Una donna

Sibilla Aleramo nasce ad Alessandria nel 1876 ed il suo vero nome è Rina Faccio. Trascorre l'infanzia a Milano e poi con la famiglia si trasferisce in un borgo marchigiano dove si sposa a soli 16 anni.
Dal 1902 vive a Roma dove fa la giornalista e nel 1906 pubblica il suo primo libro: Una donna, romanzo femminista che ha grande successo.
Aleramo è una delle prime scrittrici ad affrontare esplicitamente il tema della diversità femminile, descrivendo in modo diretto il mondo interiore femminile in contrapposizione a quello maschile: "Gli uomini ai quali parlo non sanno, quando mi dicono con reale stupore che hanno l'impressione di discorrer con me da pari a pari, non sanno come echeggi penosa in fondo al mio spirito quella pur lusinghiera dichiarazione, a quale insolvibile dramma essa mi richiami."

Nel 1916 s'innamora di quello che è forse il più grande poeta italiano, Dino Campana, e le loro lettere verranno pubblicate nel 1958.
Solo nel 1919 pubblica il suo secondo romanzo, Il Passaggio; altre sue opere furono Andando e stando, Amo, dunque sono, Il frustino, Gioie d’occasione, Orsa minore, Dal mio diario, Il mondo è adolescente; raccolte di liriche: Momenti, Poesie, Sì alla Terra, Selva d’amore, Aiutatemi a dire, Luci della mia sera.

Il suo femminismo non si espresse solo nella scrittura, perché si battè a lungo per la diffusione dell'istruzione nel Mezzogiorno, soprattutto in riferimento all'altissimo tasso di analfabetismo fra le donne.

Nel 1946 si iscrive al PCI e inizia un'intensa attività politica, continuando a scrivere i suoi Diari .

Muore a Roma il 13 gennaio 1960.


È il primo libro femminista uscito in Italia ed è il racconto, fortemente autobiografico, della propria adolescenza e giovinezza: il rapporto con un padre prima venerato e poi rivelatosi vile e spregevole, il suo precoce matrimonio con un uomo violento, la maternità e la presa di coscienza della sua situazione, che la porta ad una svolta radicale della sua vita.

"Mi portò a casa un grosso fascicolo di carta bianca, che guardai sentendo il rossore salirmi alla fronte. Fino a quel punto poteva giungere l’incoscienza? Ma qualche giorno dopo, mentre il bambino era dalle mie sorelle nel tiepido pomeriggio autunnale, io mi trovai colla penna sospesa in cima alla prima pagina del quaderno. Oh dire, dire a qualcuno il mio dolore, la mia miseria; dirlo a me stessa, anzi, solo a me stessa, in una forma nuova, decisa, che mi rivelasse qualche angolo ancora oscuro del mio destino!
E scrissi, per un’ora, per due, non so. Le parole fluivano, gravi, quasi solenni: si delineava il mio momento psicologico; chiedevo al dolore se poteva divenire fecondo; affermavo di ascoltare strani fermenti del mio intelletto come un presagio di una lontana fioritura…"