Antonio Gramsci

Elementi di politica

La formazione degli intellettuali

[Q 6, p. 771 (PP, p. 84)]

Può esistere politica, cioè storia in atto, senza ambizione? “L’ambizione” ha assunto un significato deteriore e spregevole per due ragioni principali: 1) perché è stata confusa l’ambizione (grande) con le piccole ambizioni; 2) perché l’ambizione ha troppo spesso condotto al più basso opportunismo, al tradimento dei vecchi principi e delle vecchie formazioni sociali che avevano dato all’ambizioso le condizioni per passare a servizio più lucrativo e di più pronto rendimento. In fondo, anche questo secondo motivo si può ridurre al primo: si tratta di piccole ambizioni, poiché hanno fretta e non vogliono aver da superare soverchie difficoltà o troppo grandi difficoltà, o correre troppo grandi pericoli.

È nel carattere di ogni capo di essere ambizioso, cioè di aspirare con ogni sua forza all’esercizio del potere statale. Un capo non ambizioso non è un capo, ed è un elemento pericoloso per i suoi seguaci: egli è un inetto o un vigliacco. Ricordare l’affermazione di Arturo Vella: [1] “Il nostro partito non sarà mai partito di governo”, cioè sarà sempre partito di opposizione: ma che significa proporsi di stare sempre all’opposizione? Significa preparare i peggiori disastri, perché, se l’essere alla opposizione è comodo per gli oppositori, non è “comodo” (a seconda, naturalmente, delle forze oppositrici e della loro natura) per i dirigenti del governo, i quali a un certo punto dovranno porsi il problema di spezzare l’opposizione. La grande ambizione, oltre che necessaria per la lotta, non è neanche spregevole moralmente, tutt’altro: tutto sta a vedere se l’“ambizioso” si eleva dopo aver fatto il deserto intorno a sé, o se il suo elevarsi è condizionato consapevolmente dall’elevarsi di tutto uno strato sociale e se l’ambizioso vede appunto la propria elevazione come elemento dell’elevazione generale.

Di solito, si vede la lotta delle piccole ambizioni (del proprio particulare) [2] contro la grande ambizione (che è indissolubile dal bene collettivo). Queste osservazioni sull’ambizione possono e devono essere collegate con altre sulla così detta demagogia. “Demagogia” vuoI dire parecchie cose: nel senso deteriore, significa servirsi delle masse popolari, delle loro passioni sapientemente eccitate e nutrite, per i propri fini particolari, per le proprie piccole ambizioni (il parlamentarismo e l’elezionismo offrono un terreno propizio per questa forma particolare di demagogia, che culmina nel cesarismo e nel bonapartismo [3] coi suoi regimi plebiscitari. Ma se il capo non considera le masse umane come uno strumento servile, buono per raggiungere i propri scopi e poi da buttar via, ma tende a raggiungere fini politici organici di cui queste masse sono il necessario protagonista storico, se il capo svolge opera “costituente” costruttiva, allora si ha una “demagogia” superiore; le masse non possono non essere aiutate a elevarsi attraverso l’elevarsi di singoli individui e di intieri strati “culturali”. Il “demagogo” deteriore pone se stesso come insostituibile, crea il deserto intorno a sé, sistematicamente schiaccia ed elimina i possibili concorrenti, vuole entrare in rapporto con le masse direttamente (plebiscito, ecc.; grande oratoria, colpi di scena, apparato coreografico fantasmagorico: si tratta di ciò che Michels [4] ha chiamato “capo carismatico”). Il capo politico dalla grande ambizione, invece, tende a suscitare uno stato intermedio tra se e la massa, a suscitare possibili “concorrenti” ed uguali, ad elevare il livello di capacità delle masse, a creare elementi che possano sostituirlo nella funzione di capo. Egli pensa secondo gli interessi della massa, e questi vogliono che un apparecchio di conquista e di dominio non si sfasci per la morte o il venir meno del singolo capo, ripiombando la massa nel caos e nell’impotenza primitiva, Se è vero che ogni partito è partito di una sola classe, il capo deve poggiare su di questa ed elaborarne uno stato maggIore e tutta una gerarchia; se il capo è di origine “carismatica”, deve rinnegare la sua origine e lavorare a rendere organica la funzione della direzione, organica e coi caratteri della permanenza e continuità.

[1] A. Vella (1886-1943), dirigente del PSI.
[2] Vedi note in Il numero e la qualità nei regimi rappresentativi.
[3] Da Caio Giulio Cesare e da Luigi Bonaparte, imperatore dei francesi dal 1852 al 1871 come Napoleone III. Il 18 brumaio (9 novembre) 1799 le truppe della regione parigina al comando di Napoleone Bonaparte occuparono il parlamento: dopo questo colpo di stato il governo fu affidato a un Consolato e pochi mesi più tardi il potere effettivo passò nelle mani del primo console Bonaparte, poi imperatore nel 1804. Marx aveva scritto che “la storia si ripete, ma la prima volta si svolge sotto forma di tragedia, la seconda come farsa”: ironizzando quindi, in un celebre scritto, sulle analogie tra il putsch di Napoleone del 1799 e quello del 1851 del suo discendente, chiamò questo secondo episodio il 18 brumaio di Luigi Bonaparte . Nel plebiscito che sancì il potere di Luigi B. confluirono sul suo nome i voti delle forze conservatrici e reazionarie, specie delle campagne.
[4] Su Michels vedi Grande ambizione e piccole ambizioni.