piccolo dizionario marxista

mercato


L'immagine del mercato, come luogo dello scambio universale e generalizzato, come spazio di costituzione e di riconoscimento della società economica e civile borghese e dei suoi soggetti sociali, giunge a Marx da un lato direttamente dal sapere «sociologico» ed economico inglese, dall'altro dal potente filtro filosofico dell'idealismo tedesco, di quello hegeliano in particolare.
Le ideologie economiche e politiche che accompagnano il decollo e lo sviluppo del modello borghese individuano nella generalizzazione dello scambio mercantile e nella progressiva centralità economica del mercato la condizione per lo stabilizzarsi di relazioni economiche ma anche politiche «libere» da vincoli precapitalistici, adeguate al tipo di individuo che nuove antropologie venivano delineando. Nella società civile hegeliana, il mercato funziona come rete di relazioni del tessuto economico, attraversato dalla dinamica della produzione e del bisogno: è a partire da questo che si rende pensabile e necessaria l'organicità politica del corpo sociale e degli individuicittadini che lo compongono.
Il dilatarsi del ruolo del mercato è letto d'altra parte all'interno della sequenza costituita dalla tendenza allo scambio, dalla divisione sociale del lavoro e, conseguentemente, dall'incremento indefinito della ricchezza sociale, pensata come finalità intrinseca al moderno modo di produzione.
Smith in particolare - l'autore che fornisce l'archivio teorico-economico delle opere giovanili marxengelsiane - aveva indicato nel mercato l'ambito di riconoscimento degli uomini come soggetti scambiatori, il contesto di attivazione della divisione del lavoro e, infine, il formidabile meccanismo dotato di capacità autoregolative rispetto alle grandezze e ai flussi della produzione sociale, capacità esemplificate dalla celebre metafora della «mano invisibile».
Ma la strategia interpretativa che agisce nelle prime letture critiche di Marx ed Engels degli economistI classici, porta ad assumere Il mercato come o spazio del misconoscimento radicale dell'essenza umana dei soggetti che in esso operano. Nello ;cambio universale che caratterizza il mercato capitalistico, la forma di merce si generalizza investendo sia i prodotti-valori d'uso che la stessa prestazione lavorativa e, attraverso essa, il moderno proletariato industriale che sul mercato è costretto a cederla. Nel mercato la scena è dominata dal mediatore universale - il denaro - oggetto di brama vuota ed illimitata, protagonista di un rapporto perverso tra il soggetto e la comunità umana, ugualmente mistificata.
Engels, al pari di Marx, insiste sul carattere mistificato della socialità che si struttura sulla realtà del mercato, sulla «falsa comunità» cui questo dà luogo: tanto più che alla consapevolezza e alla regolamentazione razionale si sostituisce il caos della casualità incontrollata (Cfr. SCE, 470).
Nel mondo del capitale, il mercato appare così come il campo delle infinite possibilità, dove si rende visibile l'infinita ricchezza prodotta dalla società ma anche dove si fa più tangibile la miseria dilagante di chi è costretto a dipendere interamente dai suoi imperscrutabili meccanismi.
Questo non significa che in Marx non sia presente la consapevolezza della rilevanza e anche della positività dello sviluppo del mercato e dei suoi rapporti. Nel Manifesto, nella paradossale celebrazione dei fasti della civiltà borghese e della sua ascesa, la moltiplicazione e l'espansione dei mercati, la loro pervasività rispetto all'insieme delle relazioni sociali e delle transazioni economiche, sono al centro dell'analisi dell' incontenibile dinamismo che caratterizza la moderna società industriale e capitalistica. Fin d'ora, d'altra parte, la prospettiva si allarga: l'imporsi del valore di scambio e della logica del profitto capitalistico fa sì che il movimento degli scambi e delle interazioni economiche si collochi in una dimensione sovrannazionale, che lo sfondo dell'accumulazione capitalistica si venga consolidando nella forma del mercato mondiale. «II bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre. Dappertutto essa deve ficcarsi, dappertutto stabilirsi, dappertutto stringere relazioni. Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi» (M, 489). Nelle analisi che aprono il Capitale, al livello della circolazione semplice, il mercato è anch'esso una «determinazione astratta» (a, 229), l'ambito dello scambio di prodotti che contengono una determinata quantità di lavoro, dell'assunzione della forma di merce da parte di questi prodotti, del mutuo rapportarsi sulla base dell'equivalente generale il denaro che nel mercato è isolato come merce speciale, dotata di questa specifica funzione.
È nel mercato che si afferma la subalternità del valore d'uso rispetto al valore di scambio; in esso i «liberi produttori» si assicurano le condizioni della propria riproduzione operando col tramite del denaro, il quale si viene d'altra parte sempre più imponendo come autonoma finalità. Ma già qui le relazioni di mercato scontano una dipendenza rispetto a ciò che è prima e fuori di esso la produzione alle grandezze (quantità di lavoro grandezza di valore) che là si generano. Il mercato, il gioco della domanda e dell'offerta, ratificano pur nella specificità dei passaggi che investono la formavalore la corrispondenza di tali grandezze ai parametri che si definiscono socialmente.
Il progredire dell'orizzonte teorico evidenzia le condizioni che fanno del mercato un mercato capitalistico. Il percorso è qui evidentemente anche di natura storica e Marx lo schizza rapidamente nei passaggi del Primo libro del Capitale dedicati al l'accumulazione originaria. Si tratta fondamentalmente del processo che ha condotto alla formazione di un mercato del lavoro come esito dell'espulsione in massa di forza-Iavoro dalle campagne e da attività artigianali. È lo stesso processo che ha imposto la forma di merce ai mezzi di produzione e ai mezzi di consumo e di riproduzione della forzaIavoro. Ecco quanto scrive Marx: «L'espropriazione e la cacciata d'una parte della popolazione rurale non solo mette a libera disposizione del capitale industriale, assieme agli operai, i loro mezzi di sussistenza e la loro materia da lavoro, ma crea anche il mercato interno. Di fatto gli eventi che hanno trasformato i piccoli contadini in operai salariati e i loro mezzi di sussistenza e di lavoro in elementi materiali del capitale, creano contemporaneamente a quest'ultimo il suo mercato interno... E solo la distruzione dell'industria domestica rurale può dare al mercato interno di un paese l'estensione e la salda consistenza delle quali abbisogna il modo di produzione capitalistico» (C, I, 810-811). Secondo una prospettiva teorico-strutturale che guarda al risultato di questo processo, le condizioni della relazione capitalistica di produzione sono date dalla possibilità dello scambio sul mercato del denaro-capitale con la forza-Iavoro. In primo luogo è quindi necessario che in esso si confrontino due «possessori di merci», distinti solo come venditore e compratore, due persone giuridicamente uguali. «La seconda condizione - continua lo stesso Marx - essenziale affinché il possessore del denaro trovi la forza-lavoro sul mercato come merce, è che il possessore di questa non abbia la possibilità di vendere merci nelle quali si sia oggettivato il suo lavoro, ma anzi, sia costretto a mettere in vendita, come merce, la sua stessa forzalavoro, che esiste soltanto nella sua corporeità vivente... Dunque, per trasformare il denaro in capitale il possessore di denaro deve trovare sul mercato delle merci il lavoratore libero, libero nel duplice senso che disponga della propria forza lavorativa come propria merce, nella sua qualità di libera persona, e che, d'altra parte, non abbia da vendere altre merci, che sia privo ed esente, libero di tutte le cose necessarie per la realizzazione della sua forzalavoro. Per il possessore di denaro, che trova il mercato del lavoro come sezione particolare del mercato delle merci, non ha alcun interesse il problema del perche quel libero lavoratore gli si presenti nella sfera della circolazione.» (C, I, 201)
Anche la componente «lavoro» finisce per segnare, accanto ad altre, quella che per Marx è una delle peculiarità più tangibili del processo ciclico del capitale industriale e quindi della produzione capitalistica tout court: il fatto cioè che gli elementi costitutivi del capitale provengono dal mercato del le merci e sono costantemente rinnovati come tali e che, d'altra parte, «il prodotto stesso del processo di produzione ne esce come merce e deve essere costantemente venduto come merce sul mercato» (C, Il, 118). Quest'ultima osservazione apre un'altra, decisiva prospettiva sulle relazioni di mercato: quest'ultimo è infatti il luogo dove la merce è effettivamente acquistata o meno, dove si decide il passaggio dalla potenzialità alla realtà della sua natura di merce vendibile.
Se quella capitalistica è produzione di valore e di plusvalore, è nel mercato che accade o meno la realizzazione («Realisierung») di questo valore e di questo plusvalore: è l'interazione dei soggetti economici nella forma del gioco della domanda e dell'offerta a decretare la possibilità e il grado di tale realizzazione. È chiaro quantomeno per Marx che il margine d'incidenza effettivo dei rapporti di domanda ed offerta è peraltro notevolmente limitato, che la domanda in particolare è in effetti una variabile fortemente dipendente dal livello del reddito e della produzione. Così come, sul piano epistemologico, il livello «superficiale» delle relazioni di mercato visibili, della domanda e dell'offerta appunto, non consentono una corretta determinazione delle reali implicazioni costitutive e causali, ma presentano piuttosto tali connessioni in modo mistificato e invertito («rovesciato») .
Ciò non impedisce al mercato di essere lo spazio di condensazione e di manifestazione delle spinte contrastanti generate all'interno del processo di produzione. Tanto più che il carattere anarchico della produzione capitalistica contiene nella sua funzionalizzazione esclusiva alla estorsione e realizzazione di plusvalore un'insanabile contraddizione tra produzione sociale e possibilità effettive di realizzazione. Il mercato è l'indicatore privilegiato di questo conflitto ineliminabile: la crisi di sovrapproduzione si esprime precisamente nell'intasamento del mercato e nell'impossibilità di sbocco per quote rilevanti della produzione.
Sul piano della dinamica del modo di produzione capitalistico, questo significa come nota Engels che «la rapidità sempre crescente con cui la produzione può oggi essere accresciuta in tutti i campi della grande industria, ha come controparti ta la lentezza sempre crescente con cui si estende il mercato che dovrebbe assorbire questa accresciuta quantità di prodotti. Ciò che la produzione fornisce in termini di mesi, il mercato può appena assorbire in termini di anni.» (C, III, 519, nota di P. Engels)
La reazione capitalistica a questo ostacolo va nel senso della moltiplicazione e dell'espansione dei mercati, della creazione e specializzazione del mercato monetario (forme creditizie, ecc.), dell'intensificazione delle azioni di raccordo e coordinamento (trasporti, comunicazioni, ecc.), in definitiva dell'instaurazione e consolidamento di un mercato che coinvolge la totalità della produzione e della circolazione, di un mercato mondiale. Di qui, dal l'integrazione progressiva, deriva peraltro la crescente esposizione dell'intero sistema alle crisi e alle perturbazioni periodiche.
Sullo sfondo di queste contraddizioni destinate ad esasperarsi, si profila legittima la domanda sulla natura e sul futuro della struttura di mercato, nel modello di società postcapitalistica cui pensavano Marx e Engels.
Talune pagine della Critica del programma di Gotha, in particolare, lasciano in effetti intravedere il carattere storicamente delimitato ed epocalmente segnato dello scambio mercantile e capitalistico, il suo nesso profondo con la struttura anarchica della formazione economica capitalistica e con le sue forme ideologiche e giuridiche. Le medesime pagine lasciano intravedere la possibilità che è anche necessità della sostituzione al mercato di regole produttive e sociali consapevolmente impostate e controllate. «All'interno della società collettivista, fondata sulla proprietà comune dei mezzi di produzione, i produttori non scambiano i loro prodotti; tantomeno il lavoro trasformato in prodotti appare qui come valore di questi prodotti, come una proprietà oggettiva da essi posseduta, poiché ora, in contrapposto alla società capitalistica, i lavori individuali non esistono più come parti costitutive del lavoro complessivo attraverso un processo indiretto, ma in modo diretto.» (PG, 2930)