A. Gramsci

Massimalismo ed estremismo


(l'Unità
, 2 luglio 1925)


Il compagno Bordiga si offende perché è stato scritto che nella sua concezione c'è molto massimalismo. Non è vero, e non può essere vero - scrive Bordiga - Infatti il tratto più distintivo dell'estrema sinistra è l'avversione per il Partito massimalista, che ci fa schifo, ci fa vomitare, ecc. ecc.

La quistione però è un'altra. Il massimalismo è una concezione fatalistica e meccanica della dottrina di Marx. C'è il Partito massimalista che da questa concezione falsificata trae argomento per il suo opportunismo, per giustificare il suo collaborazionismo larvato da frasi rivoluzionarie. Bandiera rossa trionferà perché è fatale e ineluttabile che il proletariato debba vincere; l'ha detto Marx, che è il nostro dolce e mite maestro! É inutile che ci muoviamo; a che pro muoversi e lottare se la vittoria è fatale e ineluttabile? Così parla un massimalista del Partito massimalista.

Ma c'è anche il massimalista che non è nel Partito massimalista, e che può essere invece nel Partito comunista. Egli è intransigente, e non opportunista. Ma anche egli crede che sia inutile muoversi e lottare giorno per giorno; egli attende solo il grande giorno. Le masse - egli dice - non possono non venire a noi, perché la situazione oggettiva le spinge verso la rivoluzione. Dunque attendiamole, senza tante storie di manovre tattiche e simili espedienti. Questo, per noi, è massimalismo, tale e quale come quello del Partito massimalista.

Il compagno Lenin ci ha insegnato che per vincere il nostro nemico di classe, che è potente, che ha molti mezzi e riserve a sua disposizione, noi dobbiamo sfruttare ogni incrinatura nel suo fronte e dobbiamo utilizzare ogni alleato possibile, sia pure incerto, oscillante e provvisorio. Ci ha insegnato che nella guerra degli eserciti, non può raggiungersi il fine strategico, che è la distruzione del nemico e l'occupazione del suo territorio, senza aver prima raggiunto una serie di obiettivi tattici tendenti a disgregare il nemico prima di affrontarlo in campo.

Tutto il periodo prerivoluzionario si presenta come un'attività prevalentemente tattica, rivolta ad acquistare nuovi alleati al proletariato, a disgregare l'apparato organizzativo di offesa e di difesa del nemico, a rilevare e ad esaurire le sue riserve. Non tener conto di questo insegnamento di Lenin, o tenerne conto solo teoricamente, ma senza metterlo in pratica, senza farlo diventare azione quotidiana, significa essere massimalisti, cioè pronunziare grandi frasi rivoluzionarie, ma essere incapaci a muovere un passo nella via della rivoluzione.