piccolo dizionario marxista

comunismo

Fulvio Papi

Il comunismo è certamente il tema intorno al quale si possono organizzare la più parte dei materiali del lavoro intellettuale di Marx ed Engels. Il tema va tuttavia considerato come una grande «apertura di senso» delle opere dei due autori, ma non costituisce un oggetto particolarmente ampio e circostanziato di dottrina. Per esempio non esiste nelle opere di Marx e Engels una descrizione oggettiva della società comunista. Una descrizione appartiene infatti a una forma di pensiero astratto che nel vuoto dell'immaginazione concettuale indica rapporti sociali e modalità di esistenza che vorrebbero realizzare nel mondo alcuni valori ideali, una descrizione avrebbe quindi le caratteristiche di una utopia. Al contrario nel 1847 Engels con un articolo in polemica contro Karl Heinzen pubblicato nella «Deutsche Briisseler Zeitung» del 7 ottobre scriveva:
«Il comunismo non è una dottrina, ma è un movimento; non muove da principi, ma da fatti. I comunisti non hanno come presupposto questa o quella filosofia, ma tutta la storia finora trascorsa e specialmente i suoi attuali risultati reali nei paesi civili. Il comunismo è nato dalla grande industria e dalle sue conseguenze, dall'instaurazione del mercato mondiale, dalla concorrenza libera da ostacoli che questo comporta, dalle crisi commerciali sem pre più violente e generali, che già ora sono diventate crisi complete del mercato mondiale, dalla creazione del proletariato e dalla concentrazione del capitale, dalla lotta di classe che ne deriva tra proletariato e borghesia. Il comunismo per quel che è teorico è l'espressione teorica della posizione del proletariato in questa lotta e il compendio teorico delle condizioni della liberazione del proletariato».
Il comunismo è quindi l'elemento fondamentale che caratterizza la dialettica della storia contemporanea. È la critica materiale che nasce dal movimento e dallo sviluppo medesimo della società capitalistica, esso è il compito storico che appartiene al proletariato e che, nella teoria, occorre riconoscere nella sua obbiettività. Questi temi con una fedeltà letterale più o meno diretta appartengono a tutto il tragitto del pensiero di Marx ed Engels. Probabilmente l'unica notazione testuale in cui è avvertibile l'eco della letteratura utopistica è proprio nella Ideologia tedesca - il testo giustamente considerato come produttore della «concezione materialistica della storia» - laddove è detto che, in contrapposizione alla rigida divisione sociale del lavoro propria della società capitalistica,
«nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell'altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico.» (IT 33)

Il tema del comunismo è affrontato in modo rilevante nei Manoscritti economico filosofici del 1844. Il contesto teorico in cui viene pensato il comunismo appartiene alla filosofia tedesca: il concetto di uomo, che vi è centrale, deriva direttamente dall'antropologia feuerbachiana, l'interpretazione dialettica del lavoro - che è concetto centrale che Marx valorizza nel suo primo rapporto con l'economia politica classica, in particolare con Smith - è certamente un elemento hegeliano.
Il lavoro umano è «l'essenza soggettiva della proprietà privata»; il capitale, come proprietà privata, è I'oggettivazione del lavoro dell'uomo che appunto divenendo privato, si contrappone all'uomo, al lavoratore, che lo ha prodotto. In questo modo l'essenza dell'uomo che consiste nel suo processo di oggettivazione, si aliena nella proprietà privata.
La proprietà privata sulla cui natura l'economia politica non riflette, pensata nella dimensione filosofica del giovane Marx, è l'essenza umana che è uscita da se stessa e che come oggetto si contrappone all'uomo, è l'uomo nella sua forma perduta: «Il lavoro non produce soltanto merci; esso produce se stesso e il lavoratore come una merce» (MEF 298).
Questo è lo sfondo filosofico essenziale nel quale prende corpo il problema del comunismo che appare come la società della piena realizzazione dell'essenza dall'uomo.
Il comunismo è il ritorno dell'uomo alla sua essenza come soppressione della proprietà privata. È la società in cui si realizza l'essere umano di ognuno come libera attività lavorativa non condizionata dalle regole della proprietà privata che impone al lavoratore lo scambio del.lavoro per la sua sopravvivenza e quindi da essere libero e auto-finalizzato lo degrada a puro essere naturale il cui fine non può che essere la riproduzione naturale di se stesso.
Il comunismo è la società in cui scompare la alienazione.

Questa è l'idea corretta di comunismo che ha stabilito un rapporto filosoficamente rigoroso tra lavoro e proprietà privata. Rispetto a questa concezione rigorosa e radicale del comunismo, esiste un'altra concezione del comunismo, quella che il giovane Marx chiama «comunismo rozzo» e che in realtà è «soltanto una generalizzazione e il compimento della medesima proprietà privata» (MEF 321).
«Il dominio della proprietà di cose» pare a questa forma ingenua e paradossale di comunismo la regola fondamentale della vita sociale per cui il suo scopo è quello di abolire ciò che non può essere posseduto da ognuno sotto forma di proprietà pri vata. Questo significa contaminare un'idea di uguaglianza con l'accettazione della radice storica della alienazione umana, la proprietà privata. Il «comunismo rozzo» infatti vuole produrre la egua glianza nella proprietà.
Infatt,i dice Marx -«l'eguaglianza come fondamento del comunismo è la sua fondazione politica» (MEF 340). L'uguaglianza, in questo caso, non è un risultato della società comunista ma è un obbiettivo posto in forma intellettuale astratta, un dovei e,ssere che assume a suo contenuto la forma sociale della proprietà privata come oggetto da distribuire equamente. La condizione dell'uomo alienato dal capitalismo diviene così comunitaria e si contrappone «alla proprietà privata la proprietà privata generale» (MEF 321).
Questa forma rozza di comunismo riproduce in realtà l'essenza stessa della società che si fonda sulla alienazione. La stessa concezione di Proudhon che vede come sia il lavoro «l'anima autentica della produzione» (MEF 307), ma poi sostiene l'eguaglianza dei salari, non fa che muoversi all'interno degli elementi che costituiscono l'essenza della società capitalista. Egli «trasforma soltanto il rapporto dell'odierno operaio al suo lavoro in un rapporto di tutti gli uomini al lavoro; e la società è allora concepita- come un astratto capitalista» (MEF 307).

Tra la primavera del 1845 e l'estate del 1846 Marx ed Engels scrivono l' Ideologia Tedesca dove il tema del comunismo subisce un radicale spostamento di asse teorico. Esso non viene più pensato come realizzazione dell'essenza dell'uomo nella sua forma sociale, ma viene considerato come un movimento oggettivo che deriva dai rapporti sociali che si sono instaurati con la diffusione del «modo di produzione» tipico del capitalismo.
Il comunismo è quindi un problema di trasformazione radicale della società che deriva dalla oggettività del movimento dalla storia.
Il tema del comunismo dal punto di vista teorico è da questo momento diret tamente connesso con l'analisi della società contemporanea che deriva dalla concezione materialistica della storia:
    «spiegare il processo reale della produzione, e precisamente muovendo dalla produzione materiale della vita immediata, assumere come fondamento di tutta la storia la forma di relazioni che è connessa con quel modo di produzione e che da esso è generata» (IT 39).
Nella storia contemporanea il mercato mondiale ha condotto gli uomini «su un piano storico universale» (IT 37), il comunismo è quindi il problema immanente alla storia contemporanea. Nell'epoca contemporanea alle forze produttive (macchine e denaro) «si contrappone la maggioranza degli individui, dai quali queste forze si sono staccate e che quindi sono stati spogliati da ogni reale contenuto di vita, sono diventati individui astratti» (I.T. 73).
Ma questi individui astratti in quanto contrapposti alla classe che detiene la proprietà dei mezzi di produzione, costituiscono una classe sociale. L'esistenza di questi individui impone che essi, pena la distruzione fisica, si approprino della «totalità delle forze produttive esistenti». Ma questo è possibile solo attraverso una azione politica - la rivoluzione - che rovescia le relazioni sociali e la struttura sociale che rendono reale l'esistenza di questi individui come proletariato che ha un «carattere universale».
Il proletariato stesso d'altro canto è una forza produttiva che.è stata creata dalla espansione del modo di produzione capitalistico. E quello che per il proletariato è una questione di esistenza (appropriarsi dei mezzi di produzione) storicamente si manifesta come contraddizione tra lo sviluppo delle forze produttive e «la forma di relazioni» che esse hanno, cioè come contraddizione tra forze produttive e rapporti sociali di produzione, luogo dove hanno origine «tutte le collisioni della storia», cioè centro motore della dialettica storica. In modo analogo alla contraddizione che nell'epoca moderna si sviluppò tra i rapporti produttivi, organizzati nel sistema delle corporazioni, e lo sviluppo capitalistico delle forze produttive, così nell'epoca contemporanea ha luogo la contraddizione tra l'insieme dei rapporti capitalistici di produzione (la relazione produttiva e la forma giuridica che essa assume) e lo sviluppo sociale delle forze produttive.
La storia è quindi in direzione del comunismo.

Occorre tuttavia una «coscienza comunista» che è la consapevolezza che il proletariato acquista di se stesso nella dimensione storica e che, sola, può consentire
    «la rivoluzione comunista che si rivolge contro il modo dell'attività che si è avuto sinora, sopprime il lavoro e abolisce il dominio di tutte le classi insieme con le classi stesse» (IT 38).
Con il comunismo ha termine la storia come storia delle classi e ha termine il lavoro non come attività produttiva ma come lavoro che dipende da forme di dominio sociale.
Con queste riflessioni teoriche sul tema del comunismo Marx ed Engels si trovano ad affrontare il confronto ideologico con altre posizioni politiche che si richiamano al comunismo. I punti politici che derivano dal problema del comunismo visto nella oggettività del movimento della storia sono due:

1) la classe, il proletariato deve agire la sua dialettica storica fondandosi sulla sua omogeneità sociale e quindi sulla sua propria autonomia storica;
2) lo stato va considerato come «la forma di organizzazione che i borghesi si danno (...) al fine di garantire reciprocamente la loro proprietà e i loro interessi» (IT 76).

Dalla analisi teorica del problema del comunismo discende quindi la correttezza della linea politica dei comunisti. Tra il 1846 e la stesura del Manifesto dei Comunisti vi sono numerosi scritti che mostrano lo stretto legame che Marx ed Engels avevano posto tra concezione materialistica della storia concezione del comunismo e politica comunista. L'Abbozzo della professione di fede comunista scritto da Engels come progetto di pro gramma che fu discusso al primo Congresso della Lega dei comunisti nel giugno del 1847, nonostante lo scopo pratico, ribadisce con chiarezza che il comunismo non è una aspirazione o un ideale, ma un problema sociale che è nato dalla rivoluzione capitalistica e industriale. La rielaborazione dell'Abbozzo che veniva compiuta da Engels alla fine di ottobre del 1847 con lo scritto dal titolo Principi del comunismo accentua l'esigenza di differenziare l'analisi intellettuale e la linea politica comunista dalle varie tradizioni socialiste e il suo riconoscimento avviene proprio attraverso la delineazione del contesto storico in cui emerge la classe sociale che ha per essenza il problema del comunismo.
I comunisti, scrive Engels, «conoscono le condizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento proletario», anche se viene sottolineato che l'abolizione totale della proprietà privata potrà avvenire quando le forze produttive si saranno sviluppate in modo sufficiente da garantire una adeguata ricchezza sociale. Il valore politico del documento - cosa che sarà tipica del Manifesto dal 1848 - non ignora affatto la necessità più immediata di indicare obbiettivi politici più ravvicinati sebbene in direzione del comunismo.

Marx stesso nello stesso periodo si trova sulle identiche posizioni. In un articolo pubblicato sullo «Deutsche Briisseler Zeitung» del 18 novembre del 1847 contro Karl Heinzen scrive: «Ma se Heinzen crede che intere classi, fondate su condizioni economiche indipendenti dalla loro volontà, e messe da queste condizioni nell'antagonismo più ostile, possano sfuggire ai loro rapporti reali in virtù della qualità dell'«umanità» inerente a tutti gli uomini...».
Il tema è certamente quello della concezione materialistica della storia: i problemi politici trovano la loro forma reale nella obbiettività storica della lotta di classe. Forse nella relazione diretta tra classi e loro fondazione sulle condizioni economiche si può avvertire l'eco della contemporanea Miseria della filosofia dove l'oggetto polemico è Proudhon ma dove il grande interlocutore teorico è in realtà Ricardo nella cui economia politica è l'anatomia della società.
Per quanto riguarda Proudhon nella Sacra Famiglia, pubblicata nel febbraio del 1845 si valorizzava il «lato umano» come «determinazione del valore del prodotto» ma nella sua concezione del giusto salario, proporzionato al tempo lavorativo, Marx ed Engels (come già Marx nei Manoscritti del '44) vedevano una critica della economia politica svolta dal punto di vista della economia politica stessa, cioè assumendone il con cetto centrale di proprietà privata. Nella Miseria della filosofia questa critica veniva accentuata e sviluppata:
    «La determinazione del valore in base al tempo di lavoro è, per Ricardo, la legge del valore di scambio; per Proudhon invece è la sintesi del valore d'uso e del valore di scambio. La teoria del valore di Ricardo è l'interpretazione scientifica della vita economica attuale, la teoria del valore di Proudhon, è l'interpretazione utopistica della teoria di Ricardo» (MF 124).
Il diritto al giusto salario che appare una concreta rivendicazione sociale è invece per Marx una «utopia». Una società che si fonda sul valore non può adoperare la concezione del valore per fondare un contenuto concreto, addirittura in forma quantitativa (il salario), di giustizia, Proudhon è quindi fuori da una concezione teoricamente corretta di comunismo.
Nel Manifesto del partito comunista del 1848 tutti questi motivi trovano una equilibrata confluenza, tenuto conto che esso era il programma della Llega dei comunisti, e quindi aveva uno scopo educativo politico e organizzativo. Vi è una analisi storica che riproduce i temi essenziali della concezione materialistica della storia, sino alla formazione sociale del proletariato. È lo sviluppo della grande industria che «produce innanzi tutto i suoi seppellitori». Lo schema dialettico-storico serve quindi per individuare in forma corretta l'identità di interessi tra proletariato e comunisti in quanto i comunisti non fanno che portare alla luce storica ciò che è il proletariato nella sua realtà sociale, formare il proletariato in classe. La posizione politica corretta dipende dunque dalla correttezza della analisi sociale del presente - della produzione e della società borghese - considerata nel quadro evolutivo della storia come storia della lotta delle classi sociali che ora giunge al suo momento decisivo.
È da questa prospettiva che muove la critica alle varie ideologie socialiste, parte, questa, molto importante per identificare l'originalità e la correttezza della posizione dei comunisti e quindi per entrare nella competizione ideologica interna alle varie posizioni del nascente movimento operaio e della sua tradi zione intellettuale.
Dal punto di vista concettuale il comunismo vi è definito come una società di uomini liberi in cui la libertà di ognuno è la fonte della libertà di tutti.
Un tema già presente nei Manoscritti del '44. Il comunismo di Marx ed Engels si mostra così come la realizzazione materiale della idea di libertà, propria della filosofia della storia tedesca, che deve negare l'ostacolo materiale, l'oggetto che si frappone alla piena realizzazione della libertà del soggetto umano, ostacolo che è costituito dai rapporti sociali di produzione che sono fondati sulla proprietà privata.
Può essere interessante notare come Engels nella prefazione alla edizione inglese del 1888 racconti che solo dopo la fine della Prima Internazionale nel 1874 il Manifesto tornò a circolare con una sua precisa fisionomia nella letteratu ra socialista. Engels spiega anche le ragioni di identità culturale e politica che impedirono di intitolarlo «manifesto socialista» (cosa che probabilmente nel 1888 sarebbe parsa politicamente più produttiva): «comunista» voleva dire con una frase del Manifesto stesso che «l'emancipazione della classe operaia deve essere l'opera della classe operaia stessa». Tema che del resto era il nucleo centrale della riflessione storica e politica di Marx ed Engels sul comunismo.
Il tema analitico intorno al comunismo tende a deperire nelle opere successive di Marx. Esso è lo sfondo, l'apertura di senso del lavoro teorico, ma non l'oggetto analitico che è il capitale e le sue forme. Se consideriamo i Grundrisse il tema del comunismo è uno spazio vuoto ma intenso che è al margine delle analisi che vengono compiute. Nel capitalismo il lavoratore è lontano dai suoi mezzi di produzione, il lavoro si svolge in funzione della riproduzione del denaro, il valore di scambio è la regola sociale dominante, il sistema sociale dei bisogni viene sempre compresso e diretto dalla razionalità calcolatoria del valore di scambio, ogni valore d'uso ha il suo statuto ontologico nell'essere valore di scambio, la finalità delle macchine costituisce la meccanizzazione dell'uomo.
Questo insieme di elementi negativi hanno tuttavia segnato il momento di massima ascesa del mondo artificiale dell'uomo sul mondo della natura, una ascesa che nessun modo di produzione precapitalistico aveva nemmeno lontanamente anticipato.
Il comunismo è quindi l'appropriazione di questo mondo artificiale creato dal lavoro umano, sopprimendo le relazioni sociali che rendono impossibile il suo uso per tutti gli uomini. Il comunismo è sempre un problema di liberazione dell'uomo e quindi ha una ineliminabile connotazione umanistica.
Nel Capitale, nel famoso paragrafo relativo al «carattere di feticcio delia merce e il suo arcano», Marx fa l'ipotesi di «un'associazione di uomini liberi che lavorino con mezzi di produzione comuni e spendano coscientemente le loro molte forze-lavoro individuali come una sola forza-Iavoro sociale» (C. 110). Questo riferimento non descrive propriamente una immaginaria società comunista, ma una società dove la produzione è liberata dai rapporti sociali di tipo capitalistico. Vi è un prodotto sociale che viene usato per la produzione che è sociale, e un'altra parte del prodotto che viene distribuita. Come avviene la distribuzione? «Solo per mantenere il parallelo con la produzione delle merci presupponiamo che la partecipazione di ogni produttore ai mezzi di sussistenza sia determinata dal suo tempo di lavoro. Quindi il tempo di lavoro reciterebbe una doppia parte. La sua distribuzione, compiuta socialmente secondo un piano regola l'esatta proporzione delle differenti funzioni lavorative con i differenti bisogni. D'altra parte, il tempo di lavoro serve allo stesso tempo come misura della partecipazione individuale del produttore di lavoro in comune, e quindi anche alla parte del prodotto comune consumabile individualmente. Le relazioni sociali degli uomini con i loro lavori e con i prodotti del loro lavoro rimangono qui semplici e trasparenti tanto nella produzione quanto nella distribuzione». In questo testo il tema principale è quello della trasparenza del prodotto alla coscienza contrapposto al modo feticistico di percepire la merce. Tuttavia il modello fa pensare al una società dove sia possibile calcolare esattamente una giustizia produttiva e distributiva sulla base della quantità di tempo lavorativo che ognuno socialmente garantisce. Ciò è possibile perche la produzione avviene secondo le regole di una «associazione libera», cioè non secondo le regole capitaliste che reggono la produzione mercantile.
Gli «uomini liberi» paiono tuttavia agire ancora come uomini privati nel loro rapporto sociale, tant'è che interviene un calcolo quantitativo su un oggetto calcolabile, il tempo di lavoro, che regola la giustizia degli scambi. Un altro tema, sempre nello stesso paragrafo, che si può rilevare è relativo al fatto che le categorie dell'economia politica «portano segnata in fronte la loro appartenenza a una formazione sociale nella quale il processo di produzione padroneggia gli uomini e l'uomo non padroneggia il processo produttivo».
Si può leggere in queste righe la relazione stravolta tra valore d'uso e valore di scambio, ma anche l'anticipazione del tema secondo cui è il capitale stesso a costituire l'ostacolo principale al suo sviluppo. Il che significa che solo una produzione sociale che razionalizzi se stessa secondo i bisogni collettivi, e non sia il catastrofico effetto sociale anarchico delle private razionalizzazioni produttive delle singole fabbriche, è in grado di garantire lo sviluppo delle forze produttive con una espansione della ricchezza che è fondamentale in una società comunista.

Nella famosa Critica al Programma di Gotha del 1875, Marx sviluppa il tema di «una società comunista... come emerge dalla società capitalistica». Il modo in cui viene trattato il problema della distribuzione sociale della ricchezza ricorda direttamente l'esempio che abbiamo appena veduto nel primo libro del Capitale relativo a una associazione di liberi produttori. Anche in questo testo marxiano la misura «giusta» relativa ai mezzi di consumo che spettano a ciascun produttore - detratto dal prodotto sociale complessivo quanto è necessario per la riproduzione espansiva della produzione e per le spese sociali - è data dalla quantità di lavoro che il produttore ha dato alla società. «II diritto dei produttori è proporzionale alle loro prestazioni di lavoro, l'uguaglianza consiste nel fatto che esso viene misurato con una misura uguale, il lavoro» (C.P.G. 961).
Tuttavia questa forma di diritto è ancora diritto borghese poiche concepisce il rapporto tra produttori come rapporto tra privati, ciascuno dei quali gode di un diritto di appropriazione che, quanto agli effetti che crea, è certamente fonte di diseguaglianza sociale. Ogni produttore infatti può essere più o meno avvantaggiato o svantaggiato per ragioni naturali, personali o sociali. L'uguaglianza del diritto, anche in una società dove la produzione non è capitalistica, non può che reiterare o provocare diseguaglianze. «In una fase più elevata della società comunista», quando sarà scomparsa la divisione sociale del lavoro, quando il lavoro sarà «il primo bisogno della vita», allora sarà possibile stabilire questa regola relativatimente al rapporto tra produzione e consumo: «ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni» (CPG 962).
Engels nel secondo capitolo della terza sezione dell'Anti-Duhring, pubblicato nel 1878, riprende il tema della società comunista nel quadro di una esposizione divulgativa dei principi della concezione materialistica della storia che guida l'analisi storica dello sviluppo capitalistico. Per la verità nel testo non si parla direttamente di comunismo, ma piuttosto di un dominio da parte degli uomini delle leggi che reggono la loro attività sociale, quelle stesse leggi che nella società capitalistica dominavano gli uomini.
    «Solo da questo momento gli uomini stessi faranno con piena coscienza la loro storia. .. È questo il salto dell'umanità dal regno della necessità al regno della libertà» (AD 273).
Il modello intellettuale è certamente ancora quello che aveva consentito di affermare che il comunismo è la realizzazione storica della libertà. Engels nella sua analisi sottolinea l'espansione dello stato moderno in vari settori economici e l'espansione della proprietà statale fa sì che «lo stato moderno, qualunque sia la forma, è una macchina essenzialmente capitalistica, uno stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale» (AD 268).
Il modello rivoluzionario è, nell'essenziale, quello che si ritrova nell'deologia tedesca e nel Manifesto anche se tiene conto delle modificazioni dello stato:
    «Il modo di produzione capitalistico, trasformando in misura sempre crescente la grande maggioranza della popolazione in proleltari, crea la forza che, pena la morte, è costretta a compiere questo rivolgimento. Spingendo in misura sempre maggiore alla trasformazione dei grandi mezzi di produzione socializzati in proprietà statale, essa stessa mostra la via per il compimento di questo rivolgimento. Il proletariato s'impadronisce del potere dello stato e anzitutto trasforma i mezzi di produzione in proprietà dello 'stato» (AD 269).
Lo stato, che era lo strumento della oppressione di classe, subisce una radicale trasformazione. In quanto assume «in nome della società» il possesso di tutti i mezzi di produzione compie il suo ultimo atto «in quanto stato».
    «Al posto del governo delle persone appare l'amministrazione delle cose e la direzione dei processi produttivi. Lo stato non viene abolito; esso si estingue».
Una società senza classi, una libera espressione di ogni uomo, l'amrninistrazione intelligente della produzione e del consumo: questi temi continuano ad emergere come tipici di una società comunista.


da Dizionario Marx Engels, Zanichelli, 1983