GLOSSARIO DI ECONOMIA

D - O

Debito

Somma di denaro dovuta a un terzo e rimborsabile secondo condizioni (interesse, termine) stabilite quando il debito è stato acceso (prestito, acquisto a credito, non esecuzione di un'obbligazione legale o contrattuale). L'ammontare totale dei debiti di una persona o di un agente si chiama indebitamento. L'indebitamento eccessivo indica la situazione nella quale la persona indebitata non è più in grado di fare fronte ai propri impegni: questa situazione corrisponde, per una persona fisica, alla dichiarazione di insolvenza di una persona giuridica.
Il debito pubblico rappresenta l'indebitamento dello stato e degli organismi pubblici di cui assicura la tutela finanziaria (difficoltà territoriali, organismi sociali finanziati attraverso contributi legali, imprese pubbliche dotate di un particolare statuto e non soggette al diritto commerciale, prestiti effettuati da organismi che godono della garanzia dello stato). Il debito pubblico può essere lordo (si tratta della somma di tutti i debiti) o netto (in questo caso si deducono i crediti dello stato e degli organismi su cui esercita la tutela finanziaria).
Il debito estero misura l'indebitamento di tutti gli agenti economici di un paese nei confronti dell'estero. Nei paesi con un basso grado di solvibilità solo lo stato ha la capacità finanziaria di indebitarsi presso agenti esteri: il debito estero si riduce a quello che si chiama il debito sovrano (debito dello stato). Il debito estero può essere multilaterale (sottoscritto presso organismi multilaterali come il Fondo monetario internazionale o la Banca mondiale), pubblico (sottoscritto presso altri stati), bancario (sottoscritto presso organismi finanziari) o commerciale (legato alla fornitura di merci a credito).

Deficit o disavanzo

Situazione di un conto nel quale, nel corso di un dato periodo di tempo (generalmente un anno), le spese sono superiori alle entrate.
Nel caso di un'impresa si preferisce utilizzare il termine perdita. Il termine deficit o disavanzo si impiega soprattutto in due casi: per i conti pubblici (disavanzo del Bilancio dello stato, dei conti della previdenza sociale, ecc.) e per la bilancia estera (bilancia commerciale, bilancia delle partite correnti). Il disavanzo dei conti pubblici può essere una previsione (disavanzo del Bilancio dello stato o, più esattamente, della legge finanziaria, poiché il progetto di Bilancio, una volta adottato dal Parlamento, diventa una legge) o una constatazione (si parla allora di disavanzo della legge di approvazione del Bilancio consuntivo, che chiude i conti di un dato anno). L'esistenza di deficit di Bilancio (è così che si chiama in genere il disavanzo di una legge finanziaria o di una legge di Bilancio consuntivo) non è necessariamente l'indicatore di una cattiva gestione. Ciò per due motivi. La ragione secondaria è che il disavanzo può derivare da una serie di investimenti pubblici (strade, infrastrutture, scuole, università, ecc.) superiore all'eventuale eccedenza delle entrate sulle spese di funzionamento: una situazione classica in un'impresa, quando quest'ultima anticipa sui ricavi futuri e finanzia tutti o parte dei suoi investimenti attraverso prestiti. Allo stesso modo gli investimenti pubblici rappresentano una spesa immediata che deve tradursi in servizi pubblici più competitivi o in infrastrutture di migliore qualità di cui beneficerà l'intera società. Si può quindi pensare che questi investimenti - a condizione che non si tratti di spese voluttuarie o superflue - produrranno un supplemento di benessere e di efficienza; e non è assurdo ipotizzare che le entrate fiscali aumenteranno di conseguenza, permettendo così di rimborsare i prestiti prodotti da questi investimenti.
Ma stranamente sono in pochi - forse perché il bilancio dello stato presenta la previsione sia delle spese di funzionamento che delle spese di investimento - a distinguere tra questi tipi di investimenti.
La ragione principale è che lo stato non è un operatore come gli altri. Il suo scopo non è quello di massimizzare le entrate, ma di aiutare la società a essere più efficiente e più egualitaria. Agisce quindi in nome dell'interesse generale. Può succedere però che l'interesse generale richieda una crescita maggiore, ad esempio per ridurre il peso della disoccupazione o per finanziare più facilmente le spese collettive ritenute necessarie. Se la crescita è frenata da un'insufficienza della domanda, l'interesse generale può allora richiedere che lo stato, in nome dell'interesse generale, spenda di più senza aumentare i prelievi. Non solo è l'unico agente a poterlo fare agevolmente (perché, al contrario di un'impresa o di un privato, non può avere problemi di pagamento: salvo rarissime eccezioni, lo stato paga sempre i suoi debiti), ma è anche l'unico che può accettare di farlo, poiché non è mosso dalla prospettiva di recuperare i propri fondi ma dal rilanciò dell'attività a vantaggio di tutti. In altri termini lo stato è potenzialmente generatore di un bene collettivo rappresentato dal miglioramento della situazione economica e del livello di attività.
Questo bene collettivo può giustificare un aumento della spesa pubblica finanziata attraverso il prestito (perché se fosse finanziata attraverso le imposte, il supplemento di prelievo annullerebbe l'effetto di rilancio generato dal supplemento di spesa). Certamente alla lunga si dovrà rimborsare il prestito, ma se si verifica la crescita, il supplemento di imposte che ne risulterà permetterà di pagare tutto o parte di questo debito supplementare.
In caso contrario lo stato ha sempre la possibilità di aumentare i suoi prelievi. Come si vede il disavanzo pubblico ha sempre un costo: è portatore di imposte future, se non di imposte più pesanti. Per questo motivo il disavanzo pubblico dev'essere analizzato seriamente e giudicato non in funzione di criteri contabili, ma in funzione di criteri economici: permette all'attività economica di progredire? Se sì, in che proporzioni? Sfortunatamente anche qui il giudizio contabile ha troppo spesso il sopravvento sul giudizio economico, e l'opinione pubblica ha sempre tendenza a considerare eccessiva la spesa dello stato.
Il deficit dei conti con l'estero è di natura molto diversa. Deriva dal fatto che l'attività economica del paese provoca un'uscita di valute superiore alle entrate. Questa è una situazione che non può durare a lungo, a meno che il paese in questione - che si tratti dello stato o di agenti privati come le banche, alcune imprese private, ecc. - non abbia la possibilità di attirare investimenti esteri (diretti o di portafoglio, cioè con l'acquisto di titoli quotati in Borsa) o di indebitarsi stabilmente.
In altri termini il disavanzo dei conti esteri pone subito il problema del vincolo estero: la politica economica del paese deficitario (tasso d'interesse, imposte sui profitti, ecc.) deve essere orientata in base alle esigenze dei finanziatori, con il rischio di dover eliminare il disavanzo delle partite correnti, cioè di ridurre l'attività (perché il modo più efficace per ridurre il livello delle importazioni consiste nel ridurre l'attività, il che però aumenta inevitabilmente la disoccupazione). L'eccezione americana in realtà non è veramente tale: infatti si tratta di un paese che accumula disavanzi esteri da decenni, ma ciò è possibile perché può indebitarsi nella sua moneta, cioè finanziare i suoi disavanzi esteri utilizzando la sua moneta. A queste condizioni il vincolo estero viene meno.

Deflazione

Situazione nella quale l'attività economica di un paese è attirata in modo cumulativo verso il basso: la discesa dei prezzi genera quella dei redditi, questa a sua volta produce una riduzione della domanda, che spinge i produttori a ridurre ulteriormente i prezzi e così via.
La deflazione, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non è l'opposto dell'inflazione. Si tratta, certo, di una situazione in cui i prezzi tendono a scendere al contrario dell'inflazione, ma questa riduzione è provocata da una debolezza della domanda e, allo stesso tempo, tende a rafforzarla. Si tratta quindi di una riduzione dei prezzi e dell'attività economica, una riduzione dei prezzi provocata da una riduzione dell'attività. Il contrario dell'inflazione è la disinflazione, cioè è una situazione nella quale l'aumento dei prezzi tende a rallentare. La difficoltà è che spesso è difficile distinguere tra disinflazione e deflazione, perché è difficile sapere se un rallentamento dell'aumento dei prezzi provocherà, come effetto di ritorno, una riduzione di alcuni redditi (quelli dei commercianti, ad esempio, che devono rimborsare i prestiti con redditi che non aumentano e anzi si contraggono) e quindi l'avvio di una dinamica deflazionista. Un tipico esempio di deflazione fu quello provocato nel 1935 dal presidente del consiglio Laval (durante la III repubblica francese): per ridurre il disavanzo di Bilancio che aumentava a causa della crisi (che, riducendo l'attività economica, riduceva anche le entrate fiscali) ebbe l'idea di ridurre del 10% gli stipendi dei dipendenti pubblici. Risultato: pagati di meno, i dipendenti statali spesero di meno e ciò aggravò l'insufficienza della domanda di cui soffriva allora il paese. E l'anno seguente i dipendenti pubblici votarono in massa per l'opposizione portando al potere il Fronte popolare.

Deindicizzazione

Con questo termine si indica il graduale abbandono dei meccanismi di indicizzazione.
La diffusione di questi ultimi ha avuto luogo soprattutto negli anni '70 e nei primi anni '80 in seguito al manifestarsi di una elevata inflazione: il problema da risolvere era quello di preservare il potere di acquisto di alcune grandezze monetarie, come per esempio i salari e gli affitti, dall'erosione provocata dall'aumento dei prezzi. Il valore di tali grandezze veniva, in sostanza, collegato con l'aumento dei prezzi: in presenza di una indicizzazione completa, se in un determinato anno i prezzi fossero cresciuti, ad esempio, del 10%, si sarebbe avuto alla fine di quell'anno un incremento del salario o degli affitti del 10%. In questo modo alla fine dell'anno il potere di acquisto dei salari o degli affitti sarebbe stato identico a quello di un anno prima.
Nel complesso, tutti i meccanismi di indicizzazione adottati hanno difeso solo parzialmente le grandezze monetarie, anche in presenza di indicizzazioni complete: una indicizzazione veramente completa avrebbe infatti dovuto consentire l'adeguamento del salario istantaneamente rispetto all'incremento dei prezzi e non solamente alla fine dell'anno.
Più spesso, i meccanismi di indicizzazione adottati prevedevano un'indicizzazione solo parziale delle grandezze monetarie. Gli affitti, ad esempio, vengono fatti crescere in una misura pari ai tre quarti del ritmo di crescita dei prezzi. La diffusione dei meccanismi di indicizzazione salariale in Italia, attraverso la cosiddetta scala mobile è stata dovuta sia alle lotte dei lavoratori sia alla necessità da parte dei governi e della grande industria di mantenere un quadro di certezza fissando una volta per tutte le regole degli aumenti salariali.
Questo quadro si è andato rapidamente modificando nella seconda metà degli anni '80, periodo in cui i meccanismi di indicizzazione sono stati via via neutralizzati (deindicizzazione, appunto). Da un lato infatti i meccanismi di indicizzazione sono stati accusati di causare essi stessi l'aumento dell'inflazione, innescando una spirale salari-prezzi; dall'altro i governi dei paesi occidentali hanno provveduto a combattere l'inflazione comprimendo i consumi e il potere di acquisto delle retribuzioni; infine, le condizioni e i rapporti di forza sul mercato del lavoro, spostatisi drasticamente a favore dei datori di lavoro, hanno favorito il rapido abbandono dei meccanismi di indicizzazione.

Delocalizzazione

Indica lo spostamento di un'unità produttiva da un luogo a un altro, sia nell'ambito di uno stesso paese sia all'estero.
Classicamente, questo processo viene attuato dalle grandi multinazionali che spostano la loro attività produttiva laddove ritengono sia più conveniente. Il termine delocalizzazione viene tuttavia adottato anche per indicare tutti quei casi in cui una certa attività produttiva (o meglio una parte di essa) viene chiusa in un in un paese semplicemente perché gli stessi prodotti vengono acquistati presso un'impresa di un paese estero. In questo caso è; chiaro che il concetto di delocalizzazione confina con quello di ristrutturazione.
La delocalizzazione di un'unità di produzione è legata alla ricerca di un minor costo di produzione. Questo risparmio può interessare il costo salariale (trasferimento di attività verso paesi a salari più bassi) o il livello fiscale. Ma può accadere anche che il trasferimento consista nel raggruppare in uno stesso posto attività fino ad allora effettuate in luoghi diversi: lo scopo di questo raggruppamento è quello di realizzare delle economie di scala. Uno degli esempi più noti di questo tipo è quello del trasferimento nel 1992 dell'impresa Hoover di Digione in un altro stabilimento dello stesso gruppo in Scozia. Sebbene questo trasferimento sia stato generalmente presentato come legato ai salari scozzesi, più bassi rispetto a quelli francesi, la ragione principale della direzione del gruppo, che cercava di contrastare la perdita di quote di mercato, era quella di raggruppare in un solo centro la produzione fino ad allora effettuata in due stabilimenti diversi.
Le delocalizzazioni sono state presentate come una delle principali fonti potenziali di perdita di occupazione in Francia: di fronte a divari del costo salariale dell'ordine di 1 a 100, le imprese avrebbero tendenza a privilegiare questa forma di riduzione dei costi. In alcuni settori come quello tessile questo discorso è certamente vero, e la concorrenza dei paesi a bassa retribuzione salariale è forte, sia come subappaltatori che come paesi di insediamento di filiali rivolte all'esportazione. Tuttavia gli studi condotti nel settore mostrano che questa concorrenza spiega solo una parte minima delle soppressioni di posti di lavoro in questi settori di attività (al massimo uno su quattro negli ultimi dieci anni). La maggior parte dei posti è stata invece soppressa a causa di aumenti di produttività particolarmente elevati, che hanno provocato l'espulsione di manodopera. Inoltre i settori minacciati sono pochi per motivi legati alla qualità, alla difficoltà di comunicazione o alla rapidità di consegna. Escluso qualche raro settore, dunque, si può dire che le delocalizzazioni hanno avuto effetti trascurabili.
La recente, vasta popolarità del termine delocalizzazione va senz'altro collegata all'altrettanto vasta popolarità goduta da termini come globalizzazione e mondializzazione, coniati ex novo per descrivere fenomeni che esistono in realtà da sempre e che da sempre sono associati alle dinamiche delle economie di mercato. Dietro la loro apparente neutralità c'è anche la volontà di creare un clima di emergenza per indebolire il potere contrattuale dei lavoratori soprattutto nelle aree depresse. In Italia, l'adozione di misure volte a ridurre i costi legati all'utilizzo della forza lavoro si sono concretizzate con l'introduzione delle gabbie salariali e dei patti territoriali, soprattutto al Sud.

Deregolamentazione

Adattamento del termine inglese deregulation che indica il libero gioco dei meccanismi di mercato e la soppressione o la riduzione delle regole, delle limitazioni e degli interventi pubblici.
La deregolamentazione è cominciata all'inizio degli anni Ottanta, quando Ronald Reagan ha deciso di lasciare che nel campo dell'aviazione civile la libera concorrenza si sostituisse a una complessa regolamentazione, che attribuiva a ogni compagnia aerea un certo numero di linee e che concedeva l'autorizzazione a sfruttare queste linee in cambio del rispetto di tutta una serie di vincoli.
Per i liberisti questo intervento pubblico, provocando una limitazione alla concorrenza, era fonte di inefficienza.

Dichiarazione di insolvenza

Constatazione effettuata da un tribunale di commercio dell'incapacità di una persona giuridica a saldare i suoi creditori secondo le modalità previste, in mancanza di fondi.

Direttiva europea

Testo di portata generale emesso dai servizi della Commissione europea, dopo approvazione del Consiglio dei ministri dell'Unione europea, e che ogni paese membro deve obbligatoriamente integrare nella propria legislazione nazionale.

Disinflazione

Decelerazione del ritmo di aumento dei prezzi. Può sfociare in una deflazione. Si parla di disinflazione importata quando il prezzo dei prodotti importati tende a diminuire a causa di un aumento del tasso di cambio della moneta nazionale.
La disinflazione competitiva è un termine introdotto negli anni Ottanta, in risposta alle critiche di chi riteneva che la riduzione dell'inflazione avrebbe potuto provocare un aumento della disoccupazione. Al contrario i sostenitori della disinflazione competitiva hanno sviluppato l'idea che anche una piccola riduzione dei prezzi era portatrice di una maggiore domanda: prima di tutto dall'estero, perché se i prezzi aumentano meno rapidamente significa che i prodotti nazionali conservano o migliorano la loro competitività e poi sul mercato interno, perché il potere di acquisto dei consumatori e degli investitori è meno danneggiato da un aumento dei prezzi più lento. Tuttavia l'esperienza ha mostrato che la disinflazione, anche se competitiva, esercita sulla domanda un effetto di freno anziché di accelerazione. In altre parole, per ridurre il ritmo di aumento dei prezzi si comprimono gli aumenti dei salari e questa compressione riduce ancora di più la domanda che il sovrappiù di competitività non permette di aumentare.

Disoccupazione

La disoccupazione è una condizione che indica l'impossibilità di svolgere un'attività lavorativa da parte di un qualsiasi individuo disposto a lavorare: si tratta dunque di una condizione subita involontariamente.
Questa definizione (e molte altre analoghe) che a prima vista sembra chiara e intuitiva, non si è mai rivelata del tutto efficace in sede di misurazione del fenomeno: i frequenti cambiamenti nel mercato del lavoro, le consuetudini locali, il lavoro nero, la complessità dei sistemi produttivi, ecc. in un modo o nell'altro hanno reso difficile sia la quantificazione esatta della disoccupazione che in confronti internazionali.
A livello territoriale (nazione, regione, provincia, comune, ecc.) una misura complessiva della diffusione della disoccupazione viene solitamente fornita attraverso il numero dei disoccupati o attraverso il tasso di disoccupazione. Negli ultimi anni i criteri e le definizioni sono stati abbastanza uniformati, secondo le raccomandazioni degli enti internazionali, in particolare del Bureau International du Travail (Bit): a tali criteri generali si è adeguato anche l'Istat, che con cadenza trimestrale diffonde i dati sulla situazione del mercato del lavoro italiano ottenuti attraverso un'indagine campionaria.
Dalla misurazione della disoccupazione sono escluse tutte le persone che non sono in condizione lavorativa (le cosiddette non forze lavoro) ossia i giovani con meno di 15 anni, le casalinghe, gli studenti, i ritirati dal lavoro (pensionati, invalidi, ecc.), gli inabili, i militari di leva e tutti coloro che, pur non lavorando, non hanno cercato attivamente lavoro nell'ultimo mese.
Tutti questi soggetti non rientrano nel calcolo della disoccupazione: si tratta evidentemente di un criterio discriminante molto selettivo, reso ancor più selettivo negli ultimi anni. Gli individui restanti costituiscono invece l'insieme delle forze lavoro, e possono a loro volta essere distinti in due categorie: le persone occupate e quelle in cerca di occupazione. Vengono considerati occupati tutti coloro che hanno lavorato almeno un'ora nell'ultima settimana. A questo punto, il tasso di disoccupazione non è altro che la proporzione di quanti risultano, secondo le definizioni adottate, disoccupati, rispetto a tutti coloro che costituiscono le forze lavoro.
È evidente come tale tipo di misura diventi via via più insoddisfacente, soprattutto per la maggiore articolazione delle tipologie di rapporto di lavoro che si vanno via via diffondendo: part-time, lavoro interinale, lavori atipici. Senza contare poi altri aspetti il cui peso è assolutamente rilevante, quali (ad esempio) il lavoro nero, e quello prestato dagli immigrati, in regola e no.

Divisa

Moneta estera convertibile. In altre parole una moneta che gli istituti di emissione accettano che sia comprata o venduta in cambio di altre monete su un mercato dei cambi.
Il dollaro costituisce la divisa più importante: circa la metà degli scambi di monete che si effettua nel mondo riguarda il dollaro contro un'altra moneta. Il marco è in seconda posizione (circa il 18%), poi viene lo yen (15%), la sterlina (7%), mentre le altre monete si dividono il resto.

Divisione internazionale del lavoro

Designa la situazione in cui alcuni paesi si specializzano in attività diverse, ognuna delle quali genera esportazioni verso quei paesi che non le esercitano.
La divisione internazionale del lavoro si basa sull'analisi dei vantaggi comparati e dovrebbe portare un surplus di efficienza alla Comunità mondiale. Tuttavia la questione è molto controversa. La divisione tradizionale del lavoro contrappone paesi che esportano principalmente prodotti manifatturieri a coloro che esportano prodotti grezzi (o materie prime). I teorici dell'economia dello sviluppo hanno fatto notare che a causa delle diverse elasticità della domanda, i guadagni di produttività realizzati nelle materie prime tendevano a trascinare i prezzi verso il basso, mentre per i beni manifatturieri i guadagni di produttività potevano essere conservati dai produttori e quindi alimentare investimenti e potere di acquisto nei paesi produttori. Accanto a questa divisione tradizionale del lavoro fra nazioni si va sempre più affermando una nuova divisione internazionale del lavoro, che interessa i paesi a basso salario e gli altri: i primi offrono prodotti manifatturieri che incorporano lavoro poco qualificato, i secondi prodotti manifatturieri che incorporano lavoro mediamente o fortemente qualificato.
Questo ragionamento non è sbagliato, ma la realtà sembra più complessa: la parte fondamentale del commercio internazionale si compie tra paesi industrializzati da molto tempo e riguarda lo scambio di merci con un grado di complessità simile: il modello Fiat/Mercedes, l'Italia esporta vetture di un certo tipo e anche la Germania esporta automobili, ma di altro tipo. La divisione internazionale del lavoro si basa quindi su prodotti simili, e si spiega più con la ricerca di economie di scala che portano a particolari specializzazioni internazionali, intersettoriali (in un paese i monitor, nell'altro i processori), che attraverso considerazioni di costi relativi.

Domanda

Indica l'insieme degli acquisti effettuati in un'economia, che provengano dalle famiglie per il loro consumo (domanda finale di consumo), dalle imprese (domanda di beni o di servizi intermedi, richiesta di beni di investimenti) o dai servizi pubblici.
La domanda non deve essere confusa con il bisogno: essa si accompagna a un acquisto, mentre il bisogno può non essere soddisfatto, in mancanza dell'adeguato potere di acquisto. La domanda è quindi regolata dal prezzo (questo non significa ovviamente che sia determinata solamente da questo: la moda, la pressione sociale, il bisogno di riconoscimento, ecc., sono altrettante variabili che spiegano il contenuto e l'importanza della domanda). Ciò spiega perché gli economisti parlano di curva della domanda: tenuto conto del modo in cui reagisce la domanda quando i prezzi variano o quando il reddito degli acquirenti si modifica, gli economisti disegnano una curva che lega l'ammontare della domanda al livello dei prezzi. Il più delle volte la domanda è una funzione inversa del prezzo: quando questo diminuisce, la domanda aumenta. Può accadere però che per alcuni beni questo collegamento non sia vero: la riduzione di prezzo invece di provocare un aumento della domanda la riduce. Sono i cosiddetti beni Veblen (dal nome dell'economista americano che per primo ha messo in luce questo fenomeno); il caso ad esempio del whisky: il consumatore di base non è in grado di giudicare la qualità delle varie marche che gli sono proposte. Ha quindi tendenza a prendere il prezzo come un indicatore di qualità: se il prezzo di una marca diminuisce, un certo numero di consumatori interpreterà questa riduzione come indice di una minore qualità e si rivolgerà a prodotti più cari. Questi casi un po' particolari non devono però mascherare la realtà fondamentale: la sensibilità della domanda della grande maggioranza dei prodotti al livello del prezzo. Questa sensibilità si chiama elasticità della domanda rispetto al prezzo. Questo concetto si misura in modo relativo: se il prezzo si riduce di x%, di quanto x% aumenta la domanda?
Esiste anche una misura dell'elasticità della domanda rispetto al reddito. I beni la cui domanda è poco elastica al variare del prezzo sono detti beni primari, perché corrispondono ai bisogni di base: il pane, i derivati del latte e più in generale il cibo, tutti beni caratterizzati anche da una scarsa elasticità rispetto al variare del reddito: quando il reddito aumenta la loro domanda ristagna. Al contrario i beni detti secondari sono caratterizzati da un'elasticità dei prezzi relativamente forte e quando il reddito aumenta la loro domanda aumenta più del reddito.
È il caso dei prodotti culturali o di piacere. Queste distinzioni sono state introdotte dallo statistico tedesco Engel verso la fine del XIX secolo.
Accade spesso che l'aumento del consumo di un bene generi un aumento del consumo di beni che ad esso sono collegati (ad esempio l'acquisto di un maggior numero di automobili produce un maggiore consumo di carburante, di pneumatici, di meccanici, ecc.): questi beni sono detti complementari. Al contrario si parla di beni sostituibili quando l'aumento del consumo di un bene comporta la diminuzione del consumo di un altro bene (esempio: passare le vacanze in albergo sostituisce l'uso del camping).
Si chiama propensione al consumo il rapporto tra l'insieme delle spese di consumo di una famiglia e il suo reddito: la propensione è superiore a quando una famiglia spende per consumare più di quanto guadagna, inferiore a quando una famiglia risparmia. Si misura anche la propensione marginale al consumo: il rapporto tra l'aumento di consumo e l'aumento di reddito che ha permesso questo consumo.
La domanda di servizi non commerciali non può, per definizione, essere regolata dalle variazioni dei prezzi. Ciò pone un duplice problema. Il primo è che sono le autorità pubbliche a determinare il livello di soddisfazione della domanda, destinandovi risorse più o meno importanti. Ad esempio la domanda di formazione all'università è esplosa in questi ultimi anni, ma non le hanno fatto seguito i mezzi e la qualità media dell'insegnamento ha avuto tendenza a deteriorarsi. In Gran Bretagna il sistema sanitario gratuito è regolato dalla fila di attesa e non dal prezzo. In una società democratica le autorità pubbliche dovrebbero obbedire ai voleri della maggioranza. Ma la domanda di servizi non commerciali può aumentare notevolmente senza che vi sia la disponibilità a pagare imposte più elevate. Il secondo problema riguarda invece l'eliminazione degli eventuali abusi. Se qualcuno accede a un servizio senza pagare o pagando un contributo simbolico, può essere portato a rivolgere al sistema una domanda eccessiva rispetto ai suoi bisogni reali. è un problema essenziale nell'economia saitaria, settore largamente socializzato (cioè il cui costo è coperto da contributi obbligatori): per conservare la loro clientela i medici sono portati a moltiplicare gli atti la cui utilità non è sempre evidente, ma che incontreranno la riconoscenza dei pazienti.
In realtà non c’è una risposta soddisfacente per risolvere questi due problemi. In confronto il meccanismo dei prezzi sembra molto più semplice, poiché non richiede né voto né intervento pubblico né tantomeno file di attesa o controlli. Ma i servizi non commerciali esercitano anche un ruolo essenziale in una società che si considera democratica: eliminando ogni selezione basata sul denaro, permettono di soddisfare alcuni bisogni di base indipendentemente dal livello del reddito. In questo senso sono una delle componenti fondamentali della giustizia sociale.

Dow Jones

Indice di borsa calcolato per illustrare il cambiamento del corso delle azioni quotate al New York Stock Exchange (Borsa di New York, a Wall Street). Il Dow Jones è il padre di tutti gli indici di borsa. Il Mibtel italiano è costruito sullo stesso schema, con la differenza che il Dow Jones distingue le azioni delle società industriali dalle altre.

Diritti speciali di prelievo (Dsp)

Nel Fondo monetario internazionale (FMI) ogni paese membro versa una quota, parte in valuta estera, parte in moneta nazionale. In cambio ha diritto a crediti il cui ammontare totale non può eccedere i 5/4 del suo contributo (quota) ed è prelevabile in rate corrispondenti a un quarto dell'ammontare complessivo. I paesi del terzo mondo, pagando contributi ridotti, hanno anche ridotti diritti di prelievo (così si chiamano i crediti concessi dall'FMI); per questo motivo che nel 1967 l'Assemblea generale ha deciso di creare i Diritti speciali di prelievo che si aggiungono ai diritti di prelievo e non sono rimborsabili (al contrario dei diritti di prelievo normali). I Dsp hanno la caratteristica di creare moneta internazionale, di cui tutti i paesi hanno approfittato (non solo i paesi del terzo mondo).
Nello spirito dei loro promotori i Dsp erano un primo passo verso una moneta internazionale emessa dall'FMI, che avrebbe dovuto prendere il posto dell'oro (che nel 1967 rimaneva ancora la moneta internazionale di base, poiché il dollaro era convertibile in oro su richiesta delle sole banche centrali). Ma i Dsp, sebbene siano stati creati in diverse riprese, hanno contribuito a rafforzare il dollaro come moneta internazionale, poiché la maggior parte dei paesi che hanno utilizzato i Dsp li hanno richiesti in dollari, cioè hanno chiesto che il loro conto presso l'FMI fosse accreditato in dollari.

Dumping

Situazione di concorrenza nella quale un produttore vende volontariamente sottocosto per eliminare i concorrenti.
Il dumping è ovviamente vietato dalle norme internazionali. Ciò non toglie che rimane molto difficile da dimostrare, poiché implica un'inchiesta approfondita sui prezzi di costo dei produttori in questione. Si parla sempre di più di dumping sociale per indicare una situazione di concorrenza nella quale il mancato rispetto delle norme sociali permette ad alcuni di vendere meno caro. In realtà il dumping sociale non è esattamente un dumping, poiché le norme sociali internazionali sono quasi inesistenti: ad esempio, un paese che ignora la previdenza sociale per i suoi dipendenti non è in una situazione di illegalità internazionale.

Eccedenza commerciale

Situazione caratterizzata da un ammontare delle esportazioni superiore a quello delle importazioni.
(Vedere bilancia commerciale e disavanzo) In politica economica la presenza di un'eccedenza commerciale, se non è compensata da un disavanzo delle partite correnti, significa che la crescita del paese interessato è minore di quanto potrebbe essere. Il paese dispone quindi di un margine di crescita che può decidere se sfruttare o meno.

Econometria

Tecnica di analisi economica consistente nel verificare alcune relazioni matematiche per dare conto dell'evoluzione di alcuni fenomeni (consumo, risparmio, investimento, produzione).
L'approccio econometrico permette di effettuare previsioni o di simulare evoluzioni. È sulla base delle relazioni econometriche che sono stati costruiti i modelli che servono a simulare le reazioni di una grandezza (occupazione, produzione, esportazioni, tasso di cambio, ecc. ) al variare di un'altra grandezza.

Economia di mercato

Termine generalmente utilizzato come perifrasi per indicare l'economia capitalistica.
Il punto fondamentale di un'economia di mercato non è il mercato (cioè la concorrenza), ma le imprese. L'economia di mercato infatti si basa su imprese le cui decisioni non sono centralizzate o dirette dall'alto, anche se possono essere influenzate dalle leggi, dalle regole, dagli incentivi fiscali. Per questo motivo in un'economia di mercato, le molte imprese che compongono il tessuto produttivo non sono dirette, ufficialmente o ufficiosamente, da un'unica autorità. L'economia di mercato è al tempo stesso dinamica (ci sono continuamente numerose iniziative, alcune votate all'insuccesso e destinate a scomparire, altre caratterizzate dal successo) e caotica (non esiste un coordinamento e una logica centrale). Il problema principale delle economie di mercato è quindi quello di stabilizzare il sistema sociale senza attenuarne il dinamismo. Si assiste così a una mescolanza di intervento pubblico, o di regolamentazioni collettive, con la concorrenza e la corsa al profitto.

Economia esterna

Vantaggio di cui qualcuno beneficia senza averne dovuto sostenere il costo. È l'inverso del costo esterno.
L'esempio più classico di economia esterna è quello del vicino di un superbo orto botanico, che gode della vista senza sopportarne il costo. Quando si apre una nuova linea di metro o di trasporti, quelli che abitano nelle vicinanze sono vittime di un costo esterno (il rumore), quelli un po' più lontani beneficiano di un'economia esterna (trasporti più comodi piuttosto vicini).

Economia informale

Economia nella quale le eventuali relazioni commerciali che si creano tra gli operatori non si inseriscono in un quadro formalizzato (nessuna dichiarazione fiscale e quindi nessun pagamento di imposta o di oneri sociali, nessun rispetto del diritto del lavoro, predominanza del baratto e degli scambi di servizi). In realtà l'economia informale comprende sia il lavoro nero sia gli scambi di servizi non commerciali (o economia sommersa).

Economia politica

Spesso utilizzato come sinonimo di scienza economica, il termine economia politica designa in realtà un'analisi economica nella quale si riconosce il ruolo svolto dal potere pubblico attraverso le regole che emana, le imposte che stabilisce e l'utilizzo di strumenti che, come il tasso di interesse o il tasso di cambio, sono in grado di influenzare il livello e il ritmo dell'attività economica. Abitualmente utilizzato dagli economisti sino alla fine del XIX secolo per indicare qualunque forma di analisi di tipo macroeconomico, il vocabolo economia politica è passato in secondo piano rispetto a quello di scienza economica. ma così facendo si tende a occultare il fatto che l'analisi economica ha come finalità di mettere in evidenza l'esistenza di scelte diverse.
Al contrario il termine scienza economica, insistendo sulla procedura (e non sulla finalità dell'analisi), tende a far pensare che in economia le scelte non esistano, che esista una sola soluzione valida, quella prodotta dal libero funzionamento di un mercato di concorrenza perfetta.

Economia reale

L'economia così come sarebbe se non si tenesse conto delle relazioni monetarie.
Classico esempio di ambiguità, il termine reale (dal latino res, cosa) non si contrappone a immaginario ma a monetario. Si tratta di indicare la produzione e il consumo, ipotizzando che queste due operazioni possono effettuarsi senza moneta. Questa ipotesi proviene dall'analisi monetaria classica, per la quale la moneta è solo un velo, una vernice che si aggiunge alla scultura (l'economia reale) senza cambiare nulla se non l'apparenza. La realtà è evidentemente molto diversa: la moneta modifica i comportamenti degli operatori e non si limita al ruolo di comodo mezzo di scambio.

Economia sociale

Il termine sta ormai ad indicare un insieme ben preciso di istituzioni, cioè le cooperative, le associazioni e le mutue. L'elemento comune di questo tipo di strutture giuridiche è di funzionare per la soddisfazione dei loro membri (o aderenti) e non in vista della massimizzazione del profitto.
Questo approccio istituzionale dell'economia sociale non deve però trarre in inganno. Infatti in queste istituzioni le logiche di interesse privato sono tutt'altro che assenti. Allo stesso tempo nell'economia capitalistica si possono individuare delle imprese che, sebbene private, funzionano con obiettivi diversi dalla massimizzazione del profitto. Il termine economia sociale del resto trova origine negli economisti francesi d'inizio secolo che, sebbene favorevoli alle cooperative, si sforzavano soprattutto di riconciliare la ricerca del profitto e l'interesse generale in tutte le imprese, pensando a forme di partecipazione degli operai o dei clienti nelle scelte strategiche dell'impresa.

Economia sociale di mercato

In Germania indica il sistema sociale di negoziazione collettiva che ha permesso di redistribuire all'insieme dei dipendenti i guadagni di efficienza realizzati nelle imprese. Si tratta quindi di un termine che designa sia le relazioni sociali (nelle imprese, ma anche nei settori produttivi, in modo da assicurare evoluzioni salariali e condizioni di lavoro relativamente uguali tra un'impresa e l'altra) sia lo sforzo di efficienza delle imprese.
Il simbolo dell'economia sociale di mercato (che non va confusa con il concetto di economia sociale) è la cogestione: nelle grandi imprese tedesche alcuni rappresentanti dei dipendenti siedono nel consiglio di amministrazione e partecipano sia alle decisioni che alla votazione dei rendiconti aziendali.

Economia sommersa

Indica abitualmente le attività generate dai redditi non dichiarati, legali o illegali.
Tra i redditi legali, il lavoro nero non è dichiarato per evitare il pagamento degli oneri sociali o fiscali. Invece la vendita di droga produce redditi illegali.

European Currency Unit o Unità di conto europea (Ecu)

[Con l'entrata in vigore dell'Euro queste informazioni perdono molta della loro utilità, ma le riportiamo ugualmente per dar conto della complessità della materia]

L'Unità di conto europea per poco non è diventata il nome della moneta unica. Non è stato così per l'opposizione della Germania, dovuta al fatto che la sigla non evocava nulla nella lingua tedesca. Questa Unità di conto è stato creata nel 1978 per i bisogni dell'Europa verde, quando l'abbandono del sistema di cambi fissi ha provocato quotidiane fluttuazioni del tasso di cambio delle diverse monete della Comunità europea. Un accordo monetario fu concluso tra i nove membri (numero dei paesi che all'epoca facevano parte della Cee) per stabilizzare le loro monete rispetto a questa Unità di conto che consiste in un paniere di monete, vale a dire una formula nella quale si sommano una certa quantità di ognuna delle monete che lo compongono (la quantità in questione è funzione dell'importanza economica di ogni paese: ci sono quindi proporzionalmente più marchi che franchi, più franchi francesi che franchi belgi, ecc.). Il 23 marzo 1979, alle 11, si è registrato il cambio di ognuna di queste monete componenti rispetto alla moneta nazionale, in modo da avere un valore ufficiale dell'Ecu espresso in franchi, in marchi, ecc., un valore ufficiale chiamato parità centrale. L'accordo monetario (definito sistema monetario europeo) precisava che ogni paese ha l'obbligo di fare in modo che il tasso di cambio della sua moneta rispetto a quello delle altre monete non si discosti di oltre il 2,25% al di sopra e al di sotto delle rispettive parità.
Qualora il rispetto di questo stretto margine si rivelasse troppo difficile, i paesi membri dello Sme possono decidere una modifica delle parità centrali, cioè una svalutazione o una rivalutazione. L'adesione di nuovi paesi alla Cee (diventata Unione europea) ha portato a modificare la formula dell'Ecu. Ormai è la seguente (dal 21 settembre 1989): 0,642 marchi + 1,332 franchi francesi + 0,2198 fiorini olandesi + 3,301 franchi belgi + 0,13 franco lussemburghese + 151,8 lire italiane + 0,1976 corona danese + 0,0008552 sterlina irlandese
+ 0,08784 sterlina inglese + 1,44 dracma greca + 6,885 peseta spagnole + 1,393 escudo portoghese.
La parità centrale dell'Ecu era di 1.957,610 lire.
Inoltre una grave crisi speculativa (alla fine del luglio 1993) ha costretto i paesi membri ad ampliare del 15% i margini di possibile fluttuazione al di sopra e al di sotto della parità centrale.
Lo Sme (sistema monetario europeo) non è nato per caso. Non si trattava di costituire un nuovo sistema monetario internazionale, ma solo di stabilizzare le monete europee tra di loro, per impedire che forti oscillazioni del cambio destabilizzassero la Comunità: infatti un paese il cui cambio fosse sceso del 20% rispetto agli altri avrebbe visto diminuire in maniera simile il prezzo di vendita dei suoi prodotti presso gli altri paesi, il che avrebbe rischiato di creare forti tensioni e tentazioni di dumping monetario. Inoltre bisognava risolvere un problema tecnico: la politica agricola comune si basava su prezzi unici espressi in dollari (per ragioni psicologiche non si era chiamata questa base di riferimento dollaro ma Unità di conto europea, Uce, con la stessa parità del dollaro). Nel momento in cui il tasso di cambio di ogni moneta rispetto all'Uce (e quindi al dollaro) cominciava a fluttuare quotidianamente, anche i prezzi nazionali fluttuavano, e la nozione di prezzo unico europeo andava in crisi. Ciò ha portato nel 1972 a un primo tentativo, peraltro fallito, di stabilizzare i corsi delle monete europee: il serpente monetario. La creazione dello Sme rispondeva quindi a esigenze tecniche e non a un'intenzione politica.
In realtà lo Sme ha svolto un ruolo completamente diverso da quello che ci si aspettava. Unendo le monete europee che ne facevano parte al marco, attraverso un tasso fisso, ha obbligato queste monete ad allinearsi sulla moneta più forte. Esistevano ovviamente possibilità di svalutazione (che del resto sono state utilizzate decine di volte) per le monete più deboli, ma il fatto di dover negoziare queste svalutazioni e le conseguenze psicologiche sfavorevoli che ne risultavano sia per il paese che per il governo che aveva svalutato, hanno spinto gli esecutivi a fare attenzione a non far salire i prezzi più rapidamente di quelli tedeschi. Così lo Sme, un organismo tecnico, è diventato lo strumento che ha portato a un allineamento sulla politica monetaria tedesca.
L'accordo monetario europeo che ha creato lo Sme è separato dal Trattato di Roma: un paese membro della Cee non è obbligato ad aderirvi, mentre i paesi firmatari di questo accordo possono anche accettare un paese non membro. In questo modo la Gran Bretagna non ha fatto parte dello Sme fino al 1989 (sebbene la sterlina fosse stata considerata nel paniere di monete per calcolare le parità centrali) o ha permesso all'Italia e alla Gran Bretagna di abbandonarlo nel 1992. Al contrario il trattato di Maastricht prevede che per fare parte della moneta unica europea, l'adesione preventiva allo Sme sia obbligatoria. Lo Sme è quindi diventato la base della moneta unica.
L'Ecu non è una moneta (contrariamente all'Euro): è un sistema di calcolo che, mescolando monete diverse, ha una grande virtù. Un cittadino italiano che chiede in prestito lire, deve pagare ad esempio il 10% di tasso di interesse perché chi presta non si fida della lira e teme di essere rimborsato un giorno con una moneta che avrà perso il suo valore internazionale.
Si esige quindi un tasso di interesse più elevato, in modo da premunirsi contro questo rischio di cambio. Immaginiamo ora che questo cittadino italiano richieda un prestito in Ecu: ciò significa che riceverà il prestito nella moneta di sua scelta, ma che si impegna a rimborsare alla scadenza in base alla parità centrale che esisterà in quel momento tra questa moneta e l'Ecu. Per chi presta è una garanzia di cambio molto migliore e chiederà un tasso di interesse minore. Per questo motivo si è assistito allo sviluppo di un mercato dell'Ecu privato: invece di esprimere le esigenze di prestito in questa o quella moneta, lo si esprime in Ecu e lo si rimborsa nella stessa maniera. Ma la moneta Ecu, lo ricordiamo ancora, non esiste. È solo un sistema di calcolo.

Esclusione

Privazione dei diritti economici (diritto al lavoro) e sociali (diritto alla casa, alla sanità, ecc. ) che deriva dal processo di precarizzazione del mercato del lavoro.
L'esclusione deriva molto spesso da una situazione di disoccupazione di lunga durata. Più a lungo dura la disoccupazione, più i datori di lavoro si convincono che il disoccupato abbia una sorta di vizio nascosto. Quando la disoccupazione si prolunga, i redditi si contraggono, si allentano i legami sociali e il disoccupato perde i suoi punti di riferimento. Non bisogna tuttavia concludere che tutti i coloro che ricevono il sussidio di disoccupazione siano alcolizzati o abbiano difficoltà ad alzarsi la mattina. Crisi familiari possono aggiungersi alla disoccupazione di lunga durata, e talvolta la precedono. Si inseriscono problemi di salute, che finiscono obiettivamente per impedire ad un disoccupato di lunga durata di ottenere un posto di lavoro. La persona che si ritrova in una situazione di esclusione ha bisogno di sostegno, per recuperare i propri diritti economici e sociali che da solo non è; più in grado di ottenere. I giovani, le donne, gli immigrati e i lavoratori non specializzati sono le principali vittime dei processi di esclusione. Queste fasce di popolazione vengono stigmatizzate: si preferisce parlare di caratteristiche individuali sfavorevoli, negative o contrarie al mercato del lavoro, anziché pensare che la disoccupazione di lunga durata è il frutto dalla mancanza di occupazione.

Esternalizzazione

Comportamento attraverso il quale un'impresa affida una parte dell'attività produttiva o delle attività ad essa legate (paga, contabilità, sorveglianza, ecc. ) ad imprese esterne.
L'esternalizzazione è all'origine di una parte non trascurabile della diminuzione degli effettivi nell'industria e del rigonfiamento quelli del terziario. Infatti la maggior parte delle attività esternalizzate dalle imprese industriali riguardano funzioni terziarie; così alcune mansioni, che in passato venivano svolte all'interno delle imprese industriali, diventano attività fatte da imprese di servizi. Scopo dell'esternalizzazione è ovviamente quello di ridurre il costo delle operazioni subappaltate. Ciò è possibile sia perché il ricorso ad un'impresa specializzata consente di ottenere prestazioni che beneficiano di economie di scala, sia perché, più frequentemente, il subfornitore non accorda ai suoi dipendenti gli stessi livelli di salario e le stesse agevolazioni sociali dell'impresa che esternalizza.

Euro

Nome della moneta unica europea.
Il suo nome doveva essere Ecu, che aveva il duplice vantaggio di esistere già (vedere Ecu) e di riprendere il nome di un'antica moneta latina (scudo), ampiamente usata nel Regno di Francia, in molti stati italiani e in Portogallo, a tal punto tale avere scudi era divenuto sinonimo di essere ricco. La Germania però si è opposta a questa denominazione, perché nella lingua tedesca non aveva alcun significato. Di qui la scelta del nome Euro.

Eurodollaro

Indica i prestiti o i mutui in dollari effettuati da organismi al di fuori del territorio americano.
Il termine è nato negli anni Cinquanta per iniziativa della Banca dell'Europa del Nord (da cui il termine eurodollari), un istituto bancario che rappresentava ufficiosamente l'Unione Sovietica nei paesi occidentali. L'URSS, infatti, aveva bisogno di dollari per acquistare i prodotti sui mercati internazionali, ma aveva difficoltà a ottenere crediti ufficiali. Fu dunque questa Banca a prendere in prestito i dollari, che le furono versati su alcuni conti aperti presso le sue filiali di Londra e Parigi.
Da ciò deriva la sua particolarità: una banca con sede a Parigi poteva gestire dei conti in dollari.
La procedura fu imitata da altri: poiché il dollaro rappresentava una moneta universale, era più comodo indebitarsi e rimborsare in dollari. Tutte le banche cercarono quindi di aprire conti in dollari. Questi venivano presi in prestito presso istituti bancari americani, per poi essere versati sul conto dei beneficiari di Parigi, Londra o Tokyo. Queste banche, pagando in dollari fatture emesse in dollari, evitavano le spese di cambio. Probabilmente sarebbe stato più logico che coloro che prendevano in prestito dollari aprissero dei conti in banche americane. Tuttavia la legislazione sui cambi spesso li ostacolava. Così per una società francese era più facile aprire un conto in dollari a Parigi e su questo conto prendere in prestito una certa somma di dollari. Più in generale apparvero le eurodivise, termine che indicava i conti aperti in marchi, sterline, ecc., in paesi in cui la moneta ufficiale era un'altra.
Il mercato degli eurodollari esplose nel 1967, quando gli Stati Uniti, a loro volta, misero un freno all'uscita di dollari dal territorio nazionale. Lo scopo era evitare che questi dollari arrivassero nelle casse di una Banca centrale, che aveva la possibilità, secondo gli accordi di Bretton Woods (v.) di richiederne la conversione in oro. Dal canto loro le banche americane, sottoposte a vincoli ben precisi per quanto riguardava l'uscita di capitali, si misero a richiedere prestiti sul mercato dell'eurodollaro, per rifornire di biglietti verdi i loro istituti all'estero, molto sollecitati per la concessione di prestiti in eurodollari.
Attualmente il mercato dell'eurodollaro ha perduto molta della sua importanza strategica, poiché non c’è più il controllo dei cambi. Rimane comunque un settore importante, perché il dollaro è ancora oggi la moneta più utilizzata negli scambi mondiali (commerciali o finanziari) e la maggior parte degli istituti bancari cerca di prenderne in prestito o di piazzarne, a seconda che disponga o meno di crediti liquidi in dollari. Esiste dunque un euromercato tra le banche, sul quale si accordano o si chiedono somme elevate (dell'ordine del milione di dollari come minimo) a brevissimo termine. Questo mercato è grosso modo l'equivalente, su scala mondiale, del mercato monetario nazionale, sul quale le banche concedono o prendono in prestito le quantità di "moneta Banca centrale" di cui dispongono o di cui hanno bisogno. Così come il mercato monetario nazionale fornisce liquidità a tutto il sistema bancario, l'euromercato fornisce liquidità a tutte le banche e di fatto rappresenta la base del mercato mondiale dei capitali.

Europa sociale

Indica l'insieme delle norme comunitarie in materia sociale applicabili in seno all'Unione Europea.
Il Trattato di Maastricht ha introdotto una pagina sociale nell'Unione Europea, ma la Gran Bretagna ne è ufficialmente dispensata. Il contenuto del programma sociale è per il momento assai povero, ma nulla impedisce che possa arricchirsi grazie alla volontà della maggioranza degli stati. Tuttavia le decisioni prese in questa materia possono essere soltanto delle raccomandazioni che non possono essere imposte agli Stati membri, a meno che non vengano votate all'unanimità.

Europa verde

Indica le norme che regolano la politica agricola comune.
La politica agricola comune (Pac) è stata per molto tempo l'unica politica comune della Cee. Adottata nel 1962, aveva come fine quello di permettere alla Francia di trarre vantaggio da una Comunità di cui si pensava avrebbe beneficiato soprattutto il paese più industrializzato, cioè la Germania. Si trattava di stabilire dei prezzi garantiti relativamente alti per i cereali e il latte, e alcune garanzie minori per un certo numero di altri prodotti, garanzie che sarebbero diventate operative solo in caso di sovrapproduzione e di crollo dei prezzi. Sui cereali importati era imposto un dazio doganale variabile (prelievo) destinato a riportare il prezzo del prodotto importato al di sopra del prezzo Comunitàario. Al contrario, in caso di esportazione sui mercati terzi veniva accordato all'ente venditore un rimborso (sovvenzione variabile), per permettergli di allinearsi ai prezzi internazionali nel caso in cui questi ultimi fossero stati più bassi di quelli europei.
Questo meccanismo fortemente protezionistico incoraggia la produzione interna, al punto che gli organismi comunitari dovettero assorbire considerevoli eccedenze, la cui vendita all'estero tendeva a far crollare i corsi internazionali, danneggiando al tempo stesso numerose produzioni agricole poco competitive e meno protette (soprattutto nel terzo mondo). Dopo molte vicissitudini (limitazione dei diritti di produzione sotto forma di quote per il latte e di quantità massime garantite per i cereali), la riforma del 1992 ha modificato profondamente le regole dell'Europa verde: i prezzi garantiti dei cereali sono stati ridotti di circa il 30% e una sovvenzione diretta viene versata ai produttori che accettano di mettere a maggese una determinata parte delle loro terre. La regolazione delle quantità si effettua ormai attraverso la messa a maggese, mentre quella dei redditi agricoli avviene attraverso sovvenzioni dirette.

Fattore di produzione

Secondo l'approccio neoclassico indica gli elementi di base necessari alla produzione: lavoro, capitale. A questi si aggiungono talvolta la terra e l'energia.
In questo tipo di analisi il ruolo dell'impresa è quello di combinare i fattori di produzione in funzione della loro produttività marginale (vedere capitale), ossia in funzione di ciò che una dose supplementare di ognuno di questi fattori comporta sia in termini di costi che di prodotti. Il problema principale posto da questo tipo di approccio è l'eterogeneità di ogni fattore: come possiamo considerare tutte le quantità di lavoro simili tra di loro quando le qualità personali e i livelli di specializzazione differiscono sensibilmente? Inoltre tale approccio sembrerebbe sopravvalutare la capacità di un'impresa di modificare rapidamente e sensibilmente le quantità relative di ciascun fattore produttivo.

Fatturato

Importo delle vendite di un'impresa.
Il fatturato può essere misurato con tasse comprese o tasse escluse (cioè senza Iva e tasse particolari). In genere viene scelta questa seconda soluzione, poiché l'Iva e le tasse particolari sono raccolte per conto delle Finanze e non tornano a vantaggio delle imprese. In realtà il fatturato non è un valido indicatore dell'attività dell'impresa: l'impresa francese Carrefour, ad esempio, realizza un fatturato paragonabile a quello della Renault, sebbene impieghi solo un sesto dei dipendenti. Il vero indicatore dell'attività di un'impresa è la parte del fatturato corrispondente ai costi di produzione interni, cioè utilizzati per pagare i dipendenti o ammortizzare i macchinari: quello che si chiama valore aggiunto.

Fondo comune di investimento (Fci)

Indica un organismo che propone ai risparmiatori alcuni prodotti finanziari (parliamo di quote di Fci) il cui valore è determinato dal portafoglio dei titoli (azioni, obbligazioni, ecc.) gestito dal Fondo.
Un Fci, come una Sicav è un organismo di investimento comune in valori mobiliari (Oicvm). Questo tipo di struttura consente una gestione comune, da parte di professionisti, degli investimenti dei risparmiatori ma anche una certa copertura di questi ultimi. Infatti sottoscrivendo quote del Fondo, il risparmiatore si libera dalla preoccupazione di gestire direttamente il proprio portafoglio con il risultato di avere una migliore gestione e, soprattutto, delle economie di scala (l'acquisto o la vendita di grandi quantità di titoli ha un costo Unitàario minore rispetto a quando si trattano pochi titoli alla volta). La differenza tra la Sicav e il Fci è che il Fci è una comproprietà: i rischi sono dunque ripartiti tra i comproprietari e il gestore si limita a gestire per conto di questi ultimi. Invece nel caso di una Sicav ci troviamo di fronte ad una società, con vincoli di gestione più rigidi e costi più elevati, ma con rischi minori per i risparmiatori.

Federal System of Reserve (Fed)

Sistema di riserva federale, che comprende dodici banche incaricate dallo stato federale di emettere moneta americana. La Fed è dunque una Banca centrale a più teste, l'equivalente della nostra Banca d'Italia. La struttura è controllata da un ente pubblico, il Federal Reserve Board, che prende decisioni di politica monetaria.
Nonostante le dodici banche di emissione siano private, il Federal Reserve Board è; diretto da un Governatore nominato dal Presidente, il che ne riduce l'indipendenza.

Flessibilità

Indica la capacità di un'impresa di fronteggiare rapidamente le fluttuazioni e i mutamenti della domanda. La flessibilità riguarda fondamentalmente due elementi: da un lato le scorte, dall'altro i salari. Nel caso delle scorte, si tratta di ridurle al minimo indispensabile. Ciò significa che l'impresa deve essere capace in brevissimo tempo di aumentare o di ridurre la sua produzione, in modo da lavorare solo su commissione (just in time). Ciò è possibile solo se l'impresa dispone di capacità produttive che può mobilitare immediatamente: dipendenti che lavorano con orari annualizzati, orari fissati dall'impresa in base alle esigenze (flessibilità dell'orario di lavoro), affitto di macchinari, ecc... Quanto ai salari, si tratta di trasformarli da costi fissi in costi variabili, che variano in funzione della produzione. Per fare questo l'impresa deve adattare la quantità di personale alle proprie esigenze lavorative. A questo proposito alcuni specialisti contrappongono la flessibilità interna alla flessibilità esterna: nel primo caso la manodopera temporaneamente in eccesso, grazie ad un minimo di polivalenza, può essere destinata ad attività che continuano a richiedere forza lavoro; nel secondo caso (flessibilità esterna), l'impresa riversa sul mercato del lavoro la manodopera in eccedenza, e vi prende quella di cui ha bisogno (ricorrendo eventualmente al lavoro interinale, che ha il vantaggio di poter essere interrotto senza formalità e costi particolari).

Fluttuazione

Regime di cambio che prevale in assenza di un sistema con un'Unità di riferimento.
Quando non esiste un legame fisso tra una moneta nazionale e un'unità di riferimento che serve da base alla moneta internazionale, il solo modo per sapere quanto valga una determinata moneta in rapporto a un'altra è quello di creare un mercato, il mercato dei cambi, sul quale l'offerta e la domanda di ognuna delle due monete determineranno un prezzo. Ma questo prezzo è variabile, poiché l'offerta e la domanda possono modificarsi in qualsiasi momento. Da qui il termine di fluttuazione, per indicare le incessanti modifiche dei tassi di cambio.

Fondo monetario internazionale (FMI)

Creato nel 1944, con la firma degli accordi di Bretton Woods, l'FMI aveva il compito di assicurare il rispetto del nuovo ordine monetario internazionale fondato sul principio dei cambi fissi.
Il suo compito quindi era quello di vigilare, affinché i paesi firmatari degli accordi non procedessero a svalutazioni selvagge o competitive. In realtà l'FMI aveva, conformemente al suo nome, anche una funzione di cassa comune: ogni paese membro al momento dell'adesione doveva versare una quota, di cui una parte in oro (unità di riferimento del sistema di Bretton Woods) o in dollari e il resto in moneta nazionale.
In cambio ogni paese poteva, in caso di bisogno, prelevare da questo conto dei fondi, sotto forma di crediti rimborsabili a medio termine (meno di tre anni) e nella moneta di sua scelta.
La prima tranche di prelievo (un quarto della quota) era automatica, mentre le tranche successive (per successivi quarti fino a cinque quarti della quota totale) erano sottoposte a determinate condizioni. In altre parole l'ultima tranche dava agli esperti dell'FMI un diritto di ingerenza nella politica economica del paese. Con gli accordi di Giamaica, (che, firmati l'8 gennaio del 1976, hanno modificato gli accordi di Bretton Woods, svincolando le monete dal rapporto-base con l'oro e dai cambi fissi) la missione dell'FMI è cambiata: non deve più vigilare sui tassi di cambio, che ormai sono fluttuanti. In compenso il Fondo ha riacquistato importanza con il controllo sulla liquidità del sistema monetario internazionale: ciò significa in pratica che l'FMI si fissa l'obiettivo di garantire che siano saldati i debiti esteri sovrani (quelli contratti da uno stato o da esso garantiti).
A questo scopo sono stati messi in atto dei meccanismi di adeguamento o aggiustamento, che prevedono prestiti speciali (destinati ai paesi in difficoltà) condizionati.
Per i paesi indebitati del terzo mondo l'FMI è diventato il simbolo dell'ortodossia economica. Di fatto la maggior parte degli accordi di aggiustamento conclusi hanno imposto ai paesi interessati delle condizioni molto pesanti e soprattutto costose da un punto di vista sociale: riduzione della spesa pubblica, privatizzazione di imprese pubbliche, riduzione o soppressione delle sovvenzioni pubbliche ad alcuni prodotti o ad alcune imprese, svalutazione della moneta nazionale. Insomma, un insieme di rimedi destinati a ristabilire gli equilibri esteri compromessi con la riduzione del potere d'acquisto interno. In certi casi ciò ha provocato gravi agitazioni sociali (le rivolte della fame di Caracas o del Cairo, quando la soppressione delle sovvenzioni pubbliche ha provocato il forte rialzo di alcuni prodotti di prima necessità come il pane). È probabilmente per combattere questa immagine antisociale che l'FMI ha tentato di promuovere un aggiustamento meno drastico in Ghana. E bisogna riconoscere che questo paese da una decina di anni conosce una crescita nettamente superiore a quella dei paesi vicini e senza conseguenze sociali troppo dolorose. A riprova che esistono molti modi di gestire l'eccesso di indebitamento. Ma le ricette imposte ai paesi asiatici in occasione dell'ultima crisi, fortemente criticate per i pessimi effetti, hanno di nuovo posto il FMI nell'occhio del ciclone e si torna di nuovo a parlare di una sua riforma.

Fondamentali

Anglicismo per indicare i dati fondamentali di un'economia, ossia il suo stato di salute misurato sulla base degli indicatori classici (tasso di inflazione, tasso di investimento, commercio estero, competitività). Si parla anche dei fondamentali di un'impresa

Fondi strutturali

Nel gergo europeo indica i fondi di cui dispone l'Unione Europea come sostegno agli investimenti (pubblici o privati) nelle zone considerate arretrate dal punto di vista economico. In un certo senso questi fondi strutturali corrispondono agli aiuti alla pianificazione del territorio europeo.
In presenza di una moneta unica nell'ambito di un gruppo di paesi, i fondi strutturali rivestono un'importanza fondamentale: infatti non esiste più la possibilità di compensare la debolezza relativa di un paese rispetto agli altri attraverso variazioni del tasso di cambio. Si deve quindi compensare l'handicap di cui soffre il paese o la regione attraverso trasferimenti effettivi di capitali destinati agli investimenti.

Fordismo

Sistema produttivo in base al quale i lavoratori, in cambio di un salario relativamente elevato e indicizzato sulla produttività del lavoro, sono tenuti a adattarsi ai metodi di produzione di massa, che generano efficienza e aumenti di produttività. Il termine è stato coniato sul nome di Henry Ford, iniziatore delle assunzioni a cinque dollari al giorno (five dollars a day) nel 1917, nel momento in cui gli altri datori di lavoro proponevano al meglio tre dollari per un lavoro di lunghezza e qualificazione equivalenti. Ma in cambio Ford esigeva un'obbedienza totale, il che gli permetteva di mettere all'opera un insieme di tecniche derivate dal taylorismo (lavoro alla catena, parcellizzazione dei compiti, specializzazione spinta, ecc.) grazie alle quali i guadagni di produttività permettevano di pagare salari relativamente elevati e di ottenere i benefici più elevati di tutta l'industria Usa. In un modo più generale il fordismo è diventato poco a poco la regola salariale negli anni '50 in Europa: al salario diretto, versato agli interessati, si è; allora aggiunto un salario indiretto destinato a fare fronte agli incerti dell'esistenza (protezione sociale), dal momento che questo rapporto salariale si basava sull'esistenza di guadagni di produttività crescenti e su un'efficienza molto elevata del lavoro.

G 8

Gruppo informale costituito da Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Canada e Russia che riunisce annualmente i capi di stato o di governo di questi otto paesi per confrontarsi ed eventualmente prendere delle decisioni. Sorto all'indomani della crisi petrolifera del 1973 (come G7: l'allora URSS ovviamente era esclusa) non è un organismo decisionale ma solo di concertazione. Si riunisce a turno in ciascun paese membro. L'ordine del giorno è stabilito dal paese ospitante che, se vuole, può proporre preventive riunioni ministeriali a carattere tecnico per preparare i vertici. Oggi bisogna riconoscere che questo organismo di concertazione non è stato in grado di sviluppare politiche economiche di cooperazione e coordinate tra loro. Tuttavia il G8 ha certamente svolto un ruolo importante ed è intervenuto con decisione in campo finanziario: nel 1985 per fare abbassare progressivamente, e senza provocare ondate di panico, il tasso di cambio del dollaro che era salito a livelli eccessivi, nel 1987 per impedire che il crollo della borsa degenerasse in crisi finanziaria, nel 1995 su richiesta dell'FMI per andare in aiuto del Messico.

General Agreement on Tariffs and Trade (Gatt)

Accordo internazionale firmato nel 1947 (e modificato a più riprese) che stabilisce le regole di base di un commercio leale (fair trade) che ciascun firmatario (o paese contraente) si impegnava a rispettare. Nel 1995 il Gatt ha dato vita all'Organizzazione mondiale del commercio (Wto o Omc) che ne ha preso il posto.
Nonostante la sua filosofia liberoscambista, il Gatt ha potuto funzionare in un mondo che era ben lontano dall'esserlo, con il solo scopo di impedire ai paesi firmatari di accrescere il livello della loro protezione (principio detto di consolidamento). Il Gatt ha organizzato a intervalli regolari dei cicli di negoziati multilaterali, nel corso dei quali venivano proposte riduzioni generali dei dazi doganali, mentre ogni paese era invitato a rendere note le eccezioni (mantenimento del livello di protezione) che desiderava conservare; è chiaro che, più le eccezioni erano numerose ed importanti, meno il paese interessato beneficiava delle diminuzioni dei dazi doganali da parte di quelli penalizzati dal mantenimento del livello di protezione. Questo tipo di scambio ha funzionato relativamente bene, poiché in meno di cinquant'anni i dazi doganali sui prodotti manifatturieri sono stati quasi completamente eliminati. In compenso i negoziati sui prodotti agricoli e sui servizi sono stati più difficili e meno fruttuosi
Nel 1995, il Gatt ha ceduto il posto all'Omc: un'istituzione si è sostituita ad un accordo che aveva l'inconveniente di non disporre di alcun meccanismo giuridico per mettere fine alle dispute. Spetta dunque all'Omc decidere le sanzioni da imporre ai paesi che contravvengono alle regole, mentre il Gatt si limitava ad autorizzare l'uno o l'altro paese a fare uso di sanzioni. Si tratta dunque di un passo in vanti considerevole verso l'emergere di un diritto e di una giustizia commerciale internazionale.

Globalizzazione

Neologismo di origine inglese che indica la globalizzazione finanziaria, ossia l'esistenza di un mercato mondiale dei capitali. In senso lato indica che le decisioni strategiche delle imprese multinazionali mirano talvolta a realizzare un'integrazione produttiva su scala mondiale: produzione di un determinato componente qui, di un altro assemblaggio in un altro paese ancora e così via.
In un certo senso la globalizzazione si contrappone alla multinazionalizzazione. Quest'ultimo termine sottintende che un'impresa, nonostante sia presente in più paesi, rimane legata principalmente a uno stato, in genere il paese d'origine.
Il termine globalizzazione, invece, sottintende che l'impresa è svincolata da una base territoriale, che il suo territorio è il mondo, che decide la propria strategia produttiva in funzione dei costi di produzione relativi nei diversi paesi e in vista di un prodotto da vendere nel maggior numero possibile di paesi.

Hedge fund

Negli Stati Uniti questo termine indica un tipo di fondo comune di investimento, costituito sotto forma di società a responsabilità limitata, che opera in maniera alquanto spregiudicata con capitali di investitori privati.

Indebitamento

Misura l'ammontare complessivo dei debiti accumulati da un agente economico.

Indice dei prezzi

Sistema di calcolo che ha come scopo di valutare l'aumento dei prezzi al consumo (o alla produzione, o per un insieme di prodotti determinati, come ad esempio l'energia) in un periodo di tempo determinato.

Individualismo metodologico

Ipotesi di ragionamento che si basa sull'idea che gli individui sono guidati da una certa razionalità, che spiega, attraverso successive aggregazioni, l'evoluzione collettiva.
L'individualismo metodologico si contrappone all'olismo: è il gruppo - e non l'individuo - che è all'origine dell'azione e del comportamento. Mentre l'olismo fa del gruppo la vera entità di base, l'individualismo metodologico si basa invece sull'idea che ognuno dispone di una capacità d'azione indipendente dal gruppo, di cui fa uso in modo razionale mobilitando le informazioni a propria disposizione e cercando di ottenere i migliori risultati possibili (comportamento di ottimizzazione).

Inflazione

Rialzo cumulativo e generale dei prezzi.
Non è sufficiente osservare un aumento di prezzi perché vi sia inflazione. Se ad esempio i prezzi del petrolio subissero un aumento improvviso, non c';è inflazione se questo aumento non si trasmette anche ai prodotti derivati del petrolio. Se invece questo aumento interessa in modo più o meno diretto tutti i prodotti la cui produzione comporta l'utilizzo del petrolio, allora c'è inflazione: sia perché questo aumento riguarda un grande numero di prodotti (aumento generale) sia perché l'aumento dei prezzi determinerà a breve un adeguamento dei salari, dunque il rialzo di altri prezzi, il tutto con un meccanismo di tipo cumulativo.
L'inflazione si misura attraverso l'aumento dei prezzi, ma non si riduce solo a questo. Possiamo avere una situazione di inflazione contenuta grazie all'azione pubblica (le autorità ad esempio possono bloccare i prezzi o, per compensare gli aumenti, ridurre l'Iva): la pressione al rialzo, anche se presente, non si manifesta in modo esplicito. L'inflazione contenuta si manifesta allora in modo diverso rispetto all'aumento dei prezzi: liste di attesa, scarsità, ecc. L'inflazione può avere cause iniziali esterne (una svalutazione della moneta nazionale, ad esempio, provoca un aumento dei prezzi dei prodotti importati), ma molto rapidamente queste cause esterne si trasmettono ai meccanismi interni e l'inflazione importata si trasforma in un'inflazione di tipo classico.
I ritmi di aumento dei prezzi, se non viene fatto nulla per contenere l'inflazione, hanno tendenza ad accelerare: infatti per tutelarsi da un previsto aumento dei prezzi, tutti coloro che hanno la possibilità di fissare il livello dei loro prezzi tendono ad aumentarli prima di subire l'aumento dei propri costi: all'inflazione puramente meccanica, indotta dall'aumento dei costi, si aggiunge così un'inflazione addizionale, legata a un fenomeno di previsione.
La somma dei due atteggiamenti inflazionistici fa improvvisamente crescere il ritmo di aumento dei prezzi. L'inflazione può quindi creare una iperinflazione, ossia una situazione in cui ciascuno, diffidando della moneta nazionale il cui potere d'acquisto diminuisce giorno dopo giorno, finisce per ricorrere ad altri strumenti di fissazione dei prezzi (sigarette, dollari o addirittura il baratto). Così, un'inflazione che degenera rischia di distruggere il meccanismo stesso degli scambi: questo è ciò che avvenne in Germania tra il 1924 e il 1926, e ancora tra il 1945 e il 1947.
Le tradizionali analisi sull'inflazione distinguono l'inflazione da domanda, l'inflazione da costi e l'inflazione strutturale. La prima deriva da un eccesso di domanda rispetto all'offerta: tale eccesso ha origine in un'emissione di moneta, ossia in un credito troppo elevato che stimola un eccesso di domanda. L'inflazione da costi è provocata da un aumento autonomo dei costi: il costo dei prodotti importati in seguito ad una svalutazione o a un eccessivo aumento della massa salariale. Quanto all'inflazione strutturale, essa è dovuta all'inefficienza di certi meccanismi: ad esempio un numero eccessivo di intermediari nel circuito della carne, l'istituzione di un cartello o di un accordo in certi settori e così via. Queste spiegazioni non sono probabilmente sbagliate, ma rimangono parziali: la prima attribuisce la responsabilità dell'inflazione alla moneta, la seconda ai sindacati, la terza alla scarsa concorrenza. Appare così possibile una spiegazione più sintetica: l'inflazione sarebbe dovuta a conflitti nella distribuzione del reddito nazionale, in quanto alcuni gruppi esercitano una pressione per migliorare la propria situazione.
Così, per evitare che il conflitto degeneri, la soluzione più semplice è soddisfare coloro che protestano e aumentare i prezzi per recuperare da una parte ciò che è stato dato dall'altra. L'inflazione sarebbe quindi la valvola di sicurezza delle società conflittuali, nelle quali, non avendo regolato chiaramente la questione sollevata da ciascun gruppo sociale per quanto riguarda la distribuzione del reddito, diventa il sistema per adeguare rivendicazioni reciprocamente incompatibili.

Infrastruttura

L'insieme delle attrezzature di base di cui una società ha bisogno per la produzione e il consumo: reti idriche, elettriche, telefoniche, fognature, strade, porti, ecc. Anche nel linguaggio marxista indica le basi materiali di una società, ma in senso più ampio rispetto alle sole attrezzature: capacità di produzione esistente, livello di formazione, ecc..

Investimento

Indica tutte le spese o gli acquisti diretti ad aumentare o migliorare in modo duraturo la capacità o l'efficienza produttiva di un'impresa (investimento produttivo) o di una pubblica amministrazione.
In quest'ultimo caso parleremo di investimento collettivo, poiché la produzione di una pubblica amministrazione è; quella di fornire ad una determinata popolazione dei servizi non commerciali. Nel linguaggio economico, l'investimento si contrappone al consumo. La contrapposizione è duplice: il consumo rappresenta una distruzione, mentre l'investimento è durevole (ossia destinato a servire più volte o anche moltissime volte); inoltre il consumo (finale) chiude il circuito economico (è fine a sé stante, non viene effettuato per creare un'altra attività produttiva), mentre l'investimento apre un ciclo; investire significa dotarsi di mezzi tecnici che consentiranno di riprendere l'attività produttiva. L'investimento si basa su un cambiamento produttivo: si utilizzano mezzi (denaro, tempo, energia) per acquisire qualcosa che permetterà in seguito di essere più efficienti. Vi è dunque un'anticipazione, una scommessa: si spende subito per ridurre la spesa (i costi) in futuro. Come avviene per ogni scommessa, anche l'investimento è caratterizzato da un rischio: non si è mai certi che l'acquisto si rivelerà efficace come si era sperato, e non vi è neanche la sicurezza che la produzione per la quale si investe troverà degli acquirenti.
Conviene distinguere l'investimento dai termini simili, con i quali lo si potrebbe confondere. Un investimento comprende una categoria di spese più ampia rispetto al solo acquisto di infrastrutture: alcuni investimenti, infatti, consistono in spese di formazione del personale (creazione di capitale umano), di ricerca e sviluppo destinate al miglioramento dei prodotti esistenti, allo sviluppo di nuovi modi di utilizzo, o alla creazione di nuovi prodotti, e, infine, in spese pubblicitarie allo scopo di far conoscere meglio un prodotto o di imporne uno nuovo. Tutte queste spese sono considerate dagli economisti investimenti immateriali, poiché mirano a migliorare la capacità produttiva sviluppando la domanda rivolta all'impresa, ma il loro effetto è generalmente esteso nel tempo. Mentre un investimento materiale si traduce da un punto di vista contabile in un'immobilizzazione, gli investimenti immateriali non sono oggetto di ammortamenti e quindi non si possono considerare come immobilizzi. Infine la formazione lorda del capitale fisso della contabilità nazionale comprende gli acquisti o le ristrutturazioni delle case da parte delle famiglie, anche se non si tratta di un investimento (poiché il fine di un'abitazione non è quello di aumentare le capacità produttive o di ridurre i costi di produzione).
Talvolta l'investimento viene distinto in investimento di capacità e investimento di produttività: il primo indica le spese destinate ad aumentare la capacità produttiva in modo duraturo, il secondo le spese per ridurre i costi di produzione, agendo sull'efficienza del processo produttivo. La distinzione, in realtà è più teorica che pratica, perché la maggior parte degli acquisti durevoli riguarda strumenti che migliorano sia la capacità produttiva sia l'efficienza del lavoro.
Un nuovo computer, ad esempio, è al tempo stesso più potente e più affidabile di quello che sostituisce. Si chiamano investimenti di portafoglio gli acquisti di titoli il cui fine è quello di investire liquidità o di costituire un patrimonio che produca un reddito. Gli organismi che cercano di investire il denaro di cui sono responsabili ma che non appartiene loro, sono spesso investitori istituzionali. Il termine investimento di portafoglio si contrappone all'investimento diretto o finanziario: nei due casi si tratta di assumere il controllo di una società, acquistando azioni in numero sufficiente per esercitarvi il potere.
Così una società petrolifera può aumentare le sue riserve di greggio procedendo a un investimento tecnologico (spese di ricerca), con il rischio però di non ottenere nulla, oppure prendendo il controllo di un'altra società petrolifera che detiene anch'essa delle riserve. Allo stesso modo per aumentare la propria quota di mercato si può procedere a campagne pubblicitarie oppure rilevare un concorrente o, ancora, un giornale può lanciare una nuova testata o acquistare una testata esistente. È facile constatare che l'investimento finanziario è in generale meno rischioso ma più costoso.
L'investimento lordo misura l'insieme delle spese di investimento così come figurano da un punto di vista contabile durante un determinato periodo (in genere un anno). L'investimento netto indica solo le spese da cui sono stati defalcati gli ammortamenti calcolati durante l'anno sugli investimenti fatti negli anni precedenti e non ancora completamente ammortizzati. Mentre l'investimento lordo misura una spesa, quello netto misura la variazione di uno stock.

Investitori istituzionali

Sono organismi che, seguendo precisi obblighi statutari, intervengono sul mercato dei valori mobiliari con ordini di acquisto e di vendita. Vi fanno parte i fondi comuni di investimento, i fondi pensione, le società di assicurazione, le società finanziarie, le casse di deposito.

Organizzazione mondiale del commercio (Omc)

L'organizzazione mondiale del commercio (Omc) - in inglese World Trade Organization (Wto) - è l'organizzazione internazionale succeduta al Gatt nel 1995 e della quale fanno attualmente parte oltre 130 paesi, in rappresentanza del 95% del commercio mondiale.
L'Omc, come il Gatt, elabora le sue norme per consenso, sulla base di concessioni reciproche a carattere perà irreversibile: una concessione commerciale (ad esempio una riduzione dei dazi doganali), una volta accordata, non può essere rimessa in discussione, tranne che per un periodo di tempo limitato (6 mesi) e in casi eccezionali (ad esempio, disorganizzazione del mercato interno). L'attuale Omc-Wto, a differenza del Gatt, dispone di un sistema di risoluzione delle controversie e di determinazione delle sanzioni. Nel Gatt invece ogni paese si faceva giustizia da sé, con l'unico limite rappresentato dalla proporzionalità della sanzione rispetto al danno sub;to. Si tratta di un'organizzazione che, in prospettiva, dovrebbe poter elaborare un vero e proprio diritto internazionale del commercio, che oggi non esiste.

Joint venture

Termine inglese che indica un'operazione di investimento finanziario comune a due società (in genere su base paritaria).
Una joint venture ha interesse a unire le competenze di due società senza che queste debbano privarsi della propria indipendenza. Ciò passa attraverso la creazione di una filiale comune, in cui la parte di ogni società è proporzionale all'importanza del suo contributo. Il contributo in questione non è solo di carattere finanziario: esso può essere tecnico (la Renault e la Peugeot hanno una filiale comune incaricata di fabbricare certi tipi di motori) o può consistere in un vantaggio particolare di una delle due società (ad esempio la presenza già rilevante in un particolare mercato). Può accadere che la legge di un paese autorizzi gli investimenti stranieri solo sotto forma di joint venture con imprese nazionali: lo scopo di questa limitazione è consentire alle imprese nazionali di accedere al know how sviluppato dalle società straniere interessate a un determinato mercato nazionale.

Junk bond

Termine inglese che letteralmente significa obbligazioni spazzatura che le società di rating definiscono non-investment grade bonds, vale a dire titoli che non raggiungono la qualifica di investimento, dunque molto rischiosi, ma anche molto remunerativi (se tutto va bene). Fino al 1977 non esistevano e negli Stati Uniti le società più piccole o di più dubbia salute non erano mai riuscite ad accedere alla borsa per ottenere finanziamenti. In quell'anno perà si ruppe la tradizione e i junk bonds divennero per queste società una forma ricorrente di finanziamento. Nel 1990, però, in seguito ad una serie di fallimenti, questo tipo di obbligazioni quasi scomparvero dallo Stock Exchange di New York, per ricomparire alla fine del 1991.

Keynesismo

Insieme di regole di politica economica o di presupposti di analisi economica che trovano origine nel pensiero di John M. Keynes e soprattutto nella sua opera principale, La teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (1936).
Due tratti caratterizzano il keynesismo: innanzi tutto il ruolo attivo della moneta nella determinazione delle scelte economiche (al contrario dei monetaristi, per i quali la moneta nel lungo periodo agisce soltanto sui prezzi e non sulla produzione o sugli investimenti); in secondo luogo il fatto che l'economia di mercato non raggiunge spontaneamente un equilibrio di piena occupazione. Talvolta il keynesismo ha solo un lontano rapporto con le analisi, raffinate e spesso datate, di Lord Keynes. Oggi si è sviluppato un keynesismo grossolano che si riduce ad alcune prescrizioni - disavanzo di Bilancio e bassi tassi d'interesse per rilanciare l'attività in caso di necessità - e rispetto alle quali viene da domandarsi se esse non tradiscano la problematica keynesiana, piuttosto che rappresentarne una reale attuazione.

Lavori socialmente utili

Lavori che, sebbene non creino valore commerciale o creino un valore commerciale inferiore al loro costo, producono effetti positivi per la società e a termine ridurranno i costi sociali che la società è costretta a sostenere: migliore qualità dell'ambiente, mantenimento di persone anziane a domicilio, riduzione degli abbandoni scolastici e così via.
La grande difficoltà dei lavori socialmente utili è che, nell'immediato, costano qualcosa (poiché non sono redditizi) e tale costo deve essere coperto dalla società.
Ma sul lungo periodo ognuno è consapevole che, riducendo i costi sociali, questi lavori sono assimilabili a un investimento: spendere oggi per spendere meno domani. Resta il fatto che è difficile quantificare in modo preciso la misura del risparmio potenziale realizzato, cosicché non si è mai assolutamente certi del suo carattere di effettivo investimento.

Legame sociale

In una determinata società indica ciò che porta i membri ad accettare di farne parte. È il cemento che tiene uniti i membri di una stessa società, che fa loro accettare una solidarietà che può prendere la forma guerresca (noi difendiamo la nostra terra o il nostro clan), la forma finanziaria (io pago, in natura o in denaro, per mantenere la società di cui sono membro) o altre forme ancora.
Nelle società tradizionali questo legame è di tipo familiare, classico (i legami di sangue) o religioso: in quest'ultimo caso la comunione di pensiero crea un legame, che generalmente viene consolidato dal fatto che il capo della Comunità - il re ad esempio - è considerato come il rappresentante di Dio o scelto da lui. In queste società il legame sociale non può essere messo in discussione: è trasmesso dalla nascita, è naturale.
Nelle società contemporanee secolarizzate o laiche la società non può essere istituita da Dio ma dagli uomini che possono tutto. Sviluppando la tesi del contratto sociale, Rousseau riteneva che attraverso la scelta personale e razionale gli uomini accettano di rinunciare a una parte della propria indipendenza e di dedicare tempo (e denaro) alla costituzione della società: ogni uomo mette a confronto i costi e i benefici dell'appartenere a tale società. La teoria del contratto sociale fonda quindi il legame sociale sul calcolo. La riflessione attuale lo fonda invece su un sentimento di appartenenza, che è soprattutto di natura culturale: io faccio parte di una determinata società perché ne condivido la cultura, le abitudini, le regole. In altri termini il legame sociale è più un'adesione che una constatazione, più un percorso personale che una situazione di fatto. In queste condizioni, si comprende come il legame sociale - su cui si basa la solidarietà - implica un'integrazione culturale che è agli antipodi del sentimento comunitarista; mentre, in quest'ultimo caso, io mi riconosco innanzitutto come membro di una determinata comunità (ad esempio i neri, i chicanos, gli italiani, ecc.), nella prima ipotesi invece sono innanzitutto membro di una nazione, ed è questa che mi dà un'identità, mentre le caratteristiche comunitarie diventano di ordine privato, a carattere familiare o religioso.

Legge antitrust

La prima legge antitrust, la legge Sherman (dal nome del senatore americano), è stata adottata dagli Stati Uniti alla fine del secolo scorso. Il suo scopo era quello di limitare il potere delle grandi imprese che, riducendo la concorrenza, potevano rappresentare una minaccia per l'assetto democratico della società e un pericolo per i consumatori e la società nel suo insieme.
In Italia, una legge antitrust è in vigore dal 1990. Ha istituito un'autorità garante della concorrenza e del mercato costituita da una Commissione formata da un presidente e quattro membri che vengono designati dai presidenti di Camera e Senato.
Una legislazione in merito esiste anche a livello di Unione Europea. Il termine trust (in inglese fiducia) indica il fatto che gli azionisti possono firmare una specie di contratto in base al quale affidano ad un organismo (il trustee) l'impegno di votare per conto loro in occasione delle assemblee generali della società.
I gestori del trust, dotati di pieni poteri, possono dunque controllare più società senza essere ufficialmente gli azionisti di maggioranza o dominanti. Il pericolo per la democrazia non era solo teorico: alla fine del secolo scorso negli Stati Uniti i grandi uomini d'affari come John Rockfeller (in campo petrolifero) o Andrew Carnegie (in quello siderurgico) erano riusciti a monopolizzare il proprio settore con mezzi che si avvicinavano al banditismo.
La legge antitrust costrinse ad esempio Rockfeller a dividere la Standard Oil in sei società e a vendere la maggior parte delle azioni detenute in cinque di queste. Le leggi antitrust, però, non durano mai molto a lungo, perché l'efficienza economica delle grandi imprese (grazie alle economie di scala e alla loro capacità di ricerca e sviluppo) è superiore a quella delle numerose piccole imprese a cui fa riferimento la teoria economica tradizionale.

Legge bronzea dei salari

Termine attribuito a Marx (in realtà introdotto da uno dei suoi discepoli e commentatori, Lassalle, che diffuse il marxismo in Francia alla fine del XIX secolo), che indica come in una società capitalistica il salario sia inevitabilmente schiacciato a un livello vicino al minimo vitale.
Sappiamo che la realtà si discosta molto da questa affermazione: il capitalismo non ha mai dato prova di tanto dinamismo che quando il livello dei salari ha avuto tendenza ad aumentare allo stesso ritmo degli aumenti di produttività. Non esiste quindi nessuna legge che spinga i salari a ricevere una parte sempre più piccola della ricchezza che essi producono. Sebbene Marx non abbia mai detto questo - al contrario egli faceva dipendere la remunerazione della forza lavoro da elementi storici e culturali - la sua analisi poteva prestarsi a questo tipo di interpretazione. Tanto più che gli stessi fondatori dell'analisi economica classica, Adam Smith, David Ricardo e Thomas Malthus, tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, hanno sostenuto questa tesi. A differenza dei classici però la tradizione marxista della legge bronzea fonda quest'ultima non su una logica naturale, ma sull'esistenza di rapporti di forza sfavorevoli alla classe operaia.

Legge del valore

Nell'analisi di Marx indica il fatto che tutte le merci, in un economia di mercato, tendono ad essere vendute in funzione della quantità di lavoro che incorporano.
In realtà molte polemiche hanno accompagnato questo concetto marxista, proprio in ragione della sua inesattezza.
Una stessa quantità di lavoro (misurata in ore) può nascondere qualità di lavoro molto diverse: l'ora dell'ingegnere non ha la stessa efficienza e la stessa remunerazione di quella del manovale. Marx ne esce con un escamotage: "un'ora di lavoro qualificato - scrive - è un multiplo dell'ora di lavoro normale." Ma un multiplo di quale ordine di grandezza? E come misurare questo multiplo se non partendo dalle grandezze del mercato? Ciò conferma che il valore di un prodotto non dipende soltanto dalle quantità di lavoro impiegate, ma anche dal valore che il mercato attribuisce alle diverse specializzazioni richieste per la produzione di tale prodotto: in altre parole il valore di un prodotto dipende dal prezzo di mercato degli altri prodotti (le diverse specializzazioni della forza lavoro); ciò fa cadere in contraddizione il ragionamento di Marx, poiché il prezzo di mercato spiega parte del valore, mentre nell'analisi marxista è solo il valore che deve determinare il prezzo di mercato. Il secondo elemento di polemica deriva dal fatto che non tutti i prodotti richiedono la stessa proporzione di lavoro diretto (ore di lavoro) e di lavoro indiretto (utilizzo di beni intermedi e strumentali). Ora, se il capitalista vuole ottenere lo stesso rendimento su tutti i capitali, più egli utilizza lavoro indiretto, più immobilizza dei capitali, dunque più caro deve far pagare quello che vende. Ciò conferma che il prezzo di mercato non è determinato semplicemente dalla quantità di lavoro impiegata, ma anche dal carattere più o meno capitalistico del processo produttivo, che genera costi di produzione più o meno elevati. Accettare questo punto di vista (sviluppato dallo stesso Marx) equivale a dire che la legge del valore è suscettibile di aggiustamenti e non determina direttamente e automaticamente il prezzo di mercato.

Legge di Gresham

Formulata all'inizio del XVII secolo da un inglese che le ha dato il suo nome, questa legge sostiene che la moneta cattiva scaccia quella buona. In altri termini quando esistono due sistemi di pagamento in concorrenza, gli operatori preferiscono sbarazzarsi di quello che ritengono meno sicuro (capace di perdere potere d'acquisto, o di essere oggetto di ulteriori difficoltà di smercio), così il sistema di pagamento più sicuro tende a essere risparmiato e a diventare più raro.
La legge di Gresham è stata formulata in un momento in cui le monete in circolazione erano di natura diversa: monete d'oro di cui alcune avevano un titolo (contenuto in oro) inferiore al loro contenuto legale, o erano limate, o pezzi d'argento, ecc.. Di fronte a questa incertezza sul valore effettivo del metallo prezioso contenuto nelle monete, gli utilizzatori erano diffidenti. Ma ciò resta vero ancora oggi nella maggior parte dei regimi monetari, perché esistono sempre delle monete che sono considerate migliori di altre e che giocano un ruolo di riserva o di strumento di risparmio.

Liberalismo

Nel senso economico del termine indica la convinzione che ai fini di una società efficiente e giusta i meccanismi del mercato siano migliori di qualsiasi forma di intervento pubblico.
Il liberalismo economico è definito da due frasi. Una pronunciata da Turgot alla fine del XVIII secolo: Laissez faire, laissez passer, l'altra da Guizot all'inizio del XIX secolo: Arricchitevi. Il liberalismo si basa su una duplice convinzione: nessuno meglio dell'individuo sa cosa è bene per lui, e il benessere collettivo è il risultato del perseguimento dei propri interessi da parte di ognuno (il tutto è la somma delle parti). Questo doppio postulato è discutibile: il laisser-faire generalmente conduce allo sfruttamento del più debole da parte del più forte.
Inoltre l'interesse generale non si riduce alla somma degli interessi individuali. Questa duplice critica, però, non permette di dire quale forma di intervento pubblico sia necessaria, in che limiti sia auspicabile attuarla. Mentre il liberalismo conduce a norme di comportamento estremamente chiare, la sua critica non porta a un'indicazione altrettanto semplice.

Liberalizzazione

Riduzione dell'intervento pubblico (norme, sorveglianza o imposte) nell'economia o, più in particolare, in un settore (ad esempio la liberalizzazione del trasporto aereo).
La liberalizzazione si basa sulla convinzione che il mercato è un regolatore migliore dell'intervento pubblico. Ma questa affermazione, spesso vera a livello di un'impresa o di un ramo produttivo, non lo è più a livello nazionale o di un insieme di paesi, in quanto gli aggiustamenti imposti dal mercato possono avere effetti inattesi o provocare squilibri crescenti.

Liberismo o libero-scambio

Indica la situazione in cui nessun ostacolo doganale, fiscale o regolamentare va a ostacolare gli scambi internazionali.
Il libero scambio non è mai esistito, sebbene sia considerato dagli economisti liberali come la situazione in cui lo sforzo di ognuno e di ogni nazione conduca alla maggiore efficienza possibile.
La realtà, evidentemente, è che il libero scambio provoca modificazioni non trascurabili nell'attività interna di ogni paese, e cioè la riduzione dell'occupazione, la perdita di quote di mercato, mentre nello stesso tempo stimola altre attività e contribuisce a creare occupazione. Il bilancio finale può essere considerato positivo? Secondo la teoria del vantaggio comparato non vi è alcun dubbio, ma non vi è certezza che coloro che hanno perso l'impiego siano gli stessi a essere assunti in nuove attività. Non è sicuro, inoltre, che le attività che si sviluppano siano portatrici di dinamicità e di guadagno. Esistono, infine, alcuni settori in cui una nazione non vuole dipendere in parte o completamente dall'estero (nel settore alimentare, ad esempio, o in quello delle industrie per la difesa nazionale).
Per tutte queste ragioni gli stati hanno frenato l'evoluzione verso il libero scambio. Tuttavia sotto la pressione del Gatt, e ora dell'Omc, il commercio mondiale tende a liberalizzarsi e il libero scambio, pur non essendo pienamente attuato, è divenuto a poco a poco la regola nella maggior parte delle nazioni.

Lobby

Termine inglese che indica un gruppo di pressione economica.
In genere una lobby cerca di agire in modo discreto, affinché la legislazione in vigore prenda in considerazione gli interessi del gruppo di pressione. Possiamo quindi distinguere l'azione di massa - di tipo sindacale ad esempio - che difende gli interessi del gruppo mostrando la propria forza, e l'azione delle lobby che si basa su argomenti razionali, finanziari o politici, ma che utilizza sistemi più moderati.

Macroeconomia

Analisi della realtà economica che privilegia l'insieme degli operatori economici considerati come un'unica entità.
La macroeconomia riguarda i fenomeni economici a livello generale: s'interessa ad esempio all'investimento in generale o al reddito delle famiglie, ma non ai motivi che spingono una certa impresa a effettuare un determinato investimento o che spiegano l'evoluzione del salario individuale. Questa scelta non è ovviamente neutrale: si basa sull'ipotesi che non si può spiegare il tutto attraverso i comportamenti individuali (o microeconomici). Il proprietario di un'impresa, ad esempio, investirà in base alle proprie disponibilità di liquidità o di prestito, degli sbocchi possibili, dei comportamenti della concorrenza, ecc. Nell'insieme dell'economia, però, l'investimento globale dipenderà piuttosto dai tassi di interesse, dal ritmo di crescita previsto, ecc..
Keynes
, che privilegiava l'approccio macroeconomico, spiegava questa teoria sostenendo che i comportamenti dei dirigenti di impresa dipendono da istinti animali, cioè gli imprenditori si influenzano a vicenda, con tendenza a imitarsi, poiché ognuno ritiene che se il concorrente ha investito, è; necessario fare lo stesso per non perdere quote di mercato e, cosa più importante, se l'altro ha agito così vuol dire che dispone di informazioni nascoste. Il risultato, sempre secondo Keynes, è che ciò che potrebbe sembrare logico a livello microeconomico (per ogni dirigente di impresa) non è detto che lo sia anche a livello macroeconomico (per l'economia nel suo insieme).
L'approccio macroeconomico mette in evidenza le interrelazioni generali: il salario, ad esempio, è un costo per l'impresa (approccio microeconomico), ma è la principale fonte di reddito delle famiglie, dunque una componente fondamentale del livello e dell'evoluzione dei consumi (approccio macroeconomico).
Tale criterio è stato adottato dagli economisti classici, incluso Marx: essi mettevano l'accento sul sistema nel suo complesso, sulle sue capacità di sviluppo, di stagnazione o di crisi. Gli economisti neoclassici venuti dopo hanno invece privilegiato i comportamenti individuali, ritenendo che il mercato, principale regolatore, dipendesse da questi e soprattutto dalla ricerca razionale della massimizzazione dell'utilità (nel caso dei consumatori) o del profitto (nel caso dei produttori).
Keynes segna un ritorno all'approccio macroeconomico. Da una decina di anni sembra che l'ago della bilancia si sia di nuovo spostato dall'altra parte.

Mano invisibile

Celebre espressione di Adam Smith, che descrive come il mercato, all'insaputa dei suoi componenti, contribuisca ad orientare le decisioni degli uni e degli altri a vantaggio dell'interesse comune.
Ognuno crede di agire per interesse personale, ma contribuisce all'interesse collettivo.
L'espressione di Adam Smith è una felice metafora: riassume un programma ideologico volto a fare del mercato l'unico regolatore di tutta la vita economica. É per questa ragione che l'espressione è ripresa così frequentemente tanto dagli oppositori che dai sostenitori di questo programma.

Marxismo

Indica l'insieme delle analisi sviluppate da Marx e dai suoi successori: da un punto di vista economico e sociale, il marxismo si basa principalmente sull'analisi delle classi sociali e sulla teoria del valore. Le classi sociali vengono definite in rapporto alla proprietà dei mezzi di produzione e le due classi principali, il proletariato e la borghesia, hanno interessi contrapposti. Quanto al valore delle merci, si ritiene che questo dipenda dalla quantità di lavoro socialmente necessario a realizzarle. Da questi due concetti di base deriva che il capitalismo è crescenti squilibri, che lo destinano allo scomparsa.
Il marxismo ha indubbiamente un orientamento materialista: sono le strutture materiali (e il cambiamento tecnologico) che costituiscono il motore della storia. Si è discusso molto sul carattere più o meno meccanicistico di questa analisi, ossia sulla maggiore o minore dipendenza della storia degli uomini dalle loro scelte. Nonostante alcuni discepoli di Marx abbiano indiscutibilmente sviluppato tesi meccanicistiche, non si può affermare lo stesso per Marx, data la complessità e la ricchezza storica delle sue analisi.

Mercantilismo

Corrente di pensiero apparsa nel XVI secolo in Spagna, Francia e Gran Bretagna. Secondo questa teoria è importante registrare un avanzo con l'estero per garantire la potenza e la ricchezza del sovrano.
I mercantilisti - Colbert, Forbonnais, ecc. - sono stati tutti consiglieri del Principe e di conseguenza hanno studiato il modo per favorire la sua potenza. A quell'epoca il commercio estero si basava sulla capacità di pagare in oro, perciò detenere ricchezze monetarie in metalli preziosi dava la possibilità di fare a meno dei banchieri, dell'imposta e inoltre permetteva di condurre una politica indipendente. Si è molto rimproverato ai mercantilisti di aver confuso la ricchezza con l'oro, di essere stati vittime di un'illusione monetaria: la moneta (anche in oro) ; solo un mezzo per procurarsi la ricchezza, che è invece realizzata dalla produzione. Queste critiche però non sono del tutto fondate: i mercantilisti non hanno nulla a che fare con l'Avaro di Molière, continuamente impegnato a contare e ricontare i suoi scudi. Per loro il metallo prezioso era solo un mezzo: quello della potenza del sovrano.

Mercato

In origine indicava il luogo in cui si confrontavano l'offerta e la domanda di un prodotto. E ancora oggi, in questo senso, esistono i mercati di frutta e verdura. Per estensione il termine indica l'offerta e la domanda di un determinato prodotto senza riferimento al luogo (si parla così del mercato dell'automobile, anche se è composto da numerosi operatori geograficamente lontani: concessionari, annunci, garagisti, ecc.). Sempre per estensione il termine indica, in modo ancora più generale, un sistema di fissazione dei prezzi attraverso l'incontro tra un'offerta e una domanda separate (si parla così di un'economia di mercato, o degli orientamenti del mercato).
L'esistenza di un mercato è subordinata alla variabilità dei prezzi: se questi fossero fissi o stabiliti da un'autorità esterna (ad esempio il Piano o il feudatario) non ci sarebbe mercato, ma soltanto un ordine con la constatazione alla fine di un'insufficienza o di un eccesso di offerta rispetto alla domanda. Si ha mercato quando si osservano fluttuazioni di prezzo, le quali a loro volta possono provocare cambiamenti nell'ammontare dell'offerta e/o della domanda. È questo meccanismo di aggiustamento che per i liberali ha virtù regolatrici e offre a ogni operatore economico un'informazione precisa che determina il suo comportamento.
L'esistenza di mercati (nel senso originario del termine, con il confronto fisico di offerta e di domanda) è molto antica, gli storici (in primo luogo Fernand Braudel) hanno mostrato che nei villaggi il mercato fa parte delle istituzioni più antiche, che hanno preso la forma di mercati coperti, fiere, piazze, ecc.. Ma finché questi mercati rimangono secondari e la maggior parte dei rapporti sociali e di scambio continuano a essere retti da consuetudini, da regole o da istituzioni che non dipendono dal calcolo e da strategie di profitto, non possiamo parlare di capitalismo. Il termine economia di mercato, con il quale generalmente lo si indica, non deve indurre in errore: l'esistenza di mercati è una condizione necessaria ma non sufficiente; è necessario che i mercati siano estesi, ossia che diventino il sistema normale di scambio e il supporto di strategie di investimento dirette al profitto.

Mercato comune del Cono sud (Mercosur)

La sigla (spagnola) definisce l'unione doganale tra Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay creata nel 1995.
L'unione doganale indica una volontà di integrazione più forte di una semplice zona di libero scambio. È Il caso di questi paesi che, a eccezione del Paraguay, hanno un sviluppo economico grosso modo uguale. Il loro obiettivo è creare una specializzazione che permetta di beneficiare di economie di scala. Oltre all'istituzione di una tariffa esterna comune, i paesi del Mercosur hanno deciso di finanziare investimenti comuni in infrastrutture di trasporto (ferrovie, reti stradali), in modo da rafforzare le capacità di integrazione.

Mercato dei cambi

Mercato sul quale vengono quotate le valute.
Un mercato dei cambi è composto generalmente da una parte in contanti e da un'altra a termine. È una struttura organizzata: esiste un'autorità che vigila affinché le transazioni siano effettuate correttamente, ne controlla l'esecuzione e la trasparenza. Gli operatori del settore sono autorizzati da questa autorità e possono essere pUniti o addirittura espulsi nel caso non rispettino le regole. Esiste quindi un'enorme differenza tra un mercato dei cambi e un mercato nero, poiché quest'ultimo per definizione non è né regolato né controllato e la trasparenza delle transazioni (quantità, prezzo) non è garantita.

Mercato dei capitali

Indica i mercati sui quali si possono riscuotere capitali propri (emissione di azioni) o prendere in prestito somme di denaro.
L'obiettivo del mercato è quello di fissare le contropartite (tassi di interesse, data e modalità di rimborso, garanzie in caso di prestiti, valore dell'azione in caso di capitali riscossi).
Per ciò che riguarda i prestiti, le somme che sono oggetto di transazioni sono così elevate che i privati non vi hanno accesso.

Mercato del lavoro

Mercato sul quale si incontrano l'offerta (da parte dei lavoratori che offrono la propria forza lavoro) e la domanda di lavoro (da parte dei datori di lavoro che vogliono assumere).
Il mercato del lavoro non è come gli altri. Innanzitutto la realtà mostra che esso è molto segmentato: non solo per specializzazione, anzianità, livello di istruzione, ecc., ma anche perché riguarda soltanto una parte dei lavoratori dipendenti, cioè coloro che hanno perso il loro precedente impiego, che vogliono lasciarlo, o che arrivano per la prima volta sul mercato del lavoro. In altre parole la prospettiva di carriera della maggior parte dei lavoratori dipendenti impedisce di tornare sul mercato del lavoro. Quest'ultimo non è quindi il principale luogo in cui si fissa il salario, poiché buona parte dei salari sono fissati attraverso contrattazioni interne alle imprese: a volte si parla di mercato interno del lavoro per indicare questa contrattazione, che non passa sul mercato del lavoro. Inoltre questo mercato fissa il prezzo di un prodotto molto particolare: ovviamente i meccanismi di mercato non possono portare a livelli di prezzo tali da non permettere ai salariati di sopravvivere o di crescere i propri figli.
Esistono perciò dei limiti alla loro diminuzione, che sono molto spesso imposti dalle autorità (salario minimo legale), o dalle organizzazioni sociali (salari minimi contrattuali). Infine il mercato del lavoro sottolinea la presenza di operatori economici con poteri diversi: da un lato i datori di lavoro, che in genere possono permettersi di aspettare, dall'altro persone che hanno disperato bisogno di lavorare per sopravvivere. Per evitare che questo potere disuguale generi una società troppo squilibrata, si è progressivamente creato un diritto sociale, che prevede un certo numero di garanzie per i lavoratori dipendenti (a svantaggio della flessibilità) attraverso una limitazione dei diritti dei datori di lavoro: procedure di licenziamento, obbligo di organizzare e consultare le associazioni rappresentative dei lavoratori, ecc..

Mercato finanziario

Mercato sul quale vengono quotati i prodotti finanziari (azioni, obbligazioni, prodotti derivati).

Mercato monetario

Mercato sul quale le banche scambiano la moneta centrale.
La moneta centrale è quella emessa dalla Banca centrale: è l'unica ad avere valore legale. Nei fatti però la maggior parte degli operatori economici detiene depositi in banca con i quali effettua i propri pagamenti: è la moneta bancaria (vedere moneta). Resta il fatto che ogni agente ha il diritto di ritirare dal proprio conto tutti o una parte dei suoi crediti in moneta centrale. La Banca centrale esige dalle banche commerciali che esse saldino gli eventuali debiti nei suoi confronti (soprattutto a titolo di riserve obbligatorie) in moneta centrale.
Esiste quindi un bisogno di moneta centrale che spiega l'esistenza del mercato monetario. Su questo mercato le banche che detengono un surplus di moneta centrale (ad esempio perché hanno ricevuto divise che hanno venduto alla Banca centrale, la quale le ha pagate in moneta centrale) prestano a breve termine (da uno a trenta giorni) alle banche che hanno bisogno di moneta centrale e a un tasso che dipende dall'importanza rispettivamente dell'offerta e della domanda; questo tasso è chiamato tasso monetario.
Se la Banca centrale aumenta le proprie esigenze in materia di riserve obbligatorie, ciò porta a un aumento del tasso monetario. La Banca centrale può anche intervenire sul mercato: immettendo liquidità (acquista titoli commerciali presso le banche commerciali o li prende con un'operazione di pronti contro termine) o ritirandola (aumenta l'ammontare delle riserve obbligatorie od offre tassi più alti rispetto alle banche commerciali per convincere alcune di esse, che hanno un eccesso di moneta centrale, a prestarla a lei anziché alle altre banche commerciali). Quando la Banca centrale interviene in questo modo sul mercato, essa attua l'open market, operazioni di mercato aperto, sottinteso alla Banca centrale. Ciò le permette di aumentare o di ridurre i tassi monetari. Questi ultimi diventano quindi degli indicatori della politica monetaria seguita dalla Banca centrale: restrittiva (se i tassi monetari crescono) o espansiva (se si riducono).

Mercato obbligazionario

Settore del mercato finanziario sul quale vengono quotate le obbligazioni, ossia i titoli di prestito che producono un interesse e che sono rimborsabili a una determinata data.
La funzione del mercato obbligazionario è quella di assicurare la liquidità di titoli la cui scadenza può essere lontana nel tempo. Il prezzo della transazione viene determinato in funzione del valore nominale del titolo, della sua data di scadenza, e, soprattutto, del tasso di interesse a cui è stato emesso. Se nel momento della transazione sul mercato obbligazionario il tasso d'interesse delle obbligazioni nuove è aumentato rispetto a quello delle obbligazioni negoziate sul mercato obbligazionario, i possessori di queste ultime saranno obbligati a vendere al di sotto del valore nominale, poiché i potenziali acquirenti vorranno percepire un tasso d'interesse almeno pari a quello delle obbligazioni nuove emesse nello stesso momento.
Di conseguenza, quando i tassi d'interesse (a lungo termine) aumentano, il valore dei titoli sul mercato obbligazionario tende a scendere, mentre aumenta quando i tassi d'interesse si abbassano.

Mib 30

L'indice della borsa valori di Milano, calcolato giornalmente sulla base dei 30 titoli più scambiati sul mercato (blue chips).
I flussi di ordini di acquisto e di vendita su tali titoli sono sufficientemente elevati da garantire il funzionamento di un sistema di contrattazione continua che permette di determinarne in qualsiasi momento il prezzo (corso o quotazione) derivante dall'incontro della domanda e dell'offerta. L'indice, costruito ponderando il prezzo di ogni titolo con il volume di contrattazioni relativo al titolo stesso durante la seduta di borsa, può quindi essere calcolato in qualsiasi momento. L'importanza dei 30 titoli ricompresi nel paniere del Mib permette di considerare tale indice rappresentativo delle fluttuazioni dell'insieme dei titoli quotati in borsa. Da cui il ruolo del Mib 30, ritenuto espressione sintetica dell'andamento della borsa nel suo complesso.
In realtà l'indice Mib 30 non è fortemente rappresentativo ma gioca un ruolo essenziale nelle scelte di acquisto o vendita degli attori del mercato borsistico, operando non tanto come uno specchio, quanto come un segnale che agisce sulle aspettative degli operatori del mercato. È noto inoltre che la borsa è per eccellenza il luogo dei movimenti speculativi: una discesa del Mib 30, influenzando le aspettative, può generare una ulteriore discesa, così come un suo rialzo può provocare un'ulteriore ripresa delle quotazioni, il tutto nell'ambito di movimenti che nulla in teoria limita, se non la coscienza diffusa degli operatori di essere andati troppo lontano.

Modo di produzione

Termine di origine marxista che indica la natura dei legami esistenti tra i produttori e i proprietari dei mezzi di produzione.
Nel modo di produzione schiavistico, i produttori sono proprietà personale del possessore dei mezzi di produzione, che fissa unilateralmente le condizioni di produzione (ritmo, lunghezza della giornata lavorativa, remunerazione, punizioni e così via).
Nel modo di produzione asiatico l'unico proprietario è il sovrano, che dispone dell'insieme della forza lavoro per effettuare lavori collettivi (irrigazione, costruzioni funerarie, ecc.).
Nel modo di produzione feudale i produttori devono compiere lavori obbligatori in favore di un'aristocrazia feudale strutturata gerarchicamente secondo legami di vassallaggio: i signori sono proprietari della terra e devono proteggere i loro servi, i quali in cambio devono coltivare la terra e dare al signore i frutti del loro lavoro.
Infine nel modo di produzione capitalistico i lavoratori sono liberi da qualunque vincolo personale ma, non potendo possedere i mezzi di produzione, sono costretti a vendere la loro forza lavoro alla borghesia proprietaria, che in questo modo può appropriarsi del plusvalore prodotto dalla valorizzazione della forza lavoro dei proletari lavoratori.
Si è molto criticato il determinismo tecnologico di Marx: egli infatti ha sottolineato che l'esistenza di un modo determinato di produzione era legato alla natura dei mezzi di produzione ed è arrivato al punto di scrivere che “è stato il mulino a vento a far nascere il feudalesimo.” In ogni caso l'accento posto sugli strumenti, sul modo in cui organizzano le relazioni sociali, è decisivo per comprendere l'evoluzione di società nelle quali le tecniche svolgono un ruolo sempre più importante.

Mondializzazione

Indica la situazione nella quale un'impresa determina la sua localizzazione, i suoi approvvigionamenti, il suo finanziamento, i suoi circuiti di commercializzazione, le sue assunzioni o addirittura i suoi mercati su scala mondiale, comparando i costi e i benefici che le procurano ognuna delle possibili soluzioni nazionali. In senso lato indica la struttura globale di interdipendenza e di interpenetrazione delle economie nazionali.
La mondializzazione introduce un importante cambiamento, quasi una rottura, nei processi di internazionalizzazione all'opera da diversi decenni. L'internazionalizzazione infatti implica solo un'intensificazione degli scambi internazionali, quindi dei fenomeni di specializzazione da una paese all'altro (vedere vincolo estero).
La mondializzazione implica una ottimizzazione delle diverse operazioni di produzione e commercializzazione su scala mondiale: subappaltare, localizzare e commercializzare le varie operazioni nei vari paesi. Il contributo specifico di ogni paese in questo processo globale (vedere globalizzazione) dipende dai vantaggi specifici che questo è suscettibile di portare: manodopera a buon mercato, infrastrutture di qualità, la vicinanza di una rete fitta e dinamica di ricerca e sviluppo, una sofisticata e poco costosa ingegneria finanziaria e così via.
La mondializzazione mette quindi in concorrenza non più i prodotti, ma i sistemi produttivi e sociali. Di conseguenza il mantenimento di questo o quel tipo di benefici sociali in un determinato paese (un livello salariale più elevato, oneri sociali che permettono di finanziare un sistema di previdenza sociale, ecc.) dipende dalla sua capacità di offrire in cambio vantaggi specifici, per i quali le aziende interessate sono disposte a pagare i corrispondenti costi salariali od oneri sociali. La mondializzazione quindi costringe i paesi che vogliono adottarla a elevare il livello di competenza della loro manodopera, la qualità dei loro collegamenti internazionali, ecc.. Altrimenti la sola alternativa ; quella di ridurre i salari, gli oneri sociali o le imposte, così da attirare con i costi inferiori le imprese che non possono attirare con elementi qualitativi.

Moneta

Indica qualunque strumento di pagamento comunemente accettato in una determinata società.
Una moneta si basa prima di tutto su una convenzione: l'accetto perché so che gli altri l'accetteranno a loro volta. Questa convenzione può essere prodotta da una decisione pubblica vincolante: questa moneta avrà corso legale (ciò significa che i creditori sono tenuti ad accettarla per il pagamento del loro credito). Ma non è sempre così: una moneta può anche essere il frutto di una credenza comune (è questo che fa dell'oro una moneta perché, a torto o a ragione, ognuno è convinto che l'oro detenga un valore intrinseco che ne fa una moneta più sicura). Il valore della moneta si basa in fin dei conti sull'esistenza di un'immensa catena di credulità condivisa.
Nei sistemi monetari contemporanei si distingue abitualmente la moneta fiduciaria (emessa dalla Banca centrale e la cui accettazione non è data da un valore intrinseco, come l'oro, ma da una decisione legale) dalla moneta bancaria (quella gestita dalle banche commerciali e che dà vita ai pagamenti mediante assegno, carta di credito o bonifico). La moneta metallica indica una moneta che non è emessa da una Banca centrale, ma che risulta da un’unità di riferimento commerciale: questo sistema monetario è scomparso nel 1914, data in cui è ufficialmente venuto meno il sistema aureo, prima del suo abbandono definitivo nel 1944. La moneta divisionaria indica le monete o le banconote (coniate ed emesse in Italia dalla zecca, un'organizzazione statale, e messe in circolazione dalla Banca d'Italia).
Il termine moneta forte indica una moneta il cui tasso di cambio ha tendenza ad apprezzarsi rispetto a quello dei principali partner economici. Al contrario una moneta debole è una moneta il cui potere di acquisto interno diminuisce a causa dell'inflazione e il cui potere di acquisto estero (determinato dal tasso di cambio) diminuisce anche per la svalutazione sul mercato dei cambi.

Moneta di riserva

Moneta utilizzata nella composizione dei depositi di cambio detenuti dalle Banche centrali per garantire la convertibilità della loro moneta.
In teoria tutte le monete convertibili hanno la possibilità di diventare monete di riserva: essendo convertibili possono diventare oggetto di una domanda sui mercati dei cambi. In pratica però alcune monete sono più usate di altre. È più comodo avere dollari che corone danesi, perché la domanda di dollari è più frequente di quella di corone.
Di conseguenza le monete di riserva si concentrano su un piccolo numero di monete: soprattutto dollari, yen e marchi (probabilmente questo sarà anche il destino dell'euro).

Monetarismo

Scuola di pensiero secondo la quale la moneta influisce sui prezzi.
Di conseguenza l'arma monetaria va utilizzata solo per lottare contro l'inflazione, altrimenti si rivela inutile e pericolosa.
Inutile perché la politica monetaria è incapace di stimolare l'economia e quindi di avere un effetto sulla crescita, pericolosa perché con l'arma monetaria si rischia di avere inflazione.
Il monetarismo è una delle più vecchie dottrine economiche. Si basa sull'idea che la moneta è neutrale, che non influenza né la produzione né la distribuzione del reddito. Fortemente scosso da Keynes, che ha mostrato come una politica monetaria poteva avere il risultato di frenare o di stimolare la crescita attraverso l'utilizzo del tasso d'interesse, il monetarismo ha ritrovato nuovo vigore con Milton Friedman.
Il monetarismo moderno non nega che la politica monetaria possa avere un effetto di stimolo ma affermano che questo diventa sempre meno consistente via via che gli operatori economici vi si abituano e che, a termine, la politica monetaria provoca solo un'accelerazione dell'inflazione. Da un punto di vista più filosofico, il fondamento del monetarismo risiede nell'idea che gli uomini ne sanno meno del mercato stesso e quindi, a voler giocare agli apprendisti stregoni, si finisce prima o poi per provocare catastrofi (niente crescita e per di più inflazione.

Movimenti di capitali

Acquisti di valute con finalità diverse dal pagamento di un debito commerciale.
Il termine è riservato ai movimenti internazionali di capitali, che sono individuati attraverso i cambiamenti di divise. Per contabilizzarli si misurano solo gli acquisti di divise, poiché per definizione un acquisto mette in gioco due valute: quella del paese di origine e quella del paese di destinazione. Spetta alla Banca dei regolamenti internazionali registrare questi movimenti, sulla base delle dichiarazioni delle Banche centrali che ne sono membri.

Multilateralismo

Situazione nella quale una concessione o un vantaggio (commerciale, doganale, finanziario, ecc.) accordato da un paese a un altro paese è automaticamente esteso a tutti i firmatari dell'accordo nell'ambito del quale la concessione o il vantaggio è stato accordato.
Il multilateralismo esiste soprattutto in campo commerciale: una delle norme del Gatt (ormai Omc), detta la clausola della nazione più favorita (ciò che un paese firmatario accorda a un altro firmatario, deve accordarlo a tutti gli altri firmatari).

Multinazionale

Impresa con impianti di produzione in almeno due paesi.

Neoclassico

Aggettivo utilizzato nella teoria economica contemporanea per indicare i ragionamenti che combinano un approccio marginalista in microeconomia e un approccio keynesiano in macroeconomia. L'approccio marginalista implica l'ipotesi di individui razionali, che cercano di massimizzare la loro soddisfazione (utilità per i consumatori, profitto per gli imprenditori). L'approccio keynesiano implica che in determinate circostanze i meccanismi di aggiustamento del mercato sono imperfetti e vanno quindi completati, inquadrati o regolati attraverso un'azione pubblica (politica economica o intervento strutturale).
Esiste in realtà una grande diversità nei vari approcci neoclassici, a seconda dell'importanza data alla teoria keynesiana: a un estremo troviamo i neoclassici di ispirazione liberale, che minimizzano le disfunzioni o le insufficienze del mercato (ad esempio Franco Modigliani), all'altro estremo vi sono i keynesiani che si limitano a completare l'approccio macroeconomico abituale con giustificazioni di carattere microeconomico. John Hicks (un economista inglese) che per primo nel 1937 ha proposto una sintesi che faceva dell'approccio keynesiano un caso particolare della teoria dominante all'epoca. Di conseguenza il termine neoclassico indicava, prima di questa sintesi, la corrente dominante in economia, e cioè la corrente marginalista, incentrata quasi esclusivamente sull'analisi microeconomica, secondo la quale i meccanismi del mercato avevano sufficienti capacità di aggiustamento.
Lo stesso termine neoclassico proviene dal fatto che tra il 1870 e 1890 gli economisti abbandonarono in massa l'approccio classico, basato sul valore lavoro, per adottare l'analisi marginalista basata sul valore utilità e sul concetto di funzione di produzione.

New Deal

Letteralmente nuova mano (in una partita a carte).
Termine coniato dai consiglieri di Franklin D. Roosevelt (intellettuali soprannominati le teste d'uovo) nel 1932 per simboleggiare la volontà della Presidenza degli Stati Uniti di ridare a tutti una possibilità per sfuggire alla crisi.
L'espressione ha finito per indicare anche la politica anticrisi condotta tra il 1933 e il 1935 da Roosevelt: sostegno dei prezzi agricoli, avvio di grandi lavori pubblici e organizzazione dei primi elementi di uno stato assistenziale (assicurazione contro la disoccupazione, sussidi pensionistici e aiuti in natura per i più poveri).
Il New Deal era di natura interventista: rompendo con una vecchia tradizione di diffidenza nei confronti dello stato federale (di cui la guerra di Secessione era stata la manifestazione più estrema), si adoperava per rendere le strutture pubbliche responsabili della politica anticrisi, attraverso l'utilizzo di fondi destinati a lottare contro la povertà e il rilanciò dell'attività economica. Per gli Stati Uniti si trattava di una rottura fondamentale con il passato. Probabilmente ciò si spiega con la gravità della crisi, la cui ampiezza era tale da minacciare l'intero paese.
Ma questa rottura, sebbene accettata da una (ridotta) maggioranza, ha provocato in seguito molte reticenze: ancora oggi il New Deal continua a opporre i liberali (che vi vedono la fonte di una deriva nefasta) e i modernisti (che vi vedono l'atto costitutivo di una regolazione economica all'americana).
Si è molto discusso sull'efficacia del New Deal e sulla sua ispirazione keynesiana. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, la Teoria generale è apparsa solo nel 1936, quindi successivamente al New Deal. Ma non è improbabile che le idee fossero già nell'aria e che il brain trust (altro nome dato ai consiglieri di Roosevelt) del candidato democratico abbia tratto ispirazione dalle discussioni che agitavano gli ambienti intellettuali attorno a Keynes. Quanto all'efficacia del New Deal, non la si può negare: certo, questi interventi non sono bastati a far uscire gli Stati Uniti dalla crisi, ma alla fine del 1936 si era tornati al livello di produzione del 1930 e la disoccupazione era stata dimezzata, mentre in Gran Bretagna (altro paese molto colpito) la situazione era molto più grave. Tuttavia si dovrà aspettare l'economia di guerra per assistere a una vera e propria ripresa.

Nikkei 225

Indice borsistico della Borsa di Tokyo, calcolato a partire dalle variazioni delle quotazioni delle azioni dei 225 titoli che abitualmente sono oggetto delle transazioni più attive sul mercato di Tokyo.
Questo indice (chiamato spesso il Nikkei) corrisponde al nostro Mibtel.

Obbligazione

Titolo di credito rappresentativo di un prestito contratto da una persona giuridica presso il pubblico, a condizioni di remunerazione (tasso di interesse, modalità di versamento, eventuale esistenza di estrazione a sorte) e di rimborso (scadenza, modalità di rimborso) prefissate. Frutta interessi rapportati in termini percentuali al valore nominale del titolo, generalmente tramite il pagamento di cedole semestrali o annuali, ed è rimborsabile nel tempo secondo la pianificazione stabilita al momento dell'emissione.
Possono emettere obbligazioni lo stato, gli enti pubblici, banche e società private. In Italia, la legge impone che il collocamento di titoli obbligazionari sia subordinato a una autorizzazione della Consob, perché si tratta di una richiesta pubblica di risparmio. L'autorizzazione della Consob dipende dall'esame dei bilanci dell'emittente degli anni precedenti il lanciò dell'emissione, in modo da garantire al risparmiatore che sottoscriverà un minimo di sicurezza sulla solidità dell'organismo che emette le obbligazioni. Il ricorso all'emissione di titoli obbligazionari è in genere effettuata da organismi di dimensioni rilevanti e per importi sufficientemente elevati da giustificare la messa in atto di un procedimento lungo e costoso presso la Consob. L'autorizzazione è da questa accordata per un importo massimale di titoli determinato, lasciando a carico del mutuatario il rischio di un incompleto collocamento degli stessi.
Le obbligazioni possono essere a tasso fisso. Dopo la loro quotazione, se il tasso di interesse di mercato di tali titoli viene a cambiare, il valore del titolo si modifica: al rialzo in caso di ribasso dei tassi (perché diventa più interessante detenere quelle obbligazioni piuttosto che sottoscriverne di nuove), al ribasso in caso contrario. Per le obbligazioni a tasso variabile il tasso di interesse è funzione, per tutta la durata del prestito, delle variazioni di una grandezza determinata al momento dell'emissione (tasso di interesse in vigore sul mercato monetario, tasso medio dei titoli obbligazionari).
Le obbligazioni con warrant sono titoli obbligazionari dotati di un buono che conferisce al sottoscrittore la facoltà di ottenere una certa quantità di altri titoli (azioni e/o obbligazioni) della società emittente o di altra società, a una data scadenza o in un arco temporale prefissato, contro pagamento di una somma predeterminata. Il warrant può essere stancato dall'obbligazione e negoziato separatamente.
Le obbligazioni convertibili offrono al sottoscrittore la facoltà di rimanere creditore della società emittente o di convertire entro tempi e rapporti di cambio prefissati le obbligazioni in azioni della società emittente o di altra società. Lo scopo di tale strumento è di permettere alla società mutuataria di trasformare il debito in emissioni di azioni (non rimborsabili, perché si tratta di comproprietà).
Ben inteso il detentore dell'obbligazione non è costretto ad effettuare la conversione: infatti non eserciterà la facoltà di convertire qualora il valore dell'azione proposta in scambio con l'obbligazione sia superiore al valore di quest'ultima al momento della conversione. Una obbligazione zero coupon designa un'obbligazione i cui interessi sono pagabili in blocco al momento dello scambio.
Il rimborso delle obbligazioni è prefissato in base a un piano di ammortamento, che talvolta prevede una restituzione del debito in un'unica soluzione al termine del periodo, talvolta invece un'estrazione periodica di quote di emissione da rimborsare. Il rimborso può essere anticipato rispetto ai termini previsti se l'emittente ha contemplato tale clausola nel regolamento di emissione del premio.

Organizzazione di cooperazione e di sviluppo economico (Ocse)

Creata nel 1959, l'Ocse succede all'Organizzazione europea di cooperazione economica (Oece) nata nel 1951 per garantire la convertibilità delle divise dei paesi europei beneficiari del Piano Marshall.
Questa convertibilità era garantita da un sistema di compensazione gestito dall'Oece: le esportazioni di ogni paese membro dell'organizzazione destinate a un altro paese membro e le importazioni provenienti da altri paesi membri venivano registrate su un conto; alla fine di ogni mese erano dovuti solo i saldi, ciò permetteva di ridurre sensibilmente i bisogni di valuta di ogni paese. Questo dispositivo è terminato contemporaneamente alla decisione dei paesi membri di impegnarsi a tornare alla libera convertibilità delle loro monete. L'Oece sarebbe quindi dovuta scomparire. Ma la sua esistenza aveva mostrato l'importanza di disporre di una struttura in cui i paesi capitalistici (europei) potessero scambiare informazioni e disporre di analisi approfondite sulla loro situazione economica effettuate da esperti esterni considerati più indipendenti. É per questo motivo che i paesi membri hanno deciso di mantenere in vita la struttura. Gli Stati Uniti, che ne erano i principali finanziatori (in base al Piano Marshall), hanno voluto parteciparvi: da ciò la trasformazione di nome nel 1959 e al tempo stesso di obiettivo. L'Ocse è un organismo di concertazione sulle politiche economiche e sociali dei paesi membri. Il suo orientamento è nettamente liberale.
A intervalli regolari (annuali per i paesi più importanti, biennali per gli altri), il segretariato dell'Ocse procede a una valutazione della situazione congiunturale di ogni paese e avanza un certo numero di proposte dirette a migliorare la situazione. Ai paesi membri fondatori (tutti i paesi europei capitalistici, gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone, l'Australia e la Nuova Zelanda) si sono aggiunti nuovi membri: il Messico (nel 1993), la Repubblica ceca e l'Ungheria (nel 1995), la Corea del sud (nel 1996).

Offerta pubblica di acquisto (Opa)

Consiste in una proposta, rivolta alla totalità dei detentori di un determinato titolo e valida per un periodo di tempo prefissato, di acquistare le azioni di una società quotata in borsa a un prezzo determinato.
L'offerta è soggetta a condizione, in quanto l'opa si concretizza solo la proposta è accettata entro il periodo definito da una proporzione determinata di detentori dell'azione. In caso contrario, l'offerta non è convalidata. Il successo o meno di un'opa dipende in genere dal prezzo offerto: se quest'ultimo è nettamente più elevato della quotazione corrente in borsa, un maggior numero di azionisti sarà tentato di accettare l'offerta. Se esiste un limite minimo al quantitativo di adesioni a partire dalle quali l'offerta è effettivamente valida, non è invece previsto un limite massimo, ciò che fa dell'opa una procedura potenzialmente costosa. Chi lancia l'opa deve quindi proporre un prezzo attraente affinché l'operazione vada a buon fine garantendo al contempo il riacquisto di tutti i titoli presentati. Per questo non è usata di frequente. L'offerta pubblica è sottoposta al controllo della Consob, che vigila appositamente a che l'informazione non sia stata divulgata all'esterno per ottenere dei plusvalori in borsa. La finalità di lanciare un'opa è quella di tutelare gli interessi degli azionisti di minoranza in caso di operazioni di scambio di pacchetti di maggioranza e di controllo, a prezzi superiori a quelli di mercato. All'azionista di minoranza è consentito di partecipare all'operazione beneficiando del premio spettante al vecchio azionista di maggioranza. D'altro canto all'offerente consente di raggiungere un mercato più vasto.
La legge italiana ha reso l'opa obbligatoria qualora l'azionista oltrepassi una soglia determinata del capitale sociale dell'azienda quotata, tale da pervenire al suo controllo; tale obbligo consente agli altri azionisti che eventualmente disapprovassero questa presa di controllo di vedersi offerte condizioni di acquisto delle loro azioni almeno analoghe a quelle di cui hanno beneficiato gli azionisti che, cedendo le loro azioni, hanno permesso di oltrepassare la soglia di controllo.

Oligopolio

Situazione nella quale una determinata produzione proviene da un piccolo numero di produttori.
Un oligopolio non implica necessariamente un'intesa sul prezzo o sulla divisione del mercato. Tuttavia nell'ambito di un piccolo gruppo di operatori è forte la tentazione di limitare la concorrenza in modo più o meno formalizzato. Ovviamente questa limitazione è una pratica illegale. Ma accade spesso che in un oligopolio, una delle imprese - di solito la più importante - sia riconosciuta dalle altre come l'azienda leader e venga incaricata di fissare i prezzi sui quali gli altri produttori si allineano. L'impresa leader fissa quindi un prezzo guida. Ad esempio nel settore del petrolio l'Arabia saudita fissa il prezzo guida del greggio.

Oneri delle imprese

Nel significato abituale del termine indica la parte dei contributi sociali obbligatori (o convenzionali) versati dai datori di lavoro oltre al salario lordo. Questi contributi sociali non sono quindi dedotti dal salario lordo (contrariamente agli oneri salariali).
Più in generale i datori di lavoro hanno tendenza ad assimilare l'insieme degli oneri sostenuti nel pagamento dei salari agli oneri delle imprese, anche quando si tratta di imposte (ad esempio l'imposta sugli utili commerciali).

Oneri sociali

Insieme dei prelievi operati sui redditi, allo scopo di finanziare prestazioni sociali. Sono redditi (o rimborsi spese) versati senza contropartita produttiva. Il termine oneri sociali si applica piuttosto ai salari, mentre il termine contributi sociali designa i prelievi operati sull'insieme dei redditi professionali.
Gli oneri sociali presentano tre problemi: la loro copertura, il loro livello, il loro carattere più o meno ridistributivo.
La copertura: si tratta di sapere su quali basi gli oneri sociali vengono prelevati. In una società di pieno impiego, dove il versamento degli assegni sociali si effettua largamente su base professionale (casse di assicurazione malattia distinte a seconda delle professioni, regimi pensionistici distinti) sembrerebbe legittima la copertura professionale, alla tedesca. Con la crescita della disoccupazione, il declino di certe professioni e la crescita corrispondente di altre, questo sistema non va più bene e non potendo privare, ad esempio, di assistenza sanitaria chi non è attivo, o è disoccupato, bisogna trovare forme di copertura più complesse. Inoltre, alcuni hanno sottolineato che a caricare troppo di oneri il lavoro, se ne elevava abusivamente il costo, nuocendo così alla competitività esterna o alla creazione di occupazione. Non è affatto certo che questo sia un argomento valido perché, nel caso in cui gli oneri sociali non siano prelevati sui redditi professionali, bisognerebbe che questi ultimi siano aumentati di altrettanto, così da permettere ai titolari di tali redditi di pagare le imposte supplementari che prenderebbero il posto degli oneri sociali. Il solo vantaggio: che una fiscalizzazione di tutti o di una parte degli oneri sociali permette di farne gravare il peso sui redditi da capitale allo stesso modo che su quelli da lavoro. Da qui la proposta di un sistema a doppio binario: per le prestazioni non contributive (destinate a tutti, quale che sia il livello iniziale dei contributi), il carico corrispondente è finanziato dalle imposte. Invece, per le prestazioni contributive (proporzionali all'ammontare dei contributi versati, come, ad esempio, la pensione complementare) gli oneri sociali si basano sui redditi professionali.
Il livello degli oneri: tanto più elevato è il livello delle prestazioni sociali, altrettanto deve esserlo quello degli oneri. In una economia globalizzata, si corrono nuovi rischi. Attualmente si assiste a una rimessa in discussione del livello degli oneri sociali, poiché alcuni stimano che l'attuale livello tende a scoraggiare l'attività produttiva, spingendo i beneficiari di redditi elevati a ridurre i loro sforzi o ad espatriare. Anche se l'argomento viene artificialmente amplificato, non è privo di fondamento: meno per i rischi evocati da coloro che l'avanzano che per la rivolta sociale che richiama. A forza di caricare la barca, c'è il rischio di una sorta di rifiuto del sistema ridistributivo si diffonda tra la popolazione, avendo ciascuno la tendenza a valutare che, fatte le somme, paga troppo rispetto a quel che riceve. La questione del livello degli oneri sociali è più politica che economica: pone il problema dell'accettabilità dei prelievi in una società democratica.
Il carattere più o meno ridistributivo del sistema: farsi carico degli oneri sociali non è necessariamente intollerabile se quelli che pagano hanno la sensazione, o la convinzione, che lo fanno per se stessi. Se però questo è il caso, non vi è ridistribuzione. Si tratta soltanto di modificare il calendario di percezione dei redditi: un po' meno oggi, un po' più domani (per le pensioni, ad esempio), o un po' meno di remunerazione diretta e un po' più di vantaggi percettibili (per esempio, sotto forma di buoni-pasto, di mutua assistenza o di formazione). Vi è ridistribuzione solo quando quelli che pagano non sono i beneficiari. In mancanza di ciò, non si tratta più di un sistema basato sulla solidarietà, ma sull'assicurazione. Certo, un sistema assicurativo è sempre più o meno ridistributivo, poiché tutti versano una quota, e solo quelli che sono vittime di un sinistro vengono indennizzati. Ma è una ridistribuzione limitata e sarebbe più corretto parlare di mutualizzazione.
Significa che, se solo alcuni beneficiano, ciascuno può diventare un giorno o l'altro beneficiario. Al contrario, la ridistribuzione pura implica che i flussi sono sempre diretti nello stesso senso, dai più abbienti ai più sfavoriti.
Ed è qui che casca l'asino, perché i più abbienti tendono a stimare, alla lunga, che non sta a loro finanziare i più poveri. La sola cosa che può spingerli a non opporsi a questa ridistribuzione è la coscienza di una solidarietà, il sentimento che questa ridistribuzione genera una società meno ingiusta, dunque più pacificata, della quale essi beneficiano indirettamente. Insomma, è la consapevolezza che esiste un legame sociale ciò che legittima una ridistribuzione. Quando quest'ultima è rimessa in discussione, è dunque, in modo più profondo, il legame sociale che viene rimesso in causa.

Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec)

Organizzazione creata nel 1962 da un certo numero di paesi produttori con lo scopo di impedire l'abbassamento dei prezzi del petrolio praticato allora dalle compagnie petrolifere internazionali, che controllavano totalmente la commercializzazione, dunque la domanda, e la maggior parte della produzione, dunque l'offerta.
Le compagnie miravano a ridurre i prezzi dell'approvvigionamento (sui quali sono calcolate le imposte e le royalties destinate a remunerare lo stato proprietario del sottosuolo). L'Opec non ha potuto influenzare i prezzi che a partire dal momento - inizio degli anni '70 - in cui una parte degli stati membri dell'organizzazione ha potuto, spesso attraverso le nazionalizzazioni, controllare l'offerta.
Il suo momento di gloria l'Opec l'ha avuto tra il 1973 e il 1980: la prima data corrisponde al primo shock petrolifero, quando i paesi arabi hanno deciso di chiudere il rubinetto ai paesi che sostenevano Israele nella guerra che l'opponeva all'Egitto, alla Siria e alla Giordania. Agendo allora come un monopolio, l'Opec ha fatto quadruplicare la quotazione del greggio. Per mantenere questi corsi ad un livello elevato, l'organizzazione ha ripartito tra i paesi membri delle quote di produzione destinate a mantenere una certa penuria. La seconda data corrisponde al tentativo di far crescere ancora i prezzi approfittando della guerra Iran-Iraq. Le compagnie hanno allora reagito intensificando le loro prospezioni in zone non Opec (Mar del Nord, Messico,...); i paesi membri dell'organizzazione avrebbero allora dovuto accettare una riduzione delle loro quote, per mantenere i margini. La maggioranza vi si è opposta, costringendo l'Arabia saudita a ridurre, da sola e in modo considerevole, la sua produzione per tentare di mantenere i prezzi. Il regno wahabita ha finito per stancarsi e, nel 1985, ha decido di riprendersi la sua libertà di manovra, provocando un contro shock (forte abbassamento delle quotazioni) che dura ancora oggi. A meno che l'Ocse non riesca a ripristinare una disciplina interna sulla ripartizione dei sacrifici. Oggi l'Opec, incapace di influenzare i corsi, in ragione del peso ormai minoritario nell'approvvigionamento petrolifero mondiale) non è più attiva. Molti membri l'hanno lasciata (Ecuador, Nigeria). Ma, a termine, potrebbe ritrovare il potere perduto, dal momento che i suoi membri dispongono della maggior parte delle riserve accertate nel mondo.

Operatore finanziario

Chi opera su un mercato finanziario.
L'insieme degli operatori finanziari costituisce l'offerta e la domanda. La maggior parte di essi ha come obiettivo quello di massimizzare il plusvalore (una piccola minoranza interviene su questi mercati sia per collocare una liquidità provvisoriamente non utilizzata sia a titolo di copertura di operazioni commerciali tradizionali). In passato sarebbero stati chiamati speculatori, poiché tale è la definizione classica della speculazione fornita dall'economista britannico Nicholas Kaldor: "La speculazione, l'acquisto (o la vendita) di merci in vista di una successiva rivendita (o di un riacquisto), laddove il movente di tale azione èla previsione di un cambiamento dei prezzi in vigore e non un vantaggio derivante dal loro utilizzo o una trasformazione di una merce in un'altra." Ma questo termine è ormai raramente utilizzato per la connotazione negativa che ha assunto.

Organizzazione scientifica del lavoro (Osl)

Termine inventato da Frederick Taylor per indicare il sistema di organizzazione del lavoro che aveva messo a punto e che consisteva nell'affidare a un organismo particolare (chiamato ufficio delle procedure) il compito di scomporre un lavoro ripetitivo in un insieme di gesti elementari, di destinare a ciascuno di questi un tempo standard, stabilito dall'esperienza, e sulla base di ciò assegnare a ognuno dei lavoratori incaricati di effettuare un'operazione produttiva un tempo determinato per portare a termine questa operazione.
Del taylorismo (nome dato all'organizzazione scientifica del lavoro, sebbene il taylorismo implichi anche un insieme di raccomandazioni relative al modo di retribuzione che non rientrano nell'organizzazione scientifica del lavoro) si è conservato solo il concetto di parcellizzazione: ogni lavoratore si vedeva affidare un'operazione ripetitiva che richiedeva un numero molto limitato di gesti elementari, in modo da ridurre i tempi di attesa fra il passaggio da un'operazione all'altra. Ma non è sempre così: se il numero o la complessità dei pezzi da produrre non lo permette, l'organizzazione raccomandata da Taylor poteva portare all'affidamento a ogni posto di lavoro di un insieme di compiti relativamente esteso. Allo stesso modo si è conservata dell'Osl solo la questione del tempo: è vero che il cronometraggio di tempo ha suscitato numerosi conflitti. Ma in molti casi l'Osl non è accompagnata dal cronometraggio: ad esempio basta far funzionare più o meno rapidamente una catena di montaggio per costringere gli operatori ad accelerare la loro velocità di esecuzione.
In realtà la caratteristica fondamentale dell'Osl risiede nella separazione istituzionale tra coloro che organizzano e coloro che eseguono. Fondamentale è la presenza dell'Ufficiò delle procedure, che stabilisce (o cristallizza) una divisione sociale del lavoro e priva gli operatori di quel potere di organizzazione che era loro tradizionalmente riconosciuto. Se oggi si può parlare di post-taylorismo, lo si deve più alla critiche nei confronti della divisione del lavoro, che a una maggiore complessità dei compiti degli operatori. Quando ciò non avviene, il taylorismo è sempre all'opera.