Antonio Gramsci

Elementi di politica

La favola del castoro

[Q 3, p. 319 (PP, p. 75)] [1]

(Un castoro, inseguito dai cacciatori, che vogliono strappargli i testicoli da cui si estraggono dei medicinali, per salvarsi la vita, si strappa da se stesso i testicoli) Perché non c’è stata difesa? Scarso senso della dignità umana e della dignità politica dei partiti: ma questi elementi non sono dati naturali, deficienze proprie di un popolo in modo permanentemente caratteristico. Sono dei “fatti storici” che si spiegano con la storia passata e con le condizioni sociali presenti.

Contraddizioni apparenti: dominava una concezione fatalistica e meccanica della storia (Firenze 1917, accusa di bergsonismo) e però si verificavano atteggiamenti di un volontarismo formalistico sguaiato e triviale: per esempio, il progetto di costituire nel 1920 un consiglio urbano [2] a Bologna coi soli elementi delle organizzazioni, cioè di creare un doppione inutile, di sostituire a un organismo storico radicato nelle masse, come la Camera del Lavoro, un organismo puramente astratto e libresco. C’era almeno il fine politico di dare una egemonia all’elemento urbano che con la costituzione del consiglio veniva ad avere un centro proprio, dato che la Camera del Lavoro era provinciale? Questa intenzione mancava assolutamente e d’altronde il progetto non fu realIzzato.

Il discorso di Treves [3] sull’“espiazione”: questo discorso mi pare fondamentale per capire la confusione politica e il dilettantismo polemico dei leaders. Dietro a queste schermaglie, c’è la paura delle responsabilità concrete, dietro a questa paura la nessuna unione con la classe rappresentata, la nessuna comprensione dei suoi bisogni fondamentali, delle sue aspirazioni, delle sue energie latenti: partito paternalistico di piccoli borghesi che fanno le mosche cocchiere. Perché non difesa? L’idea della psicosi di guerra, e che un paese civile non può “permettere” che si verifichino certe scene selvagge. Queste generalità erano anch’ esse mascherature di altri motivi più profondi (d’altronde, erano in contraddizione con l’affermazione ripetuta ogni volta dopo un eccidio: l’abbiamo sempre detto noi che la classe dominante è reazionaria!), che sempre si incentrano nel distacco dalla classe, cioè nelle “due classi”: non si riesce a capire ciò che avverrà se la reazione trionfa, perché non si vive la lotta reale, ma solo la lotta come “principio libresco.” [4]

Altra contraddizione intorno al volontarismo: se si è contro il volontarismo si dovrebbe apprezzare la “spontaneità”. Invece, no: ciò che era “spontaneo” era cosa inferiore, non degna di considerazione, non degna neppure di essere analizzata. In realtà, lo “spontaneo” era la prova più schiacciante dell’inettitudine del partito, perché dimostrava la scissione tra i programmi sonori e i fatti miserabili. Ma intanto i fatti “spontanei” avvenivano (1919-1920), ledevano interessi, disturbavano posizioni acquisite, suscitavano odi terribili anche in gente pacifica, facevano uscire dalla passività strati sociali stagnanti nella putredine: creavano, appunto per la loro spontaneità e per il fatto che erano sconfessati, il “panico” generico, la “grande paura” che non potevano non concentrare le forze repressive spietate nel soffocarli.

Un documento eccezionale di questo distacco tra rappresentati e rappresentanti è costituito dal cosi detto patto di alleanza tra confederazione e partito, [5] che può essere paragonato a un concordato fra Stato e Chiesa. Il partito, che è in embrione una struttura statale, non può ammettere nessuna divisione dei suoi poteri politici, non può ammettere che una parte dei suoi membri si pongano come aventi uguaglianza di diritto, come alleati del “tutto”, così come uno Stato non può ammettere che una parte dei suoi sudditi, oltre le leggi generali, facciano con lo Stato cui appartengono e attraverso una potenza straniera, un contratto speciale di convivenza con lo Stato stesso. L’ammissione di una tale situazione implica la subordinazione di fatto e di diritto dello Stato e del partito alla così detta maggioranza dei rappresentanti: in realtà, a un gruppo che si pone come anti-Stato e anti-partito e che finisce con l’esercitare indirettamente il potere. Nel caso del patto d’alleanza apparve chiaro che il potere non apparteneva al partito. 

Al patto d’alleanza corrispondevano gli strani legami tra partito e gruppo parlamentare, anch’essi, d’alleanza e di parità di diritto. Questo sistema di rapporti faceva sì che concretamente il partito non esistesse come organismo indipendente, ma solo come elemento costitutivo di un organismo più complesso che aveva tutti i caratteri di un partito del lavoro [6] discentrato, senza volontà unitaria, ecc. Dunque i sindacati devono essere subordinati al partito? Porre così la quistione sarebbe errato. La quistione deve essere impostata così: ogni membro del partito, qualsiasi posizione o carica occupi, è sempre un membro del partito ed è subordinato alla sua direzione. Non ci può essere subordinazione tra sindacato e partito: se il sindacato ha spontaneamente scelto come suo dirigente un membro del partito, significa che il sindacato accetta liberamente le direttive del partito, e, quindi, ne accetta liberamente (anzi ne, desidera) il controllo sui suoi funzionari. Questa quistione non fu impostata giustamente nel 1919, quantunque esistesse un grande precedente istruttivo, quello del giugno 1914: perché in realtà non esisteva una politica delle frazioni, cioè una politica del partito.

note

[1] II castoro qui raffigura i partiti politici tradizionali, compreso il PSI che non seppe opporre una difesa efficace al fascismo.
[2] Una specie di soviet.
[3] Claudio Treves (1868-1933), uno dei principali esponenti della corrente riformista del PSI, nel 1920 alla Camera fece un intervento in cui sosteneva che da una parte la borghesia ha fatto il suo tempo e dall’altra la classe operaia non è ancora pronta a esercitare il potere; conseguenza: la tragedia e l’espiazione delle classi dominanti.
[4] G. si riferisce all’atteggiamento, tragicamente miope, dei riformisti: non resistenza allo squadrismo, incomprensione del fenomeno fascista, inteso come manifestazione transitoria della psicosi bellica, ecc. “I socialisti credono ancora di potersi opporre alla classe borghese, che organizza e scatena dappertutto la sua violenza, con la protesta in Parlamento e l’ordine del giorno di deplorazione della barbarie fascista.” (SF, p. 104) Nel corso del 1920 circa “2500 italiani (uomini, donne, bambini e vecchi) hanno trovato la morte nelle vie e nelle piazze, sotto il piombo della pubblica sicurezza e del fascismo. Nei trascorsi 200 giorni di questo barbarico 1921 circa 1500 italiani sono stati uccisi dal piombo, dal pugnale, dalla mazza ferrata del fascista, circa 40000 liberi cittadini della democratica Italia sono stati bastonati, storpiati, feriti.” (Articolo non firmato, 23.7.1921. SF, p. 248) Nell’agosto 1921 dirigenti del PSI, della CGL e del partito fascista firmarono un “patto di pacificazione” per far cessare “minacce, vie di fatto, rappresaglie, punizioni, vendette”: è noto quale esito ebbe tale accordo.
[5] Intesa stipulata nel 1918 tra PSI e CGL, in cui si distinguevano nettamente i rispettivi campi d’azione, e fra l’altro si stabiliva che il partito avrebbe diretto gli scioperi politici e il sindacato quelli economici.
[6] II Labour Party, il partito socialdemocratico inglese: nel 1906 varie organizzazioni politiche, sindacali, culturali (e più tardi il forte movimento cooperativo) si unirono in partito, che mantenne uno strettissimo legame con i sindacati, le Trade Unions. Nel 1924 si ebbe, con l’appoggio dei liberali, il primo governo laburista.