nel soggetto, del punto ideale in cui una forma conosciuta ( una chitarra, per esempio) oppure nella struttura astratta che la sorregge, quasi ad identificarne l’essenza. Si trattava di macerate strutture linguistiche o tutto riusciva a Tina in modo piuttosto facile?

Questi tipi di immagini di oggetti molto significativi e di uso comune costituivano per lo più il frutto di rapide intuizioni, di scelte immediate e relativamente facili, spontanee in lei, Spesso quest soggetti esprimevano ammirazione per la bellezza di un soggetto , di un fiore, di un accostamento di oggetti. E poi Tina era innamorata della bellezza, della luminosità e dei colori del paesaggio messicano.

I ritratti di persone, le immagini scattate durante le riunioni, le fotografie a carattere più specificatamente “giornalistico”, raccontano di un’ appassionata partecipazione della fotografa alla vita, ai problemi, ai sentimenti della gente che lei ritrae. Ci sa dire qualcosa dei rapporti che Tina aveva con la gente?

Tina era molto legata alla gente e perciò venne indicata molte volte come reporter sociale. Lo si comprese particolarmente quando il suo compagno Julio Antonio Mella venne assassinato nel 1929, e la gente espresse il suo cordoglio con grandi manifestazioni di simpatia per Tina come compagna di Mella, come combattente e come artista. Quando Tina morì, vi furono organizzazioni che presero il suo nome; lavoratori tessili diedero il nome di Tina al loro telaio; tipografi che lo diedero al loro linotype. Le manifestazioni di cordoglio si estesero in tutto il Messico ed in altri paesi dell’America Latina, dove venne ricordata come una donna progressista. In Spagna, il nome di Maria che Tina assunse come nome di battaglia, era ed è ancor’oggi conosciuto ed amato in tutto il paese. Tina era molto amata per la sua gentilezza, per la premura verso chi aveva bisogno del suo aiuto materiale o morale, per la semplicità dei suoi modi, per la generosità e la grande sensibilità verso le persone con cui veniva in contatto. La sua casa molto modesta e poveramente arredata, era un punto di riferimento non soltanto per i messicani, ma anche per gli intellettuali e i dirigenti operai e contadini che erano fuggiti dai rispettivi paesi perseguitati dalle tirannie. Fu sempre molto ospitale e nella sua casa ricevette non solo personaggi come Majakovskij o la Kollontaj, ma anche combattenti come Cesar Augusto Sandino e Farabundo Marty, i cui nomi ancora oggi risuonano in America Latina e specialmente nel Nicaragua e nel Salvador.

Gli anni 1929 / 1930 sembrano segnare una frattura decisiva nella vita di Tina Modotti. È oramai affermata come come fotografa, ha pubblicato su riviste messicane, statunitensi ed europee; ha organizzato una grande mostra delle sue fotografie alla Biblioteca Nazionale di Città del Messico; le hanno offerto di diventare fotografa ufficiale del Museo Nazionale. La morte di Mella e la sua espulsione dal Messico segnano, invece, la fine della sua attività creativa nel campo fotografico. Scrivendo a Weston, nel settembre 1929, Tina dice: “ Penso seriamente di fare una mostra qui, tra non molto. Sento che se devo lasciare il paese, gli devo almeno questo, mostrare quello che può essere fatto, senza dover risalire alle chiesi coloniali, ai charros o alle chinas poplanas o a ribaccia del genere su cui la maggior parte dei fotografi indugia”. Che cosa era per Tina quello che poteva essere fatto?

Non c’è dubbio che l’anno 1929 fu un anno decisivo non soltanto per Tina, ma per l’intero movimento rivoluzionario messicano. La guerra religiosa cominciata nel 1926, terminava con un compromesso col clero, con il Vaticano e col cedimento del governo messicano alle richieste di Washington in merito alla questione agraria e del petrolio. A questa capotolazione , che significava l’apertura di una nuova fase nella vita del Messico, si aggiungeva la repressione organizzata contro tutti i movimenti progressisti ed antiimperialisti, iniziata con l’assassinio di Julio Antonio Mella nel gennaio del1929, con l’inarceramento di molti messicani che avevano lottato per la rivoluzione, con la dichiarazione di illegalità per tutte le organizzazioni antimperialistiche. La mostra delle opere di Tina allestita all’Università Autonoma, presentata da David Alfaro Siqueiros, assunse perciò il carattere di una grande protesta sia contro la miseria che contro la repressione. Infatti nucleo centrale della mostra erano le fotografie dell’inchiesta sulla miseria in Messico in contrapposizione con gli sperperi, la corruzione e i soprusi della nuova borghesia, arricchitasi a spese della rivoluzione. Per quella mostra, e in seguito a n attentato verificatosi contro il presidente della repubblica, organizzato dai cristeros, molti comunisti furono arrestati e fra questi Siqueiros e la stessa Tina.

In Germania nel 1930 e successivamente in Russia fino al 1932, Tina riprese in mano, episodicamente l’apparecchio fotografico. Poi decise di dedicarsi al Soccorso Rosso e divenne, a tempo pieno, organizzatrice rivoluzionaria. Premesso che considero ciò una grande perdita per la fotografia e per la storia del reportage sociale ( di cui il movimento rivoluzionario internazionale offre scarsi esempi alla pari con ciò che Tina ha fatto) chiedo a lei quali ragioni – al di là della necessità del momento spinsero Tina a rinunciare alla fotografia?

Credo che la rinuncia alla fotografia da parte di Tina, anche se meditata, fu di carattere emotivo. Avrebbe potuto conciliare la vita di rivoluzionaria con quella di fotografa. Avrebbe potuto accettare l’offerta del partito comunista sovietico per un lavoro di fotografa. Tina terminò l’ attività di fotografa alla fine del suo soggiorno in Germania e quando arrivò nell’URSS nell’ottobre del 1930 aveva preso questa decisione. Le sue ultime fotografie sono quelle che vengono attribuite alla sua attività nell’URSS, attività che non svolse mai come fotografa. Anch’io riconosco che fu un errore e che Tina avrebbe potuto operare come rivoluzionaria professionale continuando senza particolari impegni a fotografare . E non c’è dubbio che nei suoi viaggi nei paesi europei e durante la guerra civile spagnola avrebbe potuto arricchire il suo patrimonio fotografico e avrebbe potuto così potuto dare un grande contributo di testimonianza di quei tempi.

Dopo il ritorno in Messico, alla fine degli anni trenta, lei non vide più Tina fotografare?

Dopo il 1939, in Messico, Tina fece alcune foto di amici ed un reportage speciale nello stato di Uaxaca, lavorando insieme con Constancia de la Mora per una rivista americana. Ma tanto del reportage di Constancia, quanto delle foto di Tina non è rimasta traccia, perché quel lavoro non venne pubblicato.

Quale sorte ebbero ebbero le lastre e le immagini di Tina? Perché ne sono state salvate così poche? Dove sono gli originali?

Molti originali furono regalati da Tina stessa a persone amiche e quelli rimasti, compresi i negativi, io stesso li ho regalati al governo americano e si trovano nella fototeca di Città del Messico. Mi sono rimaste delle fotografie originali, con le quali ho organizzato delle mostre in molte italiane, a Parigi, a Londra, Lodz, Vienna, Berlino, Amburgo ed Hannover con grande successo di pubblico, di stampa, di bei cataloghi e un’infinità di recensioni positive.

Qual è stato nel dopoguerra l’itinerario che ha condotto ad una sorta di “riscoperta” almeno in Europa e in Italia dell’opera di Tina Modotti come fotografa?

L’iniziativa è partita da Udine, città natale di Tina Modotti dove esisteva un circolo culturale “ Elio Mauro”, animatore del quale era il bravo fotografo ed insegnante di fotografia Riccardo Toffoletti. La prima mostra si fece ad Udine e con essa si pubblicò pure un primo libro su Tina, il cui testo era la riproduzione in italiano di un volumetto in lingua spagnola pubblicato nel Messico con una sottoscrizione popolare qualche settimana dopo la morte di Tina. In seguito di fu il libro pregiato di Mildred Constantine consulente di architettura del Museum of Modern Art of New York, scritto in inglese e tradotto in spagnolo e tedesco, di cui è imminente la pubblicazione in Italia. Altre pubblicazioni sono state quelle organizzate dall’editore Passigli per Idea Editions, in italiano e in francese, tedesco e in inglese. Nel 1982 la Spartafilm di Berlino Ovest ha prodotto un film su Tina Modotti, opera di Ursula Jeshel e Marie Bardischewska. Nello stesso anno è uscito il mio libro Ritratto di donna.

É certamente restrittivo considerare Tina Modotti solo entro questo ambito professionale limitato, sia pure con i gli opportuni riferimenti al mondo culturale e alla temperie storica in cui Tina si trovò a vivere. Lei, che ne ha condiviso intensi anni di militanza e profonde esperienze di vita, come ama ricordarla?

Personalmente amo ricordare Tina, così come l’ho fatto nel mio libro, donna modesta, gentile, dal carattere forte, stoico, intelligente, piena di volontà di lavorare, con forte capacità di abnegazione nella difesa dei suoi ideali. Contemporaneamente amo ricordarla donne dolce, leale, generosa, ricca di femminilità.

Grazie Vittorio Vidali per questo sguardo su Tina Modotti fotografa e sul suo tempo che è stato anche, in parte il tuo !


Giancarlo Bocchi

Tina Modotti

Delle molte vite di Tina Modotti, operaia nelle filande, attrice a Hollywood, musa di artisti e fotografi come Diego Rivera ed Edward Weston, fotografa di fama internazionale, scrittrice di pamphlet, agitatrice politica, si sa molto. Ma c’è un’ultima vita, per molti aspetti ancora sconosciuta e gravida di segreti, che è tuttora avvolta nelle nebbie della Storia.

Ebbe inizio nell’ottobre del 1930 in Unione Sovietica, quando la Modotti dopo l’espulsione per motivi politici dal Messico giunse a Mosca dopo un breve e infelice soggiorno a Berlino. Anche se Tina mascherava i suoi sentimenti citando spesso una frase di Nietzche – «Ciò che non mi uccide mi dà forza» – nell’animo era turbata e smarrita. L’anno prima il suo compagno, il rivoluzionario cubano Antonio Mella, era morto tra le sue braccia in una strada di Mexico City vittima di un agguato politico dai contorni rimasti oscuri. Giunta a Mosca, l’affascinante fotografa dai capelli corvini e dagli occhi di carbone, elegante, con le calze di seta e profumata con costose essenze francesi, scoprì che il suo amico e accompagnatore nel viaggio sul piroscafo Edam dal Messico in Europa, l’agente stalinista Vittorio Vidali, uomo dai mille volti, il 2 ottobre si era sposato usando il nome di copertura di Jorge Contreras con Paulina Hafkina, una giovanissima russa, che aspettava un figlio da lui.

A Mosca Tina era alla ricerca di una nuova vita e di nuovi interessi. Era conosciuta come un’artista della fotografia, ma non era d’accordo se «le parole arte e artistico vengono applicate al mio lavoro… Mi considero una fotografa e niente di più». Invece di fotografare la complessa realtà della prima nazione del comunismo, Tina iniziò a lavorare per il Mopr (Soccorso rosso internazionale). In un documento autografo del 23 novembre 1930 dichiarò che Jorge Contreras (alias Vittorio Vidali) gli aveva consegnato i documenti dei Dipartimenti latino-americano, italiano, portoghese e spagnolo in ordine e aggiornati. Insieme all’ambizioso e spietato, Tina scrisse anche diverse lettere e risolse alcuni problemi delle sezioni canadesi, statunitensi, irlandesi del Soccorso rosso.

A Mosca Tina però non riuscì a fotografare. Perché non fu più capace di ritrovare nelle immagini quella originale sintesi tra forma e ideologia per quale era famosa? La luce slavata e tetra di Mosca, le difficoltà nel trovare i materiali fotografici per la sua Granflex e nell’ottenere i permessi per gli scatti non sono motivi sufficienti a giustificare una crisi artistica così profonda. «Vivo una vita completamente nuova, tanto che mi sento diversa» scrisse a Edward Weston, il grande fotografo americano suo confidente che l’aveva avviata alla fotografia.

Fino a qualche mese prima Tina aveva pensato che le immagini potessero produrre un cambiamento del mondo. Da quando era partita dal Messico con Vidali questo convincimento era stato rimpiazzato dall’idea dell’azione diretta, dell’agire come una vera rivoluzionaria. L’Ufficio speciale della Ogpu (la polizia segreta sovietica antesignana dell’Nkvd) il 12 marzo 1931 ricevette una richiesta da Elena Stassova, presidente di Soccorso Rosso, dove si chiedeva di autorizzare Tina a prendere visione e occuparsi di documenti segreti. La Quinta sezione speciale dell’Ogpu rispose il 24 aprile 1931, autorizzando la Modotti a svolgere quel lavoro segreto.

Da tempo le sezioni segrete di Soccorso rosso e del Comintern (la sezione supersegreta denominata Oss) agivano all’estero in stretta collaborazione e in supporto con i Servizi segreti sovietici, l’Ogpu (che diventerà poi Nkvd) e il Gru dell’Armata Rossa. Anche se Tina era riuscita a vendere l’ingombrante Granflex e a sostituirla con una modernissima (e introvabile in Urss) Leica mod. 1932 con esposimetro incorporato; anche se poteva diventare la fotografa ufficiale di qualche importante istituzione dello Stato sovietico, rifiutò ripetutamente le offerte di scattare foto.

In quei mesi aveva anche chiarito il rapporto con Vidali. In passato non si era preoccupata di avere avventure multiple, ma giunta a Mosca pensava solo ai suoi doveri e alla sua integrità di rivoluzionaria. Per questo scrisse in una autobiografia per presentarsi al Comintern: «Il nome di mio marito è Vittorio Vidali (Jorge Contrera). È di origine italiana. È membro del Partito Comunista ed è da anni rivoluzionario professionista». La sua autobiografia è un documento interessante. Tralasciando il fatto che Vidali avesse sposato qualche tempo prima una giovane russa, nel documento compaio significative omissioni sul passato lavoro di attrice nel cinema di Hollywood o sulla sua storia d’amore con il rivoluzionario Antonio Mella, amico di Andreu Nin, e in odore di trotskismo. Ma questa inconsueta autobiografia dattiloscritta offre anche un interessante spaccato psicologico di Tina. «Quando avevo nove anni mio padre emigrò negli Stati Uniti in cerca di lavoro. Per lunghi intervalli di molti mesi non ricevemmo da lui nessuna notizia né spedì soldi a casa per mancanza di lavoro. Ciò significa che dovevamo vivere praticamente di carità. All’età di 13 anni cominciai a lavorare e da quel momento in poi mi sono sempre guadagnata da vivere lavorando».

Nell’autobiografia del 1932 Tina si sentiva ancora una fotografa. «Considero la fotografia la mia professione perché è quella in cui ho lavorato più tempo e conosco tutte le fasi di questo lavoro». C’è però una nota conclusiva che fa pensare ad altre aspirazioni: «Conosco le seguenti lingue: italiano, spagnolo, inglese, nelle quali so scrivere e leggere. Inoltre conosco il tedesco e il francese, ma non correttamente e senza saperle scrivere».

Vittorio Vidali pensava da tempo che Tina fosse la persona ideale per il «lavoro segreto». Con il suo viso dolce e pulito, la sua eleganza naturale, la sua bella presenza poteva superare ogni confine. E per un agente segreto la fotografia era sempre più un lusso. «Questa rivoluzionaria italiana, artista straordinaria con la sua macchina fotografica, andò in Urss per fotografare la gente e i monumenti. Ma venne rapita dal ritmo incontenibile del socialismo in pieno fer<CW-5>mento e gettò la macchina fotografica nel fiume di Mosca, promettendo di consacrare la propria vita al più umile lavoro del Partito comunista» scrisse nel 1974 Pablo Neruda, amico della Modotti. In realtà Tina, prima di entrare definitivamente nella nuova vita delle ombre, degli specchi, dei misteri e dei segreti non gettò «la macchina fotografica nel fiume di Mosca».

Il 13 giugno 1932 nella stanza che occupava nello squallido e polveroso Hotel Soyuznaya, dopo aver sistemato obiettivo ed esposizione della sua Leica, la porse ad Angelo Masutti un ragazzo sedicenne che aiutava Vidali a Soccorso Rosso dicendogli: «Prendila… e fammi una foto». Il giovane scattò con la Leica una prima foto in controluce e un’altra con Tina semigirata verso la finestra. E poi una terza di Tina con Vidali dall’aria stranamente protettiva. Angelo Masutti fece per restituirle la macchina fotografica, ma Tina lo fermò dicendogli: «Tienila». Era ormai convinta che «Il partito avesse sempre </CW>ragione». E come disse il regista Sergej Eisenstein, «aveva sacrificato l’arte per la politica».

Tina iniziò a svolgere missioni segrete in Spagna, Francia, Germania, portando soldi, documenti, ordini, direttive. L’affascinante ed elegante signora «bela y hermosa» arrivata dal Messico qualche anno prima piena di forza, era diventata una donna silenziosa, triste, spesso depressa. Allo scoppio della Guerra civile spagnola i fotografi Robert Capa, David Seymour e Gerda Taro la incitarono a tornare a fotografare. Ma Tina preferì il lavoro con le autoambulanze e negli ospedali con il nome di battaglia di «Vera Martini» e successivamente con lo pseudonimo di «Maria» tornò al lavoro segreto sempre più triste e spenta.

Non si sa se partecipò ai complotti, alle trappole che portarono alle uccisioni degli oppositori di Stalin, degli anarchici e dei comunisti antistalinisti di Andreu Nin del Poum, delle quali fu accusato più volte «il marito» Vittorio Vidali. Al momento della sconfitta delle forze repubblicane di Spagna era una donna esausta, sofferente, sconfitta. Era invecchiata precocemente. Tornò in Messico e visse ancora qualche anno sempre più stanca, sempre più triste, dilaniata dagli incubi del passato. Morì all’alba del 6 gennaio. Sola, su un taxi nelle vie di Mexico city, dopo una lite con Vidali. Era stata definitivamente fagocitata dalle persone per le quali aveva abbandonato la sua arte.

grazie a: il Manifesto, 8 marzo 2013