Antonio Gramsci

Elementi di politica

Analisi delle situazioni: rapporti di forza

[Q 13, p. 1578 (MAC, p. 50)]

È il problema dei rapporti tra struttura e superstruttura [1] che bisogna impostare esattamente e risolvere per giungere a una giusta analisi delle forze che operano nella storia di un determinato periodo e determinare il loro rapporto, Occorre muoversi nell’ambito di due principi: 1) quello che nessuna società si pone compiti per la cui soluzione non esistano già le condizioni necessarie e sufficienti o esse non siano almeno in via di apparizione e di sviluppo; 2) quello che nessuna società si dissolve e può essere sostituita se prima non ha svolto tutte le forme di vita che sono implicite nei suoi rapporti.

Una formazione sociale non perisce prima che non siano sviluppate tutte le forze produttive per le quali essa è ancora sufficiente e nuovi e più alti rapporti di produzione non ne abbiano preso il posto, prima che le condizioni materiali di esistenza di questi ultimi siano state covate nel seno stesso della vecchia società. Perciò l’umanità si pone sempre solo quei compiti che essa può risolvere; se si osserva con più accuratezza si troverà sempre che il compito stesso sorge solo dove le condizioni materiali della sua risoluzione esistono già o almeno sono nel processo del loro divenire.” [2]

Dalla riflessione su questi due canoni si può giungere allo svolgimento di tutta una serie di altri principi di metodologia storica. Intanto, nello studio di una struttura, occorre distinguere i movimenti organici (relativamente permanenti) dai movimenti che si possono chiamare “di congiuntura” (e si presentano come occasionali, immediati, quasi accidentali). I fenomeni di congiuntura sono certo dipendenti anch’essi da movimenti organici, ma il loro significato non è di vasta portata storica: essi danno luogo a una critica politica spicciola, del giorno per giorno, che investe i piccoli gruppi dirigenti e le personalità responsabili immediatamente del potere. l fenomeni organici danno luogo alla critica storico - sociale, che investe i grandi aggruppamenti, di là dalle persone immediatamente responsabili e di là dal personale dirigente. Nello studiare un periodo storico appare la grande importanza di questa distinzione. Si verifica una crisi, che talvolta si prolunga per decine di anni. Questa durata eccezionale significa che nella struttura si sono rivelate (sono venute a maturità) contraddizioni insanabili e che le forze politiche operanti positivamente alla conservazione e difesa della struttura stessa si sforzano tuttavia di sanare entro certi limiti e di superare. Questi sforzi incessanti e perseveranti (poiché nessuna forma sociale vorrà mai confessare di essere superata) formano il terreno dell’“occasionale” sul quale si organizzano le forze antagoniste che tendono a dimostrare (dimostrazione che in ultima analisi riesce solo ed è “vera” se diventa nuova realtà, se le forze antagonistiche trionfano, ma immediatamente si svolge in una serie di polemiche ideologiche, religiose, filosofiche, politiche, giuridiche, ecc., la cui concretezza è valutabile dalla misura in cui riescono convincenti e spostano il preesistente schieramento delle forze sociali) che esistono già le condizioni necessarie e sufficienti perché determinati compiti possano e quindi debbano essere risolti storicamente (debbano, perché ogni venir meno al dovere storico aumenta il disordine necessario e prepara più gravi catastrofi).

L’errore in cui si cade spesso nelle analisi storico-politiche consiste nel non saper trovare il giusto rapporto tra ciò che è organico e ciò che è occasionale: si riesce così o ad esporre come immediatamente operanti cause che sono invece operanti mediatamente o ad affermare che le cause immediate sono le sole cause efficienti; nell’un caso si ha l’eccesso di “economismo” [3] o di dottrinarismo pedantesco; nell’altro l’ eccesso di “ideologismo”; nell’un caso si sopravvalutano le cause meccaniche, nell’altro si esalta l’elemento volontaristico e individuale. La distinzione tra “movimenti” e fatti organici e movimenti e fatti di “congiuntura” o occasionali deve essere applicata a tutti i tipi di situazione, non solo a quelli in cui si verifica uno svolgimento regressivo o di crisi acuta, ma a quelli in cui si verifica uno svolgimento progressivo o di prosperità e a quelli in cui si verifica una stagnazione delle forze produttive. Il nesso dialettico tra i due ordini di movimento e, quindi, di ricerca difficilmente viene stabilito esattamente; e, se l’errore è grave nella storiografia, ancor più grave diventa nell’arte politica, quando si tratta non di ricostruire la storia passata ma di costruire quella presente e avvenire: i propri desideri e le proprie passioni deteriori e immediate sono la causa dell’ errore, in quanto essi sostituiscono l’analisi obiettiva e imparziale, e ciò avviene non come “mezzo” consapevole per stimolare all’azione ma come autoinganno. La biscia, anche in questo caso, morde il ciarlatano, ossia il demagogo è la prima vittima della sua demagogia.

II non aver considerato il momento immediato dei "rapporti di forza" è connesso a residui della concezione liberale volgare, di cui il sindacalismo è una manifestazione che credeva di essere più avanzata in quanto faceva realmente un passo indietro. Infatti la concezione liberale volgare dando importanza al rapporto delle forze politiche organizzate nelle diverse forme di partito (lettori di giornali, elezioni parlamentari e locali, organizzazione di massa dei partiti e dei sindacati in senso. stretto) era più avanzata del sindacalismo che dava importanza primordiale al rapporto fondamentale economico-sociale e solo a questo. La concezione liberale volgare teneva conto implicito anche di tale rapporto (come appare da tanti segni) ma insisteva di più sul rapporto delle forze politiche che era un’espressione dell’altro e in realtà lo conteneva. Questi residui della concezione liberale volgare si possono rintracciare in tutta una serie di trattazioni che si dicono connesse alla filosofia della prassi e hanno dato luogo a forme infantili di ottimismo e di scempiaggine. […]

Un aspetto dello stesso problema è la quistione cosi detta dei rapporti di forza. Si legge spesso nelle narrazioni storiche l’espressione generica: “rapporti di forza favorevoli, sfavorevoli a questa o a quella tendenza”. Così, astrattamente, questa formulazione non spiega nulla o quasi nulla, perché non si fa che ripetere il fatto che si deve spiegare presentandolo una volta come fatto e una volta come legge astratta e come spiegazione. L’errore teorico consiste dunque nel dare un canone di ricerca e di interpretazione come “causa storica”. [4]

Intanto nel “rapporto di forza” occorre distinguere diversi momenti o gradi, che fondamentalmente sono questi:

1) Un rapporto di forze sociali strettamente legato alla struttura, obiettivo, indipendente dalla volontà degli uomini, che può essere misurato coi sistemi delle scienze esatte o fisiche. Sulla base del grado di sviluppo delle forze materiali di produzione si hanno i raggruppamenti sociali, ognuno dei quali rappresenta una funzione e ha una posizione data nella produzione stessa. Questo rapporto è quello che è, una realtà ribelle: nessuno può modificare il numero delle aziende e dei loro addetti, il numero delle città con la data popolazione urbana, ecc. Questo schieramento fondamentale permette di studiare se nella società esistono le condizioni necessarie e sufficienti per una sua trasformazione, permette cioè di controllare il grado di realismo e di attuabilità delle diverse ideologie che sono nate nel suo stesso terreno, nel terreno delle contraddizioni che esso ha generato durante il suo sviluppo.

2) Un momento successivo è il rapporto delle forze politiche; cioè la valutazione del grado di omogeneità, di autocoscienza e di organizzazione raggiunto dai vari gruppi sociali. Questo momento può essere a sua volta analizzato e distinto in vari gradi, che corrispondono ai diversi momenti della scienza politica collettiva, così come si sono manifestati finora nella storia. Il primo e più elementare è quello economico-corporativo: un commerciante sente di dover essere solidale con un altro commerciante, un fabbrIcante con un altro fabbricante, ecc., ma il commerciante non si sente ancora solidale col fabbricante; è cioè sentita l’unità omogenea, e il dovere di organizzarla, del gruppo professionale, ma non ancora del gruppo sociale più vasto. Un secondo momento è quello in cui si raggiunge la coscienza della solidarietà di interessi fra tutti i membri del gruppo sociale, ma ancora nel campo meramente economico. Già in questo momento si pone la quistione dello Stato, ma solo nel terreno di raggiungere una uguaglianza politico-giuridica coi gruppi dominanti, poiché si rivendica il diritto di partecipare alla legislazione e alla amministrazione e magari di modificarle, di riformarle, ma nei quadri fondamentali esistenti. Un terzo momento è quello in cui si raggiunge la coscienza che i propri interessi corporativi, nel loro sviluppo attuale e avvenire, superano la cerchia corporativa, di gruppo meramente economico, e possono e debbono divenire gli interessi di altri gruppi subordinati. Questa è la fase più schiettamente politica, che segna il netto passaggio dalla struttura alla sfera delle superstrutture complesse è la fase in cui le ideologie gemmate precedentemente diventano “partito”, vengono a confronto ed entrano in lotta fino a che una sola di esse o almeno una sola combinazione di esse, tende a prevalere, a imporsi, a diffondersi su tutta l’area sociale, determinando oltre che l’unicità dei fini economici e politici, anche l’unità intellettuale e morale, ponendo tutte le quistioni intorno a cui ferve la lotta non sul piano corporativo ma su un plano “universale” e creando così l’egemonia di un gruppo sociale fondamentale su una serie di gruppi subordinati. Lo Stato è concepito, sì, come organismo proprio di un gruppo, destinato a creare le condizioni favorevoli alla massima espansione del gruppo stesso; ma questo sviluppo e questa espansione sono concepiti e presentati come la forza motrice di una espansione universale, di uno sviluppo di tutte le energie “nazionali”, cioè il gruppo dominante viene coordinato concretamente con gli interessi generali dei gruppi subordinati e la vita statale viene concepita come un continuo formarsi e superarsi di equilibri instabili (nell’ambito della legge) tra gli interessi del gruppo fondamentale e quelli dei gruppi subordinati, equilibri in cui gli interessi del gruppo dominante prevalgono ma fino a un certo punto, non cioè fino al gretto interesse economico-corporativo. [5]

Nella storia reale questi momenti si implicano reciprocamente, per così dire orizzontalmente e verticalmente, cioè secondo le attività economiche sociali (orizzontalI) e secondo i territori (verticalmente), combinandosi e scindendosi variamente: ognuna di queste combinazioni può essere rappresentata da una propria espressione organizzata economica e politica. Ancora bisogna tener conto che a questi rapporti interni di uno Stato-nazione si intrecciano i rapporti internazionali, creando nuove combinazioni originali e storicamente concrete. Una ideologia, nata in un paese più sviluppato, si diffonde in paesi meno sviluppati, incidendo nel giuoco locale delle combinazioni.

(La religione, per esempio, è sempre stata una fonte di tali combinazioni ideologiche-politiche nazionali e internazionali, e con la religione le altre formazioni internazionali, la massoneria, il Rotary Club, gli ebrei, la diplomazia di carriera, che suggeriscono espedienti politici di origine storica diversa e li fanno trionfare in determinati paesi, funzionando come partito politico internazionale che opera in ogni nazione con tutte le sue forze internazionali concentrate; una religione, massoneria, Rotary Club, ebrei, ecc., possono rientrare nella categoria sociale degli "intellettuali", la cui funzione, su scala internazionale è quella di mediare gli estremi, di "socializzare" i ritrovati tecnici che fanno funzionare ogni attività di direzione, di escogitare compromessi e vie d’uscita tra le soluzioni estreme.”)

Questo rapporto tra forze internazionali e forze nazionali è ancora complicato dall’esistenza nell’interno di ogni Stato di parecchie sezioni territoriali di diversa struttura e di diverso rapporto di forze in tutti i gradi (così la Vandea era alleata con le forze internazionali reazionarie e le rappresentava nel seno dell’unità territoriale francese; così Lione [6] nella Rivoluzione francese rappresentava un nodo particolare di rapporti, ecc.).

3) Il terzo momento è quello del rapporto delle forze militari, immediatamente decisivo volta per volta. (Lo sviluppo storico oscilla continuamente tra il primo e il terzo momento, con la mediazione del secondo.) Ma anche esso non è qualcosa di indistinto e di identificabile immediatamente in forma schematica, si possono anche in esso distinguere due gradi: quello militare in senso stretto o tecnico-militare e il grado che si può chiamare politico-militare. Nello sviluppo della storia questi due gradi si sono presentati in una grande varietà di combinazioni. Un esempio tipico che può servire come dimostrazione limite, è quello del rapporto di oppressione militare di uno Stato su una nazione che cerchi di raggiungere la sua indipendenza statale. [7] Il rapporto non è puramente militare, ma politico-militare; e, infatti, un tale tipo di oppressione sarebbe inspiegabile senza lo stato di disgregazione sociale del popolo oppresso e la passività della sua maggioranza; pertanto l’indipendenza non potrà essere raggiunta con forze puramente militari, ma militari e politico-militari. Se la nazione oppressa, infatti, per iniziare la lotta d’indipendenza, dovesse attendere che lo Stato egemone le permetta di organizzare un proprio esercito nel senso stretto e tecnico della parola, avrebbe da attendere un pezzo (può avvenire che la rivendicazione di avere un proprio esercito sia soddisfatta dalla nazione egemone, ma ciò significa che già una gran parte della lotta è stata combattuta e vinta sul terreno politico-militare). La nazione oppressa opporrà dunque inizialmente alla forza militare egemone una forza che è solo “politico-militare”, cioè opporrà una forma di azione politica che abbia la virtù di determinare riflessi di carattere militare nel senso: 1) che abbia efficacia di disgregare intimamente l’efficienza bellica della nazione egemone; 2) che costringa la forza militare egemone a diluirsi e disperdersi in un grande territorio, annullandone gran parte dell’efficienza bellica. Nel Risorgimento italiano si può notare l’assenza disastrosa di una direzione politico-militare, specialmente nel Partito d’Azione [8] (per congenita incapacità), ma anche nel Partito piemontese-moderato, sia prima che dopo il 1848, non certo per incapacità, ma per “maltusianismo economico-politico”, [9] cioè perché non si volle neanche accennare alla possibilità di una riforma agraria e perché non si voleva la convocazione di una assemblea nazionale costituente, ma si tendeva solo a che la monarchia piemontese, senza condizioni o limitazioni di origine popolare, si estendesse a tutta Italia, con la pura sanzione di plebisciti regionali.

Altra quistione connessa alle precedenti è quella di vedere se le crisi storiche fondamentali sono determinate immediatamente dalle crisi economiche. La risposta alla quistione è contenuta implicitamente nei paragrafi precedenti, dove sono trattate quistioni che sono un altro modo di presentare quella ora trattata, tuttavia è sempre necessario, per ragioni didattiche, dato il pubblico particolare, esaminare ogni modo di presentarsi di una stessa quistione come fosse un problema indipendente e nuovo. Si può escludere che, di per se stesse, le crisi economiche immediate producano eventi fondamentali; solo possono creare un terreno più favorevole alla diffusione di certi modi di pensare, di impostare e risolvere le quistioni che coinvolgono tutto l’ulteriore sviluppo della vita statale. Del resto, tutte le affermazioni che riguardano i periodi di crisi o di prosperità possono dar luogo a giudizi unilaterali. Nel suo compendio di storia della Rivoluzione francese, il Mathiez, [10] opponendosi alla storia volgare tradizionale, che aprioristicamente “trova” una crisi in coincidenza con le grandi rotture di equilibrio sociale, afferma che verso il 1789 la situazione economica era piuttosto buona immediatamente, per cui non si può dire che la catastrofe dello Stato assoluto sia dovuta a una crisi di immiserimento. Occorre osservare che lo Stato era in preda a una mortale crisi finanziaria e si poneva la quistione su quale dei tre ordini sociali privilegiati [11] dovevano cadere i sacrifìzi e i pesi per rimettere in sesto le finanze statali e regali. Inoltre: se la posizione economica della borghesia era florida, certamente non era buona la situazione delle classi popolari delle città e delle campagne, specialmente di quelle tormentate da miseria endemica. In ogni caso, la rottura dell’equilibrio delle forze non avvenne per cause meccaniche immediate di immiserimento del gruppo sociale che aveva interesse a rompere l’equilibrio di fatto lo ruppe, ma avvenne nel quadro di conflItti superiori al mondo economico immediato, connessi al “prestigio” di classe (interessi economici avvenire), ad una esasperazIone del sentimento di indipendenza, di autonomia e di potere. La quistione particolare del malessere o benessere economico come causa di nuove realtà storiche è un aspetto parziale della quistione dei rapporti di forza nei loro vari gradi. Possono prodursi novità sia perché una situazione di benessere è minacciata dal gretto egoismo di un gruppo avversario, come perché il malessere è diventato intollerabile e non si vede nella vecchia società nessuna forza che sia capace di mitigarlo e di ristabilire una normalità con mezzi legali. Si può dire pertanto che tutti questi elementi sono la manifestazione concreta delle fluttuazioni di congiuntura dell’insieme dei rapporti sociali di forza, sul cui terreno avviene il passaggio di questi rapporti politici di forza per culminare nel rapporto militare decisivo.

Se manca questo processo di sviluppo da un momento all’altro, ed esso è essenzialmente un processo che ha per attori gli uomini e la volontà e capacità degli uomini, la situazione rimane inoperosa, e possono darsi conclusioni contraddittorie: la vecchia società resiste e si assicura un periodo di “respiro”, sterminando fisicamente l’élite avversaria e terrorizzando le masse di riserva; oppure avviene la distruzione reciproca delle forze in conflitto con l’instaurazione della pace dei cimiteri, magari sotto la vigilanza di una sentinella straniera.

Ma l’osservazione più importante da fare a proposito di ogni analisi concreta dei rapporti di forza è questa: che tali analisi non possono e non debbono essere fine a se stesse (a meno che non si scriva un capitolo di storia del passato), ma acquistano un significato solo se servono a giustificare un’attività pratica, una iniziativa di volontà. Esse mostrano quali sono i punti di minore resistenza dove la forza della volontà può essere applicata più fruttuosamente, suggeriscono le operazioni tattiche immediate, indicano come si può meglio impostare una campagna di agitazione politica, quale linguaggio sarà meglio compreso dalle moltitudini, ecc. L’elemento decisivo di ogni situazione è la forza permanentemente organizzata e predisposta di lunga mano che si può fare avanzare quando si giudica che una situazione è favorevole (ed è favorevole solo in quanto una tale forza esista e sia piena di ardore combattivo); perciò il compito essenziale è quello di attendere sistematicamente e pazientemente a formare, sviluppare, rendere sempre più omogenea, compatta, consapevole di se stessa questa forza. Ciò si vede nella storia militare e nella cura con cui in ogni tempo sono stati predisposti gli eserciti ad iniziare una guerra in qualsiasi momento. I grandi Stati sono stati grandi Stati appunto perché erano in ogni momento preparati a inserirsi efficacemente nelle congiunture internazionali favorevoli e queste erano tali perché c’era la possibilità concreta di inserirsi efficacemente in esse.


[1]L’insieme dei rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una superstruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale.” K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Ed. Riuniti, 1974, p. 5.
[2] Ibidem.

[3] “Economismo” è una delle principali teorie erroneamente ispirate al marxismo: sostiene un immediato rapporto di causa-effetto tra i movimenti di lotta di tipo economico (es. le rivendicazioni salariali) e le relative conseguenze politiche; “ideologismo” indica, al contrario, la sopravvalutazione delle idee e dei fatti politici rispetto alla lotta economica.
[4] Dire che i rapporti di forza sono importanti non significa niente se non si spiega il perché, e infatti G. sottolinea che l’analisi dei rapporti di forza offre un metodo di ricerca e di interpretazione storica.
[5] Per G. vi sono tre fasi della storia del movimento operaio: quella corporativa o del sindacalismo primitivo; il periodo in cui gli operai sono fra loro solidali nella difesa dei propri interessi, anche sul terreno politico, ma non sono ancora classe dirigente, capace di affrontare e risolvere i problemi dell’intera società, rimanendo perciò classe subalterna; il momento della piena coscienza rivoluzionaria, in cui il proletariato si pone al centro di un sistema di alleanze e crea un proprio partito capace di affrontare il problema della conquista del potere.
[6] Vandea: regione della Francia che fu il cuore dell’opposizione monarchica contro il governo rivoluzionario. Lione: città sul Rodano, centro dell’industria tessile: qui le forze reazionarie agirono intensamente e la repubblica dovette inviare le truppe per assumere il controllo della città.
[7] Una conferma di questa analisi si è poi avuta nelle lotte di liberazione dei popoli coloniali, in particolare dove (Algeria, Angola, Vietnam) la potenza straniera ha impiegato tutti i mezzi per mantenere le proprie posizioni di potere.
[8] La componente repubblicana, e più radicale, del Risorgimento.
[9] L’economista inglese Thomas Malthus (1766-1834) teorizzò l’esigenza, da parte dei governi, di limitare forzatamente le nascite al fine d’impedire l’accrescersi della popolazione e quindi della miseria. Qui “maltusianismo” indica la soluzione monarchica, “dall’alto”, del problema dell’unità italiana.
[10] Albert Mathiez (1874-1932), autore de La rivoluzione francese in cui, dopo una lunga fase di ostilità da parte della storiografia ufficiale, Robespierre e i Giacobini vengono rivalutati.
[11] La nobiltà, il clero e la borghesia (detta anche “terzo stato”).