GLOSSARIO DI ECONOMIA

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Salario

Remunerazione delle ore di lavoro svolte nell'ambito di un contratto di lavoro.
Si presume che il contratto di lavoro sussista nel momento in cui vi è un legame di subordinazione tra una persona ed un committente, vale a dire nel momento in cui quest'ultimo ha un diritto di controllo sulle modalità con le quali il lavoro viene eseguito e non soltanto sul prodotto finito (in diritto si parla non solo di obbligazione di risultato ma di obbligazione di mezzi).
Il legame di subordinazione può esistere senza che il contratto di lavoro sia stato formalmente firmato o anche solo stipulato: è il caso dei dipendenti pubblici, legati al loro datore di lavoro non da un contratto formale, ma dal fatto di essere stati nominati in un posto. Il vincolo di subordinazione permette di distinguere il lavoro autonomo dal lavoro dipendente, anche se la distinzione non è sempre evidente. Ad esempio, il rappresentante di commercio può essere considerato un lavoratore autonomo, mentre, sotto il profilo giuridico, è trattato come un dipendente. L'affermazione di piccole imprese (nel settore delle costruzioni, dei trasporti su strada) che lavorano quasi esclusivamente per conto di uno stesso committente ha rimesso in discussione questa distinzione tradizionale.
In effetti questo punto è estremamente importante. Da un lato il datore di lavoro deve corrispondere degli oneri sociali obbligatori nettamente più consistenti di quelli che deve sostenere un lavoratore autonomo. Dall'altro la rottura del contratto di lavoro è subordinata a un certo numero di condizioni (ad esempio il versamento di un'indennità di licenziamento quando la responsabilità della rottura incombe sul datore di lavoro). Il datore di lavoro, infine, è responsabile delle condizioni nelle quali il lavoro viene svolto (orari, ferie, misure di sicurezza, ecc.) e può pertanto essere penalmente responsabile degli incidenti che si possono verificare durante il lavoro o in occasione dello stesso (spostamenti). Del resto la nozione stessa di contratto di lavoro ha preso forma in riferimento alla problematica degli incidenti sul lavoro: sino alla fine del XIX secolo un lavoratore dipendente, quando era vittima di un incidente, doveva dimostrare la responsabilità del suo datore di lavoro per poter essere risarcito. La giurisprudenza ha ritenuto acquisita questa prova nei casi in cui esisteva un legame di subordinazione: anche se l'incidente era dovuto ad un errore del lavoratore dipendente, la subordinazione tra quest'ultimo ed il suo datore di lavoro rendeva il datore di lavoro responsabile.
Il salario può essere costituito da elementi fissi e da altri variabili (ad esempio una percentuale sulle vendite), a condizione tuttavia che la somma dei due elementi, rapportata al numero delle ore di lavoro effettuate, non sia inferiore al minimo stabilito per legge o per contratto. Il salario può essere corrisposto in parte in natura, a condizione però che ciò sia esplicitamente previsto nel contratto (in tal caso deve essere stipulato per iscritto) e che la proporzione degli elementi in natura (ad esempio occupazione di un'abitazione) non superi una certa soglia fissata dal legislatore.
Il salario è lordo quando viene calcolato prima di dedurre i contributi sociali obbligatori; è netto dopo aver dedotto l'insieme dei contributi (obbligatori e contrattuali); è al netto fiscale dopo aver dedotto i soli contributi obbligatori.

Salario minimo

È il salario orario al di sotto del quale nessuna remunerazione lavorativa può andare.
L'introduzione del salario minimo ha avuto luogo nei paesi europei negli anni '60 a partire dalla Francia e dal Lussemburgo. Da allora tuttavia la loro forma si è evoluta notevolmente. Nella sua forma attuale, il salario minimo è stato introdotto in Olanda nel 1968, in Francia nel 1979, in Lussemburgo nel 1973, in Portogallo nel 1974, in Belgio nel 1975 e in Spagna e in Grecia nel 1991. A fianco di questi sette paesi, anche Irlanda e Gran Bretagna sembrano essere sul punto di introdurre il salario minimo: anche l'Italia sembra muoversi in questa direzione.
Nel 1996, il 13% dei lavoratori ha ricevuto il salario minimo in Lussemburgo, l'11% in Francia e circa il 5% in Portogallo.
In proporzione, le donne che percepiscono il salario minimo sono il doppio degli uomini. Sempre nel 1996, il salario minimo rappresentava una quota del salario medio percepito da un lavoratore dell'industria manifatturiera che oscillava tra il 42% della Spagna e il 59% di Francia e Portogallo.
Negli ultimi 15 anni, il potere di acquisto dei salari minimi è rimasto sostanzialmente stabile o è leggermente diminuito, segnando un forte incremento (del 25% circa) solo in Francia e in Lussemburgo, paesi nei quali (insieme al Belgio) si è diminuito il differenziale tra salario ninimo e salario medio. In Olanda invece tale scarto è sceso dal 65% del 1980 al 49% del 1996. Negli Stati Uniti il salario minimo è pari a poco più di un terzo di quello medio.

Scala mobile dei salari

Quando un minimo salariale previsto in una convenzione collettiva o in una legge aumenta, l'insieme dei salari posti al di sopra aumenta in proporzioni analoghe, così che gli scarti relativi rimangano uguali.
Questa forma di aumento dei salari è talvolta prevista dai testi legislativi: è stato per molto tempo il caso dell'Italia o di alcuni paesi dell'America latina, nei quali l'inflazione provocava frequenti rivalutazioni dei salari di base. In compenso nei paesi poco inflazionisti, questa forma di rivalutazione salariale ; poco utilizzata, poiché congela le retribuzioni relative delle diverse categorie di lavoratori dipendenti.

Scambi interaziendali

Scambi che si effettuano in una stessa impresa tra i diversi stabilimenti o unità produttive.
Questo tipo di scambi rappresenta circa un terzo del commercio mondiale. Ogni impresa multinazionale ha, per definizione, stabilimenti in diversi paesi, che effettuano tra loro la maggior parte dell'attività di vendita.

Scambio disuguale

Questa tesi, avanzata da Arghiri Emmanuel, si basa sull'idea che, attraverso i flussi monetari di scambio internazionale, i paesi del terzo mondo cedono più ore di lavoro di quante ne ricevano.
Di conseguenza sono vittime di uno sfruttamento invisibile, tanto più che i ridotti guadagni del lavoro così ottenuti impediscono a questi paesi di avviare un processo di crescita, in mancanza di una domanda sufficiente.
Questa tesi, avanzata agli inizi degli anni Settanta, è stata completamente ribaltata: i bassi salari, che all'epoca erano presentati come la causa del blocco della crescita nel terzo mondo, sono diventato oggi la causa più spesso avanzata per spiegare il blocco della crescita (e della perdita di posti di lavoro) nei paesi di vecchia industrializzazione (si veda il termine delocalizzazione).

Serpente monetario

Nome dato all'accordo raggiunto nel 1972 tra i nove paesi che allora costituivano la Comunità economica europea. Si trattava di assicurare tra i paesi membri una stabilizzazione dei tassi di cambio, per impedire che i movimenti di questi ultimi modificassero le condizioni della concorrenza, e in modo da mantenere prezzi comuni e stabili in seno alla Comunità.
Il meccanismo di cambio previsto da questo Accordo (che, non figurando nel Trattato costitutivo della Cee non era obbligatorio per i paesi membri) era il seguente: ciascuna moneta doveva stabilizzare il suo tasso di cambio in rapporto all'Ecu (European Currency Unità, Unità di conto europea) in modo tale che mai il tasso di cambio oscillasse più del 2,25% verso l'alto o verso il basso rispetto alla parità ufficiale. Quanto all'Ecu, il suo valore veniva definito uguale al dollaro (nel 1978, questa definizione sarà cambiata: vedere Ecu). Il serpente monetario equivaleva dunque a stabilizzare le monete europee intorno al dollaro: si creava un tunnel intorno alla valuta Usa, il cui diametro era uguale al 4,5%, e le monete europee dovevano attorcigliarsi per restare all'interno di quel tunnel (da cui il termine serpente monetario che gli fu subito dato dalla stampa specializzata). Il meccanismo funzionò finché il dollaro restò egli stesso relativamente stabile: ma quando, nel 1973, la moneta americana si distaccò da ogni riferimento ufficiale e diventò fluttuante, le monete europee avrebbero dovuto seguirla fedelmente in tutte le sue variazioni.
Ciò si rivelò ben presto impossibile, e nel 1976 restavano nel serpente solo il marco e il fiorino olandese. Da qui, nel 1978, la rinegoziazione dell'Accordo monetario europeo (che dà vita al Sistema monetario europeo e segna la creazione di un Ecu calcolato in modo indipendente dal dollaro.)

Servizio del debito

Indica l'ammontare dei pagamenti regolari che una persona o un organismo che ha contratto un debito deve effettuare secondo i termini del contratto di prestito che ha sottoscritto.
Il servizio del debito comprende tre elementi: il rimborso del capitale (o principale), il pagamento degli interessi, i costi di apertura della pratica e dell'assicurazione.

Sfera finanziaria

Indica l'insieme delle attività inerenti alla contrattazione dei titoli (di credito o di proprietà) su un mercato.

Società di investimento a capitale variabile (Sicav)

Società anonima il cui oggetto è la gestione di un patrimonio costituito da titoli negoziabili sul mercato finanziario: il valore delle parti di cui si costituisce il capitale è dunque funzione del valore del patrimonio gestito.
Il termine capitale variabile significa che, in questo tipo di società, ciascun azionista può ritirarsi in ogni momento: le sue azioni gli verranno rimborsate al loro valore, vale a dire secondo il loro corso, il quale è determinato dal patrimonio gestito. All'inverso, è possibile acquistare in ogni momento nuove azioni alla quotazione indicata dal valore del patrimonio: la società si incarica allora di trasformare questa nuova liquidità in titoli. Dalle scelte effettuate dai gestori della società dipende dunque l'apprezzamento, o la diminuzione, di ogni azione. Le Sicav sono dunque di fatto organismi di investimento collettivo che permettono ai risparmiatori di mutualizzare la gestione del loro risparmio.

Solvibilità

Capacità di un organismo di pagare i propri debiti.

Sovraccumulazione

Termine marxista che designa la tendenza, inevitabile in un sistema capitalistico, a incrementare continuamente gli investimenti, mentre il plusvalore prodotto dalla forza lavoro dei salariati aumenta di poco o a un ritmo inferiore: questa discordanza tra i due ritmi genera una tendenza al ribasso del tasso di profitto (rapporto tra il plusvalore e il capitale immobilizzato nella produzione).
La sovraccumulazione analizzata da Marx (nel libro III del Capitale, pubblicato dopo la sua morte) non deve essere intesa come l'affermazione che il capitalismo investe troppo, ma che investe troppo in rapporto alle capacità del sistema di generare profitto. Il capitalismo è un sistema contraddittorio, da un lato spinge senza sosta alla modernizzazione, all'investimento. È il suo carattere progressista a renderlo più efficace di tutti gli altri sistemi sociali che l'hanno preceduto. Ma il capitalismo fa ciò nella speranza di accumulare profitto, sempre più profitto, poiché; questo è il motore che spinge la borghesia detentrice del capitale a investire, ad assumere rischi, a innovare.
Quando la redditività degli investimenti diviene problematica per il loro volume eccessivo, il sistema si blocca. Secondo Marx questa contraddizione può essere eliminata in un solo modo: sbloccando i freni interni al sistema che gli impediscono di perseguire la sua opera di modernizzazione e di crescita. Vale a dire abolendo la proprietà privata dei mezzi di produzione, poiché è questa a creare la contrazione della redditività che blocca il sistema.
L'analisi di Marx ha una logica inconfutabile: se è vero che è solo la forza lavoro a creare plusvalore, ogni aumento del capitale costante (quello che viene investito nei mezzi di produzione) più rapido dell'aumento del capitale variabile (l'impiego di manodopera salariata), vale a dire ogni aumento della composizione organica del capitale provoca inevitabilmente un peggioramento delle condizioni di valorizzazione del capitale investito; a meno che non si intensifichi lo sfruttamento del lavoro. Marx non esclude questa possibilità: fa parte delle ;risposte; che il capitale cerca di mettere in atto.
Ma alla lunga ci sono dei limiti all'intensificazione dello sfruttamento, se non altro per le reazioni sociali di un proletariato sempre più povero in una società che produce sempre più ricchezze. L'analisi marxista giunge quindi, attraverso una logica quasi meccanica, alla conclusione del blocco interno. Più che alla rivolta, il capitalismo è condannato al crollo.
È questo carattere meccanicistico dell'analisi marxista a essere più datato
: come se Marx, invecchiando, avesse creduto sempre meno alla possibilità di un cambiamento attraverso il conflitto, la lotta, e si fosse sempre di più avvicinato all'idea di un destino implacabile, di un sistema soffocato dal suo stesso successo.

Speculazione

Indica l'acquisto o la vendita di uno strumento finanziario (titolo, moneta, prodotto derivato), effettuati allo scopo di trarre profitto da un'eventuale variazione della sua quotazione.
La speculazione rappresenta una scommessa sul futuro. Lo speculatore si assume un rischio, poiché; non sa se la sua scommessa avrà esito positivo. Da un punto di vista economico, questa assunzione di rischio consente di sollevare altri operatori dal rischio: per questo motivo gli economisti solitamente ritengono che la speculazione sia utile e la considerano come un trasferimento del rischio legato all'incertezza su alcuni operatori che si fanno remunerare questa operazione. In questo senso la speculazione si avvicina ad una forma particolare di assicurazione.
Gli economisti liberisti si spingono ancora più lontano: per assumersi un rischio uno speculatore non si affida unicamente al caso e alla sua intuizione, ma cercherà di raccogliere un'informazione che gli permetta di ridurre il rischio. Se uno speculatore ha raccolto un'informazione che gli sembra sicura, egli non esiterà ad acquistare (o a vendere) sul mercato: se ad esempio egli sa che la raccolta di cacao in Ghana sarà compromessa da un parassita la cui esistenza è ancora ignota agli altri operatori, scommetterà sul rialzo del prezzo del cacao e ne acquisterà in grande quantità. Così facendo, egli contribuisce a mettere la pulce nell'orecchio degli altri operatori: se tizio, che in genere è ben informato, punta sul rialzo, vuol dire che vi sono motivi fondati per pensare che si tratti di un'operazione interessante. In altri termini la speculazione riconsegna al mercato nel suo insieme un'informazione (o il significato di un'informazione) conosciuta da quel solo speculatore. Pertanto gli altri operatori hanno interesse ad adottare lo stesso comportamento. La speculazione, concludono gli economisti liberisti, è un modo per democratizzare l'informazione.
Tuttavia il ragionamento non è affatto convincente, infatti in un numero non trascurabile di casi l'informazione in questione è inesistente (il mercato ha improvvise accelerazioni, tutti copiano tutti) o errata (voci).


Stagflazione

Termine in uso negli anni Settanta e all'inizio degli anni Ottanta per designare la presenza contemporanea di ristagno economico e di accelerazione (o di alto livello) dell'inflazione.
Il termine ha avuto un grande successo non tanto per la sua eufonia ma soprattutto perché contraddiceva uno dei ragionamenti più importanti dell'analisi keynesiana: per ridurre l'inflazione un'economia deve accettare un rallentamento dell'attività economica e dunque un aumento della disoccupazione, al contrario un'economia che cerca di stimolare l'attività economica raggiunge quest'obiettivo soltanto al prezzo di un'accelerazione dell'inflazione. Questa relazione inversa tra inflazione e disoccupazione, è nota come relazione di Phillips, dal nome dell'economista neozelandese che l'ha messa in evidenza partendo dall'osservazione di serie statistiche nel Regno Unito. Questa relazione si inseriva bene nell'analisi keynesiana, secondo la quale l'inflazione non è; soltanto una crescita dei prezzi ma un disordine profondo dell'economia e, per mettervi fine, vi è un costo reale che si traduce in un aumento della disoccupazione.
All'inverso ridurre la disoccupazione implica un'iniezione di potere d'acquisto, che inevitabilmente si traduce in una pressione più forte sui prezzi.
Ma la stagflazione degli anni Settanta contraddiceva questa analisi: rilanciando l'attività economica, nella più pura tradizione keynesiana, non si otteneva alcun risultato (mantenimento della disoccupazione a livelli elevati), se non quello di accelerare l'aumento dei prezzi. La conclusione era evidente: bisogna abbandonare gli strumenti keynesiani di rilanciò, che stimolano i prezzi senza frenare l'aumento della disoccupazione e che indeboliscono ancora di più l'economia. Questo argomento fu pertanto abbondantemente utilizzato dalla corrente liberista e monetarista.
Bisogna effettivamente riconoscere che gli strumenti keynesiani di rilancio sono nettamente meno efficaci oggi di quanto non abbiano potuto esserlo nel passato: l'apertura delle frontiere ha fatto sì che una parte non trascurabile del surplus di potere d'acquisto iniettato nell'economia alimentasse le importazioni e non la produzione nazionale. Ma tutte le esperienze di rilanciò hanno dimostrato che meno efficace non è sinonimo di inefficace: anche il rilancio economico del 1981 ha determinato una ripresa dell'attività in Francia (meno rilevante, in verità, di quanto non sperasse il governo dell'epoca). D'altro canto, in senso inverso, è chiaro che la riduzione dell'inflazione non è gratuita, che ha un costo in termini di occupazione e di rallentamento dell'attività, come hanno dimostrato tutte le esperienze di disinflazione.
In altri termini, se la relazione di Phillips non è così valida come si potrebbe sperare nel senso del rilancio (più inflazione non implica meno disoccupazione), essa rimane pur sempre valida nell'altro senso (meno inflazione implica sempre più disoccupazione).
In questo senso le conclusioni tratte dalla constatazione della disinflazione erano forse troppo affrettate.

Stato

Insieme di organismi pubblici che, in qualità di rappresentanti nazionali, sono incaricati di esercitare il potere all'interno di una determinata società nei limiti fissati dalla legge (quando si tratta di uno stato di diritto) e di rappresentare l'intera nazione al di fuori dei propri confini.
Secondo Max Weber lo stato esercita il monopolio della violenza legale: è un altro modo per affermare che in una società lo stato è il luogo del potere centrale. Il problema è stabilire chi attribuisce questo potere e quali sono i suoi limiti.
Nelle democrazie solo il popolo, attraverso i suoi rappresentanti, decide l'ampiezza delle funzioni esercitate dallo stato e controlla che gli organismi o le persone che ne sono incaricate non agiscano al di fuori dei loro diritti. Nelle società non democratiche, invece, è il più forte che impone le proprie regole.
Ciò determina una distinzione molto netta tra uno stato di diritto - in cui sono conosciute in anticipo le regole di cui ciascuno può avvalersi per impedire che lo stato usurpi i suoi diritti - e gli stati basati sulla forza, nei quali le regole sono stabilite da coloro che sono al potere. In una struttura politica federale, la divisione del potere prevista dalla Costituzione, ossia dall'atto costitutivo, si effettua tra i settori di competenza dello stato federale (centrale) e quelli di competenza degli stati federati.
In una Confederazione, questa divisione dipende dalla volontà degli stati confederati, i quali, se lo vogliono, possono modificarla. In questo caso la sede del potere rimangono gli stati confederati, mentre lo stato confederale esiste solo per delega dei poteri.

Stato assistenziale

Indica l'organizzazione, da parte della società, di sistemi obbligatori di assicurazione sociale, destinati a proteggere ciascuno dei suoi membri contro un certo numero di rischi.
I rischi più frequentemente coperti dallo stato assistenziale sono la vecchiaia, la malattia e la disoccupazione. É facile immagine perà che lo stato assistenziale, al fine di assicurare a ognuno la possibilità di usufruire di altri diritti (diritto alla casa, allo studio, ecc. ), estenda le proprie competenze ben al di l; di tale ambito. Il carattere obbligatorio dell'assicurazione sociale ha lo scopo di impedire che i soggetti meno a rischio cerchino di costituire tra loro un'assicurazione privata, la quale, tenuto conto della minore possibilità di incorrere nel rischio, sarebbe meno costosa. Se così fosse, solo le persone più minacciate dal rischio dipenderebbero dall'assicurazione sociale. Ogni assicurazione sociale implica dunque una certa redistribuzione: da parte di coloro che sono in buona salute verso coloro che non lo sono, da parte dei giovani verso le persone anziane, da parte dei lavoratori verso i disoccupati.
Negli Stati Uniti, lo stato assistenziale (Welfare State) si limita a predisporre l'assicurazione per le malattie e l'assicurazione pensionistica per particolari categorie (persone anziane, persone con un reddito inferiore ad una certa soglia chiamata soglia di povertà). In questo caso si tratta più di un meccanismo di aiuto sociale che di un'assicurazione: non deve sorprendere quindi se i contribuenti che finanziano il dispositivo abbiano continuamente la tendenza a pensare che si faccia troppo per i beneficiari. Nei paesi europei l'universalità dei sistemi di assicurazione contro la malattia, pensionistici e contro la disoccupazione rende questi sistemi più popolari, poiché ognuno ritiene di pagare anche per se stesso. Tuttavia il forte aumento delle spese suscita nella parte più agiata dei contribuenti una crescente esasperazione e la ricerca di sistemi a due velocità: una base minima coperta da contributi universali relativamente bassi e forme assicurative complementari riservate a coloro che scelgono un livello di contribuzione più alto.

Stock-options

Termine inglese che designa una forma di remunerazione dei quadri dirigenti: se il volume di affari, i profitti o la quotazione in borsa delle azioni della società che essi dirigono aumenta almeno di una certa proporzione durante l'anno, i dirigenti in questione ricevono un certo volume di azioni della società che possono acquistare (da cui discende il termine di opzione) al valore nominale o a un prezzo determinato.
Lo scopo di queste stock-options è di fornire un incentivo ai quadri dirigenti (si tratta in genere dei direttori della società), conferendo loro il diritto di acquistare azioni della società a un prezzo inferiore a quello di mercato: più aumentano le quotazioni in borsa di queste azioni, più è consistente il plus-valore realizzato. E poiché in alcuni paesi (soprattutto negli Stati Uniti) l'imposta sul plus-valore non esiste, questa forma di remunerazione è molto più interessante rispetto all'attribuzione di un premio sul quale il fisco preleva la sua parte. Tuttavia questo tipo di remunerazione spinge i dirigenti a preoccuparsi principalmente dell'evoluzione delle quotazioni in borsa, talora a scapito di una visione a più lungo termine.

Strumenti finanziari

Termine generico per indicare l'insieme dei titoli che sono oggetto dei mercati organizzati: azioni, obbligazioni, ecc..

Svalutazione

La svalutazione è la riduzione del tasso ufficiale di cambio di una valuta rispetto ad un'altra valuta o a un insieme di valute estere.
In seguito a una svalutazione, i residenti del paese che svaluta dovranno pagare di più per una unità della valuta del paese rispetto a cui si svaluta. In generale, per questo motivo, per i residenti del paese che svaluta sarà più costoso acquistare merci di un altro paese mentre, per contro, le proprie merci saranno più a buon mercato per i residenti esteri. Perciò la svalutazione tende a favorire la bilancia commerciale del paese che svaluta, promuovendo le esportazioni e favorendo le importazioni: in realtà la misura e la durata di questo effetto positivo dipenderà in modo cruciale dal confronto fra i tassi di inflazione dei vari paesi e dal tipo di merci che un paese acquista all'estero. Se nel paese che svaluta vi è un elevato tasso di inflazione, l'effetto positivo sugli scambi commerciali indotto dalla svalutazione può essere rapidamente annullato dall'inflazione.
Va inoltre tenuto presente che la stessa svalutazione può indurre a sua volta una crescita dell'inflazione. Ciò può avvenire se il volume delle importazioni non può diminuire (è il caso dei paesi, come l'Italia, importatori di materie prime), in questo caso l'aumento dei prezzi delle importazioni provocato dalla svalutazione si ripercuoterà negativamente sulla bilancia commerciale e sull'inflazione interna. La svalutazione può indurre inflazione anche attraverso un secondo meccanismo: dal momento che essa aumenta di fatto la competitività delle merci del paese che svaluta, può determinarsi la tentazione da parte dei paesi dei produttori del paese che svaluta, di incrementare (anche solo parzialmente rispetto all'entità della svalutazione) i prezzi delle merci più esposte alla concorrenza estera.
La svalutazione costituisce uno strumento in mano ai singoli governi e alle banche centrali, soprattutto laddove esistano accordi sui cambi che fissano la parità fra le varie monete, il che peraltro avviene per gran parte dei paesi Ue. Se invece i cambi sono flessibili, la svalutazione (e il suo contrario, la rivalutazione) vengono determinate dai meccanismi propri dei mercati valutari (i quali sono a loro volta influenzati dai governi e dalle banche centrali).

Sviluppo

Indica l'insieme di cambiamenti - produttivi o sociali - il cui risultato ; migliorare le condizioni di vita di una popolazione nel suo insieme.
Esiste una stretta correlazione fra crescita e sviluppo, in quanto un gran numero di miglioramenti delle condizioni di vita di una popolazione presuppongono un aumento dei redditi e/o delle quantità prodotte. Ma correlazione non significa identità, e non è raro constatare che la crescita economica in un paese non basta a promuovere lo sviluppo, anzi può frenarlo: una distribuzione disuguale del reddito trasforma la crescita in un vantaggio per i ricchi mentre impoverisce i poveri; allo stesso modo una crescita squilibrata può provocare il peggioramento delle condizioni di vita di alcuni (guerra, inquinamento, ecc.).
In campo agricolo è invalsa l'abitudine di chiamare sviluppo alcune forme di intensificazione della produzione che hanno avuto effetti soprattutto nocivi e e provocato una riduzione del numero di aziende agricole attraverso l'eliminazione delle meno efficienti o delle più piccole. Oggi assistiamo a un cambiamento di significato del termine, che dà maggiore importanza all'aspetto qualitativo rispetto a quello quantitativo.
In campo internazionale il termine sottosviluppo è stato generalizzato negli anni Cinquanta per designare la situazione dei paesi del terzo mondo il cui livello di produzione pro capite era nettamente inferiore a quello dei paesi industrializzati (capitalisti o socialisti). Ciò sottintendeva che questi erano in ritardo sui paesi industrializzati. Ma l'economia del sottosviluppo ha mostrato che non si trattava di un ritardo (ad esempio di un risparmio o di un investimento insufficiente), bensì di un insieme di strutture durevoli che bloccavano o frenavano le politiche dirette ad accelerare la crescita economica. Introducendo l'idea che questi paesi soffrivano solo di una mancanza di mezzi finanziari, il concetto di sottosviluppo ha permesso di occultare le riforme di struttura (nazionali e internazionali) necessarie per favorire lo sviluppo. Oggi per evitare la connotazione negativa che si attribuisce al termine sottosviluppo, si preferisce parlare ufficialmente di paese in via di sviluppo: cosa che può essere vera per alcuni, ma falso per molti altri, soffocati in strutture che aggravano la povertà e la miseria di una parte importante della popolazione.
Negli anni Settanta l'individuazione di alcune strutture internazionali che bloccavano lo sviluppo (scambio disuguale, deterioramento delle ragioni di scambio, ecc. ) ha condotto alcuni economisti (in particolare Samir Amin) ha raccomandare forme di sviluppo autocentrate, cioè basate sulla soddisfazione dei bisogni nazionali e non sulle esportazioni. Bisogna riconoscere però che queste politiche di sviluppo sono fallite, probabilmente per mancanza di uno stimolo abbastanza forte da costringere i produttori nazionali all'efficienza.

Sviluppo endogeno

Si dice dei modelli di sviluppo che si basano più sull'aumento della domanda interna che sulla crescita dei mercati di esportazione o sulla mobilitazione del risparmio estero.

Sviluppo sostenibile

Indica un tipo di sviluppo compatibile con le esigenze sociali, ecologiche e ambientali e che quindi non faccia pesare sugli uomini e/o sulla natura un peso incompatibile con la continuazione di questo tipo di sviluppo a lungo termine.
Il nostro sviluppo attuale ; tutto, tranne che sostenibile, poiché; si basa sullo sfruttamento di uno stock di risorse non rinnovabili (petrolio, materie prime) e rigetta nell'ambiente scorie e rifiuti che l'ambiente non riesce ad assorbire (nitrati nelle falde freatiche, accumulazione di metalli pesanti nei suoli, scorie radioattive, riduzione della fascia di ozono, ecc.). Ma gli economisti - e spesso gli scienziati - scommettono che in futuro tutti i problemi posti dalla gestione degli elementi indesiderabili finiranno per trovare una soluzione tecnica. È lecito credere però che questa scommessa non sia ragionevole, e che sia meglio trovare delle soluzioni - tecniche e sociali - prima creare i problemi, invece di postulare l'inverso.

Tasso di interesse

Remunerazione (misurata in percentuale) dovuta dal debitore in ragione del prestito o della dilazione di pagamento di cui beneficia.
Il tasso d'interesse è sempre calcolato su base annuale, anche se la durata del prestito (o della dilazione di pagamento) è inferiore a un anno. Il tasso d'interesse misura il prezzo del tempo. Più questo prezzo è elevato, più sono favorite le decisioni a effetto ravvicinato, a scapito delle decisioni più a lungo termine. Il tasso d'interesse è dunque una delle variabile fondamentale per ridurre o aumentare la preferenza per il presente, vale a dire la scelta che ogni società deve effettuare tra le risorse da destinare ai consumi odierni e quelle rivolte alla preparazione del futuro.
Gli economisti ortodossi sottolineano come l'incremento del tasso d'interesse, rendendo il risparmio più attraente, stimoli i possessori di redditi a privilegiare il futuro. Essi dimenticano che questo stesso incremento provoca un effetto contrario sull'investimento: aumentando il prezzo del tempo, esso stimola gli investitori a differire gli investimenti a lungo termine, riduce il loro orizzonte temporale. Ora, questo secondo effetto è assai più importante del primo: l'aumento del tasso d'interesse frena l'investimento molto di più di quanto non incoraggi il risparmio, in quanto quest'ultimo è determinato da motivi più complessi che non il solo rendimento finanziario atteso (soprattutto motivi precauzionali).

Terzo mondo

Termine inventato agli inizi degli anni '50 dal demografo ed economista francese Alfred Sauvy, con riferimento al Terzo stato (insieme maggioritario di persone che, nell'Ancien Régime, non appartenevano né al clero né alla nobiltà) per designare i paesi poveri che non si potevano qualificare né socialisti né capitalisti.
Il termine ha conosciuto un successo straordinario, diventando sinonimo di paesi sotto sviluppati, senza avere la connotazione peggiorativa di quest'ultima definizione. Tuttavia, come ogni termine a vocazione generica, era criticabile: un buon numero di paesi del Terzo mondo (e soprattutto la maggior parte di quelli divenuti indipendenti negli anni '50 o '60) erano sotto la sfera di influenza, per non dire sotto l'ala protettrice, di uno dei due campi che cercavano di spartirsi il pianeta. Questo terzo mondo si distingueva dunque per le sue caratteristiche socioeconomiche (e demografiche) ben più che per la sua appartenenza a un sistema sociale capitalista o socialista: basso livello di produzione pro capite, industrializzazione stentata, forte natalità e mortalità (soprattutto infantile), peso preponderante dell'agricoltura, ecc.. Tuttavia, da una quindicina d'anni, l'apparizione di un processo d'industrializzazione in un certo numero di paesi (i paesi di recente industrializzazione, newly industrialized countries), l'avvio di una transizione demografica in numerosi paesi, l'ineguaglianza dei ritmi di crescita registrati, fanno sì; che questo insieme di paesi sia sempre meno omogeneo: sta perdendo quello che costituiva la sua unità, vale a dire la similitudine delle situazioni socioeconomiche.
Di colpo, la nozione di Terzo mondo perde significato. Non deve quindi meravigliare che essa appaia un po' obsoleta.

Terzo settore

Per similitudine con il Terzo stato (termine utilizzato nel 1789 per designare coloro che non erano né nobili né membri del clero) il terzo settore indica talvolta le attività che non si rifanno né a una logica di profitto né a una logica amministrativa: associazioni, mutue, cooperative.
Spesso utilizzato come sinonimo di economia sociale, il terzo settore è un termine un po' vago. In effetti, è definito in rapporto a un modo di funzionamento e non in riferimento a uno statuto: ad esempio, una cooperativa di commercianti volta a migliorare la condizione dei suoi membri può essere considerata non capitalista? Ciò é contestabile.
Perché, assai spesso, nello spirito di coloro che utilizzano questo termine, il terzo settore è limitato agli organismi che non hanno scopo di lucro, che associano lavoro salariato e lavoro volontario per rendere un servizio utile alla società.
In questo senso, il terzo settore deborda largamente dal campo economico, e integra organismi che non svolgono alcuna attività economica, come le associazioni per la gioventù, quelle sportive, quelle di protezione della natura ecc..

Toyotismo

Metodo di produzione messo a punto inizialmente presso la Toyota (da qui il termine: si parla anche di ohnismo, dal nome dell'inventore del metodo, Ohno) basato sulla riduzione degli stock (just in time), il controllo qualità ad ogni stadio della produzione, la costituzione di squadre polivalenti incaricate di una funzione complessa (in opposizione al taylorismo, che assegna ad ogni posto una persona e un preciso compito ripetitivo).

Trattato di Maastricht

Ratificato nel 1992 o nel 1993, secondo i paesi, questo trattato completa il Trattato di Roma che fondava la Comunità Europea.
Il Trattato di Maastricht apre nuovi campi a quest'ultima (ormai ribattezzata Unione europea): moneta unica, ambiente, politica sociale, instaurazione di una cittadinanza europea. Inoltre, i meccanismi decisionali si basano ormai su un voto a maggioranza qualificata, e non più all'unanimità, che era richiesto su alcuni punti.
Il Trattato non rende obbligatoria la partecipazione dei paesi firmatari alla moneta unica, e la Gran Bretagna ha ottenuto di essere esonerata dall'applicazione delle eventuali decisioni in materia di politica sociale. Questo Trattato, in essenza federalista (perché prevede numerosi trasferimenti di sovranità dalle nazioni verso le istituzioni Comunitarie) non va dunque fino in fondo nell'applicazione di questa logica, dal momento che prevede la possibilità, per certi paesi che così decidessero, di restare al di fuori di certi progetti.

Trattato di Roma

Trattato fondatore della Comunità economica europea, ratificato nel 1957 dai primi sei membri (Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Olanda, Germania). Questo Trattato, ancora in vigore ma oggi completato dal Trattato di Maastricht, organizzava un'Unione doganale e prevedeva una politica agricola comune, che costituiva il solo abbozzo di organizzazione comune ai sei paesi. Si trattava dunque di un Trattato essenzialmente commerciale, che non prevedeva alcun trasferimento di sovranità, salvo che in questo ambito e in quello agricolo.
Il Trattato di Roma è stato emendato nel 1987 dall'Atto unico europeo.. Ma quando i paesi membri hanno cercato di andare più lontano e di aggiungere altri capitoli alla loro Unione, hanno dovuto negoziare un Trattato complementare, quello di Maastricht.

Trenta gloriosi

Espressione coniata dall'economista (francese) Jean Fourasti per designare il periodo di crescita forte e regolare osservato tra la fine della Seconda Guerra mondiale e il 1973-75 in Europa.
L'espressione fa riferimento alle Tre Gloriose giornate del 1830 contro la Restaurazione. In realtà non vi sono stati trent'anni di forte crescita, ma da 25 a 27 solamente, poiché la crescita è ripartita con forza solo nel 1947 e ha avuto una forte flessione a partire dal 1973. L'importante non consiste però in questo ma nel fatto, largamente sottolineato da Jean Fourasti, che questa crescita abbia generato profondi cambiamenti nel livello e negli stili di vita. È durante questo periodo che avviene in Italia il cosiddetto miracolo economico, che indica gli anni dal 1956 al 1963, ossia gli anni del boom. Il periodo si caratterizza per una crescita del reddito medio per abitante, del tasso di accumulazione, del settore industriale, per una veloce apertura dell'economia verso l'esterno, per una notevole stabilità monetaria, il tutto accompagnato da un sostanziale equilibrio della bilancia dei pagamenti. L'Italia acquista insomma in questo periodo i connotati di un'economia aperta, industriale, divenendo esportatrice di manufatti e non più solo di prodotti primari. In questa trasformazione un ruolo centrale viene svolto dalle esportazioni, sia come elemento propulsivo, sia come fattore deformante della struttura economica del paese. È infatti ampiamente riconosciuto il fatto che quel periodo fosse in realtà contrassegnato anche da profondi squilibri di natura strutturale, che l'intensa crescita non ha cancellato e che anzi hanno portato all'inizio degli anni '60 all'arresto dell'espansione e alla crisi degli anni successivi.
Fra gli aspetti negativi legati al periodo del miracolo economico vanno segnalati il dualismo nella struttura industriale fra settori esportatori e settori rivolti al mercato interno, il ritardo tecnologico, la forte emigrazione, le sperequazioni nella distribuzione del reddito, le incongruenze nella struttura dei consumi, l'arretratezza del Mezzogiorno, le inefficienze della spesa pubblica, la disordinata urbanizzazione. L'industria italiana, non essendo mai riuscita a realizzare una elaborazione tecnologica autonoma, è rimasta esclusa dai settori più innovativi, limitando la propria presenza ai settori produttivi ormai consolidati e diffusi, nei quali le imprese riuscivano ad affermarsi solo perché godevano di un regime di salari più basso rispetto agli altri paesi.
A risentire maggiormente delle conseguenze negative dello sviluppo fu soprattutto il salario agricolo.


Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (Unctad)

Creata nel 1964 su iniziativa di un certo numero di paesi del terzo mondo convinti della necessità di creare una discriminazione positiva nei loro confronti (cioè norme che prevedevano obblighi per i paesi ricchi nei confronti dei paesi poveri). Questa Conferenza si riunisce ogni quattro anni e dispone di un segretariato a Ginevra. Tutti i paesi membri dell'Onu ne sono membri di diritto.
Concepita inizialmente per promuovere e concretizzare un diritto allo sviluppo, oggi la Cnuced è solo l'ombra di se stessa. In particolare dopo aver lottato a lungo per ottenere un Fondo di stabilizzazione dei prodotti di base dotato di un finanziamento adeguato, la Cnuced non è mai riuscita a far funzionare questo Fondo per mancanza di mezzi finanziari.
La Cnuced è stata vittima di diversi fenomeni: prima di tutto la divisione del terzo mondo, poi la comparsa sulla scena internazionale dei nuovi paesi industrializzati (il cui successo ha mostrato che lo sviluppo dipende più dalla capacità di affermarsi sui mercati esteri che dai prezzi delle materie prime). Oggi la Cnuced ha una posizione di secondo piano rispetto all'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), nella quale sono discusse le condizioni di accesso al mercato dei paesi ricchi.

Unione doganale

Zona di libero scambio i cui membri applicano una tariffa esterna comune per le importazioni che provengono da paesi fuori dalla zona.
La Comunità economica europea è un'unione doganale, non lo è invece l'Associazione nordamericana per il libero scambio.

Unione economica e monetaria

Si tratta di uno degli obiettivi del trattato di Maastricht. Questa unione implica l'instaurazione di una moneta unica alla quale tutti i paesi membri che lo desiderano potranno aderire, a condizione perà di soddisfare determinati criteri (detti di convergenza;). La parte monetaria dell'Unione non è comunque obbligatoria: il trattato prevede che uno o più paesi possano rimanerne fuori. In questo caso il trattato si limita a indicare che i paesi non membri della moneta unica dovranno rispettare le regole stabilite di comune accordo per stabilizzare i propri tassi di cambio in rapporto alla moneta unica. In compenso la parte ;economica; dell'Unione è vincolante per tutti i firmatari: essa prevede un coordinamento delle politiche economiche dei paesi membri dell'Unione.

Unione Europea

Nome attribuito dal trattato di Maastricht all'insieme dei paesi che hanno ratificato tale trattato e il precedente trattato di Roma (che organizza l'insieme degli scambi e della politica agricola nell'Unione). Si veda Comunità economica europea.
Il termine ha sostituito il vecchio nome (Comunità europea) per sottolineare la natura federale del trattato di Maastricht: voto a maggioranza, accettazione di un'autorità monetaria indipendente dagli Stati, ecc..

Unità di conto

Grandezza monetaria che permette di definire il prezzo di ogni merce al fine di renderlo comparabile.


Uruguay Round

Ciclo di negoziato commerciale multilaterale condotto nel quadro del Gatt dal 1986 al 1993. È questo il ciclo sfociato nella dissoluzione del Gatt, rimpiazzato da un'altra organizzazione, l'Organizzazione mondiale del commercio (Omc).

Valore

Per chi utilizza un bene, il valore d'uso rappresenta la soddisfazione che il bene gli fornisce. Si tratta in questo caso di un concetto qualitativo, legato sia alla persona che al bene. Il valore di scambio, al contrario, è un concetto misurabile: si tratta di esprimere in moneta (o in qualsiasi altra Unità misurabile) ciò che un bene normalmente vale. Il prezzo si differenzia dal valore di scambio in quanto può essere superiore o inferiore al valore, in funzione di circostanze particolari (intensità della concorrenza e della domanda).
Per gli economisti classici (compreso Marx) il valore di un bene è determinato dalla quantità di lavoro che esso incorpora. Si è allora in presenza di una teoria oggettiva del valore, fondata sul lavoro. Al contrario gli economisti neoclassici hanno basato il valore sull'utilità marginale: sono disponibile a pagare un prezzo tanto più elevato per un determinato bene quanto maggiore è; l'utilità che esso mi procurerà.
Il valore, in questo caso, diviene una grandezza soggettiva. Questa disputa tra i due approcci, divenuta quasi teologica, ma non presenta grande interesse: il tentativo marxiano di trovare un'unità di misura unica e stabile che avrebbe permesso di misurare oggettivamente l'insieme dei valori si è scontrato con la difficoltà insormontabile di aggregare quantità di lavoro con specializzazioni differenti. Il tentativo neoclassico di analizzare il valore in modo puramente soggettivo finisce invece con il confondere prezzo e valore: nessuno acquisterebbe nulla a un prezzo più caro di quello che è disposto a pagare. Ciò significa che un bene può valere qualsiasi prezzo e che il solo meccanismo regolatore è; la concorrenza, che stimola le imprese a produrre quei beni da cui si possono trarre profitti elevati.

Valore aggiunto

Indica l'incremento di valore che l'attività di una determinata impresa fornisce a un bene che essa trasforma.
Se il barbiere, grazie a un paio di forbici, a un asciugacapelli, a qualche lozione e alle sue capacità, può far pagare 100 franchi ad un cliente per la prestazione di un servizio che ha richiesto acquisti per 10 franchi, egli crea un valore aggiunto di 90 franchi. È questa creazione di valore aggiunto che giustifica il prezzo richiesto. Un'impresa quindi è tentata di massimizzare il valore aggiunto, vale a dire di rendere il prodotto complesso, di incorporarvi più lavoro e capacità. Ma così facendo, rischia di scoraggiare il cliente, che non ha necessariamente bisogno di un prodotto così sofisticato e che preferirà un prodotto meno costoso.
Il valore aggiunto è la ricchezza propria dell'impresa: è grazie al valore aggiunto che l'impresa può pagare il lavoro fornito e far rendere i capitali investiti.

Vantaggio comparato

Keynes è molto bravo sia in matematica (calcolo delle probabilità) che in economia, in entrambi i casi comunque migliore di Tizio. Keynes potrebbe fare tutto lui e, dividendo il suo tempo tra matematica e calcolo delle probabilità, schiacciare completamente Tizio. Ma ciò avrebbe due inconvenienti. Prima di tutto non è; detto che passando continuamente dalla matematica all'economia, il nostro Keynes possa sviluppare analisi innovatrici nell'una o nell'altra disciplina: si sa che disperdersi non è certo la maniera migliore per sviluppare le proprie doti. Inoltre le competenze di Tizio, anche se meno brillanti, non servirebbero più a nulla. In compenso immaginiamo che Keynes si specializzi nella disciplina dove, comparativamente, è più dotato rispetto a Tizio, cioè nell'economia. Ciò permetterà l'affermazione di un genio dell'economia, mentre Tizio, sebbene meno bravo di Keynes in matematica, si specializza in questa materia: anche se non è un genio, almeno si rende utile e non è eliminato dalla scena. E l'umanità ci guadagna: emerge un genio in economia, mentre un'altra persona, anche se più modesta, porta il suo contributo alla matematica. Il vantaggio comparato consiste quindi nello specializzare le persone (o i gruppi umani: nazioni, regioni, gruppi sociali e così via) non nei settori in cui sono i migliori in assoluto, ma in quelli dove sono i migliori in relazione alle altre possibili occupazioni. È sulla base di questo principio che conviene che Einstein non batta a macchina le sue lettere, ma le affidi a una segretaria, che gli darà il tempo per dedicarsi a un'occupazione in cui nessuno può sostituirlo.
L'analisi del vantaggio comparato è stata sviluppata da David Ricardo a proposito del commercio internazionale. Tale teoria continua a essere alla base della specializzazione internazionale: il migliore si specializza nella produzione per la quale dispone del vantaggio comparato più grande e gli altri prendono ciò che rimane. Ciò dà un risultato sicuramente più produttivo della situazione in cui solo il migliore produce, condannando gli altri all'inattività. In teoria la specializzazione secondo il vantaggio comparato è più efficiente e più giusta. Talvolta però la realtà ; diversa: colui che perde una produzione a vantaggio di un altro più efficiente non è detto che ne trovi un'altra da compiere. Ma soprattutto l'analisi dei vantaggi comparati cancella i rapporti di forza e le evoluzioni dinamiche: colui che si specializza nell'informatica, ad esempio, dispone di una capacità innovativa maggiore di colui che si specializza in pantofole o in villaggi vacanze.

Vincolo di Bilancio

In linguaggio economico indica l'impossibilità per un consumatore di spendere stabilmente più di quello che guadagna: la sua capacità di spendere è limitata. Di conseguenza il consumatore deve decidere tra desideri contraddittori. Il vincolo di Bilancio porta a scelte che si escludono a vicenda.

Vincolo di cambio

Il cambio di una moneta determina il livello dei prezzi dell'insieme dei prodotti del paese sul mercato mondiale. A questo livello di prezzi alcune produzioni sono competitive, altre no: è quello che si definisce vincolo di cambio. Più il cambio di una moneta è alto, più le imprese devono essere efficienti e più la produttività del lavoro deve essere elevata. È soprattutto attraverso un marco sopravvalutato che le autorità tedesche hanno costretto le imprese del paese a raggiungere livelli di efficienza sempre più elevati.
Al contrario, una moneta sottovalutata favorisce l'occupazione, poiché a un tale livello di cambio un gran numero di attività rimangono competitive, mentre non lo sarebbero più con un tasso più elevato.

Vincolo estero

Indica che la libertà di manovra economica e sociale di un paese è limitata dalla sua presenza in un sistema economico internazionale.
Questo limite si fa sentire soprattutto in due settori: - la crescita economica interna è limitata dall'obbligo di equilibrare i conti con l'estero. Se ad esempio il ritmo di attività economica si accelera, si rischia di provocare un aumento delle importazioni (i redditi in crescita generano un maggiore acquisto di beni anche esteri), mentre gli sforzi per l'esportazione si riducono (se nel paese gli affari vanno bene, perché; andare alla ricerca di nuovi mercati esteri?).
Questa duplice dinamica - aumento delle importazioni, stagnazione o riduzione delle esportazioni - produce a sua volta un disavanzo estero che sul lungo periodo deve essere riassorbito: il vincolo estero obbliga quindi il paese a moderare il suo ritmo di crescita economica per ricondurlo a un livello tale da permettere l'equilibrio dei conti con l'estero; un ritmo che non è necessariamente quello migliore dal punto di vista dell'occupazione.
D'altro canto il livello dei tassi di interesse deve essere abbastanza alto da evitare la fuga dei capitali all'estero, attirati da migliori remunerazioni. Anche in questo caso il livello dei tassi di interesse imposto dal vincolo estero non è necessariamente quello migliore da un punto di vista interno.

Zaibatsu

Conglomerata giapponese di tipo familiare caratterizzata dall'esistenza di reti finanziarie tra una banca e un insieme di società industriali al tempo stesso clienti e associate della banca.
Nel 1945 gli zaibatsu furono vietati dalle autorità americane, le quali ritenevano che questa forma di concentrazione finanziaria potesse rivelarsi pericolosa per la fragile democrazia giapponese che si stava cercando di imporre nel paese. In realtà i legami (culturali o familiari) sono rimasti, cosicché alcune società, pur essendo finanziariamente indipendenti, continuano effettivamente ad appartenere a una medesima struttura informale.

Zona del franco Cfa

La zona in cui vige come moneta il franco Cfa, moneta della Comunità finanziaria africana, che vale attualmente un centesimo di franco (2,8 lire circa). Questa parità è assicurata dalla Banca di Francia e dal Tesoro francese, che apre per ciascuno stato un conto di operazioni sul quale sono iscritti tutti i movimenti di valute dirette o provenienti dai paesi della zona. Questo conto di operazioni centralizza dunque le bilance dei pagamenti di ciascun paese, e il Tesoro pubblico francese assicura, da parte sua, gli eventuali anticipi necessari, nel limite di un ammontare determinato. Il franco Cfa è emesso da due banche centrali distinte, ma tutte e due presiedute dal ministro delle finanze francese. La Banca centrale degli stati dell'Africa dell'ovest comprende Benin, Burkina Faso, Costa d'Avorio, ali, Niger, Senegal, Togo. La Banca degli stati dell'Africa centrale comprende il Camerun, la Repubblica centrafricana, il Congo, il Gabon, la Guinea equatoriale e il Ciad.
Il principale vantaggio di essere membro della zona del franco è di beneficiare di una moneta dal tasso di cambio stabile e, attraverso l'intermediazione del franco francese, di avere accesso a tutte le valute. Grazie a questo meccanismo, il franco Cfa è particolarmente stabile, se confrontato con le monete fondanti; dei paesi che non ne sono membri. Ma questo significa anche che i paesi della zona si vedono imporre una politica della moneta forte che non ; necessariamente a loro vantaggio, poiché la loro moneta si apprezza insieme al franco francese.
Verosimilmente, questa politica monetaria non è estranea alla debole crescita economica durante il decennio 1985-95. Così il Fondo monetario ha fatto pressione affinché il franco Cfa venisse svalutato, permettendo così ai prezzi internazionali dei prodotti esportati dai paesi membri della zona di ritrovare una competitività che avevano perduto. Sembra che questa svalutazione si sia rivelata positiva, poiché la maggior parte dei paesi interessati hanno ripreso a crescere.

Zona di libero scambio

Insieme di paesi tra i quali le merci circolano liberamente.
Una zona di libero scambio si caratterizza per il fatto che ciascun paese rimane completamente libero di stabilire la sua tariffa esterna nei confronti dei paesi non membri della zona. Al contrario in un'unione doganale esiste, oltre alla libera circolazione delle merci, una tariffa doganale esterna comune. Il Nafta è una zona di libero scambio, mentre l'Unione europea è un'unione doganale.

Zona franca

Area determinata di un territorio nazionale nella quale le merci importate circolano in franchigia doganale (da ciò deriva la definizione di franca). Per estensione, sono state chiamate zone franche le parti del territorio nelle quali esiste un particolare regime fiscale, con l'esenzione totale o parziale da certe tasse o imposte.
Solitamente, la zona franca prevede un'esenzione fiscale sui profitti delle imprese. L'esenzione può riguardare anche le imposte locali. Lo scopo dell'operazione è quello di incentivare le imprese a insediarsi nella zona per beneficiare dei vantaggi fiscali. Si deve perà osservare che in genere ciò non è sufficiente a modificare i movimenti spontanei di localizzazione: sono rare le zone franche che attirano effettivamente imprenditori (possiamo citare l'isola Maurizio e la frontiera messicano-americana), poiché il regime fiscale è un elemento secondario rispetto ad altri criteri (disponibilità di una manodopera adeguata, buono stato delle infrastrutture, esistenza di reti di comunicazioni agevoli, ecc.).

Zona monetaria

Insieme di paesi che accettano di detenere le loro riserve in una determinata valuta e che si sottomettono a regole comuni: eventuale comunione delle loro riserve, tassi di cambio fissi tra di essi, creazione di organismi di concertazione e così via.
L'area monetaria più nota è l'area del franco. Ma esistono anche aree monetarie di fatto, quando una moneta decide di ancorarsi a un'altra moneta considerata dominante.
Così il fiorino olandese e lo scellino austriaco appartengono da molto tempo a una sorta di area del marco, in quanto le autorità che gestiscono queste monete le fanno variare in modo tale da mantenere la parità con il marco. Analogamente, il won sudcoreano o il peso argentino sono ancorati al dollaro e variano come questo sui mercati di cambio (al punto che si può addirittura pensare che il dollaro sia di fatto la moneta argentina).