Leni Riefenstahl



Helena Bertha Amalie Riefenstahl, detta Leni (1902 - 2003), celebrò il nazismo attraverso un proprio stile cinematografico assolutamente innovativo e destinato a fare scuola.

Durante il periodo degli studi si avvicinò alla pittura e alla danza; nel 1926 iniziò anche a recitare, partecipando al film "La montagna sacra" di Arnold Franck.
Nel 1932 Leni passa dietro la macchina da presa e dirige "La bella maledetta". È in questo periodo che conosce Adolf Hitler, il quale trova la sua opera - e soprattutto lei - straordinari.
Nel 1933 dirige un breve film su un raduno nazista, nel 1935 è regista del documentario "Il trionfo della volontà", un prodotto di propaganda che glorifica la vita del Führer.
L'opera per la quale Leni Riefenstahl è passata alla storia del cinema è "Olympia", girato nel 1936 in occasione delle Olimpiadi di Berlino.

Nel 1940 dirigerà ancora "Bassopiano", che uscirà solo alla fine della guerra mondiale, quando verrà chiamata a rispondere delle sue attività filonaziste.
Nel 1952, Riefenstahl viene prosciolta dalle accuse e, anche per lasciarsi alle spalle la convinta militanza fascista, inizia a collaborare con "Stern", "The Sunday Times" e "Paris Match". Pubblica un libro sul Sudan e, successivamente, un volume fotografico con immagini sottomarine, "I giardini di corallo".

Nel 1987 escono le "Memorie" (pubblicate in Italia col titolo "Stretta nel tempo").
Nell'autunno 2003 muore nella sua casa in Baviera, all'età di 101 anni.

Leni Riefenstahl fu una singolarissima figura del cinema: conosceva perfettamente il sistema di comunicazione visivo, era abilissima nel montaggio, alternava sapientemente sequenze rapide e lente; sapeva intrecciare semplicità e spirito visionario, in ciò, paradossalmente, seguendo gli insegnamenti di Eisenstein e Vertov; usava teleobiettivi e filtri, osava audacissime riprese dall'aereo, in controluce o molto angolate, esasperando tutte le potenzialità dell'impatto emotivo del cinema.
Il fascino esercitato su di lei da Hitler, dalla "superforza umana", dalla potenza che da un singolo uomo si estende a tutto il suo popolo, la portarono ad essere una sorta di occhio del regime, lo strumento per rendere affascinante ed epica la tenebrosa ideologia nazionalsocialista.
"Olympia" insiste ossesivamente sul richiamo alla mitologia greca, con un approccio finalizzato a mostrare la superiorità della razza ariana, anche se, nel suo irrefrenabile vitalismo, osò mostrare la vittoria di un atleta di colore, Jesse Owens.

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