Le battaglie decisive della lunga marcia

 

La decisione di marciare verso il nord fino alla Grande muraglia implicava la necessità di affrontare gravissimi ostacoli naturali, oltre che militari, soprattutto in quanto la linea sud-nord, che sarebbe stata la più diretta ed ovvia, era bloccata dal nemico: le forze rosse si resero conto ben presto di dover compiere una larga manovra di spostamento verso le zone più selvagge dello Yunnan e dello Szechuan se volevano aprirsi un varco.
In effetti le condizioni naturali di queste zone, incidendo su uomini già stremati, provocarono le più gravi perdite.


Le forze locali del Kweichow erano state scompaginate dalla tattica partigiana rapidissima che le forze rosse adottarono dividendosi in molte colonne, disperdendosi nei villaggi per fare attività di mobilitazione e di propaganda e concentrandosi poi per vibrare brevi attacchi notturni su un nemico avvezzo ad una guerra poco impegnativa. Questa lunga attività di guerriglia era stata resa possibile dalla decisa sconfitta inferta al Kuomintang poche settimane dopo la conferenza di Tsunyi al passo di Loushan, che era considerato la chiave della Cina sud-occidentale. La battaglia fu considerata sempre decisiva nella storia della Lunga marcia. In essa l’avanguardia adottò lo schema tipico delle battaglie di Lin Piao: un lungo lavoro di agitazione tra i contadini, una serie di finte e di movimenti miranti a disorientare il nemico, una lenta ritirata (durò cinque giorni) verso un passo montano naturalmente impervio, e qui un breve attacco notturno condotto con estrema concentrazione di forze e contando sulla sorpresa: nove nuovi reggimenti del Kuomintang erano caduti nella trappola.


Traversata nella primavera la lussureggiante regione subtropicale dello Yunnan, le forze rosse giunsero ad uno dei punti più difficili della loro impresa: erano ancora a sud dello Yangtze, il grande fiume della Cina meridionale, la barriera che tradizionalmente le armate ribelli non riuscivano a passare. Chiang Kai-shek lo sapeva benissimo e sperava ancora di fermare e di annientare i suoi nemici, benché questi avessero risalito a monte le acque del grande fiume (che nello Yunnan si chiama Chinsha), aveva militarizzato tutti i traghetti ed aveva posto truppe fedeli di sentinella in tutti i punti nei quali il passaggio avrebbe potuto essere tentato.


Ma la fortuna, l’inganno e l’inefficienza del nemico assistettero ancora una volta le forze rivoluzionarie: fingendosi reparti del Kuomintang rimasti dispersi sulla riva meridionale (e forse anche corrompendo i battellieri ) alcuni reparti riuscirono a catturare un certo numero di barche, a farsi portare sulla riva settentrionale, cogliendo nel sonno la guarnigione di guardia al traghetto e assicurando con ciò all’intera forza dei rossi la possibilità di passare il grande fiume in condizioni quasi normali.
L’impresa avrebbe richiesto molto tempo, perché anche i traghetti erano pur sempre barconi (sei barconi esattamente) e le forze rosse, completate da nuovi guerriglieri reclutati nello Yunnan e nel Kweichow, non erano molto al di sotto dei 50 mila uomini: ma neppure un guerrigliero morì nella traversata.


Dopo una catena di montagne abitata da minoranze primitive, un altro fiume aspettava le forze rivoluzionarie che stavano attraversando in linea retta la regione selvaggia tra Sikang e Szechuan: il fiume Tatù, una valanga di acqua di montagna, che terrorizzò le avanguardie che dall’alto delle montagne una notte ne sentirono per prime il rombo tra le gole. Il Tatù aveva infatti una pessima fama nella storia delle lotte rivoluzionarie cinesi: fino alle sue acque impetuose erano riusciti a giungere anche gli ultimi superstiti dei T’ai-p’ing guidati da Shih Ta-k’ai, ma la vendetta dei proprietari terrieri li aveva raggiunti prima che passassero il fiume.



Nel borgo di Anshunchang, sulla riva meridionale, convennero tutti i dirigenti del partito e dell’esercito e tennero consiglio di guerra. In un primo tempo si sperò di potersi servire come sempre di un traghetto: ed infatti la fortuna assistette i rossi, che riuscirono a catturare una barca, a forzare il blocco della riva settentrionale e a conquistare i due imbarcaderi; ma non era pensabile di traghettare l’intero esercito per la rapidità delle acque, la lentezza della traversata e la fragilità delle barche. Passarono alcune migliaia di uomini dell’avanguardia, ma il grosso dovette tentare un’impresa anche più difficile: 200 chilometri a monte di Anshunchang esisteva l’unico ponte sul Tatù, il ponte di Lu Ting. Come tutti i ponti del Szechuan occidentale era una passerella alta sulle acque e senza sponde, retta da catene secolari di ferro fissate alle rocce dalle due parti ed oscillante al vento. L’instabile impiantito era costituito da larghe tavole di legno e le due testate del ponte erano - ovviamente - presidiate dal nemico. Le forze rosse dovettero ingaggiare un’altra gara contro il tempo, perché per controllare il ponte stavano arrivando le temute truppe speciali di Chiang.

Quando l’avanguardia giunse a tappe forzate presso il ponte, dopo aver coperto più di cento chilometri in un giorno per distaccare un reparto di truppe scelte del Kuomintang in marcia dall’altra parte, ebbe la tragica sorpresa di scoprire che le assi dell’impiantito erano state rimosse e che soltanto le catene nude dondolavano al vento: dalla riva opposta la guarnigione del Kuomintang faceva beffe invitando i rossi a volare.

Dopo breve consiglio di guerra e dopo aver piazzato le poche mitragliatrici disponibili a copertura della testata del ponte, la cui guarnigione occidentale era stata già quasi annientata, furono estratti a sorte 22 dei molti volontari che si erano offerti di tentare il passaggio a forza di braccia, reggendosi alle nude catene. Alle loro spalle furono fissate dodici granate e una pistola per ciascuno: con molta lentezza e sotto il tiro delle mitragliatrici nemiche, una parte dello sparuto gruppo riuscì a giungere viva all’altra riva del fiume e a colpire i difensori del fortino nemico, tacitandone il fuoco per un periodo sufficiente a consentire ai compagni di piazzare le nuove assi (nel frattempo preparate) e di giungere in rinforzo.
Anche la divisione di avanguardia che aveva passato il fiume ad Anshunchang giunse a questo punto a dar man forte ai conquistatori del ponte e a sgominare la guarnigione impedendole di dar corso all’ordine tassativo di Chiang Kai-shek di far saltare con cariche di esplosivo le attaccature delle catene sul monte qualora il ponte fosse stato perduto: ma non è impossibile che i montanari dello Szechuan che facevano la guardia per il Kuomintang abbiano pensato che per una battaglia poteva valer la pena di bruciare l’impiantito del ponte, ma non di far crollare nelle acque quelle secolari catene, che le scritte nella roccia celebravano come una sfida dell’uomo alla natura.