piccolo dizionario marxista

capitale

Dalla tradizione dell'economia classica il concetto di capitale perviene a Marx nella figura oggettiva delle condizioni di lavoro. Nel modello fisiocratico, capitale sono le anticipazioni primitive e annuali (avances primitives e annuelles). In Smith, il capitale come fondo-salari è ciò che, riunendo un gran numero di lavoratori, permette lo sviluppo della divisione del lavoro e della produttività. In Ricardo, le forme del capitale sono determinazioni temporali dell'attività lavorativa: alle coppie lavoro attuale-lavoro passato, lavoro diretto-Iavoro indiretto, corrisponde il capitale anticipato in beni durevoli e in beni salario. Un concetto di capitale, quello dei classici, come elemento oggettivo del processo lavorativo naturalizzato.
Marx riprende da Smith Ia nozione di capitale come lavoro accumulato (messo in riserva) nella prima forma di critica dell'economia politica che egli elabora nei Manoscritti del '44. Nella scrittura filosofica di questo testo, dominata dal discorso antropologico della «critica», le categorie dell'economia politica vengono spiegate con la dialettica dell'oggettivazione-alienazione dell'uomo. Pensato nella contraddizione fondamentale che è la scissione dell'essenza dal soggetto, il capitale in quanto «proprietà privata dei prodotti del lavoro altrui» (MEF, 268) si costituisce come essere estraneo.
La nozione di capitale viene rielaborata nella Miseria della filosofia del '47, il testo in cui Marx si appropria delle categorie economiche con cui Ricardo aveva mostrato il «movimento reale della produzione borghese». Il concetto ricardiano delle quantità di lavoro che costituiscono il prodotto era stato utilizzato dai socialisti ricardiani nelle loro rivendicazioni egualitarie, per mettere in evidenza la natura contraddittoria del capitalismo: il profitto del capitale non è altro che dominio e usurpazione sul lavoro operaio, il quale è invece l'unico elemento agente della valorizzazione. Da questo quadro conflittuale, Marx fa emergere gli elementi teorici che correggono la nozione generica di lavoro umano con la nozione del tipo sociale di lavoro, cioè il sistema produttivo in cui il capitale è la relazione conflittuale col lavoro salariato. Il capitale non è la realtà tecnica del lavoro passato e accumulato, come vuole l'economia politica che naturalizza l'economico pensandolo nello sviluppo delle forze produttive, ma va ricostruito nell'antagonismo sociale tra borghesia e proletariato per cui «negli stessi rapporti entro i quali si produce la ricchezza, si produce altresì la miseria» (MF, 184).
È questo concetto di un rapporto di produzione il significato rielaborato nell'orizzonte teorico del Capitale. Già nei quaderni del voluminoso manoscritto del 1857-58 (i Grundrisse), il concetto di capitale contrassegna un'epoca specifica nel processo della produzione sociale, dove la produzione si struttura come valorizzazione e produzione del conflitto di classe tra capitale e lavoro salariato. «Se il lavoro libero e lo scambio di questo lavoro libero con denaro allo scopo di riprodurre e valorizzare il denaro, di essere consumato dal denaro come valore d'uso non destinato al godimento ma al denaro, è un presupposto del lavoro salariato e una delle condizioni storiche del capitale, un altro presupposto è la separazione del lavoro libero dalle condizioni oggettive della sua realizzazione, dai mezzi di lavoro e dal materiale di lavoro» (G , 451). «La produzione di capitalisti e operai salariati è dunque un prodotto fondamentale del processo di valorizzazione del capitale» (ivi, 496).
Pensare il capitale nel modo di produzione capitalistico è operare una concettualizzazione opposta a quella dell'ideologia borghese, che pensa il capitale come una variante della società industriale, cioè come un momento dello sviluppo delle forze produttive. «Ma il capitale non è una cosa, bensì un determinato rapporto di produzione sociale, appartenente a una determinata formazione storica della società» (C, III, 927). «Il capitale è produttivo di valore solo come rapporto, in quanto esso, come forza coercitiva nei confronti del lavoro salariato, costringe questo a compiere del pluslavoro» (T,I, 68).
Ciò che avviene nel capitalismo è una riorganizzazione del processo produttivo: Marx spiega la trasformazione come se fosse una determinazione delle forme generiche della produzione e circolazione delle merci, come cioè se queste forme generali si specificassero in un rapporto produttivo dominato dal capitale e finalizzato alla produzione di plusvalore. Questo procedimento con cui Marx nel Libro primo del Capitale (II sezione: «Trasformazione del denaro in capitale» ) costruisce e contrappone due modelli analitici società mercantile semplice e società capitalistica è del tutto legato all'economia dell'analisi: serve cioè a spiegare i caratteri specifici della produzione secondo rapporti capitalistici. In altre parole, i due tipi di società così rappresentati sono modelli semplificati senza referente storico. Si può dire che la società mercantile semplice definisce la cornice formale dei rapporti che sono la condizione necessaria perché la produzione possa assumere connotati capitalistici.
La forma di circolazione capitalistica, benché rispetti la regola dello scambio di equivalenti della circolazione semplice, rompe il cerchio chiuso degli scambi finalizzati al consumo, dove si vende per comprare valori d'uso diversi con la mediazione del denaro, secondo il movimento merce-denaro merce (MDM). Nello scambio capitalistico, si compra per vendere, secondo il movimento denaro-merce-denaro (DMD): il denaro è perseguito di per sé, come valore di scambio che si è reso autonomo dai prodotti nei quali è fissato, e come quantità di valore che nel processo si valorizza.
Ciò che conta è quindi l'accrescimento quantitativo per cui alla fine si ha denaro valorizzato (DMD', dove D' = D+Delta). «Se il capitale originario è una somma di valore = x, questo x deve diventare e diventa capitale per essere stato trasformato in x+ 6x, cioè in una somma di denaro o somma di valore eguale alla somma di valore originaria più un eccedente sulla somma originaria di valore; nel valore dato + plusvalore» (C, 6, I, 45). L'incremento Delta è il plusvalore.
Il capitale è il rapporto per cui il denaro si valorizza. Il denaro si valorizza, cioè diventa capitale, solo assumendo la forma di merce nel movimento della circolazione.
Non può diventare capitale il denaro tesaurizzato, cioè sottratto alla circolazione. Denaro e merce sono le forme assunte dal valore nel movimento di crescita. Ma a livello dello scambio di equivalenti non si può trovare un luogo che spieghi la trasformazione del denaro in capitale: l'ipotesi che qualcuno venda merci a un prezzo superiore al loro valore viene neutralizzata dal fatto che il venditore avvantaggiato si trova poi a perdere il guadagno quando diventa acquirente di altre merci vendute con un sovrapprezzo. L'analisi deve spostarsi dalla circolazione alla produzione. «La forma nella quale il capitale determina l'organizzazione economica della società moderna» (C, I, 196) è la struttura del rapporto che unisce il capitale alla forza-lavoro nel processo produttivo.
Nel processo di valorizzazione DMD', l'agente della valorizzazione è una merce particolare tra quelle acquistate con la somma di denaro di partenza (D): è la forza-lavoro, che è l'unica merce di cui dispone l'operaio, separato dalla proprietà dei mezzi di sussistenza e di produzione. Il capitale è la struttura complessa della relazione produttiva per cui la forza-lavoro, acquistata dal capitalista che dispone del capitale monetario da investire in viene usata nella produzione per un tempo di lavoro più lungo di quello oggettivato nel valore dei mezzi di sussistenza che essa è costata (salario). Il capitale è il rapporto col lavoro salariato.
«Per trasformare il denaro in capitale il possessore di denaro deve trovare sul mercato delle merci il lavoratore libero, libero nel duplice senso che disponga della propria forza lavorativa come propria merce, nella sua qualità di libera persona, e che, d'altra parte, non abbia da vendere altre merci, che sia privo ed esente, libero di tutte le cose necessarie per la realizzazione della sua forza-lavoro» (ivi, 201).
Ciò che distingue la formazione economica dominata dal rapporto tra capitale e lavoro da quelle fondate su rapporti di schiavitù, o di servitù politica, è che il proprietario della forza-lavoro non vende se stesso in blocco, trasformandosi in schiavo, ma vende la propria energia lavorativa solo per un tempo determinato, e si ripresenta periodicamente sul mercato del lavoro. Le operazioni della valorizzazione sono quelle del capitale produttivo, consistono cioè nel processo lavorativo che è insieme trasferimento materiale del valore
nel prodotto, e consumo della merce forzalavoro: da una parte, «l'operaio lavora sotto il controllo del capitalista, al quale appartiene il tempo dell'operaio»; dall'altra, «il prodotto è proprietà del capitalista, non del produttore diretto» (C,I, 219).
La circolazione delle merci e del denaro, la divisione del lavoro sociale e la rappresentazione del prodotto come merce, sono i presupposti del capitale produttivo di plusvalore. Ma la condizione dell'esistenza del capitale in questa forma che definisce un'epoca del processo sociale di produzione è l'opposizione prodotta storicamente tra capitale e lavoro.
«La natura non produce da una parte possessori di denaro o di merci e dall'altra puri e semplici possessori della propria forza lavorativa. Questo rapporto non è un rapporto risultante dalla storia naturale e neppure un rapporto sociale che sia comune a tutti i periodi della storia» (C,I, 202).
Come il capitale non sia un momento dello sviluppo delle forze produttive, ma contrassegni la struttura storica di un modo di produzione, risulta chiaro dall'analisi della riproduzione del capitale complessivo sociale. Quando la riproduzione è dominata dal movimento del capitale produttivo - la forma in cui il capitale si valorizza, contrapposta alla forma della tesaurizzazione, che è immobilizzazione di capitale monetario - la produzione di plusvalore diventa nella riproduzione sia valorizzazione del capitale anticipato, sia trasformazione del plusvalore in capitale addizionale: vale a dire, riproduzione su scala allargata, o riproduzione. Gli effetti del dominio del capitale orientano la riproduzione all'accumulazione, alla concentrazione di plusvalore capitalizzato, e quindi allo sviluppo dei metodi di estorsione di pluslavoro. Lo sviluppo delle forze produttive, le rivoluzioni industriali, gli stadi dello sviluppo tecnologico non percorrono un'evoluzione naturale, ma sono indotti dai bisogni di valorizzazione e di accumulazione del capitale.
L'analisi dei caratteri specifici che il dominio del capitale produce nel modo di produzione (accumulazione, rivoluzione della base tecnica, concentrazione, sviluppo di funzioni indispensabili alla riproduzione, come la commercializzazione e il sistema di credito) esclude che il concetto di capitale possa essere impiegato come elemento descrittivo della produzione in generale, estendibile all'analisi di modi di produzione diversi. La sua esistenza sociale non è identificabile con la forma con cui si presenta il valore-capitale (il denaro accumulato, i fattori in cui viene convertito il denaro anticipato, le merci: cioè il capitale come grandezza contabile da calcolare nel profitto che produce), ma diventa comprensibile entro la combinazione produttiva specifica che produce plusvalore.
La concezione strutturale del capitale è rappresentata da Marx nella distinzione costante-variabile. Nel processo di produzione - processo lavorativo che è insieme valorizzazione, cioè produzione di un'eccedenza sul valore dei fattori consumati - le componenti del capitale (mezzi di produzione e forza-Iavoro) sostengono un ruolo diverso. Il ruolo nella valorizzazione è ciò che definisce le componenti del capitale come parte costante e parte variabile: una distinzione che non è osservabile direttamente, ma che è teoricamente fondamentale. Per farla emergere, è necessario considerare come avviene la valorizzazione nel processo lavorativo.
Nella produzione, la forma produttiva specifica del lavoro dell'operaio conserva i valori dei mezzi di produzione impiegati trasferendoli nel prodotto come parti costitutive del valore: la materia prima trasferisce tutto il proprio lavoro nel prodotto, i mezzi di lavoro cedono invece gradualmente nell'uso il loro valore di scambio, logorandosi. I mezzi di produzione (materia prima e strumenti di lavoro) non aggiungono al prodotto più valore di quanto ne posseggano: questa parte di capitale costituisce perciò il capitale costante. La parte del capitale convertita in forzaIavoro cambia ihvece il proprio valore nel processo di produzione: non solo riproduce il proprio equivalente (valore dei mezzi di sussistenza, o salario), ma produce anche un'eccedenza, o plusvalore. Questa parte è il capitale variabile (Cfr. C, I, 242, e C, Il, 41).
La differenza costante-variabile scompare nella forma di merce. Ricostruita nel processo di produzione, mostra che la forma capitalistica della produzione fa coincidere lavoro e produzione di plusvalore in quanto organizza il lavoro come pluslavoro. Considerando le parti costante e variabili nella loro proporzione, Marx produce la nozione di composizione organica. La composizione organica del capitale è la sua composizione di valore (proporzione in cui il capitale si divide in parte costante, o valore dei mezzi di produzione, e parte variabile, o valore della forzalavoro) in quanto determinata dalle variazioni della composizione tecnica (rapporto tra la massa dei mezzi di produzione e la quantità di lavoro necessaria per il loro uso) . La composizione organica è specifica di ogni capitale individuale, e, nella media, di ciascuna sfera della produzione, e dà ragione delle differenti masse di plusvalore erogate. A tali differenze va eminentemente ricondotta la necessità dell'intervento perequatore del saggio medio del profitto.
Le variazioni della composizione sociale complessiva del capitale costituiscono il fattore più importante nell'analisi delle tendenze dell'accumulazione capitalistica (produzione di una sovrappopolazione relativa, e caduta tendenziale del saggio del profitto).
Se la distinzione costante-variabile è prodotta per definire le parti del capitale in base al loro ruolo nella produzione di valore e di plusvalore, la distinzione che Marx trovava nell'economia classica definiva invece le parti del capitale in rapporto alle forme assunte nella circolazione, cioè al loro modo di rotazione. Nella produzione, una parte del capitale costante, i mezzi di lavoro, cede valore al prodotto logorandosi gradatamente: per la sua rotazione a lunga durata, questa parte del capitale viene detta capitale fisso. Le altre parti costltutive materiali del capitale anticipato (materie prime e ausiliarie) e il capitale variabile, trasformato in forza-lavoro, hanno una rotazione diversa: tutto il loro valore è trasferito nel prodotto, e i loro elementi vengono costantemente rinnovati. «In quanto capitale fisso, il macchinario, gli edifici, il bestiame da razza ecc. si distinguono direttamente dal capitale circolante... solo per il modo della loro circolazione e riproduzione» (T, Il, 634). Non è quindi una proprietà materiale come l'immobilità fisica a definire il capitale fisso, ma il modo in cui il valore capitale circola (perciò un bue impiegato come mezzo di lavoro è capitale fisso, consumato come mezzo di sussistenza è capitale circolante).
Benché fosse l'unica distinzione che essa aveva prodotto, l'economia classica equivocava su fisso e circolante. I fisiocratici rappresentano correttamente il diverso modo di circolare del capitale produttivo distinguendo anticipazioni primitive e annuali.
Invece Smith e Ricardo non considerano il modo di circolazione dei diversi elementi del capitale produttivo, ma contrappongono l'immobilità del capitale fisso al capitale circolante, come capitale che cambia possessore. Con ciò, poiché considera la figura materiale degli elementi e non la loro funzione nel processo di produzione, l'analisi non riesce a far emergere il ruolo del capitale variabile come unico agente della valorizzazione. La forza lavoro compare appiattita nella figura dei mezzi di sussistenza (fondo-salari) che in quanto tali non si distinguono dagli altri elementi del capitale produttivo rispetto alla formazione del valore; e anche l'analisi di Ricardo, che distingue gli elementi del capitale per il tempo di deperibilità, cancella «ogni differentia specifica tra il capitale sborsato in forza lavoro e quello sborsato in mezzi di produzione» (C, II, 232).
Nella pratica teorica dell'economia politica, questo appiattimento dell'analisi è prodotto come effetto di copertura ideologica della pratica sociale della feticizzazione, ciò per cui il carattere sociale del processo di produzione viene rappresentato nell'immediato della materialità delle cose. Questa operazione di spostamento tende ad investire tutta l'analisi del capitale. Il capitale non viene analizzato nel rapporto sociale che produce plusvalore, ma nelle sue forme di investimento, considerate come fonti diverse e autonome di accrescimento. Si fa corrispondere il nome dell'eccedenza (profitto industriale, interesse, profitto commerciale) ai modi di investimento: capitale industriale, capitale produttivo di interesse, capitale commerciale. Ogni forma autonomizzata dell'accrescimento nasconde la combinazione produttiva specifica, non perché sia illusoria o immaginaria, ma perché esteriorizza il rapporto produttivo trasferendolo nella distribuzione. Sono queste le forme derivate o trasformate secondo cui il plusvalore prodotto socialmente viene distribuito dal meccanismo concorrenziale alle diverse funzioni assunte dal capitale sociale. Infatti la riproduzione del capitale sociale (analizzata nel Secondo libro del Capitale) avviene secondo stadi cui corrispondono funzioni diverse: lo stadio in cui il capitalista industriale consuma produttivamente le merci acquistate (combinazione di mezzi di produzione e forza-Iavoro nel capitale produttivo) presuppone e implica atti di circolazione sia di merce che di denaro (cioè finanziamento della produzione da parte del capitalista monetario, e trasformazione delle merci prodotte con la mediazione del capitalista commerciale). Il plusvalore originato nella produzione viene socialmente distribuito in quote di profitto che toccano al capitale industriale, commerciale e finanziario. Queste quote sono categorie della contabilità, oggetto immediato della pratica economica. L'economia politica le assume acriticamente come proprie categorie, limitando così la propria analisi al livello della circolazione e distribuzione.
Anche le ricerche della storiografia borghese ricostruiscono il capitale non nella forma sociale di un rapporto che domina un modo di produzione, ma come forma economica autonomizzata, che ha una propria esistenza continuativa e che si sviluppa da formazioni originarie (capitale mercantile, capitale usurario) alla moderna organizzazione capitalistica. L'analisi di Marx sottrae queste forme economiche al rapporto di causalità lineare col capitalismo moderno, e le ricolloca all'interno di modi di produzione precedenti. Benché condividano col capitale moderno l'esistenza in merce e denaro, il rapporto sociale che vi prevale non è la subordinazione del produttore al capitale: sono forme in cui lo sfruttamento è connesso a elementi parassitari estranei al rapporto capitalistico, e che semmai costituiscono le condizioni di formazione di un patrimonio monetario. Lo sviluppo autnomo del capitale commerciale e la presenza di agenti che acquistano e vendono per molti ha significato storicamente autonomizzazione della circolazione rispetto allo scambio attuato direttamente dai produttori, e quindi anche stimolo alla creazione di prodotti in
eccesso destinati allo scambio.
Nel modo di produzione capitalistico, quando la forma di merce generalizzata investe anche la struttura produttiva, la circolazione diventa elelmento della produzione, e la funzione del commercio viene riassorbita entro le funzioni del capitale e subordinata al capitale che domina, cioè il capitale industriale (Cfr. C, III, sez. IV: «Cenni storici sul capitale commerciale» ).
Anche il capitale usurario (cioè il capitale produttivo di interesse nella sua forma più antica) è condizione di costituzione di un patrimoniò monetario indipendente dalla proprietà terriera. L'usuraio è un tesaurizzatore di professione. Rispetto al tesaurizzatore, assume la stessa rappresentazione sociale del denaro come ricchezza universale, ma in più trasforma il suo tesoro monetario in capitale prestandolo a interesse. In modi di produzione in cui la circolazione ha una parte irrilevante nella riproduzione sociale, e in cui i mezzi di produzione sono socialmente frazionati, il capitale usurario si costituisce prestando denaro a dissipatori altolocati, o a piccoli produttori autonomi (contadini e artigiani). L'azione dell'usura è di assorbire tutto il plusvalore e di appropriarsi delle condizioni di lavoro, rovinando gli antichi proprietari e contribuendo così alla disgregazione del modo di produzione. Nel modo di produzione capitalistico, lo sviluppo del capitale da prestito organizzato nel sistema creditizio subordina il capitale produttivo di interesse alle esigenze del capitale industriale (Cfr. C, III, sez. V, cap. 36: «Condizioni precapitalistiche»).