Lenin

Che fare? Problemi scottanti del nostro movimento

1. Dogmatismo e «libertà di critica»


a) Che cosa significa «libertà di critica»

«Libertà di critica»: questa, incontestabilmente, è la parola d'ordine più di moda in questo periodo, quella che più frequentemente ricorre nelle discussioni fra socialisti e democratici di tutti i paesi. A prima vista, non ci si può rappresentare niente di più strano di questi solenni richiami di una delle parti in contesa alla libertà di critica. Possibile che dalle file dei partiti avanzati si siano levate delle voci contro quella legge costituzionale che, nella maggior parte dei paesi europei, garantisce la libertà della scienza e dell'investigazione scientifica? «Qui gatta ci cova!», si dirà chi, essendo estraneo alla discussione e sentendo ripetere ad ogni piè sospinto questa parola d'ordine di moda, non abbia ancora penetrato l'essenza del dissenso. «Questa parola d'ordine è evidentemente una di quelle parole convenzionali che, al pari dei nomignoli, sono legittimate dall'uso e diventano quasi dei nomi comuni».

In realtà non è un mistero per nessuno che nella moderna socialdemocrazia internazionale (1) si sono formate due tendenze e che la lotta fra di esse ora si riaccende e arde di fiamma vivissima, ora si calma e cova sotto la cenere di imponenti «risoluzioni di tregua». In che cosa consista la «nuova» tendenza che «critica» il marxismo «vecchio, dogmatico», Bernstein lo ha detto, e Millerand lo ha dimostrato con sufficiente precisione.

La socialdemocrazia deve trasformarsi da partito di rivoluzione sociale in partito democratico di riforme sociali. Bernstein ha appoggiato questa rivendicazione politica con tutta una batteria di "nuovi" argomenti e considerazioni abbastanza ben concatenati. Si nega la possibilità di dare un fondamento scientifico al socialismo e di provare che, dal punto di vista della concezione materialistica della storia, esso è necessario e inevitabile; si nega il fatto della miseria crescente, della proletarizzazione, dell’inasprimento delle contraddizioni capitalistiche; si dichiara inconsistente il concetto stesso di "scopo finale" e si respinge categoricamente l’idea della dittatura del proletariato; si nega l’opposizione di principio tra liberalismo e socialismo; si nega la teoria della lotta di classe, che sarebbe inapplicabile in una società rigorosamente democratica, amministrata secondo la volontà della maggioranza, ecc.

L’invocata svolta decisiva dalla socialdemocrazia rivoluzionaria al socialriformismo borghese è quindi accompagnata da una svolta non meno decisiva verso la critica borghese di tutte le idee fondamentali del marxismo. Ma poiché già da tempo si muoveva contro il marxismo questa critica dall’alto della tribuna politica e della cattedra universitaria, in innumerevoli opuscoli e in una serie di dotti trattati, poiché, da decine di anni, tutta la nuova gioventù delle classi colte è stata educata a questa critica, non è sorprendente che la "nuova" tendenza "critica" nella socialdemocrazia sia sorta di colpo in una forma definitiva, come Minerva dal cervello di Giove. Quanto al contenuto, questa tendenza non ha dovuto né prender forma né svilupparsi; essa è stata direttamente trasferita dalla letteratura borghese nella letteratura socialista.

Inoltre, se la critica teorica di Bernstein e le sue aspirazioni politiche fossero ancora per taluni poco chiare, i francesi si sono incaricati di dare una dimostrazione palmare del "nuovo metodo". La Francia ha confermato ancora una volta la vecchia reputazione di essere il "paese in cui le lotte di classe della storia vennero combattute, più che in qualsiasi altro luogo, sino alla soluzione decisiva" (Engels, dalla prefazione all’opera di Marx: Der 18 Brumaire. Invece di fare della teoria, i socialisti francesi hanno agito; la situazione politica della Francia, più evoluta in senso democratico, ha permesso loro di passare immediatamente al "bernsteinismo pratico" con tutte le sue conseguenze. Millerand ha dato un esempio brillante di questo bernsteinismo pratico. E non per nulla Bernstein e Vollmar si sono affrettati a difenderlo e a lodarlo con tanto zelo! Infatti, se la socialdemocrazia in sostanza non è che il partito delle riforme - e deve avere il coraggio di riconoscerlo francamente - un socialista non soltanto ha il diritto di entrare in un ministero borghese, ma deve sempre sforzarsi di entrarvi. Se democrazia significa essenzialmente soppressione del dominio di classe, perché un ministro socialista non dovrebbe affascinare tutto il mondo borghese con discorsi sulla collaborazione di classe? Perché non dovrebbe restare nel ministero anche quando gli eccidi di operai compiuti dai gendarmi hanno dimostrato, per la centesima e per l’ennesima volta, il vero carattere della collaborazione democratica delle classi? Perché non dovrebbe prendere parte personalmente al ricevimento di uno zar che i socialisti francesi oggi non chiamano altrimenti che eroe del knut, della forca e della deportazione (knouteur, pendeur et déportateur)? E in compenso di questo abisso di ignominia e di autodenigrazione del socialismo davanti al mondo, di questo pervertimento della coscienza socialista delle masse operaie - unica base che possa garantirci la vittoria - ci si presentano a suon di tromba progetti di riforme miserabili, così miserabili che si è potuto ottenere di più dai governi borghesi!

Chi non chiude intenzionalmente gli occhi non può non vedere che la nuova tendenza "critica" del socialismo non è altro che una nuova varietà di opportunismo. E se si giudica la gente non dalla brillante uniforme che ha indosso o dal nome di parata che si è data, ma dal modo di agire e dalle idee che effettivamente propaga, si vedrà chiaramente che la "libertà di critica" è la libertà della corrente opportunistica nella socialdemocrazia, la libertà di trasformare la socialdemocrazia in un partito democratico di riforme, la libertà di introdurre nel socialismo le idee borghesi e gli uomini della borghesia.

La libertà è una grande parola, ma sotto la bandiera della libertà dell’industria si sono fatte le guerre più brigantesche, sotto la bandiera della libertà del lavoro i lavoratori sono stati costantemente derubati. L’impiego che oggi si fa dell’espressione “libertà di critica” implica lo stesso falso sostanziale. Chi fosse effettivamente convinto di aver fatto progredire la scienza non rivendicherebbe per le nuove concezioni la libertà di coesistere accanto alle vecchie, ma esigerebbe la sostituzione di queste con quelle. L’odierno strillare: "Viva la libertà di critica!" ricorda da vicino la favola della botte vuota.

Piccolo gruppo compatto, noi camminiamo per una strada ripida e difficile tenendoci con forza per mano. Siamo da ogni parte circondati da nemici e dobbiamo quasi sempre marciare sotto il fuoco. Ci siamo uniti, in virtù di una decisione liberamente presa, allo scopo di combattere i nostri nemici e di non sdrucciolare nel vicino pantano, i cui abitanti, fin dal primo momento, ci hanno biasimato per aver costituito un gruppo a parte e preferito la via della lotta alla via della conciliazione. Ed ecco che taluni dei nostri si mettono a gridare: "Andiamo nel pantano!". E, se si incomincia a confonderli, ribattono: "Che gente arretrata siete! Non vi vergognate di negarci la libertà d’invitarvi a seguire una via migliore?". Oh, sí, signori, voi siete liberi non soltanto di invitarci, ma di andare voi stessi dove volete, anche nel pantano; del resto pensiamo che il vostro posto è proprio nel pantano e siamo pronti a darvi il nostro aiuto per trasportarvi i vostri penati. Ma lasciate la nostra mano, non aggrappatevi a noi e non insozzate la nostra grande parola della libertà, perché anche noi siamo "liberi" di andare dove vogliamo, liberi di combattere non solo contro il pantano, ma anche contro coloro che si incamminano verso di esso.


b) I nuovi difensori della «libertà di critica»

Ed é questa parola d'ordine («libertà di critica») che il Rabotchéïé Diélo (n. 10), organo estero dell'Unione dei socialdemocratici russI, ha lanciato solennemente in questi ultimi tempi, non come postulato teorico, ma come rivendicazione politica, come risposta alla domanda «È possibile l'unione delle organizzazioni socialdemocratiche che lavorano all'estero?» «Per una solida unione é necessaria la libertà di critica» (p. 36).

Da questa dichiarazione sgorgano due conclusioni molto ben definite: 1) il Rabotchéïé Diélo prende sotto la sua protezione la tendenza opportunistica della socialdemocrazia internazionale nel suo complesso; 2) il Rabotchéïé Diélo esige la libertà dell'opportunismo nella socialdemocrazia russa. Esaminiamo queste conclusioni. La «propensione dell'Iskra e della Zarià a pronosticare la rottura fra la Montagna e la Gironda della socialdemocrazia internazionale» dispiace «particolarmente» al Rabotchéïé Diélo (2).

«Per noi in generale - scrive B. Kricevski, redattore del Raboceie Dielo - il parlare di Montagna e di Gironda nelle file della socialdemocrazia rappresenta un'analogia storica superficiale, ben singolare quando è dovuta alla penna di un marxista: la Montagna e la Gironda non rappresentavano, come può sembrare agli storici ideologici, temperamenti o correnti intellettuali diversi, ma differenti classi o strati sociali: media borghesia da una parte e piccola borghesia col proletariato dall'altra. Orbene, nel movimento socialista contemporaneo non vi é collisione di interessi di classe; in tutte le sue varietà - compresi i bernsteiniani più incalliti - esso è tutto intero sul terreno degli interessi di classe del proletariato, della sua lotta di classe per l'emancipazione politica ed economica (pp. 32-33)

Temeraria affermazione! Ignora forse B. Kricevski il fatto, già notato da molto tempo, che precisamente la larga partecipazione dei ceti «accademici» al movimento socialista di questi ultimi anni ha causato una così rapida diffusione del bernsteinismo? E soprattutto, su che cosa si basa il nostro autore per affermare che anche i «bernsteiniani più incalliti» sono sul terreno della lotta di classe per l'emancipazione politica ed economica del proletariato? Lo ignoriamo. Questa difesa decisa dei bernsteiniani più incalliti non è sostenuta assolutamente da nessun argomento, da nessuna ragione. L'autore pensa indubbiamente che, avendo egli ripetuto ciò che questi bernsteiniani più incalliti dicono di se stessi, le sue affermazioni non abbiano più bisogno di prove. Ma si può immaginare cosa più «superficiale» di un giudizio su tutta una tendenza basato su ciò che dicono di se stessi coloro che la rappresentano? Si può immaginare cosa più superficiale della successiva «morale» sulle due vie o sui due tipi diversi e anche diametralmente opposti di sviluppo del partito (pp. 34-35 del Rabotchéïé Diélo)? Vedete, i socialdemocratici tedeschi riconoscono la completa libertà di critica, i francesi non la riconoscono affatto, e il loro esempio mostra precisamente tutto il «male dell'intolleranza».

È precisamente l'esempio di Kricevski - rispondiamo noi - che dimostra come talora voglia chiamarsi marxista della gente che considera la storia letteralmente «alla maniera di Ilovaiski». Per spiegare l'unità del partito tedesco e lo spezzettamento del partito socialista francese é del tutto inutile rovistare nelle particolarità della storia dei due paesi, mettere a confronto il semiassolutismo militare dell'uno col parlamentarismo repubblicano dell'altro; è inutile esaminare le conseguenze della Comune in un paese e delle leggi eccezionali contro i socialisti nell'altro; è inutile confrontare la vita economica e lo sviluppo economico, ricordare il fatto che «lo sviluppo senza esempi della socialdemocrazia tedesca» è stato accompagnato da una lotta che per energia non ha esempi nella storia del socialismo, non solo contro gli errori teorici (Mülberger, Dühring (3), socialisti della cattedra), ma anche contro gli errori tattici (Lassalle), ecc. ecc. Tutto questo è superfluo! I francesi si accapigliano perché sono intolleranti; i tedeschi sono uniti perché sono dei bravi ragazzi.

E osservate che, con l'aiuto di questa incomparabile, profonda filosofia, si «respinge» un fatto che smentisce completamente tutta la difesa dei bernsteiniani. Costoro sono, si o no, sul terreno della lotta di classe del proletariato? La questione può essere risolta definitivamente e inappellabilmente solo dall'esperienza storica. Per conseguenza, ciò che ha maggior importanza nel caso specifico é proprio (esempio della Francia, del solo paese dove i bernsteiniani hanno tentato di reggersi sulle gambe per conto loro, fra gli applausi calorosi dei loro colleghi tedeschi (e, in parte, degli opportunisti russi: vedi Rabotchéïé Diélo, n. 2-3, pp. 83-84). Il richiamo all'intransigenza dei francesi,- indipendentemente dal suo valore «storico» (nel senso di Nozdrev) - é solo un tentativo di distogliere, con parole astiose, l'attenzione da fatti molto sgradevoli.

D'altra parte, noi non abbiamo affatto l'intenzione di abbandonare i tedeschi a Kricevski e agli altri innumerevoli difensori della «libertà di critica». Se i «bernsteiniani più incalliti » possono essere ancora tollerati nel partito tedesco, ciò avviene soltanto nella misura in cui essi si sottomettono e alla risoluzione di Hannover, che respinge categoricamente gli «emendamenti» di Bernstein, e a quella di Lubecca, che (nonostante tutta la sua diplomazia) contiene un avvertimento formale a Bernstein. Si può discutere, dal punto di vista degli interessi del partito tedesco, quanto fosse opportuna la diplomazia; se, in questo caso, un cattivo accomodamento fosse cosa migliore di una buona rissa; si può, in una parola, essere di diverso parere nel giudicare dell'opportunità di questo o quel mezzo per respingere il bernsteinismo, ma é innegabile il fatto che il partito tedesco ha per ben due volte respinto il bernsteinismo. Credere dunque che l'esempio dei tedeschi confermi la tesi che «i bernsteiniani più incalliti restano sul terreno della lotta di classe del proletariato per la sua emancipazione economica e politica», significa non comprendere niente di quanto avviene sotto gli occhi di tutti (4).

Peggio ancora. Come abbiamo già segnalato, il Rabotchéïé Diélo scende in campo davanti alla socialdemocrazia russa per reclamare la «libertà di critica» e difendere il bernsteinismo. A quanto pare, si è convinto che i nostri e critici» ed i nostri bernsteiniani sono stati ingiustamente offesi. Ma quali precisamente? Da chi, dove e quando? E in che cosa è consistita l'ingiustizia? Su questo il Rabotchéïé Diélo tace e non cita neppure una volta un critico o un bernsteiniano russo. Non ci resta che scegliere fra le due ipotesi possibili. O la parte ingiustamente offesa non è altro che lo stesso Rabotchéïé Diélo (il che è confermato dal fatto che nei due articoli del n. 10 si parla unicamente delle offese recate dalla Zarià e dall'Iskra al Rabotchéïé Diélo), e allora come spiegare questa stranezza che il Rabotchéïé Diélo, il quale ha sempre ostinatamente respinto ogni solidarietà con il bernsteinismo, non abbia potuto difendersi se non prendendo la parola in difesa dei «più incalliti bernsteiniani» è della libertà di critica? Oppure sono stati ingiustamente offesi dei terzi, e allora quali possono essere i motivi per cui essi non vengono nominati?

Noi vediamo, dunque, che il Rabotchéïé Diélo continua il giuoco a rimpiattino che gli è abituale (come dimostreremo più avanti) da quando esiste. Notate inoltre questa prima applicazione pratica della famosa «libertà di critica». Praticamente, questa libertà si riduce non soltanto all'assenza di ogni critica, ma all'assenza di ogni giudizio indipendente. Lo stesso Rabotchéïé Diélo che tace, come di una malattia segreta (secondo la giusta espressione di Starover), del bernsteinismo russo, propone di guarire questa malattia ricopiando puramente e semplicemente l'ultima ricetta tedesca contro la varietà tedesca di questa malattia! Invece della libertà di critica, l'imitazione servile... peggio ancora, l'imitazione scimmiesca! L'unitario contenuto politico-sociale dell'odierno opportunismo internazionale si manifesta in un modo o nell'altro, a seconda delle particolarità nazionali. In un paese, il gruppo degli opportunisti si è raccolto da molto tempo intorno ad una sua bandiera particolare; nell'altro, gli opportunisti, sdegnosi della teoria, fanno praticamente la politica dei radicalsocialisti; in un terzo, alcuni membri del partito rivoluzionario sono passati nel campo dell'opportunismo e si sforzano di raggiungere i loro fini non già attraverso una lotta aperta per i principi e la nuova tattica, ma attraverso una corruzione graduale, impercettibile e, per tosi dire, impunibile, del loro partito; in un quarto, transfughi dello stesso genere adoperano gli stessi metodi nelle tenebre della schiavitù politica e quando esistono rapporti reciproci assolutamente originali fra l'azione «legale» e l'azione «illegale», ecc.. Parlare della «libertà di critica» e della libertà del bernsteinismo come della condizione per l'unione dei socialdemocratici russi, senza esaminare come precisamente si é manifestato e quali frutti particolari ha dato il bernsteinismo russo, significa parlare per non dir niente.

Cercheremo noi stessi di dire brevemente ciò che il Raboceie Dielo non ha voluto dire (o forse non ha saputo nemmeno comprendere).

c) La critica in Russia

La particolarità fondamentale della Russia, quanto al problema che ci interessa, sta nel fatto che l'inizio stesso del movimento operaio spontaneo da un lato e della svolta del pensiero sociale d'avanguardia verso il marxismo dall'altro lato sono stati contrassegnati dall'anione di elementi manifestamente eterogenei sotto una bandiera comune e per la lotta contro un comune nemico (concezioni politiche e sociali superate). Vogliamo parlare della luna di miele del «marxismo legale». Fu questo un fenomeno assolutamente originale, alla possibilità stessa del quale nessuno avrebbe potuto credere negli anni ottanta o all'inizio degli anni novanta. In un paese autocratico, dove la stampa é completamente asservita, in un'epoca di reazione politica spietata, la quale reprime anche le minime manifestazioni di malcontento e di protesta politica, improvvisamente si fa strada, in una letteratura sottoposta a censura, la teoria del marxismo rivoluzionario, esposta in linguaggio esopico, ma comprensibile a tutti gli «interessati». Il governo si era abituato a considerare come pericolosa soltanto la teoria dei seguaci della «Volontà del popolo» (rivoluzionari), senza osservarne, come abitualmente avviene, l'evoluzione interna e rallegrandosi di ogni critica diretta contro di essa. Prima che il governo se ne fosse accorto, prima che il pesante esercito dei censori e dei gendarmi avesse scoperto il nuovo nemico e gli si fosse precipitato addosso, passò non poco tempo (non poco per noi russi). E durante questo tempo si pubblicarono, una dopo l'altra, opere marxiste, si fondarono riviste e i giornali marxisti, contagiosamente tutti diventavano marxisti, i marxisti venivano adulati, ai marxisti si faceva la corte, gli editori erano entusiasti dello smercio straordinariamente rapido dei libri marxisti. È ben comprensibile che fra i neofiti marxisti, circonfusi da questa aureola, si trovasse più di uno «scrittore montato in superbia»...

Oggi si può parlare di questo periodo con serenità, come di una cosa passata. Nessuno ignora che l'effimera fioritura del marxismo alla superficie della nostra letteratura provenne dall'alleanza di elementi estremisti con elementi molto moderati. Questi ultimi erano, in fondo, dei democratici borghesi, e a questa conclusione (che fu confermata all'evidenza dalla loro ulteriore evoluzione «critica») qualcuno era giunto fin da quando l’«alleanza» era ancora intatta (5).

Ma se é così, su chi ricade la responsabilità principale dell'ulteriore «confusione», se non precisamente sui socialdemocratici rivoluzionari che hanno concluso quest'alleanza coi futuri «critici»? Questa domanda, seguita da una risposta affermativa, si sente talora formulare da gente che considera le cose in modo eccessivamente rigido. Questa gente ha assolutamente torto. Soltanto chi non ha fiducia in se stesso può aver paura di stringere alleanze temporanee anche con elementi incerti. Nessun partito politico potrebbe esistere senza tali alleanze. Orbene, l’alleanza coi marxisti legali fu in certo qual modo la prima alleanza veramente politica della socialdemocrazia russa. Grazie a quell'alleanza si ottenne una vittoria straordinariamente rapida sul populismo e una diffusione prodigiosa delle idee marxiste (per quanto in forma volgarizzata). Inoltre, quell'alleanza non fu affatto conclusa senza «condizioni». Prova ne sia la raccolta marxista Documenti sullo sviluppo economico della Russia, data alle fiamme nel 1895 dalla censura. Se l'accordo coi marxisti legali per la letteratura può essere paragonato a, un'alleanza politica, questa raccolta può essere paragonata a un contratto politico.

La rottura naturalmente non avvenne per il fatto che gli «alleati» dimostrarono di essere dei democratici borghesi. Al contrario, i rappresentanti di questa corrente sono per la socialdemocrazia degli alleati naturali e desiderabili quando si tratta dei suoi obiettivi democratici, che vengono messi in primo piano dalla presente situazione della Russia. Ma condizione necessaria di tale alleanza é per i socialisti la piena possibilità di svelare alla classe operaia che i suoi interessi e quelli della borghesia sono opposti, ostili. Il bernsteinismo, invece, e la tendenza «critica» a cui si è contagiosamente convertita la maggioranza dei marxisti legali eliminavano questa possibilità e pervertivano la coscienza socialista, svilendo il marxismo, predicando la teoria dell'attenuazione degli antagonismi sociali, dichiarando che l'idea della rivoluzione sociale e della dittatura del proletariato è insensata, riducendo il movimento operaio e la lotta di classe a un gretto tradunionismo e alla lotta «realista» per piccole riforme graduali. Ciò equivaleva, da parte della democrazia borghese, a negare il diritto all'indipendenza del socialismo e, quindi, il suo diritto all'esistenza; ciò significava, in pratica, sforzarsi di trasformare il movimento operaio, ai suoi albori, in un'appendice del movimento liberale.

Naturalmente, in queste condizioni la rottura era necessaria. Ma la particolarità «originale» della Russia si espresse nel fatto che questa rottura significò l'esclusione pura e semplice dei socialdemocratici dal campo della letteratura «legale», la più accessibile a tutti e la più largamente diffusa. Di essa fecero la loro fortezza gli «ex marxisti», raggruppati sotto la «bandiera della critica», che avevano quasi ottenuto il monopolio della «denigrazione» del marxismo. Le parole d'ordine «contro l'ortodossia» e «viva la libertà di critica» (ripetute ora dal Rabotchéïé Diélo) diventarono subito di moda e s'imposero persino alla censura ed ai gendarmi, come dimostrano, fra l'altro, le tre edizioni russe del libro del famoso Bernstein (famoso alla maniera di Erostrato) e il fatto che le opere di Bernstein, del signor Prokopovic, ecc. sono raccomandate da Zubatov (Iskra, n. 10). I socialdemocratici avevano allora il compito di combattere la nuova corrente, compito già di per sé difficile e reso incredibilmente più difficile dagli ostacoli puramente esteriori. Ma questa corrente non si limitava alla letteratura. La svolta verso la «critica» coincideva con la propensione dei militanti socialdemocratici per l'«economismo».

Il modo come sorsero e si rafforzarono i rapporti e l'interdipendenza fra la critica legale e l'economismo illegale é una questione interessante, che potrebbe costituire argomento di un articolo apposito. Basterà notare qui la incontestabile esistenza del legame che li unisce. Il famoso «Credo» non acquistò tanta e tosi meritata celebrità se non perché esprimeva apertamente questo legame e metteva in rilievo la tendenza politica fondamentale dell'«economismo»: gli operai debbono condurre una lotta economica (o più esattamente tradunionista, che abbraccia anche la politica specificamente operaia), gli intellettuali marxisti debbono fondersi coi liberali per la «lotta» politica. L'attività tradunionista «fra il popolo» serviva ad assolvere la prima metà del compito; la critica legale ne realizzava la seconda metà. Questa dichiarazione fu un'arma così preziosa contro l'economismo, che se il «Credo» non fosse esistito, sarebbe valsa la pena di inventarlo.

Il «Credo» non fu inventato, ma fu pubblicato senza il consenso e fors'anche contro la volontà dei suoi autori. In ogni caso, l'autore di queste righe, il quale contribuì a portare alla luce il nuovo «programma» (6), subì proteste e rimproveri perché un riassunto delle loro opinioni, abbozzato da qualche oratore, era stato copiosamente diffuso, aveva ricevuto il titolo di «Credo» ed era stato persino stampato unitamente alla protesta contro di esso. Ci riferiamo a questo episodio perché svela un curioso tratto caratteristico del nostro economismo: la paura della pubblicità. E questa è una caratteristica dell'economismo in generale e non soltanto degli autori del «Credo» : essa si é manifestata nella Rabociaia Mysl, la più schietta e onesta partigiana dell'economismo, nel Rabotchéïé Diélo (il quale si é indignato della pubblicazione dei documenti «economici» nel Vademecum), nel Comitato di Kiev, che due anni or sono non ha voluto autorizzare la pubblicazione della sua Profession de foi insieme con la confutazione di essa (7), e in un grande numero di singoli rappresentanti dell'economismo.

Questa paura della critica che si manifesta nei partigiani della libertà di critica non può essere spiegata come un semplice artificio (benché a volte dell'artificio non possa fare a meno; sarebbe ingenuo presentare all'attacco dell'avversario i primi ancor fragili germi di una nuova tendenza!). No, la maggioranza degli economisti, con perfetta sincerità, non vede di buon occhio (e, data la sostanza stessa dell'economismo, non può che vedere malvolentieri) ogni discussione teorica, ogni dissenso di frazione, ogni vasta questione politica, ogni progetto di organizzare i rivoluzionari, ecc. «Lasciamo tutto ciò all'estero!», mi diceva un giorno un economista abbastanza conseguente, e in questo modo egli esprimeva la seguente opinione molto diffusa (e puramente tradunionista): quel che ci interessa é il movimento operaio, sono le organizzazioni operaie del nostro paese, tutto il resto non é che invenzione di dottrinari, «sopravvalutazione dell'ideologia», come si esprimevano gli autori della lettera pubblicata nel n. 12 dell'Iskra, all'unisono col n. 10 del Rabotchéïé Diélo. Ci si chiede ora: date queste particolarità della «critica» e del bernsteinismo russi, in che doveva consistere il compito di chi voleva combattere l'opportunismo a fatti e non soltanto a parole? Bisognava, prima di tutto, preoccuparsi di riprendere quel lavoro teorico che era stato appena incominciato all'epoca del marxismo legale e che ricadeva di nuovo sui militanti illegali; senza questo lavoro uno sviluppo reale del movimento era impossibile. In secondo luogo, era necessario impegnare una lotta attiva contro la «critica» legale, che pervertiva gli spiriti. In terzo luogo, era necessario insorgere vigorosamente contro la confusione e le esitazioni nel movimento pratico, smascherando e respingendo tutti i tentativi di svilire coscientemente o inconsciamente il nostro programma e la nostra tattica.

Il Rabotchéïé Diélo, come é noto, non ha assolto né il primo, né il secondo, né il terzo di questi compiti, e avremo più innanzi l'occasione di chiarire particolareggiatamente questa verità sotto i diversi aspetti. Per ora vogliamo semplicemente dimostrare che esiste una flagrante contraddizione tra la rivendicazione della «libertà di critica» e le particolarità della critica di casa nostra e dell'economismo russo. Si dia, infatti, uno sguardo alla risoluzione con la quale l'Unione dei socialdemocratici russi all'estero ha confermato il punto di vista del Rabotchéïé Diélo.

«Nell'interesse dell'ulteriore sviluppo ideologico della socialdemocrazia noi pensiamo che la libertà di criticare la teoria socialdemocratica nella letteratura di partito é cosa assolutamente necessaria, nella misura in cui questa critica non contraddice al carattere dì classe e al carattere rivoluzionario della teoria» (Due congressi, p. 10). Si motiva questa risoluzione col fatto che «nella prima parte essa coincide con la risoluzione del Congresso di Lubecca su Bernstein...» Nella semplicità del loro cuore i membri dell'«Unione» non vedono nemmeno quale testimonium paupertatis (certificato di povertà) essi stessi si rilasciano con questo plagio; «ma... nella seconda parte, essa pone alla libertà di critica limiti più angusti di quelli posti dal Congresso di Lubecca».

La risoluzione dell'Unione sarebbe, dunque, rivolta contro i bernsteiniani russi? Altrimenti, sarebbe un'assurdità riferirsi a Lubecca! Ma è falso che essa «ponga limiti angusti alla libertà di critica». Con la risoluzione di Hannover i tedeschi hanno respinto punto per punto proprio quegli emendamenti che Bernstein aveva presentato, e con quella di Lubecca hanno dato un avvertimento a Bernstein personalmente, facendone chiaramente il nome. I nostri «liberi» imitatori, invece, non indicano, neppure con un accenno, nessuna delle particolari manifestazioni della «critica» russa e dell'«economismo» russo. Cosicché la semplice allusione al carattere di classe e al carattere rivoluzionario della teoria lascia un posto molto più ampio alle interpretazioni sbagliate, soprattutto se l’Unione si rifiuta di considerare opportunismo il «cosiddetto economismo» (Due congressi, p. 8). Ma ciò sia detto di sfuggita. L'essenziale è che le posizioni degli opportunisti rispetto ai socialdemocratici rivoluzionari sono in Germania e in Russia diametralmente opposte. In Germania i socialdemocratici rivoluzionari sono, com'è noto, per la conservazione di ciò che esiste: per il vecchio programma, la vecchia tattica, conosciuti da tutti e messi alla prova in tutti i particolari dall'esperienza di parecchi decenni. I «critici» vogliono invece introdurvi delle modificazioni, e poiché sono un'infima minoranza e le loro tendenze revisioniste sono molto timide, i motivi per cui la maggioranza si limita a respingere seccamente le loro «innovazioni» sono comprensibili. Da noi, in Russia, «critici» ed economisti sono per la conservazione di ciò che esiste: i «critici» vogliono continuare ad essere considerati come dei marxisti e a godere della «libertà di critica» della quale hanno approfittato nel senso più ampio (perché in fondo essi non hanno mai riconosciuto nessun legame di partito (8) e d'altra parte non avevamo un organo riconosciuto da tutto il partito il quale potesse «limitare», almeno con dei consigli, la libertà di critica); gli economisti vogliono che i rivoluzionari riconoscano il «pieno diritto del movimento nell'ora presente» (Raboceie Dielo, n. 10, p. 25), Cioè la «legittimità» dell'esistenza di ciò che esiste; che gli «ideologi» non cerchino di «far deviare» il movimento dalla strada «determinata dal giunco reciproco degli elementi materiali e dell'ambiente materiale» (Lettera nel n. 72 dell' Iskra); che si riconosca come desiderabile condurre quella lotta «che gli operai possono condurre soltanto in circostanze determinate» e come possibile «quella che essi conducono effettivamente nel momento presente» (Supplemento alla «Rabociaia Mysl», p. 14). Per contro, noi, socialdemocratici rivoluzionari, non siamo soddisfatti di questa sottomissione alla spontaneità, ossia a ciò che esiste «nel momento presente». Noi esigiamo la modificazione della tattica prevalsa in questi ultimi anni; dichiariamo che «prima di unirsi, e per unirsi, è necessario innanzi tutto definirsi risolutamente e nettamente» (annunzio della pubblicazione dell'Iskra). In una parola, i tedeschi rimangono sulle posizioni esistenti e respingono ogni modificazione; noi esigiamo la modificazione dell'attuale stato di cose respingendo la sottomissione e la rassegnazione a ciò che esiste nel momento presente.

Ecco la «piccola» differenza di cui i nostri «liberi» copiatori di risoluzioni tedesche non si sono neppure accorti.

d) Engels e l’importanza della lotta teorica

"Il dogmatismo, il dottrinarismo", "la fossilizzazione del partito sono il castigo inevitabile della violenta compressione del pensiero": ecco i nemici contro i quali scendono in lizza i campioni della "libertà di critica" del Rabotchéïé Diélo. Siamo felicissimi che tale questione sia stata posta all’ordine del giorno; ma proporremmo di completarla con la seguente:

Chi sono i giudici?

Abbiamo innanzi a noi due annunzi di pubblicazioni: il programma del Rabotchéïé Diélo, organo del periodico della Unione dei socialdemocratici russi (tiratura speciale del n.1 del Raboceie Dielo) e l’annuncio della ripresa delle edizioni del gruppo Emancipazione del lavoro. Entrambi hanno la data del 1899, epoca nella quale la "crisi del marxismo" era all’ordine del giorno da molto tempo. Eppure nella prima di queste pubblicazioni si cercherebbero invano indicazioni sulla crisi stessa e un’esposizione precisa della posizione che conta di prendere il nuovo organo a questo riguardo. Dell’attività teorica e dei suoi compiti vitali nel momento attuale non dicono una parola né questo programma, né le aggiunte approvate dal III Congresso dell’Unione nel 1901 (Due congressi, pp. 15-18). In tutto questo periodo, la redazione del Rabotchéïé Diélo ha lasciato da parte le questioni teoriche, benché esse appassionassero i socialdemocratici di tutto il mondo.

L’altra pubblicazione, al contrario, segnala innanzi tutto l’indebolimento dell’interesse per la teoria durante questi ultimi anni, esige imperiosamente che sia data una "vigile attenzione al lato teorico del movimento rivoluzionario del proletariato" ed esorta a una "critica spietata delle tendenze bernsteiniane e delle altre tendenze antirivoluzionarie" esistenti nel nostro movimento. I numeri della Zarià finora pubblicati dimostrano come sia stato eseguito questo programma.

Vediamo, dunque, che le grandi frasi contro la fossilizzazione del pensiero, ecc. dissimulano in realtà l’indifferenza e l’impotenza nei riguardi dello sviluppo del pensiero teorico. L’esempio dei socialdemocratici russi illustra in modo particolarmente chiaro il fenomeno, generale in Europa (e da molto tempo segnalato anche dai marxisti tedeschi), che la famosa libertà di critica non significa la sostituzione di una teoria con un’altra, ma significa libertà da ogni teoria coerente e ponderata, eclettismo e mancanza di princípi. Chiunque abbia una conoscenza anche limitata della situazione di fatto del nostro movimento non può non vedere che la grande diffusione del marxismo è stata accompagnata da un certo abbassamento del livello teorico. Molta gente, la cui preparazione teorica era infima e persino inesistente, ha aderito al movimento grazie alla sua importanza pratica e ai suoi progressi pratici. Ognuno può dunque vedere quanto manchi di tatto il Raboceie Dielo quando agita trionfalmente la frase di Marx: "Ogni passo del movimento reale è più importante di una dozzina di programmi". Ripetere queste parole in un momento di sbandamento teorico, è come "fare dello spirito a un funerale". Queste parole, d’altra parte, sono estratte dalla lettera sul programma di Gotha, nella quale Marx condanna categoricamente l’eclettismo nell’enunciazione dei princípi. Se è necessario unirsi - scriveva Marx ai capi del partito - fate accordi allo scopo di raggiungere i fini pratici del movimento, ma non fate commercio dei princípi e non fate "concessioni" teoriche. Questo era il pensiero di Marx, e fra noi si trova della gente che nel suo nome tenta di sminuire l’importanza della teoria!

Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario. Non si insisterà mai troppo su questo concetto in un periodo in cui la predicazione opportunistica venuta di moda è accompagnata dall’esaltazione delle forme più anguste di azione pratica. Ma per la socialdemocrazia russa, in particolare, la teoria acquista un’importanza ancora maggiore per le tre considerazioni seguenti, che sono spesso dimenticate. Innanzi tutto, il nostro partito è ancora in via di formazione, sta ancora definendo la sua fisionomia ed è ben lungi dall’aver saldato i conti con le altre correnti del pensiero rivoluzionario, che minacciano di far deviare il movimento dalla giusta via. Anzi, proprio in questi ultimi anni (come Axelrod già da molto tempo aveva predetto agli economisti) ci troviamo di fronte ad una reviviscenza delle tendenze rivoluzionarie non socialdemocratiche. In siffatte condizioni, un errore, che a prima vista sembra "senza importanza", può avere le più deplorevoli conseguenze; e bisogna essere ben miopi per giudicare inopportune e superflue le discussioni di frazione e la rigorosa definizione delle varie tendenze. Dal consolidarsi dell’una piuttosto che dell’altra "tendenza" può dipendere per lunghi anni l’avvenire della socialdemocrazia russa.

In secondo luogo, il movimento socialdemocratico è per la sua stessa sostanza internazionale. Ciò non significa soltanto che dobbiamo combattere lo sciovinismo nazionale. Significa anche che in un paese giovane un movimento appena nato può avere successo solo se applica l’esperienza degli altri paesi. Ma per applicarla non basta conoscerla o limitarsi a copiare le ultime risoluzioni. Bisogna saper valutare criticamente e verificare da se stessi questa esperienza. Basta pensare quali passi giganteschi ha fatto il movimento operaio contemporaneo e come si è articolato per comprendere quale riserva di forze teoriche e di esperienza politica (ed anche rivoluzionaria) sia necessaria per adempiere questo compito.

In terzo luogo, i compiti nazionali della socialdemocrazia russa sono tali, quali non si sono mai presentati a nessun altro partito socialista del mondo. Vedremo in seguito quali doveri politici ed organizzativi ci impone il compito di liberare tutto il popolo dal giogo dell’autocrazia. Per il momento ci limiteremo a rilevare che solo un partito guidato da una teoria di avanguardia può adempiere la funzione di combattente di avanguardia. Ma per raffigurarsi un po’ più concretamente che cosa questo significhi, ricordi il lettore quei precursori della socialdemocrazia russa, che si chiamano Herzen, Belinski, Cernyscevski e la brillante pleiade dei rivoluzionari degli anni settanta; rifletta all’importanza mondiale che la letteratura russa acquista presentemente; pensi... ma basta così!

Ricordiamo le osservazioni di Engels (1874) sull’importanza della teoria nel movimento socialdemocratico. Secondo Engels, esistono non due forme della grande lotta socialdemocratica (politica ed economica) - come si pensa abitualmente fra noi -, ma tre, ponendosi accanto a queste anche la lotta teorica. La raccomandazione che egli fa al movimento operaio tedesco, già rafforzatosi praticamente e politicamente, è talmente istruttiva, dal punto di vista delle questioni e discussioni attuali, che il lettore ci scuserà se riportiamo il lungo brano seguente della prefazione all’opuscolo Der deutsche Bauernkríeg (9) che è diventato da molto tempo una rarità bibliografica eccezionale:

«Gli operai tedeschi hanno due vantaggi essenziali sugli operai del resto dell’Europa. In primo luogo essi appartengono al popolo dell’Europa più portato alla teoria ed hanno conservato il senso teorico, che i cosiddetti "uomini colti" della Germania hanno totalmente perduto. Senza il precedente della filosofia tedesca e precisamente della filosofia di Hegel, il socialismo scientifico tedesco - l’unico socialismo scientifico che sia mai esistito - non sarebbe mai nato. Se tra gli operai non ci fosse stato questo senso teorico, il socialismo scientifico non si sarebbe mai cambiato in sangue e carne in così grande misura come è effettivamente accaduto. E quale incommensurabile vantaggio sia questo si rileva, da una parte, se si tenga presente l’indifferenza verso tutte le teorie, che è una delle cause principali per cui il movimento operaio inglese, malgrado tutta la notevole organizzazione dei singoli sindacati, avanza così lentamente, e, dall’altra parte, se si tengano presenti la confusione e le storture che il proudhonismo ha provocato, nella sua forma originaria, nei francesi e nei belgi, e, più tardi, nella caricatura che ne fece Bakunin, negli spagnoli e negli italiani.
Il secondo vantaggio è costituito dal fatto che i tedeschi sono arrivati quasi ultimi nel movimento operaio dell’epoca. Come il socialismo tedesco non dimenticherà mai che esso, diremo, poggia sulle spalle di Saínt-Simon, Fourier e Owen, tre uomini che, con tutta la loro fantasticheria e tutto il loro utopismo, sono tra le teste più fini di tutti i tempi e hanno anticipato infinite cose che noi oggi dimostriamo scientificamente, così il movimento operaio pratico tedesco non può mai dimenticare che esso si è sviluppato sulle spalle dei movimenti inglese e francese, e può con tutta semplicità trarre profitto dalle loro esperienze acquistate a così caro prezzo ed evitare oggi i loro errori che erano allora inevitabili. Senza il gigantesco impulso dato specialmente dalla Comune di Parigi, dallo sviluppo precedente delle trade-unions inglesi e dalle lotte politiche degli operai francesi, a che punto saremmo noi ora?
Si deve riconoscere che gli operai tedeschi hanno sfruttato con rara intelligenza la loro vantaggiosa posizione. Infatti, per la prima volta dacché esiste il movimento operaio, la lotta viene condotta unitariamente, coerentemente e secondo un piano che si svolge su tre linee: teorica, politica e pratico-economica (resistenza ai capitalisti). La forza e l’invincibilità del movimento tedesco sta precisamente in questo attacco che potremmo dire concentrico.
Da una parte per questa loro privilegiata posizione, dall’altra per le particolarità insulari del movimento inglese e la violenta repressione del movimento francese, gli operai tedeschi sono per il momento all’avanguardia della lotta proletaria. Per quanto tempo gli avvenimenti lasceranno loro questo posto d’onore, non si può dire. Ma sino a quando lo occuperanno, è sperabile che essi eseguiranno il loro compito come si conviene. Per questo occorre che gli sforzi siano raddoppiati in ogni campo della lotta e dell’agitazione. Precisamente sarà dovere di tutti i dirigenti chiarire sempre più tutte le questioni teoriche, liberarsi sempre più completamente dall’influsso delle frasi fatte proprie della vecchia concezione del mondo, e tener sempre presente che il socialismo, da quando è diventato una scienza, va trattato come una scienza, cioè va studiato. Ma l’importante sarà poi diffondere tra le masse, con zelo accresciuto, la concezione che così si è acquisita e che sempre più si è chiarita, e rinsaldare sempre più fermamente l’organizzazione del partito e dei sindacati...

Se gli operai tedeschi così andranno avanti, non perciò marceranno alla testa del movimento - anzi non è affatto nell’interesse del movimento che gli operai di una singola nazione, quale che essa sia, marcino alla testa del movimento - ma tuttavia occuperanno un posto degno di onore nella linea del combattimento; e saranno pronti in armi, se dure prove inattese o grandi avvenimenti esigeranno maggiore coraggio, maggiore decisione ed energia

Il proletariato russo dovrà subire delle prove infinitamente più gravi, dovrà combattere un mostro in confronto del quale una legge eccezionale in un paese costituzionale sembrerà un pigmeo. La storia ci pone oggi un compito immediato, il più rivoluzionario di tutti i compiti immediati del proletariato di qualsiasi altro paese. L’adempimento di questo compito, la distruzione del baluardo più potente della reazione, non soltanto europea, ma anche (oggi possiamo dirlo) asiatica, farebbe del proletariato russo l’avanguardia del proletariato rivoluzionario internazionale. Siamo in diritto di credere che ci meriteremo questo titolo onorevole, come già lo meritarono i nostri precursori, i rivoluzionari degli anni settanta, se sapremo animare dello stesso spirito di illimitata risolutezza e della stessa energia il nostro movimento, mille volte più vasto e più profondo.


NOTE

1. A proposito. Nella storia del socialismo moderno è forse un fenomeno unico e, nel suo genere, molto consolante, che l'urto delle diverse tendenze in seno al socialismo si sia per la prima volta trasformato da nazionale in internazionale. Nei tempi passati le dispute tra i lassalliani e gli eisenachiani, tra i guesdisti e i possibilisti, tra i fabiani e i socialdemocratici, tra i seguaci della «Libertà del popolo» e i socialdemocratici rimanevano dispute puramente nazionali, riflettevano particolarità puramente nazionali, si svolgevano, per così dire, su piani diversi. Ai nostri giorni (questo è già evidente) i fabiani inglesi, i ministeriali francesi, i bernsteiniani tedeschi, i critici russi sono tutti una sola famiglia, si lodano reciprocamente, imparano gli uni dagli altri e si armano insieme contro il marxismo «dogmatico». In questa prima battaglia, veramente internazionale, contro l'opportunismo socialista riuscirà la socialdemocrazia rivoluzionaria internazionale a rafforzarsi al punto da mettere fine alla reazione politica che scià da molto tempo impera in Europa?

2. Un confronto fra le due correnti del proletariato rivoluzionario (rivoluzionaria e opportunistica) e le due correnti della borghesia rivoluzionaria del secolo XVIII (giacobina - «Montagna» - e girondina) venne fatto nell'articolo di fondo del n. 2 dell'Iskra (febbraio 1901). L'autore dell'articolo è Plekhanov. I cadetti, i «biezsaglavzy» e i menscevichi si compiacciono molto di parlare tuttora di «giacobinismo» all’interno della socialdemocrazia russa. Però oggi preferiscono tacere... o dimenticare che Plekhanov adoperò per la prima volta questo concetto contro l'ala destra della socialdemocrazia.

3. Quando Engels attaccò Dühring, molti rappresentanti della socialdemocrazia tedesca accettavano le opinioni di quest'ultimo ed Engels fu ripetutamente accusato di violenza, di intolleranza, di polemica non da compagni, ecc., persino pubblicamente al congresso del partito. Most e consorti proposero (al congresso del 1877) di non pubblicare sul Vorwärts gli articoli di Engels perché «non offrivano interesse per l'enorme maggioranza dei lettori», e Vahlteich dichiarò che la pubblicazione di questi articoli aveva recato gran danno al partito, che anche Dühring aveva reso dei servizi alla socialdemocrazia: «Dobbiamo utilizzare tutti nell'interesse del partito, e se i professori discutono fra di loro, il Vorwärts non deve essere l'arena di queste dispute» (Vorwärts, n. 65, 6 giugno 1877). Come vedete, anche questo è un esempio della difesa della «libertà di critica», e i nostri critici legali, nonché gli opportunisti illegali che si richiamano così volentieri all'esempio dei tedeschi, non farebbero male a meditare su questo esempio.

4. Bisogna notare che sul problema dei bernsteiniani nel partito tedesco, il Rabotchéïé Diélo si é sempre limitato alla nuda esposizione dei fatti «astenendosi» completamente dal dare su di essi un giudizio proprio. Cfr., ad esempio il n. 2-3, p. 66, sul Congresso di Stoccarda; tutte le divergenze si riducono alla «tattica», e si costata solamente che l'enorme maggioranza é fedele alla tattica rivoluzionaria precedente. Oppure il n. 4-5, p. 25 e sgg.: una semplice esposizione dei discorsi pronunciati al Congresso di Hannover con la citazione della risoluzione di Bebel; l'esposizione e la critica delle idee di Bernstein sono nuovamente rinviate (come nel n. 2-3) a un «articolo apposito». Fatto curioso é che a p. 33 del n. 4-5 leggiamo: «... le tendenze esposte da Bebel sono seguite dall'enorme maggioranza del congresso» e un po' più avanti: «David ha difeso le idee di Bernstein... Prima di tutto ha tentato di dimostrare che... Bernstein e i suoi amici restano tuttavia [sic!] sul terreno della lotta di classe»... Ciò é stato scritto nel dicembre 1899, e nel settembre 1901 il Raboceie Dielo probabilmente non crede più che Bebel abbia ragione e ripete l'opinione di David come fosse sua!

5. Alludo qui all'articolo di Tulin contro Struve, scritto sulla traccia di una conferenza intitolata Riflessi del marxismo nella letteratura borghese.

6. Si tratta della protesta dei diciassette contro il «Credo». L'autore di queste righe prese parte alla redazione di questa protesta (fine del 1899). La protesta fu pubblicata all'estero insieme col «Credo» nella primavera del 1900. Oggi si é appreso da un articolo della signora Kuskova (sul Byloie, se non erro) che essa fu l'autrice del «Credo» e che il signor Prokopovic aveva una funzione molto notevole tra gli economisti che allora erano all'estero.

7. A quanto ci consta, la composizione del Comitato di Kiev da allora è cambiata.

8. Questa mancanza di un legame di partito aperto e riconosciuto e di una tradizione di partito rappresenta in sé una differenza così radicale tra la Russia e la Germania, che avrebbe dovuto mettere in guardia ogni socialista sensato contro 1'imitazione cieca. Ma ecco un esempio che mostra fin dove arriva la libertà di critica in Russia. Un russo, il signor Bulgakov, fa una partaccia al critico austriaco Hertz: «Malgrado tutta l'indipendenza delle sue conclusioni, Hertz su questo punto [sulla cooperazione] resta evidentemente troppo attaccato alle opinioni del proprio partito, e, pur dissentendo nei particolari, non si decide ad abbandonare il principio generale» (Capitalismo e agricoltura, v. II, p. 287). Un suddito di uno Stato politicamente asservito, dove il 999 per 1000 della popolazione é corrotto fino alle midolla dalla servitù politica e dalla totale incomprensione dell'onore di partito e del legame di partito, rimprovera superbamente a un cittadino di uno Stato costituzionale l'eccessivo «attaccamento alle opinioni del partito»! Alle nostre organizzazioni illegali non resta che incominciare a scrivere delle risoluzioni sulla libertà di critica...

9. Dritter Abdruck, Leipzig, 1875, Verlag der Genossenschaftsbuchdruckerei.